Cassazione Penale, Sez. 4, 01 luglio 2016, n. 27056

La delega di gestione (specie se “di fatto”), in proposito conferita ad uno o più dipendenti può solo ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita datore di lavoro, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento, soprattutto nel caso di mancato esercizio della delega (sez. 4, del 11/12/2007, n. 6280). Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del delegante permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO
Data Udienza: 21/04/2016

Fatto

1. Con sentenza n. 1498 del 29/10/2014, la Corte di Appello di Trieste, in riforma della sentenza del Tribunale di Trieste del 21 marzo 2012, appellata dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste, nei confronti di P.M., dichiarava l’imputato colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art.62, n.6, c.p. in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti, lo condannava alla pena di mesi uno di reclusione sostituito con euro 7.500,00 di multa, in relazione al delitto di cui all’art.590 c.p..
1.1. Il Giudice dell’appello riteneva, in sintesi, pienamente provata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di cui all’art. 590 c.p. contestato al P.M, perché, in qualità di datore di lavoro di L.A. quale legale rappresentante della “R.T. spa” di cui il predetto era dipendente dal giorno precedente, cagionava al predetto lesioni personali gravi – malattia della durata superiore ai 40 giorni; in particolare, per negligenza, impudenza, imperizia e con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 23 e 71 D.Lgs. 81/08), ometteva di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative ed ai requisiti di cui all’art. 70 D.Lgs. 81/08 e fabbricava attrezzature da lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare metteva a disposizione una macchina avvolgitrice di racchette in cui l’elemento mobile era privo di protezione o di sistema protettivo atto ad impedire l’accesso alle zone pericolose o di arresto del movimento per impedire contatti accidentali con gli organi in moto e il supporto metallico dell’avvolgitore di racchette elettrico non era reso stabile mediante fissazione o con altri mezzi idonei, con la conseguenza che, mentre la vittima operava alla predetta macchina per la prima volta da solo, il guanto della mano destra si impigliava sul filo che stava avvolgendo e intrappolava la mano tra le spire ed il rocchetto, con conseguente frattura scomposta del polso della mano destra. Con l’aggravante della lesione grave con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2. Avverso tale sentenza d’appello, propone ricorso per cassazione P.M., a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.) violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 16 e 299, nonché vizio di motivazione. Deduce che la Corte d’Appello di Trieste ha trascurato il rilevante significato sistematico delle disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, nella parte in cui disciplinano, all’articolo 16, l’istituto della delega di funzioni e, all’art. 299, l’esercizio di fatto dei poteri direttivi.

