L’operaio aveva deciso di utilizzare l’ascensore come montacarichi all’evidente scopo di accelerare il suo lavoro e, per farlo, non aveva dovuto superare alcuna difficoltà, visto che i cancelletti metallici provvisori non erano chiusi con lucchetto o altro dispositivo che richiedesse l’uso di chiavi, e che il pannello di comando provvisorio dell’ascensore non era provvisto di alcun sistema che impedisse l’uso ai non autorizzati (bastava solamente collegare il cavo di alimentazione ad una presa di corrente per rendere funzionante la macchina elevatrice, che poi poteva essere messa in moto agendo sui pulsanti del quadro di comando).
Non potendosi, quindi, ritenere che l’agire imprudente del M.F. si fosse posto come causa esclusiva dell’evento mortale, il primo giudice del merito aveva esaminato la posizione, tra gli altri, degli odierni ricorrenti per verificare se ed in che modo, nei rispettivi ruoli, fosse rinvenibile una loro responsabilità colposa in relazione all’infortunio che era costato la vita a M.F..
Era stato, tra l’altro, già in quella sede valutato il motivo oggi riproposto secondo cui era possibile usare una gru a torre per portare il materiale in quota sull’intavolato del ponteggio, riscontrando che ciò era vero, ma che vi era comunque una difficoltà, per chi non fosse particolarmente abile nel maneggio di quella macchina, nell’appoggiare il materiale una volta alzato all’altezza desiderata; ed inoltre l’intavolato non aveva le medesime capacità di sopportare il peso della piazzola di carico. Era dunque doveroso prevedere che un operaio, specialmente se incaricato di (o lasciato) procedere da solo, a una lavorazione che presupponesse il sollevamento ai piani di materiali -come nel caso di specie- fosse tentato di evitare il complicato e laborioso uso della gru con scarico sul ponteggio, avvalendosi piuttosto della comoda “scorciatoia” offerta dall’ascensore in costruzione, che nulla impediva di usare come montacarichi e che poteva essere azionato facilmente da una sola persona.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 15/06/2016
Fatto
1. La Corte di Appello di Ancona, pronunciando nei confronti, tra gli altri, degli odierni ricorrenti S.P. e I.R., appellanti in uno con il coimputato T.D. e con la parte civile, con sentenza del 26.2.2015, in parziale riforma della sentenza emessa in data 10.11.2011 dal GUP del Tribunale di Fermo, rideterminava la provvisionale in € 50.000,00, confermando nel resto, con condanna degli imputati appellanti al pagamento delle ulteriori spese processuali e al rimborso dei tre quarti delle spese di rappresentanza della parte civile.
Il giudice di primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, assolti i coimputati per non aver commesso il fatto, aveva condannato, oltre che T.D. (oggi non ricorrente), S.P. e I.R. alla pena di mesi sei di reclusione, con concessione delle attenuanti generiche, prevalenti sull’aggravante di cui all’art. 589 comma 2 cod. pen., con la diminuzione per il rito e la sospensione condizionale della pena, per il reato di cui al capo A, aveva condannato al-tresì S.P. alla pena di € 6.000,00 per il reato di cui al capo B; con condanna per entrambi gli imputati, unitamente al coimputato T.D., al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio civile, con provvisionale immediatamente esecutiva determinata in € 30.000,00, tenuto conto del concorso di colpa della vittima quantificato in sentenza nella misura del 25 per cento.
L’imputazione, per quanto qui interessa, riguardava i seguenti reati:
A) S.P. (Vice Presidente Consiglio di Amministrazione), in qualità di legale rappresentante/datore di lavoro della ditta S.P. ASCENSORI S.R.L., esecutrice dei lavori per l’installazione dell’impianto ascensore;
I.R. in qualità di Coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori;
OGNUNO in violazione dell’art. 589 C.P.; infatti ognuno di essi, nelle rispettive qualità, cagionava il DECESSO del lavoratore M.F. il quale, addetto al cantiere sito in via … nel Comune di Fermo, cadeva nel vano ascensore mentre trasportava con una carriola il materiale necessario per i lavori che stava effettuando, consistenti nella chiusura delle tracce in precedenza realizzate dagli impiantisti, riportando lesioni tali da cagionare l’immediato decesso;
Ciò accadeva in quanto:
• S.P. (Vice Presidente Consiglio di Amministrazione), in violazione dell’Art. 26 DLgs. 81/08 comma 2 (reato NON ESTINTO in via amministrativa secondo iter D.lgs.758/94), disattendendo il disposto dell’art. 96 comma 2, non hanno attivato, in sinergia con la ditta affidataria e con il coordinatore per la sicurezza, il processo di coordinamento e gestione dei rischi interferenziali dovuti alla propria attività di montaggio dell’impianto ascensore con particolare attenzione a quelli relativi alla protezione del vano ed alla procedura di disattivazione delle parti attive dell’impianto in assenza di proprie lavorazioni.
• I.R. in violazione dell’art 91 comma 1 lett. a, dell’art. 92, comma 1 lettere b ed e (reati ESTINTI in via amministrativa secondo iter D.lgs. 758/94) non ha contemplato, nella redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento, le problematiche connesse alla presenza di rischi interferenziali riconducibili al contemporaneo svolgimento di attività lavorativa sia dell’impresa affidataria sia dell’impresa esecutrice dell’impianto ascensore. Non ha inoltre attentamente verificato la congruità dei Piani Operativi delle imprese coinvolte nei lavori non organizzando, di conseguenza, la cooperazione delle stesse alla predisposizione di idonee misure di prevenzione.
In Fermo, 04.06.2010.
B) S.P. (Vice Presidente Consiglio di Amministrazione), in qualità di legale rappresentante/datore di lavoro della ditta S.P. ASCENSORI S.R.L., esecutrice dei lavori per l’installazione dell’impianto ascensore presso il cantiere sito in via … nel Comune di Fermo:
– ognuno, in violazione dell’art. 26 DLgs. 81/08 comma 2, perché disattendendo il disposto dell’art. 96 comma 2, non hanno attivato, in sinergia con la ditta affidataria e con il coordinatore per la sicurezza, il processo di coordinamento e gestione dei rischi interferenziali dovuti alla propria attività di montaggio dell’impianto ascensore con particolare attenzione a quelli relativi alla protezione del vano ed alla procedura di disattivazione delle parti attive dell’impianto in assenza di proprie lavorazioni.
