Attività di ristorazione e D.lgs. 81/08: formazione e valutazione rischio incendio.
Fatto
1. Con sentenza 29.4.2014 il Tribunale di Milano ha condannato B.P. alla pena di €. 2.000 di ammenda ritenendolo responsabile di una serie di contravvenzioni al D. Lvo n. 81/2008 per avere, quale legale rappresentante della “R. 90 srl”:
– omesso di assicurare ai lavoratori adeguate informazioni in merito alle procedure di emergenza (art. 36 comma 1 in relazione all’art. 18 comma 1 lett. I e 55 comma 5 lett. c D. Lgs. n. 81/2008, contestato al capo A);
– omesso di provvedere affinchè i lavoratori incaricati alle attività di emergenza antincendio ricevessero una formazione all’uopo adeguata (art. 37 comma 9 in relazione all’art. 18 comma 1 lett. I e 55 comma 5 lett. c D. Lgs. n. 81/2008, contestato al capo B);
– omesso di aggiornare/elaborare il documento di valutazione del rischio incendio e/o esplosione (art. 17 comma 1 lett. a e 55 comma 4 D. lgs n. 81/2008, contestato al capo C).
Il Tribunale ha motivato la decisione sulla base del verbale redatto dai Vigili del Fuoco in occasione del sopralluogo eseguito nel Pub gestito dalla società, disattendendo le dichiarazioni del teste della difesa e dando atto comunque della successiva eliminazione, da parte dell’imputato, delle conseguenze dei reati contestati.
2 Il difensore ha proposto ricorso per cassazione denunziando, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cpp, la violazione di legge processuale nonché il difetto e la contraddittorietà della motivazione rispetto alle prove assunte in dibattimento in relazione all’art. 192 cpp.
Con riferimento ai reati di cui ai capi A) e B), rimprovera innanzitutto al Tribunale di avere svilito la deposizione del teste F. sull’avvenuto svolgimento, nell’anno 2010, del corso di formazione e informazione dei dipendenti ed evidenzia alcuni riferimenti contenuti nella deposizione che ne comprovavano l’attendibilità.
In relazione al reato di cui al capo C), richiamando la procedura semplificata contenuta nel “decreto del fare” in G.U. 23.8.2013, rileva che nei ristoranti (quale è quello oggetto dell’ispezione) il rischio incendi è basso ed osserva comunque che l’art. 55 del D. Lgs n. 81/2008 richiamato dall’art. 17 comma 1 lett. a) fa riferimento agli “infortuni sul lavoro” sicché deve ritenersi fuori luogo il riferimento “all’afflusso di pubblico” di cui parla la sentenza: secondo la tesi del ricorrente, la normativa in questione fa riferimento proprio agli infortuni sul lavoro, per cui va parametrata al rischio connesso al lavoro e non al fatto che vi sia o meno il pubblico nell’esercizio commerciale. Da ciò consegue l’applicazione della semplificazione normativa successivamente intervenuta, in quanto più favorevole, e pertanto – conclude il ricorrente – la prova testimoniale assunta doveva considerarsi perfettamente aderente al cd. modello semplificato introdotto dal “decreto del fare”.
Si duole infine della mancata considerazione della documentazione prodotta (deliberazione della Prefettura in data 1.12.2011 e verbale di sopralluogo ARPA del 9.3.2011, autorizzazione del 2007 e segnalazione certificata di inizio attività indirizzata ai VVFF in data 12.3.2013 da cui risultava l’approvazione dei progetti sin dal 12.1.2012, quindi pochissimi giorni dopo la contestazione, per cui non si comprende come il locale potesse non essere a norma il 12.11.2011 ed esserlo invece il 19.1.2012. Rileva infine di essere in possesso di documentazione attestante la regolare attività di controllo dei presidi antincendio da parte della società specializzata.
