Uso improprio della trattrice agricola e infortunio mortale: il trasporto del secondo operaio sul medesimo trattore rappresentava una prassi consolidata e addirittura imposta.
Presidente: BRUSCO CARLO S.G.D.
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 16/12/2015
Fatto
1. La Corte d’Appello di Cagliari – sez. dist. di Sassari, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, S.G.D., con sentenza del 16.9.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sassari, emessa in data 3.11.2011, valutate le già riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, rideterminava la pena inflitta all’imputato S.G.D. nella misura di 10 mesi di reclusione, confermava nel resto. Condannava in solido l’imputato e il responsabile civile alla rifusione delle spese sostenute nel grado di appello dalle parti civili costituite, che liquidava nella complessiva misura di 3.600 euro per compensi, oltre accessori di legge.
Il Tribunale in composizione monocratica di Sassari, aveva dichiarato in primo grado S.G.D. responsabile del delitto di cui all’art. 589 I e II co., cod. pen., perché, quale, datore di lavoro di P.G. e D.S., per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e violazione dell’art. 35 II co. e IV co., bis lett. a, c D.L.vo 626/94, non attuando misure per impedire che la trattrice agricola marca New Holland tipo TN95fA targ. Omissis potesse essere utilizzata secondo le condizioni per le quali non era adatte: trasporto di passeggero, non assicurando che nell’uso di tale trattrice venissero rispettate le regole di circolazione e che il trasporto del lavoratore D.S. avvenisse su posti sicuri, cagionava la morte del predetto D.S., trasportato, seduto sul parafango sinistro, sull’indicata trattrice condotta da P.G. (a bordo della quale può viaggiare solo il conducente) dalla quale il D.S. cadeva e decedeva per trauma da schiacciamento del torace, travolto da una ruota; con l’aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; in Sorso il 12.9.2006.
L’imputato veniva condannato, alla pena (condizionalmente sospesa) di 1 anno e 3 mesi di reclusione (riconosciute le attenuanti generiche per l’incensuratezza e le condizioni di vita e stimate equivalenti alla contestata aggravante), nonché al risarcimento del danno (in solido con la responsabile civile “Gruppo Generali S.p.A.”), da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili costituite Omissis.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei propri difensori di fiducia, S.G.D., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Mancanza, insufficienza, contraddittorietà ed illogicità manifesta, anche per travisamento delle risultanze processuali, della motivazione in ordine alla responsabilità del prevenuto relativamente alla conoscenza dell’anomalo comportamento del lavoratore, alla sua accettazione ed al conseguente dovere di adottare misure per impedirlo. Violazione dell’art. 192 comma 3 c.p.p. circa la utilizzazione delle dichiarazioni del coimputato P.G..
La sentenza impugnata avrebbe disatteso tutti i motivi di appello, fondando la penale responsabilità dell’imputato, non sulla sua presenza all’atto della partenza del mezzo, affermata in primo grado, ma sulla conoscenza dell’abitudine di trasportare l’aiutante allo scarico delle cassette d’uva raccolta dalle donne, a bordo del trattore. L’imputato avrebbe omesso di illustrare i rischi dell’uso improprio del trattore ai propri operai e di controllare il rispetto delle norme di sicurezza.
La Corte distrettuale riterrebbe non dirimente l’accertamento della circostanza che l’imputato avesse visto il D.S. salire sul trattore, in quanto tale condotta sarebbe stata prevedibile.
Il datore di lavoro avrebbe espressamente conferito il compito di aiutare il conducente nel trasporto delle cassette fino alla cantina sociale e di aiutarlo nello scarico delle stesse. Tale assunto sarebbe fondato sulle dichiarazioni del P.G., le cui dichiarazioni avrebbero dovuto essere valutate prudentemente in relazione alla loro attendibilità intrinseca ed estrinseca ed avrebbero dovuto essere comparate con le atre risultanze probatorie.
In ogni caso, poi, aggiunge il ricorrente, lo stesso P.G. non avrebbe mai precisato chi gli avesse assegnato il compito.
