Cassazione Penale, Sez. 4, 03 ottobre 2016, n. 41313

Infortunio con l’impianto di essiccazione a causa dell’apertura “passamano”. Amputazione dell’avambraccio del lavoratore “in nero”. Proprietario, costruttore, installatore, progettista, utilizzatore…


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 02/02/2016

Fatto

1. Con sentenza del 16 dicembre 2014 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma di quella del Tribunale di Como del 12 luglio 2013, che aveva condannato tutti gli imputati citati a giudizio (cioè: A.F., E.D., O.J., O.R., S.R., SA.R., F.N., G.M. e G.R.T.; nelle qualità di cui si dirà) alle pene ritenute di giustizia in relazione al reato di lesioni colpose gravissime in danno di A.A., sentenza impugnata da tutti tranne che da G.M. (per la quale è passata in giudicato il 30 gennaio 2014), ha ridotto la sanzione ad O.J. e a G.R.T., confermando nel resto la sentenza di primo grado e condannando gli imputati al pagamento delle spese processuali ed alla refusione di quelle sostenute dalle due parti civili (l’infortunato e l’I.N.A.I.L.).
2. Il processo trae origine da un gravissimo infortunio – amputazione traumatica dell’avambraccio sinistro – occorso il 27 settembre 2009 al signor A.A. mentre si trovava intento a lavorare presso un impianto di essicazione di legna in Guanzate (CO).
L’accusa mossa a tutti gli imputati (in cooperazione colposa tra di loro ed anche con M.B., tecnico alle dipendenze della ditta Officine DS. e collaudatore del suddetto impianto – certificato del 10 settembre 2009 – e che ha definito la propria posizione con rito alternativo) è di lesioni colpose gravissime, per negligenza, imprudenza, imperizia e per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e si sostanzia:

quanto ad A.F. e ad E.D.,
in qualità, il primo, di presidente del consiglio di amministrazione e, la seconda, di consigliere della ditta T. s.r.l. e in tale veste di costruttori della macchina denominata “essicatoio convenzionale per l’essicazione del legno”, anno di costruzione 2008, composta essenzialmente da tre parti (1. impianto di essicazione; 2. sala caldaia e sala controllo; 3. caldaia usata a scarti di legno modello “Athena”), macchina venduta nel 2008 alla ditta I.A.H. (da ora in poi, per brevità, indicata come ditta I.A.H.) ed utilizzata dalla s.r.l. Te.;
– per avere fabbricato, immesso sul mercato e venduto la suddetta macchina non corrispondente alle disposizioni vigenti in materia, in quanto:
l’apertura, denominata “passamano”, presente nel raccordo in lamiera installato tra il “dosatore” e la “coclea” di alimentazione, non era realizzata e protetta in modo tale da impedire che il lavoratore A.A. raggiungesse con un braccio la zona pericolosa presente all’interno del dosatore, che presentava rischi di schiacciamento e di cesoiamento degli arti;
i costruttori non avevano provveduto alla redazione ed alla consegna, all’atto della cessione, del manuale di uso e di istruzioni e della dichiarazione “CE” di conformità relativi alla macchina in questione;

quanto ad O.J.,
in qualità di titolare della ditta I.A.H., con sede in Svizzera, ed in tale veste di proprietario della suddetta macchina, concessa in uso nei 2008 alla s.r.l. Te.;
– per avere concesso in uso alla ditta Te. s.r.l. la suddetta macchina non corrispondente alle disposizioni vigenti in materia, in quanto:
l’apertura, denominata “passamano”, presente nel raccordo in lamiera installato tra il “dosatore e la “coclea” di alimentazione, non era realizzata e protetta in modo tale da impedire che il lavoratore A.A. raggiungesse con un braccio la zona pericolosa presente all’interno del dosatore, che presentava rischi di schiacciamento e di cesoiamento degli arti;
ed anche per avere concesso in uso la citata macchina, bene assoggettato alla procedura di attestazione di conformità, senza che fosse accompagnata, a cura dello stesso, dalla relativa documentazione, in particolare la “dichiarazione CE di conformità” e il “manuale uso e istruzioni” redatti dal costruttore della macchina;
 

