Cassazione Penale, Sez. 3, 30 settembre 2015, n. 39360

Inosservanza di norme igieniche in materia di pulizia dei locali e ostacoli nelle vie di circolazione: non può esistere il binomio produzione industriale = polvere costante.


 

Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO
Data Udienza: 04/02/2015

Fatto

1.1 Con sentenza del 13 giugno 2013 il Tribunale di Firenze in composizione monocratica dichiarava C.D. (imputato dei reati di cui agli artt. 64 comma 1 lett. a), b) e d) del D. Lgs. 81/08, nonché del reato di cui agli artt. 29 e 55 stesso D. Lgs. – fatti accertati l’8 giugno e il 14 luglio 2009) colpevole delle contravvenzioni ascrittegli ai capi a), b), d) ed e) e
lo condannava, concesse le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla complessiva pena di € 3.600,00 di ammenda.
1.2 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato personalmente, deducendo, con primo motivo, violazione di legge per inosservanza della legge penale (art. 64 comma 1° lett. d) del D.Lgs. 81/08) in quanto il Tribunale aveva ritenuto integrata la fattispecie di mancata pulizia dei locali di lavoro (in particolare gli accessi ai carrelli elevatori) con conseguente esposizione dei lavoratori alle polveri nonostante il tipo di lavorazione eseguito nello stabilimento industriale fosse intrinsecamente destinato alla produzione di polveri ineliminabili. Con un secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 64 comma 1° lett. a) del medesimo D. Lgs.) in quanto il Tribunale aveva ritenuto integrata la contravvenzione in relazione alla mancanza di areazione dei locali destinati alla preparazione dei pannelli, sebbene si trattasse di locali in realtà destinati solo residualmente e saltuariamente all’effettuazione di tali lavori (in realtà svolti in altro stabilimento), peraltro di ampiezza tale da escludere qualsiasi nocumento per i lavoratori addetti. Con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta analoga violazione di legge relativamente al disposto di cui all’art. 64 comma 1° lett. b) del citato D. Lgs. in quanto il Tribunale aveva ritenuto integrata la fattispecie nonostante i materiali esistenti nei locali di lavoro lungo le vie di circolazione non la impedissero od ostacolassero.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile sia perché manifestamente infondato, sia perché contenente censure in fatto non proponibili in sede di legittimità
1.1 Per una corretta soluzione delle questioni prospettate dal ricorrente occorre ricordare che allo stesso – per quanto qui rileva – sono state contestate quattro distinte contravvenzioni alla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro meglio indicate nei capi a), b), d) ed e) della rubrica. Con la prima, in particolare, viene contestato al C.D., nella sua specifica qualità di componente del consiglio delegato alla sicurezza, di avere omesso “di provvedere affinchè i luoghi di lavoro dello stabilimento di Via Omissis fossero sottoposti a regolare pulizia, onde assicurare condizioni adeguate: in particolare l’accesso dei carrelli elevatori all’interno dello stabilimento non era seguito da una regolare pulizia dei pavimenti, esponendo così i lavoratori alle polveri”. Con la seconda contravvenzione veniva contestato al C.D., nella precisata qualità, di avere omesso “di provvedere affinchè il reparto preparazione pannelli dello stabilimento di Via Omissis fosse conforme ai requisiti di cui agli artt. 63, commi 1, 2 e 3 dell’allegato II, punto 1.9.1.1. in quanto risultava privo di aria salubre ottenuta con aperture naturali”. Con la terza contravvenzione veniva contestato al C.D., nella predetta qualità, di avere omesso “di provvedere affinchè i luoghi di lavoro dello stabilimento di Omissis fossero sottoposti a regolare pulizia, onde assicurare condizioni adeguate, in particolare esponendo i lavoratori alle polveri”. Infine con la quarta contravvenzione veniva contestato al C.D., nella predetta qualità, di avere omesso “di provvedere affinchè le vie di circolazione interne dello stabilimento di Omissis, in prossimità delle linee di levigatura del materiale cotto, denominate impianto BRETON, fossero sgombre di materiali al fine di consentirne l’utilizzazione, in conformità ai requisiti di cui all’allegato II, punto 1.4.10”.
2. Tanto premesso, osserva il Collegio, in via generale, che la motivazione resa dal Tribunale a giustificazione della sussistenza dei reati contestati al C.D. non solo è congrua sotto il profilo logico (aspetto che il ricorrente non censura in modo esplicito) ma è, soprattutto, corretta e coerente con il dato normativo che è stato esattamente interpretato.
2.1 Va rilevato – sempre in via generale – che le norme dettate dal D. Lgs. 81/08 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (in particolare l’osservanza di norme in materie di igiene) impongono al datore di lavoro e ai soggetti da questi delegati in forma espressa, un preciso dovere di diligenza nella vigilanza di quei luoghi e nell’osservanza circa l’applicazione delle normative di settore.
3. In particolare, con riferimento alle condotte contestate ai capi A) e D) (condotte riguardanti l’osservanza di norme igieniche in materia di pulizia dei locali relativamente ai due stabilimenti oggetto di separati accertamenti), il Tribunale ha, non solo rilevato la sussistenza dei reati – pur tenendo conto della peculiare natura delle attività svolte all’interno dei due stabilimenti produttive, di per sé, di polveri derivanti dalla lavorazione dell’argilla e del cotto – in relazione alle notizie riferite dal teste che si era recato sui luoghi per un controllo, ma ha anche evidenziato come dai precedenti controlli effettuati dai funzionari dell’ispettorato del lavoro era risultata nei mesi trascorsi la mancanza di pulizia dei locali, segnalandosi la presenza di polveri diffuse non solo nei locali ma anche nelle attrezzature di lavoro quotidianamente utilizzate dai lavoratori che vi risultavano perennemente esposti, senza la predisposizione di alcuna cautela. Ricorda il Tribunale che le prescrizioni dettate in quelle circostanze temporali dai funzionari ispettivi erano cadute nel vuoto (tanto che nel corso dei controlli successivi la situazione era rimasta invariata, come asserito dal teste verbalizzante) e ricorda anche che, nonostante da parte del titolare dell’azienda fosse stato stipulato un contratto con una ditta di pulizie per i due stabilimenti, nulla era stato fatto per la soluzione dei problemi, peraltro accentuati dalla particolare natura delle attività intrinsecamente destinate alla produzione di polveri sottili.
