Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 03 febbraio 2016, n. 4513

L’art. 71 D.Lgs. 81/2008 -già in vigore al momento del fatto- fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Cass. Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013); e, nella specie, è pacifico che la rulliera girevole era sprovvista di dispositivi di protezione idonei. L’assunto secondo cui la macchina aveva funzionato senza cagionare problemi per oltre 10 anni non esime da responsabilità il L.G., atteso che l’utilizzazione di un macchinario non conforme alle disposizioni a tutela della sicurezza, ancorché protratta nel tempo senza incidenti e anche qualora sia risultata esente da censure in occasione di precedenti ispezioni, non esime da responsabilità il datore di lavoro o il soggetto cui è demandata nell’ambito dell’impresa la cura della prevenzione degli infortuni sul lavoro (si rinvia, in tal senso, a Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32128 del 06/05/2011 Ud. -dep. 17/08/2011- Rv. 251456); la giurisprudenza di questa Corte afferma inoltre che, ai fini dell’esclusione di responsabilità del datore di lavoro, è necessaria la compresenza dei due requisiti costituiti dalla conformità del macchinario alle disposizioni in tema di sicurezza e dalla persistenza nel tempo delle condizioni di sicurezza del macchinario stesso (Cass. Sez. 3, n. 46784 del 10/11/2011 – dep. 19/12/2011, Lanfredi, Rv. 251620).
Oltre a ciò, la Corte di merito ha convenientemente osservato che il dipendente M.L., al momento dell’Infortunio, stava operando nelle mansioni affidategli e non vi è quindi spazio per ritenerne la condotta abnorme o esorbitante dai suoi compiti.


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 16/12/2015

Fatto

Con sentenza in data 12 giugno 2015, la Corte di Appello di Milano – Sezione Quinta penale- confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Milano, in data 18 febbraio 2015, aveva condannato L.G. alla pena di mesi uno di reclusione (pena sospesa e non menzione) in relazione a delitto p. e p. dagli artt, 590, commi 1, 2, 3 e 5 cod.pen., commesso il 25 giugno 2008 nella sua qualità di amministratore delegato per la sicurezza del lavoro della M. S.P.A..
Il fatto in relazione al quale il L.G. è stato condannato è consistito in un incidente occorso al dipendente M.L.: il quale, addetto alla reggitura dei coils nei pressi di una rulliera girevole -priva di sistemi di protezione o di sistemi idonei a impedire l’accesso alla zona ove vi era pericolo di schiacciamento, in violazione del disposto dell’art. 71 comma 1 D.Lgs. 81/2008 – vi rimaneva intrappolato, riportando trauma da schiacciamento alla coscia sinistra, con inabilità al lavoro per oltre 40 giorni.
Avverso la sentenza d’appello ricorre il L.G., tramite il suo difensore di fiducia. Il ricorso è articolato in due motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 530 comma 2 c.p.p., anche per travisamento della prova. In particolare, si duole del fatto che non fosse ragionevole pretendere dal L.G. una condotta diversa da quella abitualmente tenuta, nella specie in riferimento all’uso di un macchinario che era stato utilizzato senza alcun problema per oltre 10 anni, riguardo al quale le griglie di protezione non erano inizialmente obbligatorie, e che doveva essere usato da due lavoratori, di cui uno -quello “ai comandi”- doveva verificare che l’area di lavoro fosse sgombra prima di azionare il meccanismo. Lamenta inoltre il ricorrente che non sarebbero stati eseguiti i necessari approfondimenti circa l’organigramma della società, atteso che il L.G. non era “amministratore delegato per la sicurezza sul lavoro della M. S.P.A.”, e che detta qualità sarebbe stata coniata solo ed esclusivamente dall’accusa al fine di attribuire alla figura apicale una responsabilità che sconfina quasi in quella oggettiva.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del disposto di cui all’art. 62 n. 2 c.p. (probabilmente intendendosi riferire all’art. 62 n. 6 c.p.), attenuante non applicata pur in presenza di un satisfattivo ristoro del danno in favore del danneggiato a cura della compagnia assicuratrice Allianz S.P.A. per conto dell’assicurata M. S.P.A.: viene censurato il fatto che il diniego dell’attenuante sia stato motivato sul rilievo che non era stata comunicata l’esatta entità della somma ricevuta dal danneggiato, che avrebbe potuto essere indotto a rendere tali dichiarazioni dal datore di lavoro, dal quale ancora dipende.