In Fermo, 04.06.2010.
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, S.P. e I.R. nonché la parte civile S.MG., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• S.P.
a. Nullità della sentenza ex art. 606 comma 1° lettera b) in relazione alla violazione dei criteri di interpretazione della prova così come statuito dall’art. 192 c.p.p. e dall’art. 195 c.p.p. in riferimento all’ art. 41 c.p. 11° comma per vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata all’ imputato e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, nonché del principio del ragionevole dubbio ex art. 533 c.p.p. e di quello della prova contradditoria ex art 530 c.p.p. e per contraddittorietà, illogicità ed omissione della motivazione.
Il ricorrente riporta la motivazione della sentenza impugnata evidenziando che la questione relativa al comportamento colposo della vittima sarebbe stata affrontata in poche righe, sottovalutando le risultanze processuali ed omettendo di valutare prove significative, senza alcuna spiegazione, operando di fatto un’immotivata selezione di materiale probatorio.
Nel caso di specie difetterebbe del tutto qualsiasi valutazione complessiva degli argomenti addotti dalla difesa dell’imputato, nonché il conseguente iter motivazionale che giustifichi adeguatamente le decisioni del giudice, in particolar modo quando quelle del precedente giudicante siano state oggetto di ampia specifica ed esauriente confutazione.
Il ricorrente richiama i motivi di gravame con cui si rilevava che tutti gli operai erano a conoscenza del divieto di utilizzo dell’ascensore come montacarichi e che lo stesso non era mai stato utilizzato in tal modo da nessuno, mentre il trasporto dei materiali era effettuato solo con la gru di cui il M.F. era esperto utilizzatore. Lo stesso M.F. aveva installato i cancelletti di protezione ed era consapevole della pericolosità dell’azione che andava a compiere. Tutto ciò sarebbe emerso dall’Istruttoria. Vengono riportate le deposizioni testimoniali rese in tal senso.
Tali dichiarazioni non sarebbero state né valutate, né confutate dai giudici di merito, nonostante dalle stesse deposizioni risultasse che tutti gli operai avevano contezza del divieto di utilizzazione dell’ascensore come montacarichi, che l’ascensore era fermo in assenza di operai del S.P., non presenti sul cantiere e che pertanto non vi era alcuna interferenza tra le due imprese.
L’unica testimonianza valutata è quella, de relato, del teste che affermava di aver sentito il M.F. lamentarsi che l’ascensore non fosse al piano. L’interpretazione della stessa testimonianza è stata interpretata in modo distorto, dal momento che lo sfogo del M.F. era indice della circostanza che il M.F. avrebbe voluto che le ditte violassero le norme di sicurezza per permettergli di utilizzare l’ascensore.
Dall’esame delle prove raccolte sarebbe emersa la presenza di una gru per il trasporto dei materiali ai piani superiori e che il dipendente aveva, con una iniziativa personale addossandosi un rischio inutile, deciso di utilizzare l’embrione dell’ascensore come mezzo improprio per trasportare il materiale bituminoso al primo piano.
La condotta del lavoratore sarebbe connotata da imprudenza e imprevedibilità, risultando, pertanto, un fattore causale eccezionale, anomalo ed abnorme per l’inutilità del rischio assunto, tanto da escludere l’efficienza eziologica delle condotte degli imputati degradate a meri irrilevanti antecedenti. L’unico responsabile dell’incidente sarebbe lo stesso M.F. che poneva in atto, coscientemente, modalità pericolose di lavoro pur potendo usufruire della gru, presente in cantiere e che sapeva ben utilizzare, evitando di aprire i cancelletti apposti per la sicurezza dei dipendenti ed installati da lui stesso.
Nel caso di specie, la rimproverabilità della mancata adozione di condotte di prevenzione, da parte del datore di lavoro, viene meno, secondo il ricorrente, in quanto la situazione di pericolo era del tutto imprevedibile.
Il M.F., non solo era stato ammonito a non utilizzare l’ascensore sia dal proprio datore di lavoro che dalla S.P. ascensori, ma gli era stata posta a disposizione la gru, idoneo strumento per il trasporto dei materiali ai piani superiori, che, al momento dell’incidente non era impegnata per altri trasporti.
La corte di appello, senza esaminare le prove raccolte nel fascicolo del GUP, si è limitata a ritenere sussistente il concorso di colpa senza valutarlo come causa assoluta ed esclusiva dell’evento, senza avvedersi che non si trattava di semplice concorso di colpa ma, piuttosto, di comportamento abnorme del lavoratore che impediva a tutti gli imputati di attivarsi per impedire che si creassero i presupposti del tragico infortunio.
La vittima avrebbe inanellato una serie di comportamenti vietati, imprevedibili, abnormi, eccezionali ed esorbitanti rispetto al processo lavorativo ed alle direttive ricevute.
Il M.F. sapeva ben utilizzare la gru per il trasporto dei materiali e non vi era alcuna difficoltà per l’utilizzo del mezzo, tenuto conto anche della presenza in cantiere dell’altro dipendente S. che lo aveva sempre aiutato nello svolgimento delle mansioni. Invece, lo stesso lavoratore, contravvenendo tutti i divieti imposti si procurava un cavo elettrico, apriva in modo stabile il cancelletto di protezione posto al primo piano, saliva a piedi al quarto piano, scopriva il cavo elettrico ed effettuava l’allaccio provvisorio dell’ascensore con un cavo di proprietà della S.P. ascensori, per fornire energia ed utilizzare in modo improprio l’ascensore, in un ambito estraneo alle proprie mansioni, adottando un comportamento lontano dalle ipotizzabili e prevedibili scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.
Le mansioni del M.F. consistevano nella chiusura, al primo piano, di tracce con la malta e nessuno avrebbe potuto prevedere il suo comportamento.
