Cassazione Penale, Sez. 4, 03 ottobre 2016, n. 41314

Infortunio mortale durante la pulizia della macchina mescolatrice. Mancanza del dispositivo di blocco antinfortunistico-fine corsa a doppia chiave.

Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 02/02/2016

Fatto

1. Con sentenza del 24 novembre 2014 la Corte di appello di Lecce ha integralmente confermato quella del Tribunale di Lecce del 12 novembre 2012, che aveva condannato alla pena stimata di giustizia G.M., titolare della omonima ditta, in concorso con altra persona (il legale rappresentante della ditta assemblatrice ed installatrice dell’impianto di betonaggio di G.M.), per avere, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionato la morte del dipendente S.C., che, intento alla pulizia della macchina mescolatrice, cadeva dentro l’apposita vasca ove le pale meccaniche di mescolamento del calcestruzzo ancora in azione lo dilaniavano provocandogli eviscerazione addominale con conseguente shock emorragico; il 17 maggio 2006.
2. Ricorre per cassazione il difensore di G.M. (la sentenza è in giudicato per il coimputato) evocando promiscuamente i parametri della inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione sia all’art. 589 cod. pen. sia all’art. 41 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ed invocando l’annullamento della sentenza.
2.1. In primo luogo il ricorrente, premesso espressamente che la Corte territoriale ha dato atto che il Tribunale ha ricostruito i fatti in modo del tutto aderente alle risultanze investigative, come peraltro già evidenziato con l’impugnazione proposta nell’interesse di G.M. (pp. 1-2 del ricorso), ritiene la motivazione viziata per avere erroneamente stimato colposa la condotta del datore di lavoro che sarebbe, invece, immune da profili di censura.
Nessun addebito potrebbe, infatti, muoversi al datore di lavoro, che ha acquistato due distinti macchinari omologati CE, un mescolatore di calcestruzzo ed un quadro elettrico, necessario a far funzionare il mescolatore, che li ha fatti installare ed assemblare da ditta specializzata (quella di cui è titolare il coimputato non ricorrente), che ha personalmente fornito ai dipendenti, in apposita giornata di formazione, indicazioni puntali sul comportamento da tenere e sui rischi.
Il profilo di colpa riconosciuto in sentenza, l’avere cioè fatto installare e messo a disposizione dei lavoratori un meccanismo che non impediva l’apertura del carter di protezione della vasca al cui interno ruotavano le pale mentre tali pericolosi organi meccanici erano ancora in movimento, sarebbe, secondo il ricorrente, infondato in quanto, secondo la difesa di G.M., il cosiddetto “dispositivo di sicurezza di fine corsa a doppia chiave”, non attivato nel caso di specie ed il cui funzionamento è descritto in sentenza, era un meccanismo, stando al manuale di istruzioni dell’impianto di produzione del calcestruzzo, meramente facoltativo ed alternativo a quello, in effetti installato, che concentrava in un unico pulsante la disattivazione delle pale. Il tempo di ulteriore movimento delle pale, pur dopo la disattivazione del pulsante di comando, in ragione della energia cinetica già presente, tempo stimato in circa 18 secondi, sarebbe, di per sé, presidio sufficiente ad evitare infortuni poiché, pur essendo a partire dal momento dalla disattivazione dell’interruttore centrale già possibile aprire il carter di protezione sovrastante la vasca, cionondimeno i 18 secondi durante i quali si protrae il movimento inerziale delle pale sarebbero un tempo inferiore a quello occorrente al lavoratore per raggiungere a piedi, dal punto in cui è concretamente collocato l’interruttore, la piattaforma sovrastante la vasca. Con la conseguenza, in definitiva, che l’intero impianto, derivante, appunto, dall’assemblaggio di due distinti meccanismi entrambi in regola, non sarebbe insicuro.
2.2. Sotto un secondo profilo si denunzia la violazione della disciplina codicistica sul nesso di causalità, poiché, secondo l’istruttoria svolta, il lavoratore, che aveva partecipato ad un apposito corso di formazione dedicato alla impastatrice, avrebbe avuto nella concreta vicenda un comportamento abnorme, atipico e, dunque, imprevedibile, tale da interrompere il nesso eziologico.