Diritto
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Le censure sul vizio di motivazione rendono opportuno ricordare che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (principio assolutamente consolidato: tra le varie, v. cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato, quanto alle violazioni sub A) e B) che l’imputato, nella veste di legale rappresentante della società che gestiva il Pub aveva omesso di effettuare la prescritta attività di formazione/informazione dei lavoratori dipendenti riguardo alle procedure di emergenza, né che avesse effettuato tali attività nei riguardi dei lavoratori incaricati delle attività di emergenza antincendio, con ciò integrando le contravvenzioni di cui agli artt. 36 e 37 D. Lvo n. 81/2008. Ha rilevato che successivamente le prescrizioni impartite risultavano adempiute. Da tali elementi, ha desunto la sussistenza delle relative violazioni. Il giudice si è fatto altresì carico della documentazione prodotta dall’imputato (un attestato, peraltro privo della firma dei partecipanti, di un corso tenutosi il 21.3.2012, quindi in epoca successiva all’accertamento), osservando che comunque si riferiva all’ottemperanza delle prescrizioni e che nulla si diceva in ordine allo svolgimento di corsi nel periodo anteriore all’accertamento. Ha poi valutato le dichiarazioni del teste F. ritenendo le affermazioni circa precedenti corsi vaghe e non documentate (v. pag. 2).
Un tale percorso argomentativo, fondato su un tipico accertamento in fatto (le risultanze dell’ispezione effettuata dai Vigili del Fuoco), si rivela completo, privo di vizi logici e corretto in diritto perché l’art. 36 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) prevede appunto l’informazione ai lavoratori “sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro”, mentre l’art. 37 comma 9 prevede che “i lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico”.
La decisione si sottrae pertanto alle censure del ricorrente, che tendono invece ad una ricostruzione alternativa del materiale probatorio attraverso la rivalutazione della deposizione del teste (criticamente valutata dal giudice di merito), attività che il giudizio di cassazione, come si è visto, non consente.
Venendo alla contestazione sub C, le considerazioni sull’interpretazione della normativa riguardante la tenuta del documento di valutazione del rischio incendio sono anch’esse manifestamente infondate.
E’ stato già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, previsto dall’art. 28 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, è applicabile a tutte le tipologie di rischio e a tutti i settori pubblici o privati, ivi comprese le attività di ristorazione (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 33567 del 04/07/2012 Ud. dep. 31/08/2012 Rv. 253171). Il Collegio ritiene di dare senz’altro continuità a tale principio, che trova il suo fondamento nell’ampia formulazione dell’art. 3 del D. Lvo n. 81/2008, secondo cui, appunto, “il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”.
Da ciò discende l’obbligo del prescritto documento anche per l’attività di Pub con “attività accessoria di piccoli intrattenimenti”, esercitata dalla srl R. 90.
La tesi sostenuta dal ricorrente (v. pagg. 2 e 3 ricorso) fa leva su una interpretazione meramente formalistica del concetto di “infortunio”, limitandolo al solo prestatore di lavoro ed escludendo del tutto irragionevolmente i soggetti che comunque frequentano i luoghi, in tal modo non considerando che lo scopo perseguito dalla norma è più in generale la tutela dal rischio “incendi”, a cui non si sottraggono certamente i locali ove si prevede l’afflusso di pubblico connessa alla ristorazione e all’intrattenimento.
Nel caso in esame, essendo stata accertata – sulla scorta dei rilievi dei Vigili del Fuoco in sede di ispezione – l’inadeguatezza del documento rispetto al modo di fronteggiare i rischi di incendio e di esplosione (tipico accertamento in fatto), appare corretta in diritto anche la conclusione a cui è pervenuto il Tribunale, il quale ha precisato altresì, sempre sulla base di tipico accertamento in fatto, che, trattandosi di attività con accesso e permanenza di pubblico, il rischio infortunistico collegato all’evenienza incendi non poteva essere classificato come “basso”, per cui si rendeva necessaria la previsione di vie di fuga agevoli in caso di uscita rapida per il pubblico.
Corretta è quindi anche l’esclusione dell’applicabilità della procedura semplificata prevista dal “decreto del fare”, che, come ricorda lo stesso ricorrente (v. pag. 2 ricorso) “attiene ai settori professionali che presentano minore fattore di rischio infortuni”. L’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 prevede il modello semplificato per le attività “a basso rischio” di infortuni.
Infine, quanto alla censura sull’omesso esame della documentazione prodotta, va osservato che l’accertamento delle violazioni è del 12.11.2011 mentre la Deliberazione della Prefettura del 1.12.2011 e l’approvazione dei progetti da parte del Comando VVFF reca la data del 19.1.2012. Si tratta dunque di documenti successivi all’accertamento della violazione e pertanto la sentenza non merita censura neanche sotto tale profilo.
La critica del ricorrente, in conclusione, tendente ad una diversa valutazione di risultanze processuali e ad una applicazione di normative che non riguardano il caso specifico, ancora una volta non coglie nel segno.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14.4.2014.