Cassazione Penale, Sez. 3, 23 ottobre 2015, n. 42684

Crollo dell’arco in muratura privo della necessaria armatura di sostegno. Responsabilità di un datore di lavoro e di un RSPP. Pagamento della provvisionale.


Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO
Data Udienza: 07/05/2015

Fatto

1. I sigg.ri G.P. e S.P. ricorrono per l’annullamento della sentenza del 29/10/2014 della Corte di appello di Palermo che, decidendo in sede rescissoria a seguito dell’annullamento della sua precedente sentenza del 24/06/2013, cassata da questa Corte con sentenza Sez. 4, n. 15044 del 07/03/2014, in parziale riforma della sentenza del 21/10/2009 del Tribunale di Termini Imerese, concesse agli imputati le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato in due mesi e venti giorni di reclusione la maggior pena, già ridotta per il rito, inflitta in primo grado agli odierni ricorrenti ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 40, cpv., 590, cod. pen., perché, quale amministratore unico e legale rappresentante della I.L.E.S. S.r.l. (società appaltatrice) la G.P., direttore tecnico di cantiere e responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi per l’impresa appaltante il S.P., avevano cagionato, per colpa, lesioni personali gravi al lavoratore dipendente S.M. intento a rimuovere la malta cementizia in eccesso dalle pietre di un arco in muratura alto tre metri, in assenza della relativa armatura di sostegno che avrebbe dovuto essere disarmata solo a costruzione finita; a causa del cedimento dell’arco il lavoratore aveva riportato la frattura dello zigomo destro della mascella. Fatto commesso in Contessa Entellina il giorno 11/09/2006.
Secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, il venerdì precedente l’infortunio era stata completata la realizzazione di un arco in pietra viva. Nella prima mattinata del lunedì successivo l’arco era stato disarmato dalle impalcature di legno che lo sostenevano e il S.M., insieme con un altro operaio, aveva cominciato a rimuovere la malta cementizia in eccesso con martello e scalpello dopo essere salito su un ponteggio sistemato proprio sotto l’arco. Durante la lavorazione l’arco era crollato cagionando al S.M. lesioni gravi.
L’accusa ipotizza, come fatti integranti la colpa, la violazione della diligenza, della prudenza, della perizia e dell’art. 64, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164.
I Giudici distrettuali affermano che lo smontaggio delle centine che sostenevano l’arco era avvenuto senza la preventiva visione e l’autorizzazione del S.P., direttore di cantiere, che anzi, secondo una prassi abituale, questi aveva di fatto delegato “in toto” agli operai (ed in particolare proprio al S.M., in virtù della sua pluriennale esperienza) la costruzione dell’arco stesso e le relative modalità di esecuzione. Le abbondanti piogge che avevano preceduto l’evento e l’azione dello scalpello avevano probabilmente reso meno stabile l’arco, in ogni caso disarmato prima che finissero le lavorazioni, in violazione di quanto prescrive l’art. 64, d.P.R. n. 164 del 1956 e del piano di sicurezza.
1.1. Con il primo motivo gli imputati eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., vizio di motivazione (sotto il profilo della omissione e manifesta illogicità) e violazione degli artt. 40, 42 e 43, cod. pen..
Deducono, al riguardo, che l’infortunio è occorso dopo che i lavori di costruzione dell’arco erano stati ultimati, laddove la rubrica imputa loro l’irregolare e prematuro disarmo dell’arco stesso. La causa del crollo è rimasta inesplorata, tant’è che la stessa Corte di appello non si avventura in certezze:
. Tale omissione, proseguono, mina il buon fondamento dell’affermazione della loro responsabilità perché impedisce di comprendere il comportamento colposo ad essi ascrivibile ed il nesso di causalità con l’evento delittuoso.
1.2. Con il secondo motivo eccepiscono la violazione del divieto di “reformatio in pejus” e deducono, al riguardo, che la Corte di appello non avrebbe potuto riconoscere alla parte civile una somma a titolo di provvisionale chiesta per la prima volta nel giudizio di appello.

Diritto

2.Il ricorso è infondato.
3. Il primo motivo si alimenta di un equivoco di fondo: la rubrica non contesta agli imputati di aver direttamente cagionato il crollo dell’arco bensì di non averlo impedito (e dunque di aver concorso a cagionarlo ai sensi dell’art. 40, cpv., cod. pen.) mediante il prematuro disarmo dell’armatura in violazione di quanto prescrive la regola cautelare violata (l’art. 64, d.P.R. 164 del 1956) posta a presidio dell’incolumità dei lavoratori impegnati nella sua realizzazione.
