Cassazione Penale, Sez. 4, 02 novembre 2015, n. 44131

Responsabilità del committente: occorre verificare in concreto l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento.

Ai fini della configurazione della responsabilità colposa del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo.


Presidente: Brusco
Relatore: Dovere

Fatto

1. L'(omissis) C.I. e Q.V., dipendenti della ditta Alba Coperture di H.A., si recarono presso la proprietà di D.M. in G., per rimuovere alcune lastre di amianto poste sul tetto del fabbricato adibito ad autorimessa, sul quale avrebbero dovuti esser svolti successivamente interventi di manutenzione. Salito sul tetto senza alcun accorgimento il C. cadde al suolo da un’altezza di circa cinque metri, a causa della rottura di una delle lastre di amianto; nell’occorso riportò la frattura del polso e della mandibola.
Il Tribunale di Vercelli dichiarò H.A. ed H.E. responsabili delle lesioni patite dal lavoratore e inflisse loro, all’esito del rito abbreviato, la pena di quattro mesi di reclusione mentre mandò assolti D.M. e D.F., chiamati in causa quali committenti dell’opera, dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto.
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino, nel confermare la condanna degli H., ha condannato anche i predetti committenti per l’infortunio subito dal C., dichiarando invece estinto per prescrizione l’illecito contravvenzionale pure ascritto ai menzionati D..
A tale conclusione la Corte di Appello é pervenuta convenendo innanzitutto con il primo giudice in ordine al fatto che il C. aveva riportate le lesioni lamentate cadendo dal tetto del fabbricato, ove era salito per attendere alle lavorazioni che gli erano state comandate da H.E., essendo H.A. il formale datore di lavoro; quanto ai committenti, in primo luogo la Corte di Appello ha affermato esser certa tale qualità in forza della prova documentale rappresentata dalla DIA, firmata da entrambi i D., nonché dalla dichiarazione di Ca.Sa.. I medesimi si erano quindi resi responsabili di culpa in eligendo, scegliendo l’impresa degli H., e di omesso controllo sul rispetto da parte di questi delle prescrizioni antinfortunistiche, tanto più esigibile in quanto riferito a rischio generico come quello di caduta dall’alto.
2. Avverso tal ultima decisione ricorre per cassazione H.A. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis, deducendo vizio motivazionale, per aver la Corte di Appello omesso di spiegare perché, in merito alla ricostruzione dell’accaduto, le dichiarazioni del teste Q. sono inverosimili e perché non incidono sull’attendibilità della persona offesa le contraddizioni e le lacune emergenti dalle dichiarazioni di questa.
3. Ancora con il patrocinio dell’avv. Omissis ricorre per cassazione l’imputato H.E., deducendo violazione di legge per aver fatto la Corte di Appello erronea applicazione dell’art. 28 d.lgs. n. 81/2008.
Assume che la norma recata da tale disposizione fissa i criteri per l’identificazione del datore di lavoro ed il solo fatto che l’imputato abbia comunicato al lavoratore il luogo ove recarsi per svolgere una determinata attività non é sufficiente a qualificarlo come tale. Né sono emersi, aggiunge il ricorrente, altri indici idonei a far ritenere la qualità di datore di lavoro di fatto.
Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale, riproponendo i rilievi esposti nell’interesse di H.A..
4. Con atto a firma dei difensori, avv. Omissis, D.M. ricorre proponendo con un primo motivo la censura di mancanza assoluta di motivazione per non aver la Corte di Appello replicato agli specifici rilievi mossi con memoria presentata ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen. il 24.10.2014 alle argomentazioni poste a sostegno degli appelli del P.G. e della parte civile.