L’imputato, giovane avvocato, sarebbe succeduto, in veste formale di amministratore dell’azienda, alla madre B.L., ma i dipendenti avrebbero sempre riconosciuto come capo l’avvocato Giorgio, padre dell’imputato.
Nella deposizione ai CC G.S. sarebbe stato indicato come capo, presente alla partenza del trattore, e non il figlio S.G.D.. Pacifico sarebbe stato, poi, che l’unico responsabile del trasporto dell’uva era il P.G..
Lo stesso P.G. avrebbe dichiarato di aver proposto al D.S. di utilizzare, per l’accompagnamento alla cantina sociale, la propria auto.
La sentenza impugnata, però, adopererebbe in maniera parziale e strumentale la deposizione resa.
Il P.G. non avrebbe mai affermato che il compagno aiutante D.S., gli sarebbe stato assegnato dallo S.G.D.; inoltre, vi sarebbero stati altri due soggetti che avrebbero potuto farlo: il dominus avvocato G.S. e la fattora capo del personale C.G..
Ancora più arbitraria sarebbe la deduzione, contenuta in sentenza, che l’assegnazione avrebbe comportato sia l’accompagnamento alla cantina sociale che il tragitto compito sul parafango del trattore.
Il ricorrente conclude che l’operazione posta in essere dalla vittima non sarebbe stata nell’interesse del datore di lavoro, essendo pericolosissima ed intollerabile, ma sarebbe stata imprevedibile e non vi sarebbe prova che lo S.G.D. ne fosse a conoscenza, tantomeno che l’avesse disposta o tollerata.
La corte territoriale nell’affermare che il trattore sarebbe stato l’unico mezzo a disposizione per raggiungere la cantina sociale, mutilerebbe illegittimamente la deposizione del P.G..
La sentenza utilizzerebbe nella motivazione l’esistenza di una prassi che avrebbe avuto mezzo e protagonisti diversi ed ometterebbe di motivare sull’offerta della propria auto fatta dal P.G. al D.S..
La condotta del D.S., sconsigliato dal P.G. compagno di lavoro, sarebbe stata un fatto abnorme e tale da escludere qualsiasi nesso causale con le presunte omissioni del datore di lavoro, con conseguente obbligo di assoluzione per insussistenza del fatto.
b. Mancanza totale di motivazione in ordine alla circostanza che, in ogni caso, l’incidente occorso al D.S. non può essere considerato come avvenuto in itinere, il che fa venir meno la rilevanza delle eventuali colpevoli omissioni in capo al datore di lavoro. Con conseguente identica formula assolutoria di insussistenza del fatto.
Il ricorrente deduce di aver rilevato fin dal primo grado di giudizio che il viaggio, nel quale avveniva l’incidente, sarebbe stato l’ultimo della giornata lavorativa.
La stessa sentenza impugnata darebbe atto che l’imputato stava riaccompagnando a casa le donne, che avevano terminato la raccolta dell’uva, mentre avveniva la partenza del trattore.
Pertanto anche l’eventuale esigenza di aiuto al P.G. per lo scarico delle casette, sarebbe terminata, così come terminata era la giornata lavorativa per il D.S., il quale doveva solo tornare a casa per il pranzo.
Esigenza, quest’ultima, esclusivamente personale e non riconducibile alla posizione di garanzia del datore di lavoro.
La scelta di riprendere a viaggiare sul parafango, allorquando il trattore aveva l’intero carrello ormai vuoto, sarebbe dovuta solo alla giovanile sconsideratezza dei lavoratori.
L’INAIL avrebbe negato la ricorrenza della condizione che l’incidente si fosse verificato in itinere e la liquidabilità della relativa indennità.
Il datore di lavoro con l’assicurazione del veicolo avrebbe coperto la responsabilità civile del conducente.
Gli interessi dei familiari della vittima sarebbero stati doppiamente assicurati con la condanna irrevocabile del conducente, unico responsabile, e dell’assicurazione.
