Infortunio mortale a seguito di caduta da un ponteggio metallico. Impresa familiare e imprevedibile volontà di ignorare le cautele fornite.
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 08/03/2016
Fatto
1. Con sentenza del 24/10/2014, la Corte d’appello di Milano ha confermato quella, appellata dalla parte civile P.E., con la quale il Tribunale di Como, sezione distaccata di Erba, aveva assolto C.I. dal reato di omicidio colposo aggravato ai danni di P.M..
Si era contestato, in particolare, al C.I. di avere cagionato, cooperando con P.F. e con P.E. (giudicato separatamente), per negligenza, imperizia, imprudenza ed in violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 7 II e III comma,6 III comma d.lgs. 626/94, 20 VI comma d.P.R. 164/56, 6 I comma lett. a) e c) del d.lgs.494/96), a P.M. “trauma cranico produttivo di frattura frontale sinistra, di ematoma sotto durale fronte-temporale destro, di stato di coma, trauma toracico con frattura della clavicola sinistra e contusione polmonare ed un trauma addominale con ematoma della parte sinistra e del grande gluteo di sinistra”, malattia da cui era conseguita la morte della vittima. Le contestazioni mosse al C.I. erano collegate alla qualità di responsabile dell’area tecnica lavori pubblici del comune di Albavilla e coordinatore per la sicurezza – in fase di esecuzione – dei lavori di costruzione di una struttura. Esse riguardavano, più specificamente, la violazione dell’art. 5 comma 1 lett. a) del d.lgs. 494/96, per non avere verificato con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione – da parte delle imprese esecutrici (P.F. e P.E.) – delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, in relazione ai lavori di copertura della struttura in costruzione e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; e dell’art. 5 I comma lett. c) del d.lgs 494/96, per non avere organizzato tra i datori di lavoro la cooperazione ed il coordinamento delle attività, nonché la loro reciproca informazione.
Al momento dell’infortunio, occorso il 28/11/2005, la vittima si trovava su un ponteggio metallico, ad un’altezza di circa 3-3,5 metri dal suolo, intento a guidare il corretto posizionamento di una trave in legno lunga circa 6 metri. Da tale posizione era precipitata, procurandosi le suindicate lesioni, alle quali – solo il 30 marzo 2009 – era conseguita la morte.
3. La parte civile ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore, deducendo:
1) vizio motivazionale, per avere la Corte di merito omesso di valutare se il piano di sicurezza fosse adeguato in relazione alle misure di sicurezza da adottare, tenuto anche conto della tipologia del lavoro (che implicava il sollevamento di travi che potevano ondeggiare e colpire il ponteggio); rilevando l’illogicità del metodo di giudizio, per avere la Corte di merito, chiamata ad esaminare la responsabilità del C.I., ribadito invece quella del P.E.; censurando l’omessa verifica, anche mediante la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, della stabilità della trave, alla quale la vittima tentò di aggrapparsi prima di cadere, atteso che nessuno aveva affermato che fosse stabilmente fissata e potesse, quindi, costituire un punto di ancoraggio sicuro;
2) violazione di legge, in relazione all’applicazione dell’art. 603 c.p.p., con riferimento alla mancata audizione di testimoni che potessero riferire in ordine alla stabilità della trave;
3) infine, analogo vizio, in relazione al disposto di cui all’art. 5 del d. lgs. 494/96 e agli obblighi del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva.
Diritto
1. Il ricorso va rigettato per infondatezza dei motivi con esso articolati.
2. Questa in sintesi la vicenda processuale.
C.I. è stato assolto dal reato di cui alla rubrica già in primo grado.
La sua responsabilità penale era stata ipotizzata alla luce della posizione di garanzia assunta in relazione ad un cantiere (ove era in costruzione una struttura polivalente, commissionata dall’ente locale). Al momento dell’infortunio, i lavori erano giunti alla fase della copertura in legno, commissionata alla ditta “Fratelli B.”, che effettivamente aveva fornito tutto il materiale, subappaltandone la posa all’Impresa P.E. che, a sua volta, si era coordinata con la ditta “P.F.” per l’esecuzione diretta di una parte dei lavori e per la fornitura dei mezzi (tra cui il “merlo” – il braccio meccanico, cioè, che serviva al sollevamento delle travi da posizionare – e i ponteggi).
In particolare, il braccio meccanico veniva manovrato da un operaio della ditta P.F.; laddove la posa delle travi era compiuta dall’Impresa P.E., esperta in questo settore (formata dal titolare P.E., odierna parte civile, e dal fratello, lavoratore dipendente, P.M., vittima dell’infortunio).
