Consegna di materiale durante una nevicata: infortunio del trasportatore con il manico della scopa usato per pulire la strada. Rischio interferenziale.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA
Data Udienza: 10/11/2015
Fatto
1. Z.M. è stato chiamato a rispondere davanti al Tribunale di Como di lesioni colpose commesse con violazione delle norme a tutela della sicurezza del lavoro, art.72 co. 1 d.leg. 81/08 in relazione agli artt. 71, co.4 lett. a) n.l e 69 co.l lett. a ) b), perché, avendo richiesto la consegna di materiale presso la propria azienda in un giorno, precisamente il 10/12/2008, in cui si era verificata una nevicata, consegnava al trasportatore P.A. una scopa con manico in alluminio per rimuovere dalla rampa di accesso al magazzino interrato dove doveva essere consegnata la cassa, la neve che avrebbe impedito il trasporto. Entrambi i giudici ritenevano la responsabilità del predetto Z.M. che, concesse attenuanti generiche valutate prevalenti sulle contestate aggravanti, veniva condannato alla pena di 800,00 euro di multa e al risarcimento del danno in favore della parte civile; risarcimento che la Corte di appello rimetteva al giudice civile assegnando alla persona offesa una provvisionale di euro 7500,00.
2. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il difensore dell’Imputato, avvocato Omissis.
Con un primo motivo lamenta la inosservanza degli artt. 521 e 522 cpp e eccepisce la nullità della sentenza. Si sostiene che mentre il capo di imputazione contestava la violazione di specifiche norme prevenzionali con riferimento al fatto che era stata fornita al P.A. quale strumento o attrezzo di lavoro una scopa pretesamente priva di manutenzione da parte dell’imprenditore Z.M.; scopa che aveva perduto i requisiti di resistenza meccanica, il giudice di primo grado ha invece sussunto a ragione di responsabilità un fatto omissivo diverso, e cioè la omessa rimozione del sottile strato di neve dal tratto di strada che era necessario percorrere per fare accesso all’azienda ed effettuare la consegna; la scivolosità di tale tratto di strada aveva fatto perdere l’equilibrio al trasportatore P.A. e così gli aveva fatto rompere la scopa, di per sé non pericolosa. Nel capo di imputazione non si faceva alcun riferimento alla mancata pulizia della strada dalla neve. Secondo il ricorrente nella specie non si è trattato di un profilo colposo diverso da quello contestato ma di un vero e proprio fatto diverso, la omessa pulizia dalla neve, non contestato, con conseguente nullità della sentenza ex art. 522 cpp e violazione degli artt. 11 Cost. e 6 Cedu.
Con un secondo motivo contesta la ritenuta responsabilità dello Z.M. nei confronti del lavoratore autonomo P.A.. Si sostiene che è stato erroneamente valutata la sussistenza del rischio interferenziale; non è sufficiente a fondare la responsabilità dell’imputato il fatto che l’incidente si sia verificato “sul percorso di accesso alla ditta, di pertinenza aziendale”, in quanto in caso di prestazioni fornite da lavoratori autonomi l’imprenditore è tenuto a mettere in guardia tali lavoratori solo dai rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare (art. 26, co.l, lett b, cioè i pericoli intrinseci ed oggettivi) nonché a proteggerli “dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto (art. 26, co. 2 lett. a, cioè 2 i rischi inerenti la attività tipica svolta all’Interno dell’azienda); il rischio deve essere direttamente funzionale allo svolgimento della prestazione in qualsiasi circostanza e non causato da circostanze estrinseche, come nella specie l’innevamento del percorso. Si richiama la pronuncia della Corte di Cassazione, sez. lav. Del 21/10/2014 n. 22280 e della IV sezione penale 25/9/2009 n.37840.
