Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 3, 28 gennaio 2008, n. 4063

Inadeguatezza di formazione e valutazione rischi.

Responsabilità del datore di lavoro in ordine a due violazioni:
a) omissione di adeguata valutazione dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro e mancata collaborazione con il medico competente e con il responsabile dei lavoratori per la sicurezza nella redazione del relativo documento;
b)mancata predisposizione di idonea attività formativa per i lavoratori.
Sussiste.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido – Presidente –
Dott. TARDINO Vincenzo – Consigliere –
Dott. SQUASSONI Claudia – Consigliere –
Dott. FRANCO Amedeo – est. Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
F.G., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 26 maggio 2006 dal giudice del tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salò;
udita nella pubblica udienza del 4 ottobre 2007 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BAGLIONE Tindari, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

F.G. venne rinviata a giudizio per rispondere:
a) del reato di cui all’art. 4, comma 2, in relazione al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 89, comma 1, per avere, quale titolare di un laboratorio di confezioni, omesso di effettuare una idonea valutazione dei rischi reali e specifici presenti nell’ambiente di lavoro e legati alla particolare situazione lavorativa; omesso di adottare una collaborazione fattiva con il medico competente ed il responsabile dei lavoratori per la sicurezza per la redazione del documento; per la mancanza di misure di prevenzione da adottare e di un programma temporale di realizzazione;
b) del reato di cui all’art. 22, comma 1, in relazione al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 89, comma 1, lett. a), per non avere progettato ed attuato una adeguata attività formativa per tutti i lavoratori, contenente gli obiettivi specifici, la definizione di moduli didattici, gli strumenti per la verifica di apprendimento.
Il giudice del tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salò, con la sentenza in epigrafe, ritenne che la documentazione inviata dalla ditta a seguito delle prescrizioni di regolarizzazione era inappagante; che i reati sono punibili anche a titolo di colpa; che non potevano avere valenza liberatoria adempimenti posti in essere solo dopo otto-nove anni dalla introduzione nel 1994 del precetto legislativo, specie perchè questi tardivi adempimenti erano insufficienti rispetto al portato normativo.
Dichiarò pertanto l’imputata colpevole dei reati ascrittile e la condannò alla pena di Euro 1300,00 di ammenda.
L’imputata propone ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione degli artt. 4, comma 2, e 22, comma 1, in relazione al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 89; erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p.; contraddittorietà della motivazione sia interna che con le risultanze processuali, con particolare riferimento alla deposizione del teste Fo..
Osserva che il teste Fo., l’unico dell’accusa, ha dichiarato di confermare gli atti a sua firma ma, trattandosi di accertamento di polizia giudiziaria, tali atti non avevano accesso al fascicolo processuale e non erano passibili di conferma.
In ogni modo il teste è caduto in evidenti contraddizioni.
Fra l’altro ha ammesso che il documento di cui alla L. n. 626 era stato redatto nel 1996, ma non era stato aggiornato di anno in anno.
Eccepisce quindi la ricorrente che un mancato aggiornamento annuale del documento di valutazione dei rischi è fattispecie diversa rispetto alla mancanza del documento stesso, contestata con il capo di imputazione e ritenuta in sentenza.br /> Anche per quanto riguarda il capo B), il teste ha solo evidenziato una “insufficiente” attività di formazione dei dipendenti e non la contestata mancanza attuazione di alcuna attività formativa.
Vi è quindi una sostanziale mancanza di identità non solo tra il contestato e il ritenuto ma anche tra il contestato e quanto emerso dagli elementi probatori.
Osserva poi che il Fo. ha dichiarato di essersi recato presso la ditta il 29.5.2002 ed il 3.6.2002 ed ha escluso di esservi ritornato in data successiva.
Non si vede quindi quale sia il fondamento della contestazione della permanenza fino al 15.1.2003.
Poichè il giudice ha ritenuto l’imputata colpevole dei reati a lei ascritti, senza porre alcun diverso limite cronologico a quanto risultante dal capo di imputazione, ne deriva un ulteriore vizio di legittimità.
Del resto, il giudice, ai fini della prescrizione, ha preso in esame sia la data del 15.1.2003 sia quella del 3.6.2002, dimostrando così di essersi reso conto che la data di commissione del reato era assai dubbia, sicchè vi sarebbe stato uno specifico onere motivazionale di precisare in quale data (e perchè) la permanenza sarebbe cessata.

Diritto

La doglianza relativa alla inammissibilità delle risultanze del verbale di accertamento e di prescrizione è infondata perchè tali risultanze sono state riferite e confermate dal teste Fo., le cui dichiarazioni sono state regolarmente assunte in dibattimento e sono pienamente utilizzabili.
D’altra parte, sia il verbale di prescrizioni del 5 giugno 2002 sia la nota della Asl del 15 gennaio 2003 sono state regolarmente acquisite perchè diretti a provare la sussistenza o meno della causa di estinzione del reato.
La doglianza relativa alla mancata corrispondenza tra contestazione e fatto accertato in sentenza è anch’essa infondata.
Con il capo di imputazione sub a), infatti, è stato contestato all’imputata di “non avere effettuato una idonea valutazione dei rischi presenti nell’ambiente lavorativo”, il che comprendeva non solo l’ipotesi in cui il documento di valutazione non fosse stato redatto, ma anche quelle in cui non fosse stato aggiornato o non fosse comunque adeguato.
Analogamente, con il capo b) era stato contestata non solo la mancanza di attuazione e progettazione di attività formativa, ma anche di non aver assicurato “adeguata attività formativa”, il che comprendeva pure le ipotesi di attività formativa insufficiente ed inadeguata.
Il giudice del merito, poi, ha ritenuto sussistente il reato di cui al capo a) appunto perchè il documento di valutazione dei rischi (pur essendo stato redatto) non era sufficiente ed adeguato, in quanto non individuava gli specifici pericoli cui i lavoratori erano sottoposti in relazione alle diverse mansioni svolte e non specificava quali misure di prevenzione dovevano essere adottate.
Analogamente, il reato di cui al capo b) è stato ritenuto sussistente perchè è stata accertata una insufficiente attività formativa, per la mancanza di una attività di istruzione e informazione inerente ai rischi cui i lavoratori erano esposti, circostanza questa del resto nemmeno contestata nella sua oggettività.
Non è quindi ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, anche perchè non si è verificata alcuna violazione o limitazione del diritto di difesa, avendo l’imputata avuto ampia possibilità di difendersi in ordine al fatto accertato.
Il terzo motivo, infine, si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque infondato perchè – trattandosi di reato permanente – esattamente il giudice a quo ha fissato la data di consumazione “quanto meno” alla data del 15 gennaio 2003, ossia alla data nella quale è stata accertata la inadempienza alle prescrizioni imposte dalla Asl.
Del resto, l’imputata non ha provato di aver posto fine alla permanenza adempiendo alle dette prescrizioni.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto delle sospensioni per il rinvio del processo dal 29.10.2004 al 4.3.2005, nonchè di quello dal 5.7.2007 alla odierna udienza, la prescrizione non si è ancora maturata.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2008

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