quanto a O.R., S.R. e SA.R.,
in qualità di presidente del consiglio di amministrazione, il primo, e di consiglieri, gli altri due, della ditta Officina DS. s.r.l. ed in tale veste installatori e collaudatori della suddetta macchina nonché costruttori del “raccordo” in lamiera installato tra il “dosatore del combustile” della macchina e la “coclea” (certificato di avviamento e collaudo del 10 settembre 2009 a firma del tecnico M.B.);
– per avere installato e collaudato la citata macchina senza attenersi alle norme a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti; in particolare, l’apertura denominata “passamano” presente nel “raccordo” in lamiera, costruito ed installato tra il “dosatore” e la “coclea” di alimentazione, non era realizzata e protetta in modo tale da impedire che il lavoratore A.A. raggiungesse con un braccio la zona pericolosa presente all’interno del dosatore, che presentava rischi di schiacciamento e di cesoiamento degli arti;
 

quanto a F.N.,
tecnico alle dipendenze della ditta Officina DS. s.r.l., progettista del citato raccordo;
– per avere progettato il suddetto “raccordo” in lamiera senza attenersi alle norme a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro; in particolare, l’apertura denominata “passamano” non era realizzata e protetta in modo tale da impedire che il lavoratore A.A. raggiungesse con un braccio la zona pericolosa presente all’interno del dosatore, che presentava rischi di schiacciamento e di cesoiamento degli arti;
 