Il terzo motivo riguarda la manifesta illogicità della motivazione relativamente all’accertamento del nesso causale e della colpa; erroneamente si è ritenuto che il P.A. dovesse necessariamente utilizzare la rampa di accesso al magazzino per consegnare la merce e avesse quindi necessità di utilizzare la scopa, rendendo così attuale ed ineludibile la “interferenza” della attività del trasportatore con l’uso del percorso scivoloso. In realtà le testimonianze assunte avevano dimostrato che sussisteva un percorso alternativo alla detta rampa per entrare nell’ufficio, dove peraltro il P.A. si era già recato per consegnare la bolla di consegna, libero dalla neve o comunque sicuro; inoltre non era affatto stato imposto al P.A. di pulire il percorso di accesso. Con il quarto motivo si lamenta che nella determinazione della pena non si sia tenuto conto della ritenuta insussistenza della aggravante. Si lamenta ancora la mancata considerazione ai fini civili del concorso di colpa della persona offesa, che indossava scarpe normali , “da tennis”, e la manifesta illogicità della motivazione relativamente alla concessione della provvisionale; non erano stati provati postumi invalidanti e neppure allegati danni da mancato guadagno; l’unico danno ipotizzabile era quello da inabilità temporanea o parziale ma il P.A. non aveva pagato i relativi premi. In estremo subordine si chiede la dichiarazione di non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis cp sussistendone tutti i presupposti: l’imputato è incensurato, la colpa è stata qualificata come lieve dal giudice di merito, l’imputato non era presente nel frangente dell’infortunio.
3. Nell’interesse dell’imputato è stata presentata memoria con cui si ribadiscono i motivi proposti e si fa presente che si è provveduto a corrispondere alla parte civile il danno liquidato con la sentenza di appello unitamente alle spese legali. In prossimità dell’udienza di trattazione è stata deposita copia di un assegno di 12752,00 euro corrisposto dalla Compagnia di assicurazione Reale Mutua e incassato dal P.A..
Diritto
1. Il ricorso non merita accoglimento salvo che per quanto si dirà relativamente alla applicazione dell’art. 131 bis c.p. .
2. Non sussiste nullità della sentenza per violazione dell’art. 522 cpp, cioè per essere stata ritenuta la responsabilità dell’imputato per un fatto diverso da quello contestato. Questa Corte ha espresso al riguardo della tematica sollevata con il primo motivo di ricorso una copiosa e pacifica giurisprudenza con la quale si è affermato che in tema di correlazione tra l’imputazione e la sentenza, si ha mutamento del fatto quando la fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge subisca una radicale trasformazione nei suoi tratti essenziali, tanto da realizzare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione non sussiste se l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (così sez. 6 14.6.2004 n.36003 Di Battolo, rv. 229756; sez. 6, 20.2.2003 n. 34051, Ciobanu rv. 226796 ; sez. u. 15.7.2010 n.36551 rv.248051); essendosi altresì, sempre dalle Sezioni Unite di questa Corte espresso il principio secondo cui l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’art. 111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono(sez. u. 26.6.2015 n.31617 rv. 264438). Con specifico riferimento alla materia dei reati colposi che qui viene in rilievo è stato poi costantemente affermato (16.5.96 n. 4968, Sonetti; 10.7.2001 n. 35820, Barbieri; 31.7.1997 n. 7704, PM in proc. Crosara ed altro; sez. 4 7.3.2014 n.35943 rv 260161) che nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo di imputazione siano stati contestati come nella specie elementi generici e specifici di colpa, non sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata nel caso in cui il giudice abbia ritenuto la responsabilità per una ipotesi di colpa diversa da quella contestata; è infatti consentito al giudice specificare l’addebito di colpa generica con riferimento a specifici profili di responsabilità emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al diritto di difesa, il cui esercizio deve essere rapportato ai fatti oggetto del procedimento sui quali si è svolto, come nella specie è avvenuto, il contraddittorio tra le parti. Nella situazione esaminata, la descrizione contenuta nel capo di imputazione è chiaramente e puntualmente tale da identificare il fatto per il quale l’imputato è stato tratto a giudizio, appunto l’infortunio occorso al lavoratore P.A., e sono stati richiamati oltre lo specifico profilo di colpa relativo alla inidoneità della scopa, tutti i possibili profili di colpa generica con il riferimento alla negligenza, imprudenza ed imperizia. D’altronde l’imputazione vive e si sviluppa nel contesto del giudizio ed è dunque fisiologico che in situazione complesse, quali sempre si rivelano quelle degli infortuni sul lavoro, i profili di responsabilità si precisino e si chiariscano nel dibattimento, senza violazione alcuna dei diritti delle parti ed in particolare dell’imputato che, nella dialettica processuale, nella specie sviluppatasi in due gradi di giudizio, ben è in grado di comprendere i vari aspetti dell’accusa e di difendersi da essa.