La corte di appello avrebbe omesso di considerare che l’evento si sarebbe verificato dopo la conclusione della giornata lavorativa.
c. Mancanza assoluta di motivazione in ordine alla domanda subordinata avanzata dalla difesa nei motivi di appello e riassunta dalla sentenza (pag. 1 motivazione, lettera b) nel modo seguente: “rideterminare la pena tenendo conto del concorso colposo della p.o.”.
La Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’esistenza del concorso di colpa, né l’onere di motivazione può ritenersi assolto nella parte in cui, equivocando su concetti diversi, ritiene che il comportamento colposo della vittima non eliderebbe il nesso di causalità.
L’inesistenza dei presupposti per l’elisione del nesso dì causalità rispetto al comportando del datore di lavoro non può confondersi con l’assenza di concorso da parte della vittima nella produzione dell’evento.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Il ricorrente deduce vizio motivazionale, ma, in realtà, propone una rivalutazione del fatto che non può trovare ingresso in questa sede.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari – sez. dist. di Sassari alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto di come l’evento mortale di cui al caso in esame fosse senz’altro riconducibile alla condotta colposa dell’imputato, che pur essendo titolare dell’azienda agricola e datore di lavoro della vittima (nonché del conducente del trattore e di numerosi altri operai) – quindi investito di una posizione di garanzia – era stato negligente nell’organizzazione dei lavori aziendali e aveva violato le regole cautelari dettate dalla norma richiamata nel capo d’imputazione, attualmente ribadite dal d.lgs. 81/08, omettendo di impartire disposizioni precise e chiare circa le modalità di conferimento dell’uva alla cantina sociale, di mettere a disposizione degli operai preposti all’incombente mezzi adeguati (aziendali o di proprietà di terzi, ma sicuramente e costantemente fruibili e, soprattutto, specificamente predisposti per la bisogna e come tali indicati ai dipendenti), di illustrare ai propri operai i rischi di un uso improprio della trattrice agricola usualmente condotta da P.G., di controllare il rispetto di tutte le norme di sicurezza.
La Corte territoriale ricorda come dal l’istruttoria sia emerso in maniera univoca, in particolare attraverso le raccolte testimonianze, che, data la mole della frutta da conferire, P.G. era sempre aiutato da altri operai per caricare l’uva sul trattore e da uno di essi, che lo accompagnava appositamente fino alla cantina sociale, per scaricarla una volta arrivati a destinazione (modalità di lavoro costantemente seguite anche negli anni precedenti).
Era stato anche appurato che il giorno del fatto, tale operaio era D.S., al quale, come emergente dalla deposizione dello stesso P.G., era stato espressamente conferito tale incarico (“mi era stato assegnato”).
L’attività della vittima – rilevano dunque logicamente i giudici del gravame- non solo era svolta nell’interesse del datore di lavoro (circostanza pacifica), ma rientrava specificamente nelle mansioni alla stessa assegnate (in coerenza, del resto, con le evidenti necessità aziendali, di cui comunque il prevenuto, nella sua qualità, avrebbe dovuto tenere conto).
Era altresì emerso in maniera sostanzialmente univoca (nonostante talune comprensibili reticenze da parte di soggetti tuttora alle dipendenze dell’imputato) che unico mezzo posto a disposizione dall’imprenditore agricolo (in tal senso è stato giudicato ininfluente, ai fini che ci occupano, che il medesimo svolgesse anche attività professionale forense) era una trattrice agricola su cui poteva regolarmente prendere posto solo il conducente.
Non può considerarsi dimostrato, infatti, secondo la ricostruzione offerta nella coerente motivazione dei giudici del merito, che S.G.D. avesse predisposto, per il trasporto dell’operaio che doveva aiutare P.G. a scaricare la frutta, apposita autovettura e precisamente quella di D.C. (non ve ne erano altre), posto che fra tanti testimoni escussi solo G.C. aveva tentato dì sostenere (peraltro, con molta incertezza e con intime contraddizioni, finendo per trincerarsi dietro una pretesa ignoranza delle modalità di trasporto dell’uva) tale circostanza, che era stata significativamente negata dallo stesso D.C., il quale, d’altro canto, aveva indicato un altro elemento rilevante nell’ottica accusatoria, cioè che solo dopo l’incidente in cui D.S. aveva perso la vita, S.G.D. gli aveva chiesto di far utilizzare il suo veicolo all’operaio incaricato di aiutare il trattorista a caricare e scaricare la merce.