quanto a G.M., S.B. e G.R.T.,
in qualità di presidente del consiglio di amministrazione, la prima, e di amministratore delegato, il secondo, della Te. s.r.l. e in tale veste di utilizzatori della suddetta macchina nonché datori di lavoro “in nero” di A.A. (ove occorre dare atto che G.M. non ha presentato appello alla sentenza di condanna di primo grado e che S.B. ha definito la propria posizione con applicazione di pena su richiesta), e G.R.T., in qualità di datore di lavoro “di fatto” del “lavoratore in nero” A.A.;
– per avere messo a disposizione del lavoratore, in seguito infortunatosi, l’impianto di essicazione non idoneo ai fini della salute e della sicurezza: in particolare, l’alimentatore della caldaia del forno di essicazione presentava delle zone accessibili e pericolose, segnatamente l’apertura detta “passamano” presente nel raccordo installato tra il “dosatore” e la “coclea” di alimentazione, non era realizzata e protetta in modo tale da evitare che il lavoratore A.A. raggiungesse con un braccio la zona pericolosa presente all’interno del dosatore, che presentava rischi di schiacciamento e di cesoiamento degli arti;
e per non avere provveduto affinché il lavoratore “in nero”, poi infortunatosi, incaricato dell’uso della suddetta attrezzatura, disponesse di ogni necessaria informazione ed istruzione e che ricevesse formazione ed addestramento adeguati in rapporto alla sicurezza;
e per non avere fornito allo stesso lavoratore un’adeguata informazione sui rischi specifici cui era esposto in relazione all’attività svolta;
ed anche per non avere fornito al medesimo una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni;
cosicché A.A., lavoratore “in nero” incaricato delle operazioni di carico e scarico della legna dall’Impianto di essicazione, nell’atto di liberare l’ostruzione di materiale che si era realizzata all’interno del silos di carico, infilava il braccio sinistro all’interno dello stesso, attraverso l’apertura presente nella parte superiore del raccordo di metallo installato tra la “coclea” di trasporto del materiale e il silos stesso e veniva in contatto con la barra di acciaio, detta “ghigliottina”, di spinta della segatura del predetto raccordo verso la coclea di alimentazione, che gli procurava l’amputazione dell’avambraccio sinistro.
3. Le sentenze di primo e di secondo grado analizzano i dati istruttori raccolti mediante testimonianze, esame dei consulenti, documenti ed esame degli imputati e, anche alla luce delle osservazioni delle parti, giungono concordemente, con ampia motivazione, ad affermare la penale responsabilità di tutti gli imputati.
4. Ricorrono tempestivamente per cassazione A.F., E.D., G.R.T., O.J. e F.N., che avanzano una pluralità di censure già sottoposte alla Corte di appello e da questa disattese e chiedono l’annullamento, senza o con rinvio, della sentenza.
I ricorsi presentati evocano le categorie della inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche (leggi speciali, codice civile) di cui occorre tenere conto nell’applicazione della legge penale (art. 606, comma, lett. b, cod. proc. pen.) e della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).
4.1. Quanto ad A.F. e a E.D., coniuge del primo, si censura la decisione perché erroneamente si sarebbe nelle sentenze di merito considerata la ditta T. costruttore e produttore dell’intero impianto, mentre sarebbe, in realtà, costruttore e produttore del solo essicatoio, scollegato dall’impianto di alimentazione, segnalando altresì che: l’infortunio è accaduto in un elemento di raccordo non costruito dalla T.; il dosatore sarebbe stato reperito ed installato autonomamente da Te.; il raccordo fu realizzato da Te. quando T. aveva già terminato la parte di sua competenza e non era presente in loco; T. avrebbe, dunque, fornito una macchina in regola e collaudato solo la parte di propria competenza della macchina complessa in questione, senza che la presenza di A.F. ai collaudi delle altre parti dell’impianto abbia il significato che vi riconnettono le sentenze di merito, essendo stato, in realtà, l’imputato presente solo per la necessità di accendere e di verificare il funzionamento della macchina fornita da T. una volta che erano stati apposti il dosatore e la coclea decisi dalla Te.; la Corte avrebbe al riguardo del collaudo frainteso, capovolgendone il contenuto, il senso di una e-mail inviata da A.F. a O.J. segnalandogli la manomissione e che, anziché come prova di lodevole scrupolo dell’imputato, viene utilizzata come assunzione di garanzia da parte della T.; il raccordo con il dosatore esterno, in definitiva, è stato eseguito senza interpellare la T. e poi ulteriormente modificato da Te..
Si sottolinea anche che non si sarebbe tenuto nel debito conto il fatto, stimato decisivo dal ricorrente, poiché elemento interruttivo della catena causale, che l’utilizzatore s.r.l. Te., dopo il completamento dell’impianto, avrebbe agito sul raccordo togliendo lo sportellino che il tecnico M.B., dipendente della ditta Officine DS., aveva realizzato su progetto di F.N.: ove, infatti, vi fosse stato lo sportellino, il lavoratore non avrebbe potuto inserire il braccio nell’apertura.