Anche il pieno rispetto delle disposizione dell’art. 146 co. 3 D.lgs. 81/2008 ed un corretto coordinamento e gestione dei rischi interferenziali avrebbe potuto evitare il tragico evento, in quanto i cancelletti a protezione erano stati installati per evitare cadute dal pianerottolo verso l’ascensore e non da quest’ultimo verso l’esterno.
La caduta di un operaio dal vano ascensore verso il pianerottolo non era nemmeno astrattamente ipotizzabile -secondo quanto si sostiene in ricorso- in quanto gli operai che dovevano operare all’interno della tromba, utilizzavano i sistemi di sicurezza previsti rappresentati dalla classica imbracatura da alpinista.
Dette imbracature non venivano lasciate, dagli operai della S.P., proprio per scongiurare un eventuale uso improprio dell’ascensore.
La conoscenza da parte di tutti gli operai del divieto di usare l’ascensore renderebbe poco credibile la circostanza che, ove vi fosse stato un coordinamento dei sistemi di sicurezza al fine di evitare le interferenze, l’evento non si sarebbe realizzato.
La sentenza impugnata avrebbe inoltre trascurato la circostanza che al momento dell’evento non vi erano rischi interferenziali in quanto gli operai della Sa. Ascensori non erano presenti. L’opera della ditta di ascensori non ha interferito con le mansioni del M.F., in quanto il cantiere era nella totale disponibilità della T.D. Costruzioni srl.
La Corte distrettuale, violando i criteri interpretativi avrebbe reso una sentenza contraddittoria, carente ed illogica.
L’evento mortale, ribadisce il ricorrente, non sarebbe scaturito da un’assuefazione al lavoro o da un calo di attenzione, ma da una condotta imprevedibile. Né la presenza di cartellonistica adeguata, né la presenza di lucchetti ai cancelli avrebbero potuto influire sull’evento.
E’ molto probabile, infatti, che per conto della T.D. Costruzioni, le chiavi degli stessi lucchetti, sarebbero state nella custodia proprio del M.F., l’operaio ritenuto più anziano e responsabile.
Né sarebbe stato ipotizzabile che il S.P. dovesse togliere tutti i cavi elettrici dal cantiere.
Il ricorrente ribadisce che le disposizioni di sicurezza erano adeguate e che non vi era rischio interferenziale perché le imprese non hanno mai lavorato contemporaneamente, gli operai della ditta di costruzioni sono intervenuti solo dopo il parziale montaggio dell’ascensore che era stato posizionato in modo tale da evitarne l’uso.
Al momento dell’incidente la S.P. aveva terminato le lavorazioni nel cantiere. Tali argomentazioni non sarebbero state minimamente valutate dai giudici, né può sostenersi che non vi è obbligo del giudice di appello di soffermarsi su ogni singola problematica sollevata dall’appellante, dovendo limitarsi all’esame di quelle pregnanti al fine della decisione, ritenendo disattese quelle incompatibili con l’apparato motivazionale, perché, nel caso di specie è stato tralasciato il minimo confronto con i rilievi formulati da S.P..
b. Nullità della sentenza ex art. 606 comma primo lettera “b” per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’art. 192 c.p.p. n. 2, all’art. 41 c.p. II^ comma per vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata agli imputati e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, alla violazione contestata ex art. 589 e art. 26 d.lgs 81/08 comma 2.
I giudici di appello si sarebbero limitati a ribadire che il comportamento del M.F. era stato correttamente qualificato imprudente non essendo caratterizzato dall’abnormità o da eccezionalità rispetto alla lavorazione commissionata ed alle direttive ricevute, senza alcun riferimento probatorio o indicazione di indizi gravi, precisi e concordanti.
Ritiene invece il ricorrente che il comportamento della vittima rivesta i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al normale procedimento lavorativo.
I comportamenti posti in essere non erano, infatti, nemmeno finalizzati in modo diretto alle lavorazioni commissionate, né alle direttive ricevute di non utilizzare l’ascensore e di chiudere le tracce al primo piano.
Il complesso di attività, precedentemente richiamate, poste in essere per l’utilizzo dell’ascensore, fermato ad 80 cm. da terra per impedirne l’utilizzo non possono essere definiti semplicisticamente un atteggiamento imprudente o negligente senza nemmeno valutare o porre a confronto quali possono essere considerati comportamenti abnormi alla luce dei principi stabiliti da questa Suprema Corte.
Chiede, pertanto, l’accoglimento del ricorso, adottando i conseguenti provvedimenti di ragione e di legge.
• I.R.
a. Nullità della sentenza ex art 606 comma 1° lettera b) in relazione alla violazione dei criteri di interpretazione della prova così come statuito dall’art. 192 c.p.p. e dall’art. 195 c.p.p. in riferimento all’ art. 41 c.p. 11° comma per vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata all’ imputato e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, nonché del principio del ragionevole dubbio ex art 533 c.p.p. e di quello della prova contradditoria ex art 530 c.p.p. e per contraddittorietà illogicità ed omissione della motivazione.
Il giudice di appello ha ritenuto di confermare la pronuncia di colpevolezza del Tribunale di Fermo, in quanto avrebbe omesso di valutare un elemento essenziale rappresentato dalla circostanza che l’evento è avvenuto interamente nel cantiere della ditta di S.P..
Il ricorrente ricostruisce i fatti evidenziando che il M.F. penetrava nel cantiere della ditta subappaltatrice e poneva in essere una serie di attività irrazionali, pericolose ed inimmaginabili: raggiungeva il terzo piano della palazzina in costruzione, dove si trovava il quadro elettrico dei comandi, ancora semiimballato, creava un ponte elettrico con una prolunga, scendeva al primo piano e sganciava il cancello di sicurezza, rimuovendo il dispositivo antiintrusione e anticaduta, spalancava il cancello e lo bloccava, utilizzando un gancio per vincere la resistenza di cardini del cancello che lo avrebbero richiuso.