Con secondo motivo il D. censura l’erronea applicazione fatta dell’art. 7 d.lgs. n. 626/1994; rileva il ricorrente che tale norma non trova applicazione nel caso che occupa, trattandosi di appalto affidato da privato committente e non di appalto c.d. endoaziendale affidato da datore di lavoro-committente. Aggiunge che il rimprovero per non aver provveduto alla nomina di un direttore dei lavori gli é stato mosso dalla Corte di Appello senza che tale condotta sia stata oggetto di contestazione. In ogni caso, anche a voler ritenere applicabile la previsione, essa non impone l’obbligo di presenza del committente durante l’esecuzione delle opere; la Corte di Appello ha omesso di vagliare la riconoscibilità del rischio di caduta dall’alto alla luce della circostanza che il D. era stato assente sia al momento della predisposizione del ponteggio che a quello di inizio dell’attività.
Con un terzo motivo deduce vizio motivazionale per aver la Corte territoriale fondato il giudizio di responsabilità sulla sottoscrizione da parte dell’imputato di una DIA avente ad oggetto l’esecuzione dell’opera in questione. Gli ulteriori elementi acquisiti al giudizio hanno dimostrato che il solo D.F. ebbe il ruolo di effettivo ed unico committente.
5. Con il proprio ricorso D.F. ripropone quasi letteralmente le censure avanzate dal coimputato e congiunto; con un terzo motivo insiste sulla non riconoscibilità per il committente del rischio di caduta dall’alto.

Diritto

6. Giova all’economia della trattazione l’esame in primo luogo del ricorso proposto nell’interesse di H.A., da reputarsi infondato.
La contestazione della ricostruzione fattuale assunta dalla Corte di Appello è operata dal ricorrente attraverso la censura alla valutazione delle prove e segnatamente al giudizio di attendibilità della persona offesa e a quello di inverosimiglianza delle dichiarazioni del teste Q..
Va quindi rammentato che l’attendibilità del dichiarante è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 – dep. 19/02/2015, Cammarota e altro, Rv. 262575).
Nel caso che occupa entrambi i giudici di merito hanno affermato che le dichiarazioni della persona offesa e del Q. convergevano sul punto della derivazione dalla caduta dal tetto delle lesioni patite dalla prima. La Corte di Appello, al riguardo, ha rammentato il contenuto delle dichiarazioni rese dal Q. il 30.4.2008. L’inattendibilità del teste é stata ritenuta in merito alla ragione dell’accesso al tetto da parte del C., che quello ha ascritto ad autonoma iniziativa del collega, perché incaricati entrambi solo di trasportare del materiale sul posto. Il giudizio è stato motivato in base ad un argomento logico, rimarcando la incongruenza dello svolgimento delle operazioni di smantellamento delle lastre da parte del lavoratore in assenza di disposizioni dategli dal datore di lavoro. Si tratta di un’argomentazione nient’affatto manifestamente illogica.
Per altro verso, la Corte di Appello ha giustificato l’attendibilità accordata al C., spiegando in particolare perché questi avesse parlato, una volta al pronto soccorso, – e celando il vero – di essere caduto da una scala in altro luogo e perché tale menzogna non rifluisca sulla attendibilità delle dichiarazioni rese all’A.G.
Spiegazioni anch’esse non manifestamente illogiche, tanto più che risulta accertato che l’infortunio avvenne proprio presso l’immobile dei D..
Il ricorso va quindi rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
7. I ricorsi proposti nell’interesse, rispettivamente, di H.E. , di D.M. e di D.F. sono da accogliersi, ancorché risulti infondato il primo motivo. Invero, i punti proposti all’attenzione della Corte di Appello con la memoria depositata per l’udienza del 4.11.2014 risultano esaminati dai giudici, che hanno reso a proposito degli stessi la motivazione che, per le ragioni appresso esplicate, non può ritenersi esente da censure.
7.1. Con riferimento alla posizione dei D., va in primo luogo rilevato che a fronte di una contestazione che richiama gli artt. 15, 109, 112, 90, co. 1 e 26 d.lgs. n. 81/2008, la Corte di Appello, avendo constatato che il fatto era stato commesso prima dell’entrata in vigore di tali disposizioni, ha affermato che ciò non aveva effetto alcuno nel giudizio, stante la riconosciuta continuità normativa tra ild.lgs. n. 626/1994 e quello n. 81/2008; facendo poi specifico riferimento, come a norma da applicare nel caso che occupa, all’art. 7, co. 2 d.lgs. n. 626/1994, vertendosi, per la Corte distrettuale, “in materia di obbligo di cooperazione tra committente ed appaltatore”.
