Infortunio durante la pulizia del silos. Nessun comportamento abnorme se manca la formazione ed informazione specifica dei rischi insiti nell’uso della macchina.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MENICHETTI CARLA
Fatto
1. La Corte d’Appello di Sassari confermava la pronuncia di condanna nei confronti di G.A., legale rappresentante della Subersarda S.p.a., poi confluita nella Sugherificio G.A. S.p.a., per le lesioni colpose gravissime subite dal lavoratore B.G., anche relativamente ai danni, da risarcire in solido con il responsabile civile, in favore delle costituite parti civili – INAIL, persona offesa e suoi familiari – con parziale riduzione della pena inflitta in prime cure.
2. Secondo l’ipotesi accusatoria il G.A., datore di lavoro del B.G. quale legale rappresentante della detta società, aveva cagionato all’operaio lesioni personali consistite nell’amputazione della gamba destra all’altezza della coscia ed ampie ferite lacero contuse alla gamba sinistra, per colpa generica consistita in imprudenza, imperizia e negligenza nonché colpa specifica consistita nella violazione dell’obbligo di informazione, formazione e addestramento del personale dipendente sull’uso e sui rischi delle attrezzature e dei macchinari di lavoro (art.55 D.Lgs.n.81/08, in riferimento agli artt.18 e 37), e dell’obbligo di approntare idonee misure di sicurezza delle attrezzature e di macchinari di lavoro medesimi (art.87 cit.D.Lgs. in riferimento all’art.71), così che l’operaio generico B.G., mentre si trovava all’interno del silos destinato alla raccolta delle polveri di sughero provenienti dalle varie lavorazioni – polveri da convogliarsi in una caldaia a vapore a mezzo di una coclea azionata da un motore elettrico – per effettuare, secondo disposizioni a lui impartite, operazioni di manutenzione ordinaria e pulizia dei macchinari, era stato agganciato agli arti inferiori dalla coclea, attivatasi improvvisamente per l’assenza di un dispositivo di blocco ed aveva subito le dette gravissime lesioni.
3. I giudici di merito esaminavano il materiale probatorio costituito dalle testimonianze della persona offesa e dei suoi colleghi di lavoro, del responsabile-capo fabbrica A.S., dell’Isp. Spresal, delle condivise conclusioni del consulente del P.M. Ing. M., e ritenevano dimostrata la penale responsabilità dell’imputato in quanto il B.G., senza aver ricevuto alcuna formazione e informazione sulle tecniche di manutenzione e pulizia del silos e sui rischi connessi a tali incombenze, il giorno dell’incidente, su incarico di A.S., preposto di fatto ma anche lui privo della necessaria informazione, e su ordine a monte dello stesso G.A., si era portato all’Interno del silos; a causa della mancanza di un dispositivo di blocco dei macchinari in occasione dell’apertura dello sportello di accesso al silos, si era improvvisamente attivata la coclea, che aveva agganciato e stritolato gli arti inferiori del dipendente, ed era stata spenta solo quando era stato disattivato il quadro elettrico situato ad una certa distanza, non sussistendo sul posto alcun dispositivo di spegnimento. Tali manchevolezze erano addebitabili all’imputato, investito quale datore di lavoro di una specifica posizione di garanzia nei confronti del dipendente, e collegate con nesso causale alla verificazione dell’evento infortunistico, che ha rappresentato la concretizzazione del rischio prevedibile ed evitabile con l’adozione delle menzionate e doverose cautele. Tale nesso causale non poteva considerarsi interrotto, come sostenuto dalla difesa, da un comportamento abnorme del lavoratore, esorbitante rispetto alle mansioni e alle direttive ricevute, in quanto erano scarsamente credibili le dichiarazioni di altri due operai che avevano riferito che il A.S. aveva raccomandato di non entrare nel silos, circostanza di contro negata dal B.G. che non conosceva affatto i rischi del lavoro affidatogli. In ogni caso il A.S. aveva parlato solo di pericolo derivante dal possibile crollo della polvere attaccata alle pareti e non già del pericolo derivante dalla coclea. Di qui la conclusione che l’incidente era dipeso essenzialmente dalla totale violazione delle norme cautelari vigenti in materia, quali evidenziate dall’ispettore del lavoro.
4. Con distinti atti di identico contenuto hanno proposto ricorso G.A. e il Sugherificio G.A. S.p.a., a mezzo dei difensori di fiducia, per due motivi: vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità penale dell’Imputato, omissione di valutazione di circostanze decisive ai fini del giudizio, pur evidenziate nei motivi di appello e nelle memorie presentate dalla difesa; inesistenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla efficacia causale della grave imprudenza del lavoratore infortunato conseguente alla inosservanza del divieto impostogli dal preposto. La Corte territoriale aveva affidato la ricostruzione degli avvenimenti e il conseguente giudizio di responsabilità ad una generica condivisione delle argomentazioni del primo giudice, negando la circostanza che il capo fabbrica A.S. aveva avvisato di non entrare nel silos e non tenendo conto che sia il consulente della difesa sia l’ispettore del lavoro avevano escluso categoricamente che i lavori di pulizia potessero essere eseguiti dall’interno; la polvere doveva essere rimossa stando all’esterno e percuotendo le pareti con lunghe pertiche, talmente lunghe da raggiungere la parete opposta, sino al punto da far crollare la volta incrostata. I giudici di appello avevano inoltre ignorato le dichiarazioni dei compagni di lavoro del B.G., i quali avevano riferito di aver sentito il A.S. raccomandare di non entrare nel silos e di effettuare i lavori dall’esterno in sua presenza. L’operaio aveva quindi contravvenuto ad un doppio ordine e per tale ragione doveva essere ritenuto a suo carico quanto meno un concorso di colpa nella causazione dell’evento, come richiesto in uno specificò motivo di appello.