Diritto

3. I ricorso è infondato e se ne impone il rigetto.
4. Giova rammentare che, nell’ipotesi di assoluzione in primo grado e condanna in secondo grado, ai giudici del secondo grado, è imposto un obbligo di motivazione c.d. rafforzata per giustificare il differente apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo giudizio. Ciò anche in considerazione del fatto che l’imputato -che, poiché assolto, non ha presentato appello- non ha più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito dell’impugnazione della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma l, lettera e), c.p.p. (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674; sez. 6, n. 22526 del 10/03/2015).
4.1. Nel caso che occupa il giudice di appello, ribaltando la decisione assolutoria emessa in primo grado, in accoglimento dell’appello Pubblico Ministero, ha ritenuto la sussistenza del reato contestato. A sostegno di detta valutazione, la Corte ha richiamato il medesimo compendio probatorio esaminato dal primo giudice, procedendo ad analitica disamina delle risultanze istruttorie nonché delle specifiche situazioni costituenti oggetto delle deposizioni. L’operazione di riesame, gravante sul giudice dell’appello, nel caso in scrutinio, è stata, invero, effettuata in maniera incisiva sia sull’intero materiale probatorio vagliato dal primo giudice sia su quello sfuggito alla valutazione del medesimo, conferendo, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una diversa struttura della motivazione che ha dato ragione delle difformi conclusioni assunte (ex plurimis, Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327).
4.2. Proprio all’esito di una puntuale disamina di fatti e situazioni specifiche, infatti, la corte del merito è giunta al proprio convincimento ritenendo che la stessa ricostruzione dell’infortunio come effettuata dal primo giudice, era contrastata dai dati desumibili dal compendio probatorio.
4.3. In luogo della motivazione, quanto meno lacunosa e perplessa, della sentenza di primo grado, il giudice dell’appello ha congruamente valorizzato la testimonianza dell’ispettore dell’Asl territorialmente competente, C.S., il quale evidenziava che “il macchinario era sprovvisto di schermi protettivi antintrappolamento (cuffia di protezione) atti ad impedire contatti accidentali del corpo del lavoratore con gli organi in movimento del macchinario stesso” aggiungendo che “il macchinario, sprovvisto di idonea difesa a protezione degli elementi mobili, era un macchinario artigianale assemblato dalla stessa società R.T. senza tenere conto delle disposizioni di legge e regolamento, privo di qualsivoglia attestato di conformità oltre che di un libretto d’uso”.
4.4. La critica attenta della prima sentenza ha colpito dettagliatamente tutti i punti di quella motivazione. Tra l’altro, in particolare, la corte del merito ha proceduto a ricostruire -in maniera incensurabile- la dinamica dei fatti dando il giusto valore anche alla circostanza che la presenza della cuffia di protezione, come riferito dal C,, avrebbe per certo scongiurato la verificazione dell’evento lesivo finalizzata com’era ad evitare contatti corporei con gli organi mobili in movimento dovuti anche ad imprudenza del lavoratore e contestando puntualmente le asserzioni del c.t. dell’Imputato (secondo cui il carter di protezione, ove fosse stato installato, avrebbe limitato la visibilità del punto di avvolgimento); dopo aver dichiarato incondivisibile tale affermazione, la Corte del merito ha argomentato -ineccepibilmente- che, se si accogliesse la tesi della difesa, fatta propria dal primo giudice, si potrebbe omettere ogni adeguata protezione della macchina se ciò limita il suo funzionamento anziché, come per legge, provvedere alla sua sostituzione con un macchinario adeguato e idoneo sotto il profilo del sistema di sicurezza per i lavoratori.
4.5. Si è, ancora, soffermata dispiegando la posizione di garanzia ricoperta dal P.M. e cogliendo la -invero singolare- circostanza per cui solo il 04/12/2009, due ore dopo circa l’infortunio al dipendente L.A., il P.M. stesso conferiva, con procura institoria notarile, a S.D. i poteri di datore di lavoro e responsabile della sicurezza nei luoghi di lavoro per l’unità produttiva di Trieste.
4.6. Né ha trascurato che la stessa Assi n.l ebbe a comunicare al P.M. che il P.M., nella sua qualità di datore di lavoro, aveva ottemperato alle prescrizioni impartite a seguito del sopralluogo svolto il 04/12/2009 (data dell’infortunio).
4.7. Giova, infine, rammentare che il legislatore ha fissato i principi rinvenibili nelle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008. Alla stregua di essi il datore di lavoro è il primo destinatario delle disposizioni antinfortunistiche. In generale, dalla sopra richiamata disciplina normativa si desume il principio, secondo il quale, il titolare di una posizione di garanzia (nella specie il ricorrente) ha il dovere di attuare tutte le misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa.
4.7.1. Se è ben vero che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è individuabile la figura del “garante di fatto” in colui che, senza alcuna preliminare investitura da parte del datore di lavoro, espleta concretamente poteri tipici (assumendo conseguentemente, in ragione del principio di effettività codificato dall’art. 299 del D.Lgs. n. 81/08, la correlata posizione di garanzia) è altrettanto certo che, nel caso di specie, ove il S.D. avesse ipoteticamente esercitato in concreto i poteri giuridici datoriali ciò non avrebbe sostituito la delega formale (rogata solo 2 ore dopo l’infortunio) ma avrebbe solo aggiunto, accanto a quella del P.M., la (eventuale) responsabilità colposa del S.D. stesso (ex multis sez. 4, n. 34299 del 06/08/2015).
4.7.2. Sul punto vale rammentare che la delega di gestione (specie se “di fatto”), in proposito conferita ad uno o più dipendenti può solo ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita datore di lavoro, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento, soprattutto nel caso di mancato esercizio della delega (sez. 4, del 11/12/2007, n. 6280). Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del delegante permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo.
4.8. Quanto alla rilevanza della eventuali condotte negligenti ovvero imprudenti riferibili al dipendente infortunato, occorre osservare che, nell’ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante è il soggetto che gestisce il rischio” e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell’ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
4.9. Nel caso che occupa l’imputato (quale amministratore delegato e legale rappresentante della società) era il gestore del rischio e l’evento si è verificato nell’alveo della sua sfera gestoria; la eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del lavoratore (ben descritta nell’imputazione) non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante (il ricorrente) era chiamato a governare (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014 Rv. 261108).
4.10. Nulla, poi, è emerso che possa lasciar presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dal ricorrente, nelle condizioni date. Il P.M., invero, amministratore delegato e legale rappresentante della società, era destinatario ex lege dei precetti antinfortunistici né all’epoca dei fatti sussisteva una efficace delega delle funzioni che attengono alla sfera di responsabilità in materia di sicurezza. L’utilizzo di un macchinario artigianale confezionato dalla medesima azienda, la preposizione institoria rogata circa due ore dopo l’infortunio, le ampie testimonianze rese in dibattimento tutte conformemente attestanti la mancanza di delega (seppur di fatto) al S.D. (che rimaneva “datore di lavoro” solo per lo stabilimento di Gardone) consentono di raggiungere la tranquillante certezza, in ordine alla responsabilità del P.M. (quale titolare della posizione di garanzia), che promana dalla completa, coerente, logica e convincente motivazione del giudice dell’appello.
5. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata (rispettosa anche dei principi fissati per la c.d. “motivazione rafforzata”), deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l’inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell’offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012). Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità.
6. S’impone, pertanto, il rigetto del ricorso cui segue, per legge, la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21/04/2016

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