Al momento dell’Infortunio, oltre all’infortunato (mai potuto sentire stante le gravi condizioni di salute), erano presenti in cantiere il fratello P.E. e il manovratore del braccio meccanico, P.R.. I due fratelli P.E., con l’aiuto di P.R., stavano posizionando le travi di legno, su cui sarebbe stata posta la copertura in legno lamellare definitiva. Nel preciso momento in cui era caduta, la vittima stava posizionando insieme al fratello una trave diagonale sollevata dal “merlo” (una volta portata la trave in quota, la stessa veniva abbassata all’altezza giusta per il collocamento). L’attività preliminare di sollevamento della trave era già stata compiuta al momento dell’infortunio e i due lavoratori interessati, P.E. e P.M., si trovavano già sopra i due ponteggi posti all’estremità della trave sollevata e dovevano incastrare nella posizione corretta la trave diagonale che stavano posizionando.
La dinamica era stata ricostruita sulla base di alcuni elementi certi: P.E. e P.M. erano in quota e stavano utilizzando un ponteggio per ciascuno; la fase di posizionamento della trave poteva aver determinato una perdita di equilibrio di P.M. che cadeva dal ponteggio rovinando a terra; non vi erano elementi per ritenere che la caduta fosse stata determinata da condizioni patologiche particolari, quanto piuttosto da una perdita di equilibrio, originata dall’oscillazione della trave; non era stato possibile chiarire se P.M. fosse caduto poco prima del ponteggio su cui si trovava o fosse stato quest’ultimo a cadere, facendo precipitare il lavoratore.
A fronte di tale quadro probatorio, decisiva era stata ritenuta dai giudici del merito la circostanza che, nonostante la presenza dei lavoratori in cantiere fosse dovuta all’esigenza di spazzare la neve abbondantemente caduta nei giorni precedenti, in realtà, una volta finito l’incombente specifico, i lavoratori avevano ripreso i lavori di posizionamento delle travi. Non era poi emerso che fosse stato un movimento della trave provocato dall’attività del “merlo” a produrre la caduta.
Quanto alla posizione specifica del C.I., erano state accertate le disposizioni del piano di sicurezza disattese (non contestate comunque al C.I.); era pure emerso che il C.I. aveva dato precise e concrete indicazioni circa l’obbligo di accoppiare i ponteggi per renderli più stabili e di usare i parapetti; quanto ai dispositivi previsti nel piano di sicurezza e coordinamento (cinture di sicurezza e parapetti), si era ritenuto che la vigilanza sul loro uso spettasse al datore di lavoro (P.E., odierno ricorrente) e non al coordinatore per la sicurezza, il quale, peraltro, ne aveva contestato l’omesso uso, alla riunione del 20 ottobre 2005, ingiungendone l’utilizzo alle ditte, pur senza avere un obbligo di continua vigilanza.
La mattina dell’Infortunio, i parapetti erano smontati e protetti con un telone e sebbene il C.I. si fosse recato sul cantiere, P.E. non gli aveva comunicato l’intenzione di procedere al posizionamento delle travi utilizzando i ponteggi, dopo aver completato l’attività di sgombero della neve.
Richiamate le attività proprie del coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva (verifica assidua del cantiere, informazione delle due ditte e loro coordinamento per prevenire i “rischi da interferenza”), il Tribunale aveva rilevato che non erano stati mossi rimproveri al C.I., quanto alla fase della progettazione del piano, le contestazioni avendo riguardato la verifica dell’effettiva applicazione dei piani di sicurezza e dell’organizzazione dell’attività di informazione e coordinamento delle ditte.
Il verdetto assolutorio di primo grado era stato impugnato, ai soli effetti civili ex art. 573 c.p.p., da P.E. il quale, benché avesse patteggiato per parte sua una pena relativamente alle imputazioni contestategli nella qualità di datore di lavoro della vittima, aveva chiesto accertarsi il concorso di colpa dell’ing. C.I. nella causazione dell’evento oggetto del giudizio, con condanna a risarcire i danni morali e materiali subiti quale fratello della vittima.
In particolare, la parte civile chiedeva, per il caso in cui non fosse stata ritenuta assorbente ai fini dell’accertamento della responsabilità del C.I., l’omessa previsione di una “linea vita anticaduta” e si fosse accertato che lo stesso aveva solo ordinato di utilizzare ponteggi a doppia campata, che si procedesse alla rinnovazione del dibattimento, disponendo perizia volta a verificare se quell’accorgimento potesse scongiurare il ribaltamento del ponteggio in caso di malore, spostamenti di peso o urto della trave; con specifico riferimento alla assenza di ancoraggio dei ponteggi, la parte aveva rilevato che, indipendentemente dal fatto che l’ancoraggio poteva essere realizzato anche in caso di costruzione senza pareti, avrebbero dovuto comunque essere predisposte opere provvisionali, quanto alla stabilità del ponteggio osservando che il fatto che esso si fosse ribaltato denotava comunque (indipendentemente cioè dalla causa del ribaltamento) che il ponteggio stesso non possedeva la stabilità necessaria.