Diritto

Si premette che, in presenza di “doppia conforme” (come nel caso di specie), il vizio di travisamento della prova è deducibile sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Cass. Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013 – dep. 06/11/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837; nello stesso senso, Sez. 4, Sentenza n. 5615 del 13/11/2013 Ud. -dep. 04/02/2014- Rv. 258432; Sez. 4, Sentenza n. 4060 del 12/12/2013 Ud. -dep. 29/01/2014 – Rv. 258438).
Ciò posto, il primo motivo di ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato e, per certi versi, caratterizzato da aspecificità.
Quanto alla posizione di garanzia del L.G., il rituale richiamo per relatìonem della Corte di Appello alla sentenza di primo grado consente di constatare che quest’ultima fornisce puntuale riscontro degli atti societari in forza dei quali il L.G. era stato designato amministratore delegato per la sicurezza, con autonomo potere di spesa sino all’importo di 50.000 euro annui (Verbale CdA in data 13.7.2005 e visura camerale della società). Né del resto il ricorrente ha allegato specifici elementi di contrasto con riferimento alla propria posizione di garanzia con riferimento all’organizzazione aziendale per la sicurezza o alla presenza di altri soggetti cui fosse stata conferita delega di funzioni a tal fine, essendosi limitato ad accennare genericamente al “complesso” organigramma societario. Del resto, si osserva, la Corte di merito ha rilevato che le lacune nei presidi antinfortunistici nella specifica unità produttiva -evidenziate anche da relazione ispettiva ASL- erano ben note al ricorrente, al punto che questi aveva commissionato le protezioni necessarie, così dimostrando piena consapevolezza dell’irregolarità del macchinario.
Quanto alla disposizione cautelare violata, l’art. 71 D.Lgs. 81/2008 -già in vigore al momento del fatto- fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Cass. Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013); e, nella specie, è pacifico che la rulliera girevole era sprovvista di dispositivi di protezione idonei. L’assunto secondo cui la macchina aveva funzionato senza cagionare problemi per oltre 10 anni non esime da responsabilità il L.G., atteso che l’utilizzazione di un macchinario non conforme alle disposizioni a tutela della sicurezza, ancorché protratta nel tempo senza incidenti e anche qualora sia risultata esente da censure in occasione di precedenti ispezioni, non esime da responsabilità il datore di lavoro o il soggetto cui è demandata nell’ambito dell’impresa la cura della prevenzione degli infortuni sul lavoro (si rinvia, in tal senso, a Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32128 del 06/05/2011 Ud. -dep. 17/08/2011- Rv. 251456); la giurisprudenza di questa Corte afferma inoltre che, ai fini dell’esclusione di responsabilità del datore di lavoro, è necessaria la compresenza dei due requisiti costituiti dalla conformità del macchinario alle disposizioni in tema di sicurezza e dalla persistenza nel tempo delle condizioni di sicurezza del macchinario stesso (Cass. Sez. 3, n. 46784 del 10/11/2011 – dep. 19/12/2011, Lanfredi, Rv. 251620).
Oltre a ciò, la Corte di merito ha convenientemente osservato che il dipendente M.L., al momento dell’Infortunio, stava operando nelle mansioni affidategli e non vi è quindi spazio per ritenerne la condotta abnorme o esorbitante dai suoi compiti.
Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è parimenti inammissibile perché manifestamente infondato.
Pur volendo prescindere dall’orientamento giurisprudenziale -peraltro non pacifico- secondo il quale la circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen. non può essere riconosciuta in subiecta materia allorquando il risarcimento del danno sia stato effettuato dalla compagnia assicuratrice del datore di lavoro in virtù di contratto stipulato da quest’ultimo (Cass. Sez. 4, n. 27006 del 09/06/2015 – dep. 25/06/2015, Locatelli, Rv. 263878), va tuttavia osservato che correttamente la Corte di merito, richiamando in ciò la sentenza di primo grado, ha negato la concessione dell’attenuante sul rilievo che il risarcimento è stato unicamente riferito dalla persona offesa, ma senza alcuna indicazione circa il relativo ammontare, laddove per pacifica giurisprudenza di questa Corte la valutazione in ordine alla congruità del risarcimento, ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., è rimessa all’apprezzamento del giudice (ex multis, Cass. Sez. 2, n. 9143 del 24/01/2013 – dep. 26/02/2013, Corsini e altri, Rv. 254880): ciò in quanto è solo l’organo giudicante a poter desumere, attraverso la portata satisfattiva del ristoro offerto (nelle diverse voci che lo compongono, tanto patrimoniali quanto non patrimoniali), l’effettiva resipiscenza dell’imputato e la sua meritevolezza del più benevolo trattamento sanzionatorio.
È perciò esente da censure la decisione adottata sul punto nella sentenza impugnata, non essendo emersi in sede di merito elementi tali da consentire ai giudici di effettuare le debite valutazioni sul punto, e ciò assume rilievo anche in relazione alla circostanza -debitamente considerata dalla Corte territoriale- che la persona offesa è tuttora dipendente dalla stessa ditta (il che potrebbe aver comportato un condizionamento nei confronti della sua libertà dichiarativa in proposito); circostanza che avrebbe reso vieppiù necessario mettere a disposizione dell’organo giudicante elementi conoscitivi specifici sull’entità del risarcimento.
Per le suesposte ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile e, per l’effetto, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che stimasi equo determinare in € 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2015.

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