4. La Corte territoriale sviluppa logicamente il proprio ragionamento dando conto di come in tale contesto, caratterizzato da carenze organizzative, violazione di norme cautelari e conseguente situazione di pericolo, non fosse dirimente stabilire se l’imputato avesse visto D.S. prendere posto sul trattore, atteso che siffatta condotta, in quelle condizioni e con le indicate esigenze produttive, era tutt’altro che imprevedibile (di fatto, non vi erano, e comunque non erano state indicate, altre possibilità).
Viene anche dato atto essere emerso da numerose deposizioni (quelle di Omissis) che il trasporto del secondo operaio sul medesimo trattore rappresentava una prassi consolidata e oltretutto conosciuta dallo stesso prevenuto (vengono richiamate in motivazione tutte le testimonianze indicate, tranne quella di M., che comunque non si pone in contrasto con le altre, facendo riferimento a un unico episodio, nel quale l’imputato non era presente perché in quel momento – evidentemente al termine della giornata o della mattinata lavorativa – impegnato ad accompagnare a casa alcune dipendenti).
Viene anche logicamente confutato l’assunto difensivo con cui si era sostenuto che in precedenza fosse stata utilizzata una trattrice dotata di alloggiamento per un terzo trasportato, rilevandosi che il documento prodotto in appello (libretto di circolazione di una trattrice agricola) non dimostrava affatto tale circostanza, che comunque viene ritenuta ininfluente a fini difensivi, lasciando immutata la posizione di garanzia dell’imputato e la colposa inosservanza, da parte sua, di regole cautelari, generiche e specifiche, destinate a impedire il verificarsi di eventi come quello in contestazione (concretizzazione del rischio).
Secondo i giudici del gravame del merito risulta evidente, infatti, che l’eventuale modifica del mezzo agricolo, con l’eliminazione del posto per un trasportato, senza previsione delle modalità con le quali l’ausiliario del trattorista avrebbe dovuto raggiungere la cantina sociale di Sorso, e senza la predisposizione dei mezzi adeguati, non potrebbe in alcun modo esimere da responsabilità il datore di lavoro.
La sentenza impugnata opera, dunque, un’attenta ricostruzione dei fatti e delle risultanze processuali motivando sull’attendibilità delle deposizioni testimoniali e sulle doglianze di appello.
Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso, in quanto, anche se l’incidente è avvenuto al termine della giornata lavorativa, è acclarato che gli operai stavano facendo ritorno alla vigna.
5. In ultimo va rilevato che la sentenza richiama per relationem, esplicitamente, a pag. 7, la pronuncia di primo grado, le cui considerazioni vengono ritenute dai giudici sassaresi condivisibili e fatte proprie.
Sul punto va ricordato che per giurisprudenza pacifica di questa Corte di legittimità, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte sez. 2 n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2. 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'”ossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Deivai, rv. 223061).
E’ stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n. 9242 dell’8.2.2013, Reggio, rv. 254988).
Peraltro, nel caso in esame la Corte territoriale, come visto, non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado.
Infondato, in tal senso. È anche il motivo di ricorso riguardante la motivazione sull’esistenza del concorso di colpa, motivo che peraltro -come si evince dall’atto di appello del 15.3.2012- era stato proposto in maniera generica ed alquanto aspecifica.
La lettura unitaria delle sentenze di primo e di secondo grado evidenzia, infatti, l’implicita esclusione di quest’ultimo, in particolare laddove i giudici del merito danno atto che la prassi del trasporto del passeggero sul trattore non solo era tollerata, ma addirittura imposta (in tal senso, in particolare, la testimonianza di Omissis).
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili Omissis che liquida come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili Omissis che liquida in complessivi euro 4500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 16 dicembre 2015