Un’affermazione così radicale non é corretta. L’art. 7 d.lgs. n. 626/1994, infatti, trovava applicazione nei confronti del datore di lavoro-committente in ipotesi di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda. Va però considerato che il d.lgs. n. 494/1996, nel dare autonomo risalto e specifica disciplina all’appalto di opere edili o di ingegneria civile, regolamentò anche i rapporti di questa con quella recata dall’art. 7 cit. All’art. 1, co. 2 d.lgs. n. 494/1996 si prevedeva l’applicazione delle disposizioni del d.lgs. n. 626/1994 anche nei cantieri temporanei o mobili “fatte salve le disposizioni specifiche contenute nel presente decreto legislativo”.
Tanto ha determinato una relativa difficoltà nella ricostruzione dello statuto della committenza “non qualificata”, come quella che qui interessa.
Appare opportuno svolgere alcune puntualizzazioni al riguardo.
7.2. La figura del committente dei lavori ha trovato esplicito riconoscimento solo con il d.lgs. n. 494/96. Prima di esso né i fondamentali d.p.r. 547/55, 164/56, 302/56 e 303/56, né il d.lgs. 626/1994 menzionavano siffatto ruolo. Non è senza significato che il d.lgs. 626/94, vera e propria mappa dei principi del diritto prevenzionistico, nel definire le diverse posizioni soggettive (datore di lavoro, ecc.) non menzionasse il committente. La norma che delineava un rapporto di affidamento di lavori, l’art. 7, individuava nel solo “datore di lavoro” che affida i “lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima” il referente soggettivo degli obblighi che la medesima disposizione introduceva, essenzialmente al fine di far fronte al rischio c.d. interferenziale, ovvero quel rischio che si determina per il solo fatto della coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi.
Pertanto, i doveri così individuati potevano essere riferiti unicamente al datore di lavoro-committente; non anche al quivis de populo che avesse affidato lavori edili a taluno.
Infatti per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell’approntamento del cantiere e nell’esecuzione dei lavori. Tali violazioni venivano poste a carico del datore di lavoro appaltatore.
Una responsabilità concorrente del committente veniva ravvisata in sostanza quando questi travalicava siffatto ruolo, assumendo di fatto posizione direttiva: perché si ingeriva nell’esecuzione dei lavori (Sez. 4, n. 1543 del 31/10/1967, Ronco, Rv. 106806); perché di fatto datore di lavoro (così in tema di lavoro a cottimo: Sez. 5, n. 670 del 15/04/1969, Lenci, Rv. 111901); quando i lavori fossero stati eseguiti dall’appaltatore senza autonomia tecnica, con l’apprestamento da parte del “committente” delle apparecchiature di lavoro (Sez. 5, n. 1337 del 09/07/1969, Pampo, Rv. 112527); quando il subappaltatore, per l’attuazione delle misure di prevenzione degli infortuni, fosse stato tenuto ad avvalersi di quelle del cantiere principale e non abbia avuto libertà di determinazione, fermo restando che il subappaltatore è tenuto a vigilare anche le misure apprestate siano rigorosamente adottate nell’ambito dell’attività di cui è responsabile e non già nel perimetro di tutto il cantiere (Sez. 4, n. 3571 del 25/01/1973, Peduzzi, Rv. 124018).
Nella prospettiva speculare altre pronunce asserivano che l’osservanza delle norme antinfortunistiche incombe all’imprenditore, in caso di appalto, titolare dell’organizzazione del cantiere e datore di lavoro di quanti operano in esso. Il committente, invece, salvo contrario accordo contenuto nel contratto di appalto, non ha il diritto e tanto meno il dovere di intervenire o comunque ingerirsi in tale organizzazione dell’impresa con le logiche conseguenze sul piano sanzionatorio (Sez. 6, n. 2488 del 07/07/1975, Lambertini, Rv. 132495; e poi, tra le altre, Sez. 4, Sentenza n. 2731 del 12/01/1990, Bovienzo, Rv. 183507).