Di fatto il M.F. violava deliberatamente il dispositivo di sicurezza apposto dalla ditta T.D., elaborato dal coordinatore della sicurezza I.R., proprio per preservare i propri dipendenti dal rischio di caduta e per impedirne l’accesso al cantiere interferente della ditta S.P..
Se il cancello di sicurezza non fosse stato manomesso, il M.F. non avrebbe trovato il vuoto sotto di sé e sarebbe caduto sul pianerottolo.
Il M.F. ha certamente concorso nella causazione dell’evento, come stabilito in sentenza nella percentuale del 25%, ma la rimanente percentuale di colpa non può addebitarsi all’I.R..
Nel caso di specie la condotta del lavoratore era del tutto imprevedibile da parte del datore di lavoro.
La corte di appello partendo dal parametro oggettivo del fatto accaduto, penalizza le condotte degli imputati perché il lavoratore avrebbe usato l’ascensore per agevolare e rendere meno faticoso il proprio lavoro.
La corte di appello riconosce l’avvenuta adozione delle misure di sicurezza necessarie, ma ritiene le stesse inidonee in quanto l’evento si è comunque verificato.
Tale motivazione sarebbe erronea perché viene omessa completamente la valutazione delle cosiddette condotte alternative lecite da parte dell’imputato.
Inoltre la sentenza impugnata ritiene completamente mancante il processo di coordinamento e gestione dei rischi interferenziali, nonostante la consapevolezza della presenza in cantiere del personale dell’altra ditta, senza individuare aree di rispettiva pertinenza, senza efficaci sistemi di disattivazione del sistema di alimentazione dell’elevatore, in periodi in cui non c’erano lavorazioni da parte della ditta S.P. e senza la previsione di un idoneo meccanismo di inibizione all’uso indiscriminato del pannello di comando dell’ascensore.
Il ricorrente definisce falso tale assunto, perché non sarebbe stata competenza dell’I.R. prevedere sistemi di disattivazione del sistema di alimentazione dell’alimentatore, di pertinenza della ditta S.P.. L’I.R. non doveva prevedere un idoneo meccanismo di inibizione dell’uso del pannello di comando dell’ascensore, situato nel cantiere della ditta subappaltatrice S.P., semi imballato e non elettrificato. Nessun dovere può esservi in relazione a strumenti o procedure di costruzione di altre ditte.
Infine non corrisponderebbe al vero la circostanza che non vi erano lavorazioni in corso della ditta S.P. al momento del sinistro, in quanto gli operai del S.P., presenti in cantiere, erano soltanto in pausa pranzo.
In sostanza l’unica contestazione pertinente all’attività dell’I.R. sarebbe quella relativa alla gestione dei rischi interferenziali, ma tale censura è ascrivibile solo in un’ottica oggettiva in quanto si sostanzia nella mancata allegazione nel volume cartaceo del piano di sicurezza prevenzione della T.D. della scheda di lavorazione degli ascensori redatta dalla ditta S.P..
Tale assenza non avrebbe comportato alcuna differenza nella concreta applicazione degli strumenti di prevenzione.
Il ricorrente ribadisce di aver valutato, in relazione all’interferenza tra le ditta sia il rischio da caduta del vuoto affrontato con i cancelli di ferro ammorsati a muro e bloccati con cardini con molle di richiamo e sia il rischio di aree interferenti, affrontato con avvisi orali ed istruzioni verbali, come risulta dai testi escussi a SIT.
L’I.R. non poteva conoscere e prevedere le modalità di lavorazione nel cantiere di terzi.
Del resto dalla motivazione del provvedimento impugnato non è dato conoscere quale alternativa condotta lecita avrebbe dovuto tenere l’I.R. per evitare l’evento.
Il ricorrente rileva che la rimproverabilità per la mancata adozione di condotte di prevenzione, viene meno se la condotta non era esigibile per l’imprevedibilità della situazione di pericolo.
Il rischio prevedibile da parte dell’I.R. era quello inerente le lavorazioni, l’uso, le strutture organizzative e produttive del suo cantiere edile, non di quello della ditta S.P..
Il M.F. è caduto nel vuoto per ignoranza, incompetenza, presunzione di consapevolezza nell’uso di macchine che non gli appartenevano. La corte di appello non si sarebbe avveduta che non spettava all’I.R. prevedere il rischio, affermando una responsabilità oggettiva in palese violazione di legge.
La condotta del lavoratore sarebbe stata imprevedibile ed abnorme e, pertanto, non sarebbe stato possibile per gli imputati attivarsi per impedire che si creassero i presupposti del tragico infortunio.
Il M.F. non solo sarebbe stato consapevole del divieto di utilizzo dell’ascensore ma sarebbe stato incaricato personalmente dell’installazione dei cancelli di sicurezza.
Certamente nessuno avrebbe potuto prevedere che il M.F., operaio edile esperto di oltre sessantanni decidesse di rimuovere i dispositivi di sicurezza e di penetrare in un cantiere che non lo riguardava e per cui non aveva alcuna esperienza tecnica.
Ci si duole che la sentenza nulla dica sulle qualità o conoscenze tecniche della vittima. In ogni caso il coordinamento dei sistemi di sicurezza delle due aziende non avrebbe certamente fatto desistere il M.F. dalla complessa attività posta in essere per utilizzare l’ascensore.
Il ricorrente ritiene che non si sono verificate interferenze tra le due imprese e che i sistemi di sicurezza della T.D. erano efficaci.
La sentenza di condanna sarebbe basata sostanzialmente sulla responsabilità degli imputati a causa dell’abuso fatto dal M.F. dell’ascensore non adeguatamente protetto, nonché dalla relativa facilità di ingresso nel cantiere della ditta S.P. che se maggiormente protetto ne avrebbe dissuaso l’uso, ma non viene chiarito quale livello di sicurezza e con quali mezzi si sarebbe potuto dissuadere il M.F..
La protezione del cantiere con recinzioni sarebbe comunque spettata alla ditta S.P., titolare del cantiere.
Il responsabile della sicurezza I.R. si esaurisce nella prevenzione dei rischi dell’attività della propria ditta e i rischi derivanti dalla intersezione con altri cantieri ma non può estendersi alle lavorazioni che si svolgevano nel cantiere della ditta S.P..
