Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 05 gennaio 2016, n. 16

Caduta dal tetto e decesso in ospedale. Quali responsabilità in capo al committente?


Presidente Bianchi
Relatore Dovere

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la pronuncia emessa il 18 gennaio 2012 dal Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, nei confronti di C.G. , L.M. , L.G. e D.B.A. , con la quale i medesimi erano stati dichiarati colpevoli del delitto di omicidio colposo in danno di F.G. , deceduto a seguito di infortunio sul lavoro, e previa concessione delle attenuanti generiche, giudicate equivalenti alla contestata aggravante di cui all’articolo 589, comma 2 codice penale, erano stati condannati alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno, condizionalmente sospesa, nonché al risarcimento del danno patito dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede.
Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, il 28 luglio 2006, mentre era impegnato in lavori di posa in opera di una guaina bituminosa sul tetto di un palazzo in costruzione – lavori commissionati alla ditta Italgrond s.n.c., degli imputati L. , dalla Terra Felice S.r.l., della quale era amministratore unico il D.B. mentre il C. ricopriva il ruolo di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione – F.G. , apprendista alle dipendenze della Italgrond, cadeva dalla apertura esistente sul tetto, adibita a lucernaio, precipitando per oltre due metri e riportando lesioni gravissime che, secondo i giudici di merito, ne avevano cagionato il decesso sei giorni più tardi.
2. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione il C. ed il D.B. , con unitario atto, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Gabriele Rapali.
2.1. Con un primo motivo deducono violazione di legge e vizio motivazionale per avere la Corte di appello disatteso le testimonianze del personale medico e paramedico dell’ospedale di Sant’Omero, intervenuto a seguito della caduta del lavoratore nei locali del nosocomio, nonché le risultanze della Tac eseguita nell’immediatezza del ricovero ospedaliero, così giungendo ad affermare erroneamente che il fattore causale sopravvenuto all’infortunio, costituito dalla caduta del F. nel bagno dell’ospedale di Sant’Omero, non fosse idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta ascritta ai prevenuti e l’evento morte. Soggiungono i ricorrenti che, pur volendosi astrattamente ritenere sussistente la condotta di reato come contestata ai prevenuti, questi dovevano rispondere della caduta del lavoratore nel cantiere e non della caduta accidentale nel bagno dell’ospedale che aveva provocato un ematoma subdurale dello spessore di 8 mm. in sede tempo-fronte-parietale destra, e neppure dovevano rispondere dell’epatizzazione polmonare successiva all’intervento chirurgico al quale il giovane venne sottoposto presso l’ospedale di L’Aquila. Entrambi tali accadimenti rappresentano cause sopravvenute, eccezionali rispetto alla condotta omissiva dei prevenuti, che hanno determinato la morte del lavoratore e non costituivano in alcun modo la proiezione o lo sviluppo del rischio generato dalla condotta omissiva ascritta a quelli.
2.2. Con un secondo motivo deducono violazione di legge. Con riferimento alla posizione del D.B. la corte territoriale afferma l’esistenza di un residuo di posizione di garanzia in capo al committente, consistente nell’obbligo di verificare che il tecnico nominato adempia al compito che gli è proprio; però contraddittoriamente ritiene che doveva essere il committente a verificare l’adempimento delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza. Al contempo, la medesima corte censura il comportamento del committente per non aver verificato direttamente l’adempimento delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza in violazione di obbligo che permane a suo carico anche in caso di delega delle funzioni. L’assunto dei ricorrenti è che la delega di funzioni conferita dal committente al coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva trasferisce su quest’ultimo l’obbligo di verificare l’adempimento delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza. È quindi necessario verificare se l’infortunio si è verificato in ragione di una contingenza estemporanea o se é riconducibile alla configurazione complessiva di base delle lavorazioni previste o in esecuzione e della loro sicurezza. Nel caso di specie si è trattato della mancata adozione da parte della Italgrond s.n.c. delle misure atte a circondare le aperture lasciate nei solai con adeguati presidi; misure già previste nel piano sicurezza e di coordinamento che dovevano essere adottate in concreto dalla ditta datrice di lavoro dell’infortunato. Ne consegue, ad avviso dell’esponente, l’assenza di una residua posizione di garanzia in capo al committente e l’insussistenza di una responsabilità del coordinatore per l’esecuzione per il “principio di caratterizzazione del rischio e della relativa imputazione oggettiva del rischio stesso al datore di lavoro”.