In sostanza, il principio definito dalla giurisprudenza di legittimità era nel senso che il committente di lavori edili non rivestisse una autonoma posizione di garanzia a tutela della salute e della vita dei lavoratori dipendenti dal soggetto appaltatore; il principio comportava di per sé la possibilità di ascrizione del fatto quando il committente avesse in concreto assunto una diversa posizione, e ciò in ragione del principio di effettività che da sempre si è riconosciuto valevole in subiecta materia. Esemplare, al riguardo, appare la seguente formulazione: “nel contratto di appalto, il committente non è esonerato dall’obbligo di osservare le norme antinfortunistiche qualora si riservi contrattualmente e lo eserciti in concreto, il potere di ingerirsi nell’esecuzione dei lavori oggetto del contratto o qualora, pur in mancanza di apposita previsione contrattuale, si intrometta di fatto nell’esecuzione dell’opera. Infatti, destinatari delle norme antinfortunistiche, poste a tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, sono tutti coloro che nella impresa hanno il potere di incidere sul risultato, il potere – cioè – di esigere che il lavoratore si comporti in un determinato modo per conseguire quel risultato” (Sez. 4, n. 1659 del 11/10/1989, Mulas, Rv. 183235).
Nel progressivo affinamento della riflessione in materia si è pervenuti ad individuare, accanto all’ingerenza e all’assunzione di una posizione direttiva, una ulteriore fonte di doveri, ovvero il potere di governo della fonte di pericolo: “in materia di omicidio colposo per infortunio sul lavoro, il committente è corresponsabile con l’appaltatore o col direttore dei lavori, qualora l’evento si colleghi causalmente anche alla sua colposa azione od omissione. Ciò, avviene sia quando egli abbia dato precise direttive o progetti da realizzare e le une e gli altri siano già essi stessi fonte di pericolo ovvero quando egli abbia commissionato o consentito l’inizio dei lavori, pur in presenza di situazioni di fatto parimenti pericolose. Il margine più o meno ampio di discrezionalità eventualmente conferito ai soggetti innanzi indicati (appaltatore e direttore dei lavori) non esclude di per sé la sua colpa concorrente sotto il profilo eziologico” (Sez. 3, n. 8134 del 24/04/1992, p.c. in proc. Togni, Rv. 191387). Ancor più puntualmente si è affermato che quando il soggetto commissionario venga ad operare, per necessità dell’espletamento dell’opera dei lavori commissionati, nell’ambito di un cantiere non proprio, ma organizzato e gestito dall’appagante; e, ancor più, quando, per contratto o per consuetudine o per tolleranza, utilizzi strutture di supporto, opere provvisionali, strumentazioni appartenenti al committente, quest’ultimo non può trarsi fuori di responsabilità se l’infortunio trovi sinergico riferimento nella deficienza di quegli elementi la cui manutenzione spetti a lui stesso, sia perché secondo l’art. 7 d.p.r. n. 164 del 1956 le opere provvisionali devono essere mantenute “in efficienza” per tutto il tempo in cui il cantiere sia attivo, sia perché secondo l’art. 2087 cod. civ. il datore di lavoro è garante della salvaguardia dell’incolumità fisica e psichica di coloro che prestano, nel suo interesse, la loro attività lavorativa (Sez. 4, n. 2800 del 15/12/1998 – dep. 02/03/1999, Breccia A ed altro, Rv. 213226).