Infine, si lamenta violazione di legge, penale e civile, ed illogicità della motivazione per la condanna in solido di tutti gli imputati al pagamento della provvisionale a favore dell’infortunato e dell’I.N.A.I.L., senza tenere conto del diverso grado di responsabilità di ciascuno in quanto occorso e della conseguente necessità di operare una ripartizione in base alle percentuali di colpa di ciascuF.N.
4.2. Il ricorso di G.R.T. si duole, in primo luogo, dell’avere la decisione di merito ricostruito i fatti privilegiando l’attendibilità della persona offesa e di un altro teste (M.) a scapito dell’attendibilità di altri testimoni (B. e D.) a proposito del ruolo di datore di lavoro del ricorrente, che pure pochi mesi prima del fatto aveva dato le dimissioni dal consiglio di amministrazione della società; con il risultato, si sostiene, di una prova travisata.
Richiamato poi un passaggio della deposizione di un teste della A.S.L. (A.), si assume che nella sentenza di merito manchi la prova: che la parte lesa lavorasse per la Te.; che la parte lesa fosse addetta allo sblocco dell’essicatore; che T. fosse amministratore di fatto della Te..
In subordine, si addita la motivazione a carente ed illogica in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche all’imputato.
4.3. O.J. censura l’interpretazione offerta da entrambi i giudici di merito come “collaborazione e rimborso” del contratto intercorso tra la società N,, di cui l’imputato è titolare, e la s.r.l. Te., mentre si sarebbe, ad avviso del ricorrente, in presenza di una locazione finanziaria, come del resto ritenuto dal funzionario A.S.L. A., autore di un sopralluogo il giorno dopo il sinistro: in conseguenza, in applicazione dell’art. 23 d.l.vo n. 81 del 9 aprile 2008, il locatore N. avrebbe solo ed esclusivamente dovuto accompagnare i beni con la documentazione relativa alla attestazione di conformità della macchina prodotta da T.; e nulla più.
In linea subordinata, si censura la motivazione che ha condotto alla individuazione della pena, che appare al ricorrente eccessiva, non potendosi trarre elementi di segno negativo dall’avere ricevuto la e-mail dalla T. senza essersi tempestivamente attivato, anche perché l’imputato è cittadino svizzero di lingua tedesca, che non parla l’italiano (tanto che nel processo è stato nominato un interprete), sicché potrebbe non averne compreso esattamente il contenuto.
4.4. F.N., infine, censura la sentenza nella parte in cui fa riferimento alla presenza di un’apertura nella parte superiore del macchinario, in corrispondenza del punto in cui, al momento del sinistro, veniva rinvenuto uno sportello con chiusura a moietta non rispettosa della disciplina legislativa specifica, e nella parte relativa alla sussistenza di una condotta colposamente attribuibile all’imputato, per essere la ricostruzione fattuale basata sull’errato apprezzamento da parte del giudice di merito sia di quanto rappresentato in una fotografia del macchinario messa a disposizione da Officine DS. e raffigurante la parte opposta dell’oggetto rispetto a quella in cui si trovava l’apertura sia del contenuto delle dichiarazioni rese a dibattimento dai testimoni C. e B.. La mancata esatta comprensione del contributo ricostruttivo offerto dal teste B. costituirebbe, nel contempo, vizio motivazionale per «mancanza di motivazione in ordine ad elementi di notevole importanza» (così alla p. 7 del ricorso).
Contesta anche l’attribuzione del ruolo di progettista del raccordo di metallo attribuitogli dai giudici di merito sollecitando una diversa valutazione delle prove, la cui esatta portata sarebbe stata stravolta, anche perché l’imputato era un mero dipendente della ditta “Officine DS.” senza ruoli direttivi o dirigenziali e l’opera di raccordo era sicuramente precaria e destinata a soddisfare l’esigenza temporanea di verificare il funzionamento della caldaia (mera prova di accensione e spegnimento) per essere successivamente sostituita da altri soggetti.
La sentenza sarebbe, inoltre, viziata per non avere la Corte riconosciuto la prevalenza delle generiche e per avere inflitto una pena eccessivamente severa.
In subordine, si denunzia la decisione per violazione di legge, per non avere la Corte di appello applicato all’imputato, cui pure aveva riconosciuto con giudizio di mera equivalenza, le attenuanti, con sostanziale riconduzione dell’illecito di lesioni gravissime all’ipotesi-base, le sanzioni previste per il processo innanzi al giudice di pace dall’art. 52, comma 2, lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
5. Con memoria pervenuta il 21 gennaio 2016 l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ha chiesto la reiezione dei ricorsi.