3.1 La tesi difensiva, che fa riferimento a quanto detto dal teste della difesa circa l’inevitabilità della presenza di polveri in relazione alla natura dell’attività industriale, non ha alcun pregio non soltanto perché l’omessa predisposizione di cautele ed accorgimenti atti, quanto meno, a limitare la presenza delle polveri, integra di per sé la contravvenzione sul plano della colpa per negligenza, ma soprattutto perché era proprio la particolare natura dell’attività industriale a dover imporre al C.D., quale addetto alla sicurezza, una gestione particolarmente attenta e scrupolosa che secondo l’insindacabile giudizio del Tribunale è mancato del tutto: la prova del reato sta proprio nella sostanziale inerzia di iniziative atte a scongiurare il pericolo, laddove l’effettuazione delle pulizie di pavimenti e macchinari in uso quotidiano ai lavoratori addetti avrebbe certamente scongiurato il pericolo.
3.2 Né può avere ingresso una tesi basata sul binomio produzione industriale = polvere costante, per giungere alla conclusione della inevitabilità di una situazione igienicamente non ottimale, in quanto l’esigenza di sicurezza (nel caso in esame di pulizia) è direttamente proporzionale alla intensa produzione di polvere: circostanza che avrebbe dovuto indurre – come afferma sostanzialmente il Tribunale – ad una cautela ancora più intensa del normale.
3.3 In questo senso le censure sollevate dal ricorrente risultano anche contenere rilievi in fatto in vista di una alternativa ricostruzione della vicenda rispetto a quella operata dal Tribunale che non può essere effettuata da questa Corte Suprema.
4. Osservazioni diverse, seppur identiche sotto il profilo della corretta osservanza delle disposizioni di legge da parte del Tribunale, vanno fatte con riguardo alla contravvenzione di cui al capo b) che imponeva al C.D. la predisposizione di un idoneo impianto di areazione nei locali dello stabilimento di Omissis: la tesi difensiva – peraltro riproposta in sede di legittimità – fa leva sul fatto che i locali di quello stabilimento, a differenza di quelli siti nella sede di Omissis, non fossero destinati alla produzione industriale ma solo a magazzino (o deposito) con conseguente accesso saltuario.
4.1 Si tratta di tesi disattesa dal Tribunale che ha, invece, sottolineato come anche nei locali interni al capannone di Omissis si svolgesse una attività produttiva, sia pure meno intensa rispetto all’omologa attività svolta in altro plesso, con la conseguenza che la documentata inesistenza di aperture naturali rendeva il luogo insalubre in quanto del tutto privo di areazione nonostante i lavoratori vi accedessero sia pur non continuativamente: regola generale è quella secondo la quale qualsiasi locale adoperato dal lavoratore per lo svolgimento dell’attività, anche se in modo non abituale, presenti standards di salubrità minimali nella specie non presenti. Del resto è appena il caso di rilevare che se davvero – come sostenuto dal teste R. – quel locale non fosse stato destinato alla produzione ma al deposito di materiale, sarebbe stato bastevole interdire l’accesso ai lavoratori per l’espletamento di attività mediante appositi cartelli (circostanza non risultante dagli atti secondo quanto è dato evincere dalla sentenza impugnata). Ed in ogni caso le censure del ricorrente, ancora una volta, si incentrano su rilievi in fatto (la non destinazione dei locali ad attività lavorative) incensurabili in questa sede oltre che smentite dalle opposte considerazioni del Tribunale.
5. Rimane, quale ultima questione, quella riguardante la presenza di ostacoli lungo le vie di circolazione dei lavoratori all’interno dello stabilimento sito nella Omissis in prossimità del reparto levigatura. Anche in questo caso le censure, oltre che manifestamente infondate, alla luce della diversa valutazione operata dal Tribunale (che ha basato il proprio convincimento su documenti fotografici attestanti la presenza di materiali di varia natura disposti a casaccio lungo il percorso), contengono rilievi in fatto, oltre a risultare errate in diritto. Sostiene il ricorrente che le norme violate (art. 64 lett. b) del D. Lgs. 81/08 che impone che “le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono ad uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza” e punto 1.4.10 dell’AII. II in base al quale “i pavimenti ed i passaggi non devono essere ingombrati da materiali che ostacolano la normale circolazione”) congiuntamente interpretate non vanno intese nel loro significato assoluto (nel senso di una totale assenza di materiali ingombranti lungo le vie di circolazione) ma in senso relativo in modo da garantire una normale circolazione.
5.1 Evidente la capziosità di tale ragionamento, in quanto lo scopo della norma non è tanto quello di assicurare una circolazione in una situazione di normalità, ma una normalità di circolazione in una situazione di eccezionalità o di pericolo, in modo che eventuali vie di fuga in caso di emergenza siano percorribili agevolmente. Ne deriva che la presenza di ostacoli lungo il percorso, anche se collocati in modo tale da consentire passaggi a piedi, laddove posizionati in modo tale da rendere disagevole la circolazione integrano la fattispecie, come esattamente ritenuto dal Tribunale.
6. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma – ritenuta congrua – di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2015

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