La parte appellante formulava ulteriori censure, segnatamente riferibili ai giunti a croce (che, pur conferendo rigidità alla struttura, non avrebbero a suo dire influito sulla stabilità che poteva essere assicurata solo allargando la base di appoggio ed abbassando quanto più possibile il baricentro della struttura); all’omesso utilizzo di un ponteggio a due campate; all’uso dei parapetti che aveva ridotto la stabilità del ponteggio; all’inadeguato esercizio delle incombenze proprie del coordinatore, potendo egli sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni e alla mancata contestazione all’impresa del pur constatato uso di un ponteggio inadeguato, con ingiunzione all’adeguamento, essendosi limitato il C.I. a dare meno efficaci istruzioni orali; alla mancata imposizione dell’uso del trabattello, alla mancata imposizione per iscritto dell’uso di un ponteggio a doppia campata; alla mancata previsione della “linea vita anticaduta” (un cavo, cioè, collegato a due supporti fissi che consentisse l’aggancio della cintura); alla mancata previsione della possibile oscillazione della trave come fonte di pericolo di caduta e, quindi, alla mancata adozione delle necessarie misure prevenzionali per garantire la sicurezza dei lavoratori in tale evenienza.
3. La Corte d’appello di Milano ha ritenuto che la sentenza appellata non meritasse censura e dovesse essere integralmente confermata anche limitatamente ai soli effetti civili, escludendo qualsiasi corresponsabilità dell’ing. C.I..
Quel giudice, in via preliminare, rilevava che talune deduzioni dell’appellante si erano fondate su un presupposto, rimasto indimostrato: che il ponteggio, cioè, si fosse ribaltato per ragioni di strutturale instabilità. Già il giudice di primo grado, con considerazioni che non avevano costituito motivo di doglianza da parte dell’appellante, aveva evidenziato che in realtà l’istruttoria dibattimentale non aveva consentito di accertare con esattezza le cause del ribaltamento del ponteggio (se cioè esso fosse autonomamente caduto, trascinando con sé il lavoratore, ovvero se fosse stato costui a perdere l’equilibrio, trascinando dietro di sé il ponteggio per effetto della caduta). In tale ultima ipotesi, infatti, nessun nesso di causalità poteva essere attribuito agli asseriti difetti di stabilità del ponteggio stesso, perché egualmente P.E. sarebbe caduto dall’alto, senza tuttavia trascinare con sé la struttura mobile. Il giudice di primo grado aveva evidenziato che l’ancoraggio stabile non era agevolmente realizzabile perché la struttura edilizia era priva di pareti laterali ed il ponteggio doveva essere continuamente spostato nelle parti della struttura in cui, di volta in volta, doveva sistemarsi la trave, cosicché la soluzione adottata dal C.I. per garantire la stabilità, era stata quella di utilizzare un ponteggio a doppia campata (che, allargando la base, avrebbe garantito una sicura stabilità) e dei giunti a croce.
La Corte d’appello ha peraltro ritenuto infondate le osservazioni dell’appellante secondo cui i giunti a croce avrebbero conferito solo rigidità alla struttura, senza migliorarne la stabilità, atteso che proprio la maggiore rigidità impediva dondolamenti e oscillazioni (quantomeno entro certi limiti), causati per varie ragioni dalle persone che si trovavano sopra la struttura e che potevano essere causa di ribaltamento.
Parimenti infondate ha ritenuto le osservazioni circa l’inidoneità della doppia campata a eliminare il rischio del ribaltamento, atteso che, nella concreta fattispecie, non era stato neppure possibile accertare se il ponteggio si fosse ribaltato per cause autonome o perché trascinato dalla caduta del P.E., costituendo peraltro nozione di comune esperienza che l’allargamento della base di una struttura verticale ne garantisce stabilità, cosicché costituiva mera congettura, contraddetta da tali comuni nozioni, ipotizzare che il ribaltamento si sarebbe verificato egualmente anche nella ipotesi in cui fosse stato a “doppia campata”.