3. Il secondo e terzo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati. Devono preliminarmente essere precisate le circostanze di fatto in cui si è verificato l’incidente, quali risultanti dalla sentenza impugnata. P.A., titolare dell’omonima impresa individuale di autotrasporti, era stato incaricato, a seguito di insistenti sollecitazioni di Z.M. che aveva preteso la consegna quel giorno nonostante le avverse condizioni atmosferiche pure rappresentate dal P.A., di effettuare una consegna di materiale presso l’azienda dell’imputato in un giorno di dicembre in cui si era verificata una discreta nevicata; P.A. aveva lasciato il proprio mezzo di trasporto fuori del perimetro aziendale e si era accinto alla consegna di una cassa piuttosto pesante attraverso una rampa di scale; P., dipendente di Z.M., gli aveva dato una scopa con cui togliere la neve dalla scala; nell’utilizzare la scopa, il manico di alluminio si rompeva e causava a Z.M. il taglio del tendine. Correttamente è stata ritenuta la responsabilità dell’imputato in relazione alla disciplina dettata dal decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, nella cui vigenza si sono svolti i fatti oggetto del presente procedimento. Z.M., avendo preteso da P.A. la specifica prestazione lavorativa, cumulava la qualità di datore di lavoro, ex art. 2 lett. b) d.leg. n.81/2008, in quanto responsabile dell’organizzazione all’interno della quale si è verificato l’incidente e di committente del servizio di trasporto, ex art. 26 medesimo d.leg., ed era pertanto responsabile della sicurezza della consegna ordinata; ben consapevole delle particolari condizioni del tempo e della presenza della neve, avrebbe dovuto in primo luogo assicurare, dando le opportune disposizioni, che le vie di accesso alla propria azienda fossero pienamente agibili, che i vialetti e le scale fossero puliti in modo da poter essere utilizzate in piena sicurezza e senza rischio di scivolamento , essendo tali obblighi specificati nell’allegato IV al d.leg. 81/2008, richiamato dall’alt. 63 , alla cui osservanza il datore di lavoro è obbligato in base all’art. 64. L’osservanza di tali cautele era evidentemente dovuta in primo luogo a tutela dei propri dipendenti, ma l’obbligo si estendeva alla persona del P.A., una volta che questi, su esplicita e consapevole richiesta di Z.M., che in relazione ad essa ha assunto la figura di datore di lavoro committente, era stato messo nella condizione di pericolo nella quale si è verificato l’incidente. Si è trattato di un tipico rischio interferenziale in quanto derivante dall’interferenza tra la prestazione richiesta al trasportatore e uno specifico rischio esistente nel luogo in cui la prestazione stessa doveva essere adempiuta. Il rischio non era meramente accidentale, come eccepisce il ricorrente invocando una decisione di questa Corte (sez. lav. 21.10.2014 n. 22280) relativa al caso di una lavoratrice che era scivolata su una matita. Come ha osservato la Suprema Corte in tale decisione, il rischio del lavoratore di incespicare su una matita o altro oggetto non è diverso da quello che incombe su chiunque si muova da un luogo ad un altro e dunque non può essere qualificato quale “infortuno sul lavoro”, laddove nella specifica situazione qui considerata la presenza della neve sul percorso di accesso alla azienda dell’imputato era situazione contingente, particolare e specifica che necessitava di idonea tutela. Sostiene ancora il ricorrente che era possibile una via alternativa, ma trattasi di obiezione che, a prescindere dall’ inammissibile profilo di merito che con essa viene dedotto, non è comunque idonea a elidere la responsabilità dell’imputato dal momento che il medesimo non aveva dato disposizione alcuna per rendere possibile che la prestazione venisse effettuata in sicurezza, ad es. indicando il percorso da seguire, assicurandone la pulizia o precisando le alternative modalità della consegna rispetto alla prassi ordinaria, ma aveva invece lasciato ogni decisione alla improvvisazione del momento tanto che al P.A. venne data una scopa e venne consentito di provvedere personalmente alla rimozione della neve, operazione nel corso della quale si procurò le lesioni di cui è causa.