Il rischio per un errata manovra di risalita della piattaforma è prevedibile da parte della S.P., né la società appaltante T.D. può apporre cancelli o lucchetti nel cantiere della subappaltatrice.
Chiede, pertanto, l’accoglimento del ricorso, adottando i conseguenti provvedimenti di ragione e di legge.
• S.MG. (parte civile)
a. Mancanza, ovvero inadeguatezza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento al concorso di colpa della vittima accertato nella misura del 25%.
La ricorrente rileva che la corte di appello avrebbe qualificato la condotta del lavoratore deceduto come imprudente, nella misura di un 25% di colpa, senza aggiungere null’altro, omettendo una logica motivazione.
Nella sentenza impugnata, non sarebbe stato chiarito in cosa sia consistita l’imprudenza, né è stata specificata la ragione o i criteri per cui il risarcimento della vittima è stato ridotto di un quarto, infine non è stata indicata l’eventuale condotta alternativa diligente da tenere da parte del lavoratore.
La ricorrente riporta le circostanze di fatto emerse in sede istruttoria, evidenziando che le condotte materiali del lavoratore sono state unificate dall’esclusiva ragione di dovere utilizzare l’ascensore come montacarichi ai fini del puntuale adempimento della propria mansione lavorativa e si collocano all’Interno del contesto in cui si trovavano il cantiere il giorno del sinistro, certamente non addebitabile al lavoratore.
Il ponteggio della palazzina B non era stato adattato allo stato di avanzamento, in quanto occorreva la realizzazione di una piazzola di carico sul lato della palazzina B, non essendo più consentito il passaggio.
L’unica alternativa per trasportare la carriola piena di malta al primo piano era rappresentata dalla gru, ma non era agevole da utilizzare con un solo operatore e il M.F. non era esperto del suo utilizzo.
Non vi era alcun serio ostacolo all’utilizzo dell’ascensore.
I rischi interferenzìali dovuti all’attività di montaggio dell’impianto ascensore, riconducibili al contemporaneo svolgimento dell’attività lavorativa e dell’impresa edile non sono stati minimamente rilevati dai responsabili della sicurezza.
Il lavoratore particolarmente attaccato al lavoro, era solito consumare il proprio pranzo in cantiere a differenza dei colleghi che si recavano presso un ristorante.
Infine la tolleranza all’uso dell’ascensore come montacarichi è purtroppo diffusa nei cantieri e la violazione dell’obbligo di sicurezza appare palese sia perché la presa elettrica a vista posta sul quadro era accessibile a tutti e quindi inadeguata, sia perché la pulsantiera posta sopra il piano provvisorio era fissata in modo stabile e certamente non era concepita per essere rimossa o scollegata per evitarne l’utilizzo.
Inoltre la tolleranza e il consenso all’utilizzazione sarebbero emersi anche dalle dichiarazioni contraddittorie dei testi sentiti a sommarie informazioni.
Vengono riportate le varie dichiarazioni e viene più volte richiamata la relazione redatta dagli ispettori del lavoro ADUR a conferma della tesi difensiva.
Ritiene la ricorrente che la condotta del M.F. non possa qualificarsi come abnorme e imprevedibile, ma anzi sia stata conosciuta e tollerata.
b. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.
La parte civile ha esercitato l’azione civile nell’ambito del processo penale per rito abbreviato, però, i giudici dopo aver accertato una grave forma di colpevolezza penale di tipo omissivo degli imputati, aggravata dalla palese violazione delle norme antinfortunistiche, avrebbero stabilito un singolare arbitrario concorso di colpa nella misura del 25%, senza fornire adeguata motivazione e senza dare conto dell’applicazione delle norme civilistiche in tema di responsabilità contrattuale, di colpa presunta e concreta e di ripartizione degli oneri della prova tra le parti, senza indicare quale sarebbe stato il comportamento corretto richiesto al lavoratore.
Di fatto i giudici pur riconoscendo di non avere, per la natura del rito, elementi di giudizio sufficienti ai fini della determinazione del risarcimento civile, ritengono comunque di stabilire un concorso di colpa ai fini civilistici del 25 %.
La ricorrente ricorda che ai fini civilistici avrebbero dovute essere applicate le norme sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per cui si presume la negligenza del debitore con una presunzione di colpa e causalità.
Non si capisce come si sia potuto stabilire un concorso del 25 % allorquando gli ispettori ASUR avevano accertato l’esistenza di tolleranza e consenso all’uso dell’ascensore come montacarichi.
L’unica imprudenza del lavoratore risiederebbe nell’aver accettato di eseguire la prestazione di lavoro di chiusura delle tracce al primo piano della palazzina B, dove era di fatto intercluso il trasporto del materiale con modalità diversa rispetto all’utilizzo dell’ascensore.
La circostanza che il M.F. si fosse lamentato che l’intavolato provvisorio non si trovasse a piano terra, dimostra che l’uso dell’ascensore come montacarichi fosse un’opzione praticata e condivisa nel cantiere.
Al caso di specie non veniva applicato l’art. 1227 c.c. che disciplina il concorso di colpa tra creditore e debitore nella determinazione del danno risarcibile.
La ricorrente ribadisce che non risulta indicato nelle sentenze impugnate l’effettivo comportamento colpevole del M.F., considerati lo stato del cantiere, la prassi operativa, le violazioni delle nome antinfortunistiche addebitate agli imputati, nonché la mansione specifica affidatagli di chiusura delle tracce al primo piano della palazzina B, dove di fatto era intercluso l’accesso, o reso eccessivamente difficoltoso il trasporto in quota.
La stessa sentenza impugnata riconosce che il M.F. ha deciso di utilizzare l’ascensore allo scopo di accelerare il suo lavoro quindi la sua condotta non è stata irragionevole o irrazionale, ma dettata dalla necessità di adempiere la propria prestazione lavorativa, risultando, quindi del tutto prevedibile dai soggetti che avrebbero dovuto essere formati nella prevenzione e protezione dai rischi di infortuni.