3.1. Il crollo è un dato incontestato, così come lo è il fatto che da esso sono derivate alla persona offesa lesioni gravi. Il fondamento dell’addebito colposo sta nella violazione della regola cautelare che avrebbe dovuto impedire il crollo, qualunque ne sia stata la causa.
3.2. L’art. 64, d.P.R. n. 164 del 1956 prescrive, infatti, che le armature provvisorie per l’esecuzione di manufatti come gli archi devono essere costruite in modo .
3.3. Ne consegue che l’omessa predisposizione dei presidi imposti per impedire il crollo dell’arco, o il loro anticipato disarmo, è circostanza che di per sé giustifica l’addebito di non aver impedito un evento che il datore di lavoro aveva l’obbligo di impedire con mezzi idonei allo scopo.
4. E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso.
4.1. La Corte di appello ha ritenuto di dover assegnare alle parti civili, che ne avevano fatto richiesta, una provvisionale provvisoriamente esecutiva liquidata nella misura di € 50.000,00 tenuto conto delle gravi lesioni riportate dalla persona offesa e del pretium doloris>>, potendosi ritenere già provato un pregiudizio di tale entità.
4.2. Entrambi gli imputati erano già stati genericamente condannati in primo grado al risarcimento del danno in favore delle parti civili da liquidare in separata sede.
4.3. Essi non contestano l’esistenza del pregiudizio ma il potere della Corte di appello di condannarli al pagamento della provvisionale ed eccepiscono, a tal fine, la violazione dell’art. 597, cod. proc. pen..
4.4.Il Procuratore generale di udienza ha sollecitato la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Suprema Corte rilevando un contrasto giurisprudenziale così sintetizzato nella sentenza Sez. 1, n. 50709 del 30/10/2014, richiamata nella requisitoria e nella memoria scritta depositata in udienza:
< Un secondo arresto ammette che la provvisionale possa essere concessa, anche senza apposita istanza della parte civile, non solo dal giudice di primo grado, ma anche da quello d’appello; in questo secondo caso tale possibilità è condizionata dal fatto che la relativa questione non sia stata prospettata al primo giudice e non abbia formato oggetto di decisione, perché in tale eventualità non potrebbe più essere legittimamente valutata in assenza di specifica impugnazione per l’ostacolo rappresentato dal principio devolutivo che connota l’appello, (sez. 1, n. 14583 del 04/11/1999, Crepaldi, rv. 216128; sez. 5, n. 36062 del 19/06/2007, Pellegrinetti, rv. 237722; Sez. 1, n. 13545 del 04/02/2009, Bestetti, rv. 243132).
Infine, plurime pronunce negano che, in sede di appello e in caso di impugnazione del solo imputato, sia consentito per la prima volta condannare lo stesso al pagamento di una provvisionale in favore della costituita parte civile in quanto il principio devolutivo impedirebbe la “reformatio in peius”, in assenza di uno specifico gravame sul punto, applicandosi tale divieto, di portata generale, non soltanto alle statuizioni di carattere penale, ma anche quelle civili (Cass. sez. 4, n. 35584 del 7/5/2003, Barilia, rv. 225987; sez. 5, n. 9779 del 15/02/2006, Durante, rv. 234237; sez. 5, n. 36062 del 19/6/2007, Pellegrinetti, rv. 237722; sez. 4, n. 42134 del 01/10/2008, Federico, rv. 242185)>>.
4.5.Il primo indirizzo, recentemente ribadito da questa Corte con sentenza Sez. 3, n. 18633 del 27/01/2015, Rv. 263486, ha il suo autorevole precedente nel principio affermato da Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, Capelli, Rv. 186722, tralatiziamente tramandato sino ad oggi, di sentenza in sentenza.
4.6.In quell’occasione le Sezioni Unite, che non erano state investite dello specifico quesito di diritto, affermarono lapidariamente la non impugnabilità “tout court” della condanna al pagamento di una provvisionale limitandosi a richiamare il preesistente e conforme indirizzo interpretativo della Corte.
4.7. Tale indirizzo, tuttavia, era maturato in un contesto normativo radicalmente diverso poiché l’art. 489, cod. proc. pen. del 1930 non poneva limiti al giudice penale nel decidere se assegnare o meno alla parte civile una somma a titolo di provvisionale. Perciò Sez. 4 , n. 114 del 23/01/1967, Rovecchi, Rv. 104030, aveva potuto affermare che <. Ancor più chiaramente e nettamente, Sez. 4, n. 1749 del 30/10/1968, Galeri, Rv. 109938, aveva ribadito che (cfr. anche Sez. 1, n. 1290 del 06/10/1967, Doni, Rv. 106715: ).