Diritto

3. Il ricorso é fondato limitatamente alla posizione del D.B. .
3.1. Giova premettere che entrambe le pronunce hanno ricostruito gli accadimenti nel modo che segue. Dopo esser caduto in cantiere nel pomeriggio del (omissis) , in quel medesimo giorno il F. venne visitato presso l’ospedale di (omissis) , dove gli venne diagnosticata una frattura della clavicola sinistra e contusioni multiple; vennero eseguite una ecografia dell’addome, una radiografia del torace e della spalla sinistra nonché una TAC cranio, tutte con esito negativo riguardo all’esistenza di segni di ulteriori pregiudizi. È altresì pacifico che il giovane appariva vigile, tranquillo ed asintomatico.
Intorno al ore 2,30 del (omissis) il giovane si alzò dal proprio letto per recarsi in bagno e cadde sul pavimento del corridoio del reparto. Subito soccorso, egli apparve in stato soporoso ed eseguiti l’elettrocardiogramma ed una TAC cranio questa evidenziò una falda di ematoma subdurale dello spessore di 8 mm. in sede tempo-fronte-parietale destro con associazioni di espanso. Il paziente venne trasferito d’urgenza presso l’ospedale di (…), nella divisione di neurochirurgia, ove fu sottoposto ad intervento chirurgico che evidenziò una vasta area ischemica fronte-temporo-parietale destra.
Il 1 agosto 2006 comparve quale reperto radiologico un addensamento polmonare basale destro e il 3 agosto le condizioni di salute del F. peggiorarono fino a condurlo a morte.
La successiva autopsia evidenziò sul lobo polmonare sinistro la presenza “in zona perilare e basale di parenchima compatto in fase di epatizzazione rossa-grigia”.
3.2. Orbene, l’assunto dei ricorrenti é che la morte del giovane è stata l’effetto della caduta avvenuta nel nosocomio e non già della caduta in cantiere; sia pure in termini non particolarmente nitidi, si assume anche che la morte fu causata da polmonite. Si tratta di tesi già sostenute nei gradi di merito e che la Corte di appello, in particolare, ha rigettato sulla scorta di una argomentazione non manifestamente illogica. Rileva infatti la Corte territoriale che mentre già in occasione del primo soccorso, portato da un collega di lavoro, il giovane lamentò dolori alla testa e riferì di aver battuto il capo, non é possibile affermare la produzione di un analogo trauma per effetto della seconda caduta perché nessuno aveva visto il giovane cadere né egli poté riferire di aver battuto il capo. Inoltre, l’ipotesi che l’edema cerebrale fosse stato causato dalla caduta in ospedale, avanzata dalla difesa, doveva essere esclusa anche perché scarsamente verosimile che una caduta sul pavimento dalla posizione eretta possa cagionare conseguenze come quelle prodottosi sull’organismo del F. ed anzi, ha aggiunto la Corte territoriale, questi cadde in ospedale proprio a causa dell’emorragia che aveva ormai conclamato i propri drammatici effetti, non risultando alcun altra spiegazione per una caduta in assenza di ostacoli o di insidie sul pavimento. Infine, ha osservato il Collegio distrettuale, che la morte fosse stata causata dalla polmonite è stato escluso dallo stesso consulente della difesa, quando dichiarò che perché possa determinarsi una polmonite massiva occorrono molti giorni di ventilazione assistita in un soggetto in posizione di stasi. Evenienza non riscontrabile nella vicenda in esame. Ed è a riguardo della ipotesi causale incentrata sulla polmonite che la Corte di appello ha richiamato quella giurisprudenza secondo la quale una broncopolmonite massiva bilaterale contratta durante il ricovero in ospedale per la cura degli esiti di un infortunio non esclude il nesso di causalità tra il decesso e le violazioni ascritte al datore di lavoro, essendo tale broncopolmonite una complicanza non eccezionale delle gravi lesioni subite dall’infortunato.