Il M.F. aveva diritto a che il suo datore di lavoro, il responsabile della sicurezza e tutti gli altri soggetti responsabili ex lege e ex contractu della gestione e organizzazione del cantiere osservassero scrupolosamente le norme in materia di sicurezza sul lavoro.
Nel caso di specie i responsabili non solo non hanno rispettato le norme del D.lgs. 81/2008, che avrebbero evitato l’infortunio mortale, ma non hanno nemmeno individuato come un classico rischio infortunio il fatto, notorio nei cantieri, che un lavoratore possa utilizzare un ascensore installato come montacarichi per trasportare del materiale pesante ai piani.
Addirittura gli imputati pretendono di definire il fatto come abnorme ed esorbitante, sostenendo, a posteriori, che anche volendo non si potevano predisporre cautele per evitare tale rischio.
I giudici, inoltre, non avrebbero valutato la diversa qualificazione dei fatti sotto l’aspetto penale e quello civile, dando luogo ad un unico accertamento di grave responsabilità omissiva esclusivamente penalistica su cui è stato riconosciuto un arbitrario concorso di colpa del 25%.
La responsabilità posta a carico della vittima, confliggerebbe con le norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In ultimo la ricorrente evidenzia il danno ingiusto patito, consistente in un danno biologico permanente di tipo psichiatrico e nel danno economico patito che si sostanzia nella necessità di acquisto di una nuova casa e negli oneri da sopportare, evidenziando che nessuna proposta risarcitoria vi è mai stata da parte degli imputati.
Chiede, pertanto, in via principale riconoscere la piena responsabilità penale colpevole per la causazione dell’infortunio mortale, a titolo omissivo, in capo agli imputati, e per l’effetto, condannare i medesimi, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla parte civile, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al pagamento delle spese legali finora occorse e occorrenti, liquidando allo scopo in sentenza una provvisionale maggiorata in considerazione del fatto, che non sussiste alcun concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro; in via subordinata, ovvero in denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda principale, chiede una modifica in senso sensibilmente più favorevole alla parte civile dell’eventuale percentuale di concorso di colpa finora riconosciuto nella misura del 25%, che tenga conto della fondatezza di tutto quanto esposto; concorso di colpa che, tutt’al più deve essere contenuto e rivisto entro il limite massimo del 5-10%.
3. In data 25.5.2016 è stato proposto un motivo aggiunto nell’interesse di I.R. con il quale è stata dedotta la nullità della sentenza ex art 606 comma 1° lettera b) in relazione alla violazione dei criteri di interpretazione della prova così come statuito dall’art. 192 c.p.p. e dall’art. 195 c.p.p. in riferimento all’ art. 41 c.p. 11° comma per vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata all’imputato e l’evento mor-te determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, verificatosi in altro cantiere, nonché del principio del ragionevole dubbio ex art 533 c.p.p. e di quello della prova contradditoria ex art 530 c.p.p. e per contraddittorietà illogicità ed omissione della motivazione.
In particolar modo il ricorrente si è rifatto, per ribadire l’errore motivazionale in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, alla pronuncia n. 29798 del 18/07/2015 di questa sez. 4, ove, con particolare riguardo al criterio dirimente sulla responsabilità del coordinatore della sicurezza del cantiere appaltatore, si è affermato che una esclusione di responsabilità dell’appaltatore è configurabile,, solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore, e, quindi, ciò non si verifica nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere.
Ha insistito, dunque, per le conclusioni già rassegnate in relazione al ricorso principale.
Diritto
1. Tutti i motivi sopra illustrati sono infondati e pertanto sia i ricorsi degli imputati che quello della parte civile vanno rigettati.
2. Quanto ai ricorsi degli imputati, va evidenziato che, legittimamente, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, i giudici di appello richiamano per relationem l’articolata pronuncia di primo grado. E in proposito va ricordato che il giudice di secondo grado, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte sez. 2 n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2. 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'”ossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Deivai, rv. 223061).
3. E’ stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n. 9242 dell’8.2.2013, Reggio, rv. 254988).
Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Ancona non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado.
I giudici del gravame del merito ricordano, innanzitutto, i fatti, che, come visto, non sono in contestazione.
In particolare viene fatta propria la ricostruzione del giudice di primo grado, ricordando come il M.F., lasciata la carriola al piano terra, era salito per le scale raggiungendo il piano dove era presente l’intavolato provvisorio dell’ascensore; che aveva aperto il cancelletto; che aveva verificato il collegamento del cavo di alimentazione o aveva provveduto egli stesso al collegamento; che aveva schiacciato il pulsante sul quadro di controllo provvisorio inviando il tavolato al piano terra; che, sceso al piano terra, aveva caricato la carriola sul tavolato provvisorio con i manici rivolti verso il vano di entrata ed aveva pigiato nuovamente il bottone per salire al primo piano; che, pensando di aver raggiunto il piano, dando le spalle al varco di accesso, era uscito a ritroso senza accorgersi che l’intavolato provvisorio si trovava, invece , a circa 102 cm più in alto rispetto al solaio del primo piano; che avendo il tavolato una misura inferiore di circa 15 cm rispetto al profilo interno della apertura di accesso al vano aveva messo il piede nel vuoto; che perciò si era sbilanciato cadendo all’indietro, aveva cercato istintivamente di afferrarsi ai manici della carriola in tal modo generando un movimento oscillante ed infilandosi con le gambe, al disotto dell’intavolato, nel vuoto, proseguendo quindi la caduta per circa otto- nove metri nella tromba dell’ascensore; che era deceduto in conseguenza delle gravi lesioni riportate a seguito del violento impatto sul pavimento della tromba dell’ascensore.
4. Orbene, i ricorsi degli imputati sono tesi in primo luogo ad affermare che il comportamento posto in essere dal M.F. -che, come visto, è provato che ebbe ad aprire il cancelletto posto a protezione dell’ascensore ed a ripristinare l’energia elettrica attraverso il collegamento di un “cavo volante” al quadro dei comandi- avesse quei requisiti di abnormità e di imprevedibilità tali da interrompere il nesso di causalità rispetto all’evento prodottosi a suo danno.