4.8. Il vigente codice di procedura penale ha profondamente innovato sul punto attribuendo al giudice penale il potere di condannare l’imputato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva (art. 539, comma 2, cod. proc. pen.), coerentemente a quanto già prevedeva, per il giudice civile, l’art. 278, comma 2, cod. proc. civ., richiamato dalla citata sentenza Sez. 4, n. 114 del 1967.
4.9. La decisione di concedere una provvisionale immediatamente esecutiva sulla condanna generica al risarcimento del danno presuppone necessariamente un accertamento positivo in ordine all’esistenza del cd. “danno-conseguenza”, limitatamente, ovviamente, al “quantum” immediatamente liquidabile.
4.10.Si tratta, per quanto oltre di dirà, di statuizione destinata a far stato nel processo civile.
4.11. La condanna generica al risarcimento del danno di cui all’art. 539, comma 1, cod. proc. pen., non esige, per sua natura, alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile (cd. “danno conseguenza”), essendo sufficiente, a tal fine, l’accertamento del fatto-reato (cd. “danno evento”) potenzialmente produttivo di conseguenze dannose (Sez. 6, n. 12199 del 11/03/2005, Molisso, Rv. 231044; Sez. 6, n. 14377 del 26/02/2009, Giorgio, Rv. 243310; Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013, Di Fatta, Rv. 257551).
4.12. Tale statuizione, ai sensi dell’art. 651, cod. proc. pen., non ha perciò efficacia di giudicato in ordine alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall’imputato (Sez. 4, n. 1045 del 16/12/1998, Selva, Rv. 212284).
4.13. Tuttavia la condanna generica al risarcimento del danno non esclude la possibilità che il giudice penale affermi la concreta sussistenza del danno conseguenza (l’ “an”del danno risarcibile), pur demandandone al giudice civile la sola liquidazione (il “quantum”).
4.14. La giurisprudenza delle Sezioni Unite civili di questa Suprema Corte ha spiegato che (Sez. Un. Civ., n. 4549 del 25/02/2010, Rv. 611796).
4.15. E’ stato ulteriormente precisato che «in caso di condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, se il giudice penale non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiato, valgono sul punto i prìncipi del giudicato>> (Sez. 3 civ., n. 16113 del 09/07/2009, Rv. 608754), sicché non sono vincolanti, per il giudice civile, «le valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che attengono all’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile>> (Sez. 3, n. 8360 del 08/04/2010, Rv. 612361; sez. 6 -3 civ., n. 14648 del 04/07/2011, Rv. 618452; cfr. inoltre Sez. 3, n. 16123 del 14/07/2006, Rv. 591479, secondo cui ,r nello stesso senso, da ultimo, Sez. 2, n. 15335 del 13/09/2012, Rv. 623804, e, meno recentemente, Sez. 3, n. 9709 del 18/06/2003, Rv. 564383; in precedenza Sez. U, n. 8545 del 03/08/1993, Rv. 483387, aveva affermato che < 4.16.In conclusione: a) la condanna generica al risarcimento del danno non esige un accertamento sull’effettiva idoneità lesiva del fatto-reato; b) la condanna al pagamento di una provvisionale presuppone sempre l’accertamento dell’offesa risarcibile, ancorché non immediatamente liquidabile nella sua interezza. Per questo la condanna al pagamento della provvisionale è inevitabilmente destinata a far stato nel processo civile.
4.17. Tale conclusione è ulteriormente avvalorata dalle considerazioni che seguono.
4.18. Da tempo le sezioni civili di questa Suprema Corte sono impegnate ad affermare il principio secondo il quale il “danno conseguenza” risarcibile (da non confondere con il “danno evento” che si identifica con la lesione del bene tutelato) non può mai essere ritenuto “in re ipsa”, ma deve essere oggetto di prova, anche mediante il ricorso, se necessario, alle presunzioni (cfr., sul punto, Sez. Un. Civ., n. 26972 del 11/11/2008, secondo le quali ).