A fronte di tale articolata motivazione i ricorrenti si limitano a riproporre gli elementi acquisiti mediante l’istruttoria dibattimentale, formulando in conclusione la perentoria affermazione per la quale non fu la caduta in cantiere ma quella accidentale nel bagno dell’ospedale a provocare l’ematoma. Senza contrastare le singole affermazioni fatte dalla Corte d’appello per sostenere il proprio convincimento, i ricorrenti sostengono che questa ha disatteso le testimonianze del personale medico e paramedico intervento a seguito della caduta del giovane in ospedale e la documentazione sanitaria che si ritiene univoca. Ma che la prima TAC non avesse fatto emergere segni di una emorragia cerebrale è stato dalla Corte di appello esaminato, ricordando che il consulente tecnico del pubblico ministero aveva precisato essere assolutamente frequente, soprattutto nei giovani, che l’emorragia insorga solo in un secondo momento, a distanza di ore o di giorni dall’evento traumatico. Quest’ultima circostanza era stata confermata anche dal consulente della difesa e ciò spiegava perché la prima TAC non avesse rilevato alcunché di anomalo. Per contro, ha conclusivamente rilevato la Corte di appello, oltre al dato testimoniale già ricordato proveniente dal collega di lavoro e dal teste D.C.I. , occorreva considerare che l’esecuzione della TAC doveva essere dovuta evidentemente al fatto che l’infortunato aveva riferito di aver battuto la testa.
Un compendio motivazionale in nessun modo preso in considerazione dall’esponente, sicché il motivo è aspecifico, poiché assume una ricostruzione fattuale diversa da quella fatta propria dai giudici di merito, senza svolgere una critica alle argomentazioni che sostengono tale ricostruzione. La consolidata giurisprudenza di questa Corte insegna che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
4. Quanto al secondo motivo, esso risulta fondato con riferimento alla posizione del D.B. .
4.1. Quanto al C. , non è nella capacità di questo collegio comprendere l’argomento utilizzato dall’esponente per affermarne l’assenza di responsabilità.
Il compito del coordinatore per l’esecuzione é quello di verificare che le misure previste nel piano di sicurezza di coordinamento siano adottate dalle ditte esecutrici. Nel caso di specie si trattava di porre in essere le misure che già nel predetto piano erano state ritenute necessarie a proteggere dal rischio di cadute i lavoratori stante la presenza di apertura nel tetto dell’edificio in costruzione.
4.2. Quanto al D.B. , a questi è stato ascritto di non aver osservato l’obbligo di “verificare l’adempimento da parte delle ditte esecutrici, delle disposizioni loro pertinenti contenuti nel piano di sicurezza e di coordinamento, con particolare riferimento all’adozione di misure atte a prevenire la caduta dei lavoratori dall’alto” (così l’imputazione).
La Corte di appello ha affermato che al medesimo è stato contestato “di non aver verificato l’adempimento delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza, in violazione dell’obbligo che permane a suo carico anche in caso di delega di funzioni”.
In nessun passaggio si esplicitano le circostanze fattuali dalle quali si ricavano tali giudizi. Ma, soprattutto, essi presuppongono obblighi che la legislazione non pone in capo al committente.
È opportuno svolgere qualche breve considerazione in merito alla posizione di garanzia gravante sul committente.