Logico e coerente, tuttavia, appare il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito per confutare la tesi della interruzione del nesso di causalità tra l’accertata carenza del sistema di sicurezza e la morte del lavoratore, dovendo la stessa attribuirsi al comportamento abnorme dei lavoratori ed essendo l’evento stesso imprevedibile e inevitabile.
Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, colui che rivesta una posizione di garanzia in relazione al rispetto delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento della persona offesa sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.
Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14.1.2014, Scarselll, rv. 259321 secondo cui non esclude la responsabilità (in quel caso del datore di lavoro) il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia riconducibile comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Il titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori – si è peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile, (sez. 4, n. 37986 del 27.6.2012, Bat- tafarano, rv. 254365; conf. sez. 4, n. 3787 del 17.10.2014 dep. il 27.1.2015, Bonelli, rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
5. Questa Corte dì legittimità ha più volte precisato – e va qui ribadito- che il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro (cfr., oltre a quelle citate in precedenza, sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321, fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Passando poi al diverso profilo della colpa va ricordato anche, che, come affermato nella recente sentenza delle Sezioni Unite n.38343/2014 sul c.d. caso Thyssenkrupp, la necessaria prevedibilità dell’evento – anche sotto il profilo causale – non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103 nella cui motivazione la Corte ha precisato che, ai fini della imputazione soggettiva dell’evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali).
Inoltre, è stato precisato che nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103; conf. sez. 4, n. 49707 del 4.11.2014, Incorcaia ed altro, rv. 263284; sez. 4, n. 22378 del 19.3.2015, PG in proc. Volcan ed altro, rv. 263494).
6. Già il giudice di primo grado aveva ampiamente e logicamente motivato su come la condotta tenuta dal M.F. fosse ben lontana dall’apparire esorbitante dalle mansioni lavorative o imprevedibile.
Ciò in quanto -come si legge nella sentenza- l’operaio aveva deciso di utilizzare l’ascensore come montacarichi all’evidente scopo di accelerare il suo lavoro e, per farlo, non aveva dovuto superare alcuna difficoltà, visto che i cancelletti metallici provvisori non erano chiusi con lucchetto o altro dispositivo che richiedesse l’uso di chiavi, e che il pannello di comando provvisorio dell’ascensore non era provvisto di alcun sistema che impedisse l’uso ai non autorizzati (bastava solamente collegare il cavo di alimentazione ad una presa di corrente per rendere funzionante la macchina elevatrice, che poi poteva essere messa in moto agendo sui pulsanti del quadro di comando).
Non potendosi, quindi, ritenere che l’agire imprudente del M.F. si fosse posto come causa esclusiva dell’evento mortale, il primo giudice del merito aveva esaminato la posizione, tra gli altri, degli odierni ricorrenti per verificare se ed in che modo, nei rispettivi ruoli, fosse rinvenibile una loro responsabilità colposa in relazione all’infortunio che era costato la vita a M.F..
Era stato, tra l’altro, già in quella sede valutato il motivo oggi riproposto secondo cui era possibile usare una gru a torre per portare il materiale in quota sull’intavolato del ponteggio, riscontrando che ciò era vero, ma che vi era comunque una difficoltà, per chi non fosse particolarmente abile nel maneggio di quella macchina, nell’appoggiare il materiale una volta alzato all’altezza desiderata; ed inoltre l’intavolato non aveva le medesime capacità di sopportare il peso della piazzola di carico. Era dunque doveroso prevedere che un operaio, specialmente se incaricato di (o lasciato) procedere da solo, a una lavorazione che presupponesse il sollevamento ai piani di materiali -come nel caso di specie- fosse tentato di evitare il complicato e laborioso uso della gru con scarico sul ponteggio, avvalendosi piuttosto della comoda “scorciatoia” offerta dall’ascensore in costruzione, che nulla impediva di usare come montacarichi e che poteva essere azionato facilmente da una sola persona.
Già nella pronuncia di primo grado, nell’analizzare la posizione del T.D. (datore di lavoro della persona offesa oggi non ricorrente) era stato logicamente rilevato come la raccomandazione orale del datore di lavoro a non usare l’ascensore, anche ammesso che fosse stata fatta, non sarebbe stata sufficiente, visto che in ultima analisi era proprio la difficoltà di portare i carichi in quota, dovuta all’organizzazione del cantiere, a indurre all’inosservanza della “raccomandazione” nell’interesse della stessa ditta esecutrice dei lavori, e non era stata commi-nata, né di certo sarebbe stata adottata, alcuna sanzione nei confronti di chi fosse stato colto a trasgredirvi.
7. L’odierno thema decidendum, accertata la sussistenza del rischio di caduta nell’ascensore, verte in ordine alla valutazione operata dai giudici del merito relativamente all’inidoneità degli strumenti posti in essere per fronteggiarlo.
Quanto alla posizione dell’odierno ricorrente S.P., responsabile della ditta S.P. Ascensori s.r.l., corretto appare il riferimento operato dal giudice di primo grado all’arresto giurisprudenziale di questa Corte di legittimità costituito dalla sentenza 16420/2007, in cui, in un caso analogo a quello che ci occupa, si era affermato che nell’ipotesi di infortunio mortale sul lavoro, oltre al datore di lavoro e al responsabile del cantiere, risponde anche il responsabile dell’impresa appaltatrice incaricata dell’installazione dell’impianto di ascensore, per non- aver provveduto all’adozione di tutte quelle cautele idonee e necessarie per la totale disattivazione dell’impianto stesso, consentendo così l’utilizzo improprio dell’impianto come montacarichi e la conseguente caduta del lavoratore nel vano ascensore.
L’addebito, fatto proprio dalla Corte territoriale, e che finisce per coinvolgere tutti gli imputati, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, è quello di non avere fatto in modo che agli operai fosse impossibile, o perlomeno oltremodo difficoltoso avvalersi, dell’impianto come montacarichi.