7.5. I referenti normativi evocati dalla decisione appena richiamata danno adito ad alcuni dubbi. Tuttavia è certo che con il d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, di attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, il quadro giuridico è mutato, avendo trovato la figura del committente espressa definizione [art., 2, co. 1, lett. b)], ed esplicitazione gli obblighi gravanti sul medesimo (art. 3). Questi (o il responsabile dei lavori), nella fase di progettazione esecutiva dell’opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 626/1994; determina altresì, al fine di permettere la pianificazione dell’esecuzione in condizioni di sicurezza, dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, la durata di tali lavori o fasi di lavoro. Nella fase di progettazione esecutiva dell’opera, valuta attentamente, ogni qualvolta ciò risulti necessario, i documenti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), ovvero il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 12 e il piano generale di sicurezza di cui all’articolo 13 (la cui redazione grava sul coordinatore per la progettazione), nonché il fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell’allegato II al documento U.E. 260/5/93. Inoltre, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva, designa il coordinatore per la progettazione, ma solo se il cantiere presenta una delle seguenti caratteristiche: a) è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea se l’entità presunta del cantiere è pari ad almeno 100 uomini/giorni; b) rientra tra i cantieri di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a); c) rientra tra i cantieri di cui all’articolo 11, comma 1, lettera b); d) rientra tra i cantieri di cui all’articolo 11, comma 1, lettera c), se l’entità presunta del cantiere sia superiore a 300 uomini-giorni; e) rientra tra i cantieri di cui all’articolo 13.
Va poi ricordato ancora una volta che ai sensi del comma 2 dell’art. 3 cit., le disposizioni del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, si applicano al settore dei cantieri mobili o temporanei, fatte salve le disposizioni specifiche contenute nel d.lgs. n. 494/1996.
A seguito del sintetizzato mutamento normativo nella giurisprudenza di legittimità la responsabilità del committente è stata derivata dalla violazione di alcuni obblighi specifici, quali l’informazione sui rischi dell’ambiente di lavoro e la cooperazione nell’apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, ritenendosi che resti ferma la responsabilità dell’appaltatore per l’inosservanza degli obblighi prevenzionali su di lui gravanti (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008 – dep. 18/02/2009, Rappa, Rv. 242735). Ribadito il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, tanto in capo al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche) che del committente, si è anche richiamata la necessità che tale principio non conosca un’applicazione automatica, “non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori”. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, “occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo” (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012 – dep. 30/01/2012, Marangio e altri, Rv. 252672).
Tra gli obblighi incombenti sul committente vi è anche l’obbligo di cooperazione, discendente dall’art. 7 d.lgs. n. 626/1994 (ed oggi dall’art. 26 d.lgs. n. 81/2008), che si concreta anche nella comunicazione al coordinatore per la progettazione e al coordinatore per l’esecuzione, seconde le evenienze, dei nominativi delle imprese alle quali si appaltano i lavori, onde permettere a questi di adempiere ai compiti loro assegnati dalla legge (artt. 4 e 5 d.lgs. n. 494/1996; 91 e 92 d.lgs. n. 81/2008). Peraltro, l’art. 6 co. 2 d.lgs. 494/1996 costituisce chiaramente il committente quale garante dell’effettività dell’opera di coordinamento posta in capo ai coordinatori per la progettazione e per la esecuzione.
7.4. Alla luce di quanto sin qui esposto appare chiaro che la sentenza impugnata incorre in violazione di legge laddove postula e ritiene rilevanti sul piano causale una serie di doveri che la legislazione non riconduce in capo al committente; mentre incorre in vizio di motivazione laddove non esplica la ricorrenza dei presupposti che la legge prevede per l’instaurarsi di altri doveri.
Infatti, non sussiste alcun obbligo di nominare un direttore dei lavori, come sembra postulare la Corte di Appello; l’evocazione che in tal modo si compie ad un possibile trasferimento di funzioni prevenzionistiche può valere solo a confermare la fissità della posizione di garanzia in capo al committente – garante originario.
Quanto alla colpa nella scelta dell’impresa, si tratta di un’affermazione priva di qualsivoglia giustificazione; invero é da escludersi che l’inidoneità dell’impresa Alba Costruzioni possa essere ritenuta per il solo fatto dell’avvenuto infortunio. A tal riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha statuito che il committente ha l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato ma non esclusivamente in tal modo (Cass. Sez. 4, sent. n. 8589 del 14.1.2008, Speckenhauser e altro, rv. 238965). Occorre quindi che venga motivata l’affermazione di una scelta non diligente della impresa esecutrice; motivazione, si ripete, del tutto assente nel caso che occupa.