3. Quanto alla determinazione della pena, deve precisarsi che la aggravante collegata alla violazione delle norme a tutela dei lavoratori non è stata affatto esclusa ma solo ritenuta sub valente rispetto alle attenuanti generiche. Neppure è ravvisabile illogicità alcuna, tanto meno manifesta, nella valutazione con cui i giudici di merito, in considerazione dello svolgimento dei fatti, hanno escluso il concorso di colpa del P.A. anche ai fini civili, non avendo ravvisato nel suo comportamento profili che fossero censurabili; si insiste con il ricorso nel sottolineare che egli indossava scarpe da tennis, ma trattasi di circostanza che non risulta accertata in sentenza. Per quanto riguarda la concessione della provvisionale è sufficiente richiamare il principio secondo cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (sez. 3 27/1/2015 n. 18663 rv. 263486).
4. Merita invece accoglimento, nei limiti appresso specificati, l’ultimo motivo relativo alla configurabilità di una ipotesi di particolare tenuità del fatto tale da condurre all’applicazione dell’art. 131 bis c.p. come introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28. In proposito, valgono i principi già espressi da questa Corte, secondo i quali, nell’assenza di una disciplina transitoria, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto istituto di natura sostanziale, è applicabile ex art. 2, co. 4, cp anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore e, quindi, anche a quelli pendenti in Cassazione. In tale evenienza, la Corte di legittimità, deve in primo luogo considerare l’astratta applicabilità dell’istituto, avendo riguardo ai limiti edittali di pena del reato; in secondo luogo, la Corte deve verificare, sempre in astratto, la pos s ibi le ricorrenza congiunta della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del reato. Nell’effettuare questo secondo apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo particolare, dell’eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto e rimettendo, in caso di valutazione positiva al giudice di merito (Sez. 4, sent. n. 22381 del 17/04/2015, Mauri,Rv. 263496; Sez. 3, sent. n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, Rv.263308).
Nella specie il reato rientra in astratto nell’ambito di operatività dell’istituto vuoi avendo riguardo alla pena edittale , vuoi perché non rientra tra le ipotesi escluse nel comma 2, ultimo parte, dell’articolo 131 bis c.p. (trattasi infatti di lesione personale colposa grave, e non gravissima). Inoltre, nella sentenza in esame, pronunciata prima della novella normativa, non emergono elementi che contrastino con una valutazione di particolare tenuità del reato; ed anzi fin dal giudizio di primo grado è stata riconosciuta la lieve entità della colpa dello Z.M. con riconoscimento al medesimo delle attenuanti generiche prevalenti sull’ aggravante specifica. Con la produzione dell’assegno di cui si è detto sopra è stato altresì dimostrata la volontà di risarcire il danno, fermo restando che ove comunque, ove residuino pretese da parte della parte civile, le stesse potranno trovare valutazione nell’eventuale giudizio di danno esercitato in sede civile, atteso che a norma dell’art. 651 bis cpp anche la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.
5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente alla applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen., con rinvio alla Corte di Appello di Milano per il relativo esame. Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’applicazione dell’art. 131bis cod. pen., con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di Appello di Milano. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 10/11/2015.