5. La parte civile INAIL ha depositato memoria nella quale ha evidenziato la inammissibilità dei ricorsi, fondati su mere censure in fatto, e ne ha chiesto il rigetto.
Le costituzioni delle altre parti civili sono state revocate per essere intervenuto nelle more il risarcimento dei danni.
Diritto
1. I ricorsi non meritano accoglimento.
2. La sentenza della Corte di Sassari è stata censurata dai ricorrenti per vizio motivazionale in ordine all’affermazione della responsabilità del datore di lavoro e del mancato riconoscimento nel dinamismo causale della grave imprudenza del lavoratore.
Premesso che sono precluse al giudice di legittimità sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sia l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati in ricorso come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli valutati dal giudice di merito (Sez.6, 7 ottobre 2015 n.47204, Rv.265482), si osserva che le argomentazioni esposte a ragione della pronuncia di condanna sono immuni da vizi logici e giuridici.
3. Quanto al primo motivo, è stato evidenziato – sulla scorta delle risultanze istruttorie di cui si è detto – che l’incarico affidato al B.G. riguardava una struttura intrinsecamente pericolosa, poiché il silos era dotato di una coclea, azionata da motore elettrico, priva di un meccanismo di blocco automatico o di un interruttore manuale che ne consentisse l’arresto immediato in caso di emergenza. Tale pericolosità non era stata doverosamente considerata dal datore di lavoro, il quale aveva affidato all’operaio l’incarico di pulizia senza aver previamente valutato in maniera adeguata i rischi connessi a tale incombenza, tanto che non era stato predisposto neppure un dispositivo di spegnimento sul posto, che avrebbe ridotto al minimo il rischio infortunistico, consentendo la disattivazione della coclea. Era stato poi accertato che il B.G. non aveva mai seguito alcun corso di formazione relativo alle tecniche di utilizzo e manutenzione del silos né era stato informato dei rischi connessi a tale attività, tanto che non erano presenti i pittogrammi di legge indicanti divieto di introduzione nel silos in caso di macchinario in azione. Tali manchevolezze, addebitabili all’imputato quale titolare della posizione di garanzia, erano causalmente collegate alla verificazione dell’evento infortunistico in oggetto, che ha rappresentato la concretizzazione proprio di quel rischio, prevedibile ed evitabile, che le norme di prevenzione inosservate erano volte ad evitare, di guisa che l’attuazione delle menzionate e doverose cautele sarebbe stata sufficiente ad impedirlo. Sul datore di lavoro grava infatti l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare una macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza.
Le dette argomentazioni, ben sviluppate in sentenza, fanno corretta applicazione dei principi più volte ribaditi da questa Corte Suprema in tema di responsabilità colposa del datore di lavoro, per la cui affermazione è necessaria non solo la violazione di una norma cautelare, ma anche la constatazione che il rischio che la cautela intende presidiare si sia concretizzato nell’evento (c.d. causalità della colpa), poiché alla colpa dell’agente va ricondotto solo quell’evento che sia causalmente collegabile alla condotta omessa ovvero a quella posta in essere in violazione della regola cautelare (Sez.4, 11 ottobre 2011 n.43645, rv.251913; Sez.4, 3 ottobre 2014 n.1819, Rv. 261768).
La violazione delle norme cautelari accertate dall’ispettore del lavoro, e suffragata dalle altre risultanze istruttorie i cui esiti sono stati richiamati dai giudici di Sassari, è stata quindi ritenuta a ragione causa dell’evento lesivo.
4. Il secondo motivo, volto all’affermazione di un concorso di colpa del lavoratore, è parimenti infondato.
Il ragionamento sviluppato dalla Corte di merito è corretto anche su questo tema, laddove ha affermato che se il datore di lavoro si fosse conformato alle regole di cautela e avesse preso in doverosa considerazione, stante la sua posizione di garanzia, anche un eventuale comportamento inadeguato del dipendente, l’infortunio non si sarebbe verificato.
4.1. Il rispetto delle norme prevenzionali ha infatti lo scopo di ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato anche da imprudenza. Proprio al fine di scongiurare tali eventi nefasti, evitabili rispettando gli standard di sicurezza imposti dalla legge, vi sono soggetti chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio antinfortunistico: essi non possono pretendere esonero di responsabilità in caso di condotta inadeguata del lavoratore, fatto salvo il contegno abnorme, che si configura in caso di comportamento anomalo, assolutamente estraneo alle mansioni attribuite, esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere (Sez.4, 5 marzo 2015 n. 16397, Rv.263386; Sez.4, 14 marzo 2014 n.22249, rv.259228) e non anche quando il lavoratore compia un’operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate.
In ossequio a tali principi la Corte territoriale ha escluso l’abnormità e l’imprevedibilità del comportamento del B.G., sottolineando che questi era entrato nel silos per meglio rendersi conto, nell’ottica del proficuo svolgimento dell’incarico di pulizia affidatogli, della situazione concreta ed in particolare della quantità di polvere da rimuovere, tanto che i compagni di lavoro non si erano stupiti di tale azione né avevano cercato di impedirla o di dissuadere l’operaio dal compierla. Ha del pari a ragione ritenuto che nessun apprezzabile rilievo penalistico potesse assumere tale condotta, pur se discostatasi dal virtuale ideale e che in qualche misura poteva aver contribuito all’infortunio, ribadendo che si era trattato di una circostanza correlata ad una mancata formazione ed informazione specifica dei rischi insiti nell’uso della macchina.
5. I ricorsi vanno pertanto respinti ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali nonché, in solido, alla rifusione di quelle sostenute dall’Inail, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché, in solido, al pagamento delle spese processuali della parte civile Inail, liquidate in 2.500,00 euro.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 aprile 2016