Sul punto, peraltro, la Corte del merito ha ritenuto che la chiesta perizia non fosse indispensabile né rilevante, in difetto di dati certi sulle cause e sulle modalità del ribaltamento e, quindi, sul grado e sull’intensità degli impulsi cinetici ad esso impressi, quanto alla contestazione della mancata dimostrazione che il C.I. avesse dato disposizioni in merito all’utilizzo della “doppia campata”, rilevando che la relativa deduzione era generica, a fronte della motivazione contenuta nella sentenza appellata e che l’utilizzo di tali ponteggi era stata constatata nel cantiere, così come era pure emerso che il C.I. aveva dato istruzioni al riguardo e che era stato scrupolosamente diligente sul rispetto delle norme di sicurezza in occasione dei molti sopralluoghi effettuati sul cantiere.
Anche la censura riguardante la mancata imposizione dell’uso del trabattello è stata ritenuta infondata alla luce dell’accorgimento adottato (ponteggio a doppia campata), considerato che, a tal proposito, il consulente di parte della difesa dell’imputato, con argomentate asserzioni, neppure oggetto di specifiche deduzioni critiche da parte dell’appellante, aveva nel corso della deposizione dibattimentale affermato che l’uso del trabattello era sconsigliabile in lavorazioni del tipo di quelle che si stavano effettuando in quel cantiere, presentando infatti rischi maggiori (rispetto al ponteggio) ove non ancorato in maniera corretta.
Lo stesso afferma la Corte d’appello, in relazione alla natura mobile del ponteggio, quanto alla censura relativa alla mancanza di opere provvisionali. I ponteggi mobili dovevano essere, infatti, continuamente spostati in base al punto in cui dovevano posizionarsi le travi sulla struttura circolare, mentre l’eventuale rischio di caduta dall’alto poteva essere ben fronteggiato con l’utilizzo di cinture di sicurezza e di parapetti presenti in cantiere, qualunque fosse stata la causa della caduta.
In conclusione, per la Corte territoriale, non era ravvisabile alcun profilo di colpa nella condotta del C.I. il quale, mediante la coordinata adozione di tali misure prevenzionistiche, aveva realizzato una situazione di assoluta sicurezza dei lavori in quota sul ponteggio, sebbene il giorno dell’infortunio proprio la parte civile, datore di lavoro dell’Infortunato, non avesse posto in essere alcuna di tali misure, né il ponteggio a doppia campata, né i parapetti, né le cinture di sicurezza, con la conseguenza che proprio al P.E. andava attribuita la responsabilità dell’infortunio.
Quanto alle modalità con cui furono impartite le istruzioni, il giudice di primo grado aveva disatteso le relative deduzioni sul presupposto che non sussisteva l’obbligo della forma scritta, come confermato dall’ispettore del lavoro nel corso della deposizione dibattimentale e che le disposizioni del C.I. venivano puntualmente osservate in cantiere.
A dimostrazione, si rilevava che il C.I., in un’occasione in cui aveva constatato la mancanza dei parapetti, aveva annotato la circostanza nel verbale di sopralluogo, dando immediate disposizioni all’impresa P.E. di adeguarsi a tali cautele. Tutti i testi escussi, dotati di specifica competenza tecnica, avevano del resto confermato la particolare assiduità delle verifiche effettuate dal C.I. nel cantiere ed il particolare scrupolo adottato in tema di sicurezza del lavoro.
Nella mattinata del giorno dell’infortunio, peraltro, il C.I. aveva compiuto l’ennesimo sopralluogo, prendendo atto che, a causa delle abbondanti nevicate dei giorni precedenti, quel giorno non sarebbero state eseguite lavorazioni, ma si sarebbe unicamente provveduto ad attività di pulizia e sgombero della neve. Fu il P.E. a decidere di propria iniziativa, unitamente all’altra impresa operante nello stesso cantiere (che aveva fornito il “merlo”), ultimato lo sgombero della neve, di effettuare anche lavorazioni in quota per accelerare l’ultimazione della copertura con le travi, omettendo però, per presumibili ragioni di celerità (e forse perché sapeva che non vi sarebbero state verifiche da parte del coordinatore per la sicurezza che non era informato delle lavorazioni che si sarebbero effettuate anche quel giorno), fondamentali misure di sicurezza, quali l’utilizzo dei parapetti e delle cinture di sicurezza (oltre che del ponteggio a doppia campata), obblighi questi (di utilizzare cioè tali presidi di sicurezza) gravanti unicamente sull’appellante, datore di lavoro del fratello, il quale invece omise, seppure occasionalmente proprio quel giorno, l’adozione di tali misure, con gravissima imprudenza e negligenza che causò l’infortunio.