Diritto

1.1 ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
1.1. Tutte le impugnazioni, a ben vedere, mirano ad una, non prevista, “rilettura” di elementi di puro fatto posti alla base delle due decisioni di merito, in vero ampiamente motivate e costituenti doppia valutazione conforme.
Nessuna delle questioni prospettate dai ricorrenti è stata trascurata dalla Corte di appello o dal Tribunale, né è stata affrontata e risolta con motivazione illogica o censurabile in sede di legittimità: alle valutazioni svolte circa la dinamica dell’infortunio, basate su una lettura congrua delle fonti di prova testimoniali, documentali e fotografiche, circa le posizioni di garanzia e la colpa, anche nelle relazioni di interferenza con l’altrui agire, circa la responsabilità di ciascuno degli imputati e circa la sanzione in concreto stabilita, se ne vorrebbero sostituire altre, stimate preferibili dai ricorrenti, ma ciò non è consentito in un sistema in cui la Corte di cassazione non è strutturata come Tribunale di terza istanza.
In particolare, con riferimento agli argomenti spesi dalle difese A.F. e O.J. (sintetizzati, rispettivamente, sub n. 4.1. e 4.3. del “ritenuto in fatto”), si segnala che è questione di fatto, logicamente risolta dai giudici di merito, quella relativa all’attribuzione di un determinato significato alla presenza di A.F. al collaudo del meccanismo come risultante a seguito di plurimi interventi ed al contenuto di una e-mail dallo stesso inviata a O.J., il quale, legato da un rapporto di durata alla ditta Te., peraltro con reciproco vantaggio, una volta ricevuta da A.F. la e-maìl che costituiva un elemento di indubbio allarme, colpevolmente rimase inerte: alcuni giorni dopo accadde il grave infortunio.
Quanto ai temi delle circostanze attenuanti generiche e della migliore individuazione della pena equa, coltivati dalle difese G.R.T., O.J. e F.N. (cfr. la sintesi operata, rispettivamente, ai punti nn. 4.2., 4.3. e 4.4. del “ritenuto in fatto”), si osserva che le sentenze vi dedicano adeguata spiegazione, in particolare alle pp. 32-33 di quella di appello ed alla p. 32 di quella di primo grado.
Soltanto tre, tra le varie proposte, sono questioni di diritto in senso stretto, suscettibili di ricorso alla S.C.: la prima, sollevata dalla difesa di A.F. e E.D. (riassunta nella parte finale del punto n. 4.1. del “ritenuto in fatto”); la seconda, posta dalla difesa di O.J. (riassunto al punto n. 4.3.); l’ultima, evidenziata dalla difesa di F.N. (riassunta nella parte finale del punto n. 4.4.).
1.2. La censura circa la pretesa illegittimità o ingiustizia del vincolo della solidarietà non tiene conto del principio di diritto secondo il quale «la previsione di
cui all’art. 187, comma secondo, cod. pen. – disponendo che i condannati per uno stesso reato sono obbligati in solido al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale – impone la solidarietà nel caso di condanna di più soggetti per uno stesso reato ma non la esclude quando più condotte, sia pure a titolo diverso, abbiano concorso a cagionare un unico evento dannoso, con la conseguenza che il presupposto unificante della responsabilità solidale civile deve essere colto nell’unicità dell’evento dannoso e non nell’unicità del fatto produttivo del pregiudizio» (così Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi e altri, Rv. 261940; in conformità, v. Sez. 5, n. 18656 del 18/01/2007, Boni e altro, Rv. 236915).
1.3. Quanto secondo aspetto, incentrato sulla natura del contratto intercorso tra la società N., di cui l’imputato O.J. è titolare, e la s.r.l. Te., la questione sembra solo un problema di interpretazione della volontà negoziale delle parti contraenti, ove appare congruo e logico il ragionamento svolto dal Tribunale in primo grado (alla p. 19 della motivazione) e ripreso in appello (alle pp. 23, 27 e 31-32 della motivazione) circa la prevalenza della prospettiva di N. (di cui era titolare O.J.) di vedere incrementati i propri guadagni in virtù dei maggiori acquisti che la Te. avrebbe fatto proprio da N. (venditore in esclusiva a Te.), potendo asciugare più legna grazie al macchinario, dì capacità doppia rispetto al precedente, che la N. acquistava e contemporaneamente metteva a disposizione di Te., su quella di finanziamento puro semplice.
1.4. In ordine all’ultima questione, con oggetto violazione di legge per non avere la Corte di appello applicato all’imputato, cui pure aveva riconosciuto con giudizio di mera equivalenza le attenuanti, con sostanziale riconduzione dell’illecito di lesioni gravissime all’ipotesi-base, le sanzioni previste per il processo innanzi al giudice di pace dall’art. 52, comma 2, lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, va anzitutto precisato che il richiamo giurisprudenziale operato dal Difensore (alla p. 15 del ricorso) non è pertinente, perché riguarda un caso di diffamazione (cfr. infatti Sez. 5, n. 28006 del 18/05/2004, Bartoccelli, Rv. 228712).
Va, in ogni caso, affermato, che, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 274 del 2000, le lesioni colpose gravissime riconducibili a violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro non sono di competenza del giudice di pace.
Al riguardo esaustiva appare la motivazione della sentenza di Sez. 1, n. 4745 del 13/01/2011, Milani, Rv. 249792, ove si precisa quanto segue: «Il D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 4, comma 1, lett. a), stabilisce che la competenza per materia in ordine al delitto di cui all’art. 590 c.p., appartiene al giudice di pace “limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni”.
Ai sensi dell’art. 590 c.p., commi 1 e 5, il delitto previsto dall’art. 590 c.p., è perseguibile a querela della persona offesa, salvo che nelle ipotesi di lesioni gravi o gravissime riconducibili a violazione delle norme per ia prevenzione degli infortuni sui lavoro o relative all’igiene dei lavoro o a colpa professionale.
Il contenuto letterale delle disposizioni in esame e la collocazione degli incisi contenuti, rispettivamente, nell’art. 4 c.p., lett. a) e nell’art. 590 c.p., comma 5, inseriti al termine della tassativa elencazione delle ipotesi di esclusione della competenza per materia del giudice di pace, consentono di affermare che il legislatore ha inteso sottrarre alla competenza dello stesso unicamente i casi di lesioni personali di maggiore rilievo – quanto alle conseguenze – connessi alla inosservanza delle norme antinfortunistiche o in materia di igiene del lavoro o, infine, alla nozione di colpa professionale, quale desumibile dai normali criteri di valutazione della colpa dettati dall’art. 43 c.p., e dall’art. 2229 c.c. (Cass., Sez. 1, 16 marzo 2004, 22712, confi., comp. in proc. Cora, rv. 228511).
Pertanto, in base all’interpretazione letterale e logico – sistematica del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 4, comma 1, lett. a), e art. 590 c.p., commi 1 e 5, è possibile affermare che rientra nella competenza per materia del giudice di pace il delitto di lesioni colpose gravi non riconducibili a violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro […]».
2. Discende, in definitiva, il rigetto dei ricorsi.
Oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, gli imputati sono tenuti alla refusione delle spese sostenute dalle parti civili vittoriose, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione in solido delle spese in favore delle costituite parti civili A.A. ed I.N.A.I.L., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida per ciascuno in complessivi € 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 02/02/2016.

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