Circa l’omissione di controllo sul rispetto delle previsioni antinfortunistiche, poiché è del tutto taciuto quali accordi fossero stati conclusi tra la committenza e l’impresa esecutrice, anche in merito alle fasi di svolgimento degli stessi, al loro inizio, è manifestamente illogico ancorare la consapevolezza da parte dei D. dell’inizio delle attività sul tetto al dato meramente spaziale dell’essere il cantiere adiacente all’abitazione dei prevenuti in parola.
Né il compendio informativo deve ritenersi colposamente manchevole perché, come asserisce la Corte di Appello, i committenti sono responsabili del fatto che l’impresa esecutrice non abbia predisposto il piano di sicurezza e di coordinamento. Invero, tale documento é prescritto solo per l’ipotesi di concorrenza di più imprese nei lavori; di tale occorrenza nel caso che occupa la Corte di Appello non fa alcuna menzione; sicché anche l’ascrizione di una omessa cooperazione con l’impresa esecutrice rivela la sua fallacia. Mentre è del tutto irrilevante, al proposito, che si fosse in presenza di un rischio generico, posto che la questione centrale é la indicazione delle ragioni di fatto in virtù delle quali può essere affermato che i committenti fossero a conoscenza dell’avvio dei lavori.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Torino per un nuovo approfondimento della posizione degli imputati, da operarsi alla luce dei principi sopra richiamati.
8. Quanto alla posizione di H.E., la attribuzione al medesimo del ruolo di datore di lavoro di fatto viene incardinata nella sentenza impugnata su due circostanze: che questi dispose che i due lavoratori si recassero presso il cantiere per iniziare lo smantellamento del tetto; e, sembra di comprendere, che egli accompagnò il C. in ospedale e diede indicazioni a questi di riferire che l’infortunio si era svolto in ben altro modo e in altro luogo.
Orbene, non è inutile puntualizzare che anche prima che l’art. 299 d.lgs. n. 81/08 ponesse espressamente il principio di effettività a criterio cardine della emersione delle posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e) del citato d.lgs., disponendo che esse “… gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”, il titolare dell’obbligo di sicurezza andava identificato in forza di un criterio del tutto analogo, in esplicazione del precetto costituzionale che vuole la responsabilità penale derivante da fatto proprio e conformemente a quanto statuito dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 9874 del 01/07/1992 – dep. 14/10/1992, Giuliani, Rv. 191185).
La giurisprudenza di questa Corte ha anche offerto indicazioni in ordine ai possibili indici rivelatori della assunzione di fatto del ruolo di garante. In particolare, con riferimento alla posizione del datore di lavoro, si é rimarcato il valore dimostrativo del costante intervento nell’esecuzione dei lavori, nell’acquisto dei materiali e delle attrezzature, nella predisposizione e nella gestione della organizzazione del lavoro e nel rilascio di istruzione e direttive (Cass. sez. 4, sent. n. 7954 del 10.10.2013, Ventura e altro, rv. 259274). Si può aggiungere che neppure vanno pretermesse eventuali ulteriori circostanze che, in un senso o nell’altro, possono dare indicazioni sul ruolo assunto da un determinato soggetto all’interno di una compagine aziendale. Nel caso che occupa, ad esempio, ricorre il vincolo parentale tra gli H..
Alla luce di tali premesse si esalta l’evidenza della gravemente carente motivazione resa dalla Corte di Appello, la quale non ha superato la considerazione del singolo atto compiuto dall’imputato in parola, senza alcuna indagine circa il contesto organizzativo entro il quale quello era andato a collocarsi; e senza farsi carico di causali alternative all’assunzione di un ruolo datoriale, rese verosimili dal vincolo familiare sopra cennato.
Pertanto, anche in merito alla posizione dell’imputato in parola la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Torino per un nuovo esame.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di H.E., D.M. e D.F. , con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Torino, cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Rigetta il ricorso di H.A., che condanna al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile C.I., che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

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