Quanto alla dedotta inutilizzabilità delle cinture di sicurezza (pur presenti in cantiere) per mancanza di una struttura cui agganciarle ed alla mancata previsione da parte del coordinatore della sicurezza dell’uso delle c.d. “linee vita”, la Corte di merito ha rilevato che tale impossibilità era stata affermata solo dall’appellante, peraltro in maniera del tutto generica, essendo emerso il contrario dal complesso delle acquisizioni probatorie (in particolare: le opere di copertura e di posa delle travi erano quasi ultimate, le travi quasi tutte installate, la trave che si doveva posizionare al momento dell’infortunio era una trave diagonale che presupponeva, quindi, la presenza di altre due travi orizzontali su cui doveva essere posizionata, elementi tutti che confermavano la possibilità di agganciare le cinture alla struttura già realizzata).
4. A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente ha sostanzialmente riproposto le stesse censure che hanno costituito oggetto del gravame: ancora una volta si è contestata la mancata rinnovazione dell’Istruzione dibattimentale, assumendosi l’impossibilità di un efficace utilizzo delle cinture di sicurezza per mancanza di appigli e rilevate l’inadeguatezza del piano di sicurezza e l’omessa vigilanza sull’attuazione delle misure predisposte.
5. Tutte le censure sono infondate.
Quanto alla rinnovazione dell’istruzione, giovi richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “Il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo” [Sez. 6 n. 11907 del 13/12/2013 Ud. (dep. 12/03/2014), Rv. 259893)].
Quanto alla asserita decisività della prova, deve intanto puntualizzarsi che “La mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, può costituire violazione dell’alt. 606, comma primo, lett. d) cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado” [(Sez. 1 n. 3972 del 28/11/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 259136)] e che, in ogni caso, “In tema di giudizio d’appello, l’omessa pronuncia dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di rinnovazione dei dibattimento non comporta alcuna menomazione dei diritti della difesa e, comunque, non integra alcuna nullità di ordine generale (arti. 178 e 180 cod. proc. pen.) sotto il profilo della mancata assistenza o rappresentanza dell’imputato preordinata ad assicurare il giusto processo di cui all’art. III Cost., posto che le ragioni della difesa sono salvaguardate “ex ante” dalla facoltà della difesa di articolare e illustrare le richieste di prova; “ex post”, attraverso la possibilità di impugnare la sentenza” (Sez. 4 n. 46193 del 05/07/2013, Rv. 258088).
Alla luce di tali principi, dai quali questa Corte non intende discostarsi, deve ritenersi del tutto infondata la doglianza formulata in ricorso, con riferimento alla rinnovazione dell’istruzione. Ed infatti, la decisione assunta in merito dalla Corte territoriale risulta congruamente motivata ed illustrativa delle ragioni per le quali quel giudice ha ritenuto di non accedere alla richiesta. Quel giudice ha infatti rilevato, in maniera del tutto logica, scevra da contraddizioni e coerente, soprattutto, con le risultanze probatorie acquisite, che la verifica della idoneità della misura c.d. “linea vita anticaduta” a scongiurare il ribaltamento del ponteggio fosse del tutto inconducente, poiché non era stato possibile verificare se il ribaltamento del ponteggio era stato causato da una sua intrinseca instabilità o fosse stato la conseguenza della caduta della vittima.
Quanto all’escussione di testimoni che potessero riferire circa la stabilità della trave e la sua idoneità a fungere da appiglio per la cintura di sicurezza, la Corte d’appello ha rilevato che le prove avevano confermato detta possibilità, mentre la tesi secondo cui la cintura di sicurezza non era misura praticabile nel caso di specie, stante la tipologia della struttura in costruzione (sprovvista di pareti), era rimasta a livello di mera asserzione sostenuta dal solo appellante.
Infondato è anche l’ultimo motivo, riguardante l’asserita mancata verifica dell’osservanza degli obblighi ricollegati alla specifica posizione di garanzia assunta dal C.I.: è del tutto evidente, infatti, il mancato confronto della parte con le affermazioni riportate in sentenza, con riferimento alla predisposizione del piano, alla vigilanza esercitata effettivamente dal C.I. in quel cantiere, alle sollecitazioni date alle imprese e alla ignoranza del fatto che, il giorno dell’infortunio, l’attività in quel cantiere sarebbe andata al di là del semplice sgombero della neve.
In conclusione, il giudice del gravame ha fatto corretta applicazione delle norme processuali e sostanziali chiamate in causa dal ricorrente e ha sostenuto la decisione di confermare il verdetto assolutorio attraverso un apparato logico argomentativo del tutto coerente con gli elementi di prova esposti nella sentenza impugnata, senza incorrere in nessuno dei vizi dedotti con il ricorso.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili che liquida in euro 4.200,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.