Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 03 febbraio 2016, n. 4460

Cade dall’altezza di cinque metri: nessuna protezione per i lavori in quota. Responsabilità del datore di lavoro e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori.


Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 21/10/2015

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Salerno ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di DP.G. e di G.O. per essere i reati ai medesimi ascritti estinti per prescrizione. Gli imputati erano stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Amalfi, per rispondere (oltre che delle correlate contravvenzioni prevenzionistiche) delle lesioni personali patite da S.A., dipendente della ditta della quale la G.O. era amministratrice, mentre il DP.G. aveva assunto le funzioni di coordinatore per l’esecuzione dei lavori in relazione al cantiere corrente in Maiori. All’esito del primo giudizio gli imputati erano stati ritenuti responsabili dell’infortunio occorso al lavoratore, caduto mentre operava da un’altezza di circa cinque metri sprovvisto di protezioni; la G.O. per non aver dotato il S.A. delle cinture di sicurezza necessarie allo svolgimento di lavori da eseguirsi alla predetta quota ed il DP.G. per aver omesso di controllare che le disposizioni contenute nel Piano di sicurezza e di coordinamento venissero concretamente attuate. Pertanto era stata pronunciata la condanna dei medesimi alla pena ritenuta equa e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
2. Avverso la decisione che dichiara l’estinzione del reato ricorre per cassazione DP.G. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 40, 113 e 590, co. 1, 2 e 3 cod. pen. e 129 cod. proc. pen. Con ampi richiami ai materiali di prova formatisi nel corso del giudizio di primo grado l’esponente lamenta che non sia stata pronunciata l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto.
Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 125, co. 3 cod. proc. pen. per aver la Corte di Appello omesso di replicare alle specifiche censure avanzate con l’atto di appello contro la sentenza di primo grado.
3. Propone ricorso per cassazione anche G.O. lamentando violazione di legge e vizio motivazionale, per aver la Corte di Appello dichiarato l’estinzione dei reati per prescrizione senza esprimere alcuna valutazione in merito all’assenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. Ad avviso dell’esponente dagli atti risulta che l’imputata non ha commesso il fatto, avendo la stessa preposto apposito delegato alla direzione del cantiere in argomento. La Corte di Appello ha omesso di valutare le circostanze di fatto o le prove che dimostravano l’insussistenza del fatto o la non commissione di esso da parte dell’imputata; così violando l’art. 129 cod. proc. pen.
Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale per aver omesso la Corte di Appello qualsiasi motivazione in merito alla mancanza di elementi in base ai quali pervenire all’assoluzione dell’imputata.

Diritto

4. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito precisati.
4.1. Al fine di rendere esplicito il raggio entro il quale può estendersi il sindacato di questa Corte in caso di sentenza che dichiara una causa estintiva del reato, é opportuno rammentare il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, per il quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il difetto di motivazione della sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in quanto l’inevitabile declaratoria di estinzione anche da parte del giudice del rinvio preclude che l’impugnata sentenza possa essere annullata con rinvio (Sez. 6, n. 40570 del 29/05/2008 – dep. 30/10/2008, Di Venere, Rv. 241317). Risulta peraltro palese che, trovando applicazione l’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. anche in sede di legittimità, pure dinanzi alla Corte di cassazione può assumere rilievo l’evidenza della prova di innocenza; ma a tal fine gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza della causa più favorevole sono costituiti unicamente dalla predetta sentenza (così, tra le tante, Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, P.G. in proc. Amurri e altri, Rv. 253458; Sez. 6, n. 27944 del 12/06/2008, Capuzzo, Rv. 240955; Sez. 1, n. 10216 del 05/02/2003, De Stefano, Rv. 223575; Sez. 4, n. 9944 del 27/04/2000, Meloni e altri, Rv. 217255). Detto altrimenti, gli elementi da cui poter evincere l’inesistenza del fatto, la irrilevanza penale di esso o la non commissione dello stesso da parte dell’Imputato, devono emergere dagli atti in modo assolutamente non contestabile, con la conseguenza che la valutazione richiesta alla Cassazione attiene più al concetto di constatazione che non a quello di apprezzamento.
Solo ove l’operatività della causa di estinzione del reato presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito può assumere rilievo pregiudiziale la nullità eventualmente censurata, perché questa condiziona la stessa ricorrenza della causa estintiva; si comprende, quindi, che in tal caso si impone la rinnovazione del relativo giudizio (Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014 – dep. 21/01/2015, Riotto, Rv. 262277, con specifico riferimento all’ipotesi di prescrizione dichiarata dal giudice dell’appello).
Peraltro, quando il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) in presenza di parti civili, egli é tenuto a motivare in ordine alla responsabilità dell’Imputato ai fini delle statuizioni civili. In caso contrario l’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013 – dep. 27/09/2013, Sciortino, Rv. 256087).
4.2. Orbene, nel caso di specie deve senz’altro escludersi che dalla sentenza impugnata emerga l’evidenza della prova dell’innocenza degli imputati. La Corte di Appello ha aderito alla ricostruzione del fatto operata in primo grado; come rilevato dal P.G., la lettura della pronuncia del Tribunale lascia emergere una dettagliata indicazione degli elementi a carico (per il DP.G. può vedersi la sintesi operata a pg. 55; per la G.O. quella a pg. 68 e s.).
Con il proprio ricorso il DP.G. si limita a riproporre l’atto di appello, per ben diciotto delle venti pagine che lo costituiscono, per poi concludere che sulla base di quanto evidenziato nell’impugnazione la Corte di Appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione e che invece é incorsa nel vizio di mancanza di motivazione. Tuttavia per quali ragioni sussisterebbe un’evidenza dell’innocenza che sarebbe sfuggita ai giudici del distretto non é neppure enunciato.
Quanto al ricorso proposto dalla G.O., già la prospettazione delle ragioni per le quali la Corte di Appello non si sarebbe avveduta della innocenza dell’imputata rendono palese l’assenza dell’evidenza di essa; si afferma, infatti, che il primo giudice non avrebbe tenuto conto delle risultanze probatorie emerse nel corso del dibattimento (si allude, in particolare, alle “chiare e palesi contraddizioni nelle dichiarazioni testimoniali della Parte Civile e dei testi della Procura…”) e che, correlativamente, il Collegio distrettuale avrebbe “omesso di valutare l’esistenza di circostanze di fatto e/o di prova, dalle quali poteva evincersi l’insussistenza del fatto o che la coimputata non lo aveva commesso”.
Anche in questo caso, é completamente omessa la specifica indicazione degli elementi che – pur rinvenibili nel testo della sentenza di secondo grado – pur rendendo evidente la prova dell’innocenza dell’imputata, sarebbero sfuggiti alla mera constatazione della Corte di Appello.
4.3. Per contro, la sentenza qui impugnata é realmente carente di una reale motivazione, che valga a sostenere la conferma delle statuizioni civili. Sotto tale aspetto coglie il segno la censura condivisa dagli imputati, di un testo che si dilunga nell’esposizione delle ragioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della sua decisione, senza far seguire ad essa il segno della personale rielaborazione dei materiali alla luce dei rilievi formulati con gli atti di impugnazione.
Si impone quindi, contestualmente al rigetto dei ricorsi ai fini penali, l’annullamento della sentenza impugnata ai fini civili, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/10/2015.

Lascia un commento