4.19. A tale principio non si sottrae il danno da reato (Cass. civ., Sez. 3, n. 8421 del 12/04/2011, Rv. 617669).
4.20.Il danno, patrimoniale e non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell’art. 185, comma 2, cod. pen., costituisce conseguenza del reato e non si identifica con esso; il chiaro tenore letterale della norma (sovrapponibile, sul punto, a quello dell’art. 2043, cod. civ.) non lascia adito a dubbi di sorta.
4.21. Coerentemente, la condanna al risarcimento del danno non costituisce ineluttabile conseguenza della condanna penale; l’art. 538, comma 1, cod. proc. pen., impone al giudice di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, ma nel secondo comma la condanna al risarcimento del danno è prevista come un’eventualità ().
4.22. Ne consegue che il giudice penale, anche quando condanna genericamente l’imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, deve quantomeno accertare la sussistenza di un fatto potenzialmente produttivo di danno risarcibile da reato (cd. “danno-conseguenza”), anche se tale accertamento non vincola il giudice civile che ben può escluderlo in concreto.
4.23. Ma la condanna generica al risarcimento del danno non esclude, come detto, che il giudice penale affermi anche la positiva sussistenza del cd. “danno conseguenza” (tuttavia non liquidabile solo per mancanza di prova in ordine al “quantum”). In tal caso egli non può identificare il danno risarcibile con il reato stesso (cd. “danno-evento”), né, conseguentemente, può motivare le ragioni della condanna al risarcimento con affermazioni sostanzialmente apodittiche, se non proprio tautologiche, che di fatto depongono per la sussistenza “in re ipsa” del danno conseguenza.
4.24. A maggior ragione, la condanna al pagamento della provvisionale comporta l’accertamento positivo dell’effettiva esistenza di un danno conseguenza e delle prove che ne consentono il parziale soddisfacimento.
4.25. Tale accertamento, come detto, fa stato nel processo civile perché impedisce al giudice di escludere il danno risarcibile, limitando la sua cognizione alla sua sola quantificazione.
4.26. Ne consegue che deve essere abbandonato l’indirizzo secondo il quale la condanna al pagamento di una provvisionale non può nemmeno essere oggetto di impugnazione da parte dell’imputato.
4.27. Va invece affermato il principio secondo il quale .
4.28. Naturalmente, ove il giudice rigetti la domanda di condanna al pagamento della provvisionale chiesta dalla parte civile, quest’ultima ha il diritto di impugnare il relativo capo della sentenza.
4.29. Ben diverso è il caso in cui la parte civile non abbia chiesto in primo grado la condanna dell’imputato al pagamento di una provvisionale (ma di ciò si parlerà più avanti).
4.30. Tanto premesso, il Collegio non considera necessario sottoporre alle Sezioni Unite la questione circa la possibilità per la Corte di appello di condannare per la prima volta l’imputato al pagamento di una provvisionale perché ritiene che il divieto di “reformatio in pejus” non si estende alle statuizioni civili della sentenza, trattandosi di norma che ponendo un limite alla pretesa punitiva dello Stato non si applica all’istanza risarcitoria oggetto dell’azione civile (nel senso della inapplicabilità dell’art. 597, cod. proc. pen., oltre le sentenze già citate, anche Sez. 4, n. 3171 del 11/01/1990, Roncalli, Rv. 183572; Sez. 4, n. 10214 del 12/04/1984, Guarracino, Rv. 166752; Sez. 6, n. 10461 del 28/03/1979, Calanca, Rv. 143592).
4.31. La Corte Costituzionale ha affermato con chiarezza che (Sentenza n. 40 del 21 febbraio 1974; si veda anche la sentenza n. 353 del 27 luglio 1994, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 600, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il giudice d’appello può disporre la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale “quando possa derivarne grave e irreparabile danno”, anziché “quando ricorrono gravi motivi”).
4.32. La costituzione di parte civile comporta che l’esercizio dell’azione civile sia trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale ma “petitum” e “causa petendi” sono impermeabili alle regole che limitano esclusivamente la pretesa punitiva dello Stato.
4.33. La norma di riferimento non può perciò essere l’art. 597, cod. proc. pen., ispirato a tutt’altre finalità; la questione va risolta nell’ambito delle norme che disciplinano la cognizione del giudice dell’appello e, più in generale, impongono al giudice civile di decidere in conformità e non oltre la domanda (cfr. sul punto Sez. 1, n. 50709 del 30/10/2014, Birri, Rv. 261757, con richiamo a precedenti conformi; cfr anche la citata sentenza n. 40 del 21 febbraio 1974 della Corte Costituzionale).