Ciò dovevano farlo il datore di lavoro, ma anche il responsabile della ditta affidataria dei lavori di realizzazione dell’impianto ascensore (ad es., premurandosi di munire di lucchetto i cancelletti di accesso al vano ascensore, fornendo le chiavi solo ai dipendenti della ditta S.P.; chiudendo il pannello di controllo con una copertura apribile solo con chiavi, etc.).
Nessuna simile iniziativa era stata, invece, adottata.
Correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che dovesse rispondere – dell’infortunio mortale anche S.P., quale soggetto responsabile dell’osservanza delle normative antinfortunistiche nell’esecuzione dei lavori di installazione dell’impianto ascensore.
E’ risultato infatti che, con delibera del CdA dei 23.12.09 della S.P. Ascensori s.r.l., S.P. aveva ricevuto delega di poteri e funzioni, in rappresentanza della società, in ordine all’organizzazione ed al coordinamento delle funzioni di sicurezza aziendale, antinfortunistica, igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, ed all’adempimento di tutti “gli obblighi discendenti dalle normative sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nell’ambiente di lavoro, comprendendovi i cantieri edili, inclusa l’osservanza delle disposizioni dettate in materia dal D.L.vo 81/2008”.
La delega, correttamente, è stato ritenuto che, ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 81/2008, valesse a individuare in via esclusiva nel S.P. il destinatario degli obblighi previsti della normativa antinfortunistica che nella specie sono stati violati, tenuto conto che risulta da atto scritto di data certa che S.P. era pacificamente in possesso di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate.
La delega in questione gli attribuiva tutti i poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, ed è stata accettata dal delegato per iscritto, come risulta dalla medesima delibera approvata all’unanimità dall’intero CdA, del quale faceva parte lo stesso S.P..
A S.P., dunque, è stato rimproverato di non avere predisposto alcun valido sistema per impedire la caduta di persone dal vano ascensore, in tal modo violando il preciso disposto dell’art. 146 co. 3 d.lgs. 81/2008; i cancelletti installati (peraltro dalla ditta T,) a protezione delle aperture del vano erano inidonei perché potevano essere aperti senza alcuna difficoltà da chiunque.
8. La responsabilità del CSE della S.P., I.R., è stata correttamente individuata in relazione alla circostanza che egli, ai sensi degli artt.91 co. 1 lett. a) e 92 del d.lgs. 81/08 doveva redigere il Piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 100 co. 1 del citato d.lgs., con i contenuti espressamente indicati nell’allegato 15, e tenerlo costantemente adeguato in relazione all’evoluzione dei lavori.
Nel PSC da lui redatto, invece, come già riscontrato dal giudice di primo grado, non si riscontra l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti correlati alla fase di installazione dell’ascensore (valutazione che doveva essere condotta tenendo conto dell’organizzazione del cantiere, delle lavorazioni in corso e delle loro interferenze); tanto meno nel Piano sono individuate le misure tecniche ed organizzative necessarie a gestire l’interferenza dei rischi per i lavoratori delle imprese impegnate.
In violazione dell’art. 92 co. 10 lett. B d.lgs. cit. – il quale, tra l’altro, stabilisce che i POS sono da considerarsi come piani complementari di dettaglio del PSC – non vi è stata, da parte del Coordinatore I.R., una seria verifica del POS della ditta S.P., che avrebbe portato ad evidenziare le gravi manchevolezze di quel POS, sotto il profilo delle misure di prevenzione da adottare per gestire i rischi generati dalla presenza in cantiere di tecnici di altre ditte svolgenti diverse fasi lavorative. Il POS della T.D., infatti, non vi era alcun cenno al rischio costituito dalla presenza del vano ascensore.
Peraltro, con motivazione logica viene ascritta tra le manchevolezze imputabili all’I.R. anche il non avere informato dei rischi o sollecitato in alcun modo i datori di lavoro interessati a prendere in specifica considerazione la problematica della sicurezza con riferimento all’installazione dell’ascensore, con ciò violando l’art. 92 co. 1° lett. C del d.lgs. 81/08 ove viene stabilito che il Coordinatore organizza la cooperazione ed il coordinamento delle attività dei diversi datori ‘di lavoro, nonché la loro reciproca informazione.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia gli imputati ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
9. Infondato è anche il ricorso proposto dalle parti civili.
Si è detto che il comportamento del lavoratore non può essere ritenuto né abnorme, né imprevedibile, e pertanto tale da escludere la penale responsabilità degli imputati.
Tuttavia, i giudici di merito non hanno potuto riconoscere che il suo essersi attivato in vario modo, come ampiamente ricordato, per rimettere in funzione l’ascensore, faccia sussistere un concorso colposo che è stato valutato dal giudice di primo grado prima e della Corte territoriale poi quantificabile nella misura del 25 per cento.
Tale quantificazione, evidentemente, tiene conto in via equitativa di tutte le componenti del fatto ampiamente illustrate dai giudici di merito, soprattutto in primo grado.
Va ricordato, peraltro, che le statuizioni del giudice di merito in ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell’evento costituiscono apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, (sez. 4, n. 43159 del 20/6/2013, Sparapani, rv. 258083; conf. sez. 4, n. 4537 del 21.12.2012 dep. 2013, Fatarella, rv. 255099).
Condivisibilmente, peraltro, già il giudice di primo grado ha valutato che la natura del rito prescelto e la proiezione dell’attività Istruttoria al solo accertamento delle responsabilità penali non fornissero elementi di giudizio sufficienti per stabilire l’ammontare esatto del risarcimento spettante alla parte civile e ha ritenuto, pur statuita una provvisionale, di dover pronunciata condanna generica e di dover rimettere le parti, ai sensi dell’art. 539 c.p.p. dinanzi al giudice civile, per la quantificazione del risarcimento.
Su entrambi i punti analogo motivo di doglianza è stato già valutato e rigettato in sede di gravame del merito.
10. Al rigetto dei ricorsi consegue ex lege la condanna di tutte la parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La reciproca soccombenza porta a che non vi siano spese liquidabili tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 15 giugno 2016