A partire dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 494/1996, nella giurisprudenza di legittimità la responsabilità del committente ha cominciato ad essere derivata dalla violazione di alcuni obblighi specifici, quali l’informazione sui rischi dell’ambiente di lavoro e la cooperazione nell’apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, ritenendosi che resti ferma la responsabilità dell’appaltatore per l’inosservanza degli obblighi prevenzionali su di lui gravanti (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008 – dep. 18/02/2009, Rappa, Rv. 242735). Ribadito il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, tanto in capo al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche) che del committente, si è anche richiamata la necessità che tale principio non conosca un’applicazione automatica, “non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori”. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, “occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo” (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012 – dep. 30/01/2012, Marangio e altri, Rv. 252672).
4.3. Ciò posto – e rimarcata infine la non coincidenza degli statuti rispettivamente del committente e del datore di lavoro-committente, fermo restando che le due figure possono in concreto cumularsi – va ancora considerato che la nomina di un coordinatore per l’esecuzione alloca doveri prevenzionistici tanto sulla figura del committente che su quella del coordinatore per la esecuzione.
È sufficiente porre mente alla previsione dell’art. 6 d.lgs. n. 494/1996 (norma vigente al tempo del fatto), oggi riproposta dall’articolo 93, co. 2 d.lgs. n. 81/2008, secondo la quale la designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori non esonera il committente dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi posti in capo al coordinatore per l’esecuzione. Alla lettera a) dell’art. 93, in particolare, si legge che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori durante la realizzazione dell’opera verifica l’applicazione da parte dell’impresa esecutrice o dei lavoratori autonomi delle disposizioni loro pertinenti contenuti nel piano di sicurezza e di coordinamento. Tanto implica che il committente é tenuto a svolgere un’attività di vigilanza sull’adempimento da parte del coordinatore della verifica che l’impresa esecutrice abbia osservato le disposizioni ad essa pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento. Come d’altra parte ripetutamente rammentato anche da questa Corte.
Ciò rende palese l’infondatezza del rilievo difensivo per il quale la “delega di funzioni” rilasciata dal committente al coordinatore per l’esecuzione dei lavori esonera il primo dall’obbligo di vigilare sugli adempimenti ai quali il secondo é tenuto. Quello di vigilare sull’operato delle ditte esecutrici non è obbligo possibile oggetto di delega dal committente al coordinatore, essendo previsto dalla legge in via originaria in capo al coordinatore per l’esecuzione. Non vi è luogo quindi ad alcuna delega di funzioni al riguardo, e l’area di rischio governata dal committente é per l’appunto definita in passato dall’art. 6 citato ed oggi dall’articolo 93, co. 2, d.lgs. n. 81/2008.
E tuttavia, si deve rilevare che, l’affermazione svolta dalla Corte di Appello, per la quale il D.B. non aveva vigilato sul rispetto delle misure contenute nel Piano di sicurezza e di coordinamento, non é in alcun modo connessa a specifiche circostanze di fatto, che ne evidenzino il fondamento. Non rivela, la sentenza, quando e come l’azione di controllo sull’operato del C. si sarebbe dovuta e potuta svolgere, in rapporto alle fasi di lavorazione, secondo le linee di principio sopra rammentate. Neppure integrando la motivazione qui impugnata con quella resa dal primo giudice é possibile comprendere a quali evidenze processuali la Corte di Appello abbia inteso riferirsi, poiché il Tribunale aveva fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato sulla mancata fornitura alla ditta appaltatrice di informazioni specifiche sui pericoli all’interno del cantiere (richiamandosi all’art. 7 d.lgs. n. 626/94) e sull’omessa formazione e apprestamento di tutela al giovane lavoratore, apprendista.
Addebiti, come é agevole rilevare, del tutto differenti da quello mosso dalla Corte di Appello.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata relativamente a D.B.A. , con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia; va invece rigettato il ricorso di C.G. , che conseguentemente va condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente a D.B.A. con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia. Rigetta il ricorso di C.G. che condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.

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