4.34.Sicché ove il giudice di primo grado abbia negato l’esistenza stessa di un danno risarcibile (cd. “danno conseguenza”) o respinto la richiesta di provvisionale per mancanza dei presupposti previsti dall’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., la Corte di appello non può condannare l’imputato/convenuto al risarcimento del danno (nemmeno in via generica), né assegnare alla parte civile/attore una provvisionale se la questione non è stata specificamente devoluta con i motivi di impugnazione (in senso parzialmente conforme, Sez. 1, n. 14583 del 04/11/1999, Crepaldi, Rv. 216128, che tuttavia afferma che la provvisionale possa essere concessa anche in assenza della domanda di parte  civile; Sez. 4, n. 35584 del 07/05/2003, Barilla, Rv. 225987; in senso contrario a quanto si sostiene nel testo, ma facendo leva esclusivamente sull’art. 597, cod. proc. pen., Sez. 1, n. 10212 del 25/09/1992, Busacca, Rv. 192294; Sez. 5, n. 7967 del 08/05/1998, Calamita, Rv. 211540).
4.35. Nel caso di specie, invece, il Tribunale aveva genericamente condannato gli imputati al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, ma non ha mai espressamente negato un danno provvisoriamente liquidabile, né – si badi – lo negano i ricorrenti che, come visto, non contestano l’esistenza del pregiudizio (provvisoriamente) risarcibile, né la quantificazione (anch’essa provvisoria) del danno.
4.36. La peculiarità della vicenda sta nel fatto che il giudice di primo grado non era stato investito della domanda di condanna al pagamento di una provvisionale, sicché va verificato se in questi casi possa provvedere direttamente il giudice dell’appello che ne sia investito per la prima volta in assoluto.
4.37.In termini generali non si vede cosa impedisca alla parte civile che si giovi di una condanna generica al risarcimento del danno emessa in primo grado di chiedere per la prima volta in appello la condanna ad una provvisionale.
4.38.Non vi osta certamente l’art. 598, cod. proc. pen., che estende al grado di appello le disposizioni del giudizio di primo grado, né l’art. 600, cod. proc. pen., che presuppone una domanda espressa della parte civile negletta o disattesa.
4.39.Il quesito si risolve facendo ricorso alle omologhe regole che disciplinano l’azione civile nel processo civile.
4.40. E’ opportuno, a tal fine, richiamare la già citata sentenza della n. 353 del 1994 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 600, comma 3, cod. proc. pen.
4.41. Ha ricordato la Corte che .
4.42. La ragioni che militano a favore del principio per il quale l’imputato può giovarsi, nel processo penale, delle stesse regole che, in sede processuale civile, gli consentono di sospendere l’immediata efficacia esecutiva della sentenza di condanna, consentono di affermare che anche la parte civile può giovarsi delle medesime regole che disciplinano la sua pretesa nel processo civile il cui esercizio non sia condizionato o limitato nel processo penale da superiori istanze di interesse pubblico.
4.43.Sicché, poiché prima che il legislatore attribuisse alle sentenze di condanna in sede civile efficacia provvisoriamente esecutiva, questa Corte di cassazione aveva affermato che la richiesta di una provvisionale non costituiva domanda nuova, in quanto rientra nell’ambito dell’originaria domanda di condanna (Cass. civ., Sez. 3, n. 1798 del 06/01/1970, Rv. 347770), sarebbe irragionevole affermare il contrario in sede penale sol perché l’azione civile è stata esercitata con la costituzione di parte civile.
4.44.Si può dunque ragionevolmente affermare che la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale effettuata per la prima volta in appello non costituisce domanda nuova e che su di essa la Corte territoriale può e deve pronunciarsi negli stessi termini e con le stesse regole di giudizio stabiliti dall’art. 539, comma 2, cod. proc. pen..
4.45.In conclusione, può essere affermato il seguente principio di diritto: «in caso di condanna generica al risarcimento del danno, la parte civile può investire per la prima volta il giudice dell’appello della richiesta di una provvisionale mai precedentemente proposta. Sulla domanda il Giudice dell’appello ha il dovere di esprimersi utilizzando gli stessi criteri di giudizio previsti per il giudice di primo grado>>.
4.46. Nel caso di specie, come visto, i ricorrenti non contestano l’an ed il quantum della condanna al pagamento della provvisionale.
4.47. La loro eccezione si limita solo a invocare erroneamente l’applicabilità dell’art. 597, cod. proc. pen..
4.48. Ne consegue che i ricorsi devono essere respinti con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 07/05/2015

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