Diritto

1. Il ricorso non merita accoglimento e va rigettato.

1.1. Quanto al primo motivo, esso è infondato.
Le perplessità del ricorrente a proposito della dinamica dell’incidente e della responsabilità dell’imputato sono, a ben vedere, tutte affrontate e tutte risolte, con motivazione congrua, logica ed immune da vizi censurabili in sede di legittimità, già nella motivazione della sentenza del Tribunale (in particolare, alle pp. 11-17 e 24-25), rispetto alla quale quella di appello costituisce (v. pp. 6-15 della stessa) doppia valutazione conforme.
Si legge, infatti, nelle sentenze di merito che una serie di elementi fattuali concreti hanno condotto a ritenere l’infortunio verificatosi proprio mentre S.C. era intento a svolgere la fase lavorativa relativa alle operazioni di pulizia e lavaggio della vasca del mescolatore: la collocazione temporale (alla fine della giornata lavorativa e del ciclo produttivo dell’impianto di betonaggio); il tipo di mansioni affidate al dipendente (operaio sostanzialmente addetto al lavaggio ed alla pulizia della mescolatrice); le lesioni constatate (il corpo senza vita era stato trovato nell’imbuto della mescolatrice, con lesioni del tutto compatibili con il movimento rotante delle pale della vasca, vasca e pale che presentavano evidenti tracce di sangue); gli oggetti rinvenuti sul luogo dell’incidente (gli strumenti normalmente utilizzati per la pulizia della vasca).
Ciò posto, si è ritenuto che S.C. era caduto dentro la vasca mentre erano ancora in movimento le pale e che non è possibile che le stesse si siano attivate mentre l’operaio era addetto alle operazioni di lavaggio con lo sportello aperto, in quanto l’apertura dello sportello non solo interrompeva l’alimentazione elettrica ma impediva anche che la corrente potesse essere riattivata dal pannello di comando.
Per poter procedere alle operazioni di pulizia della vasca, occorreva, infatti, preliminarmente svuotarla completamente, ciò che accadeva aprendo la porticina di scarico, apertura che necessitava di circa 70 secondi di tempo, durante i quali non poteva essere tolta l’alimentazione elettrica, altrimenti si sarebbe bloccata la procedura di apertura stessa.
Essendo stata rinvenuta la porta di scarico completamente aperta, come risulta anche dalle foto scattate dai Carabinieri intervenuti nell’immediatezza, consegue che S.C., prima di togliere l’alimentazione elettrica, aveva atteso i 70 secondi di cui si è detto: ma, se la vittima avesse staccato in maniera corretta l’alimentazione, dato che il meccanismo ordinariamente preposto a ciò era collocato sull’interruttore generale del pannello di controllo, posto lontano dall’impastatrice, il tempo occorrente per raggiungere l’impianto e salire sulla piattaforma, calcolato in circa 32-33 secondi, sarebbe stato più che sufficiente per trovare le pale già ferme, poiché dall’istruttorie tecnica svolta è emerso che occorrevano alla stesse, a causa della forza di inerzia, circa 18 secondi per arrestarsi completamente dopo l’interruzione dell’energia elettrica.
Ne consegue che sicuramente il S.C., dopo avere aperto la porta di scarico, si è avviato verso la piattaforma senza avere, tuttavia, previamente tolto l’alimentazione alla mescolatrice; alimentazione che tolse, trovandosi già sulla piattaforma, o mediante apertura del carter o mediante azionamento del pulsante rosso, per poi iniziare, agendo dall’alto, la pulizia della vasca ma senza attendere i 18 secondi che erano necessari affinché le pale, prima in azione, si fermassero completamente: e fu qui che, perso l’equilibrio, cadde e fu dilaniato.
Così ricostruita la dinamica, si è ritenuto da parte dei giudici di merito che la macchina complessivamente messa a disposizione del lavoratore dell’imputato, benché derivante dall’unione di due meccanismi, presi in sé, conformi a regole di sicurezza, fosse in realtà non completamente sicura, proprio in quanto vi era la possibilità che il lavoratore, sia pure a seguito di condotta imprudente, magari mosso dall’intenzione di ridurre i tempi di esecuzione del lavoro, si venisse a trovare in posizione sopraelevata e con il rischio di precipitazione rispetto ad indubbia fonte di grave pericolo (taglienti pale in movimento), pericolo che si sarebbe stato invece eliminato in radice ove, ad esempio, la concreta apertura del carter fosse programmata come successiva al definitivo blocco delle pale.
E nel caso di specie si è accertato nei gradi di merito che mancava il dispositivo di blocco antinfortunistico, detto anche fine corsa di sicurezza a doppia chiave (incentrato sul necessario utilizzo di un’unica chiave da inserirsi in due distinte serrature, una lontana dall’impianto, cioè sull’interruttore generale del pannello di controllo, ed una sullo sportello della vasca di mescolazione, e che avrebbe con certezza assoluta garantito che il lavoratore potesse aprire lo sportello della vasca solo a pale ormai ferme), che era previsto dalla ditta costruttrice del miscelatore, mancanza che era, nella concreta situazione, piuttosto evidente, essendo presente sullo sportello della vasca dell’impastatrice soltanto una delle due serrature di cui il meccanismo era composto, mancando però l’altra, la cui assenza – si è ritenuto – G.M. doveva necessariamente notare: e ciò sia per l’esperienza che aveva maturato nel settore, essendo emerso dall’Istruttoria testimoniale che aveva montato nel corso degli anni cinque o sei mescolatrici sia perché era munito del libretto di istruzioni della ditta costruttrice che richiedeva, appunto, la doppia chiave.
Donde – non irragionevolmente, come si è già detto – i giudici di merito hanno desunto la colpa dell’imputato.
Discende, in definitiva, non sussistendo i vizi denunziati dal ricorrente, la reiezione del primo motivo di doglianza.
1.2 Il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile, per l’estrema genericità dello stesso, non esplicitando nemmeno in che cosa si sarebbe concretizzata l’abnorme iniziativa della vittima ipoteticamente interruttiva del nesso causale, essendo, del resto, ben noto che la disciplina antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche a fronte di condotte eventualmente imprudenti dello stesso.
3. Consegue la statuizione in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 02/02/2016.

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