Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 08 febbraio 2016, n. 4987

Infortunio mortale durante le operazioni di posa di cavi elettrici sulla galleria. Aperture non protette e responsabilità in appalto. Coordinatore per l’esecuzione.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 15/01/2016

Fatto

1. L.P. e V.V., insieme al coimputato M.D., erano stati giudicati per il reato p e p dall’art 589 co 1 e co 2 cod. pen. perché nelle rispettive qualità: M.D. quale datore di lavoro di T.O. e quale Amministratore Unico e Direttore Tecnico della M. Impianti srl, società subappaltatrice – in forza di contratto di subappalto del 29 agosto 2005 stipulato con G. Spa – di lavori di “posa cavi, canaline e corpi illuminanti in Galleria”, lavori da effettuarsi nella Galleria di Marinasco e costituenti parte dei lavori di realizzazione di impianti tecnologici della Galleria Marinasco, appaltati da ANAS spa alla G. spa, in forza di contratto di appalto stipulato nell’ambito dei lavori di completamento del tratto compreso tra lo svincolo di San Benedetto e Seresa della Variante all’ex s.s. n., I Via Aurelia; L.P. quale capo cantiere indicato come tale nel Piano Operativo di Sicurezza del 4.11.2005 della M.D. IMPIANTI srl e quale preposto della stessa “M.D. Impianti” alla sicurezza del cantiere; V.V. quale Direttore dei Lavori e quale Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori incaricato dalla committente ANAS, per colpa, generica e specifica, cagionavano il decesso di T.O. nato a Taranto il Omissis; in particolare T.O. — che ricopriva la qualifica di montatore I livello ed era stato distaccato, a fare data dal 21.11.2005, dalla Ditta C. srl di Taranto alla Ditta M.D. Impianti – durante le operazioni di posa in staffe reggicanale per posa di cavi elettrici sulla sommità della volta del soppalco in calcestruzzo della galleria “Marinasco”, precipitava per circa 5 metri all’Interno di una apertura non protetta posta sul piano di calpestio del suddetto soppalco, finendo sul sottostante manto stradale; a seguito della caduta , T.O. riportava gravissime lesioni (trauma cranico con sospetta frattura base cranica, con inondazione ematica della faringe, rinorragia e otorragia bilaterale) che ne cagionavano il decesso.
Colpa generica consistita in imprudenza e negligenza e colpa specifica consistita: per il L.P. e per il M.D. nella violazione dell’art 68 DPR 164/1956 perché nelle qualità sopra indicate non provvedevano a che fossero circondate con parapetto o tavola fermapiede o coperte con tavolato solidamente fissato, le 42 aperture – in una delle quali T.O. ebbe a precipitare – aperture non protette, aventi altezza dal suolo superiore a due metri, e presenti a intervalli regolari nel solaio di calpestio del soppalco in cemento armato, realizzato all’interno della terza galleria del tratto stradale Felettino/Marinasco; per il M.D.: nella violazione dell’art 4 comma 2 D.L.vo 626/1994 perché nelle qualità sopra indicate, pur avendo egli ricevuto dalla Ditta G. gli elaborati grafici della Galleria nei quali erano indicate le aperture della soletta, nell’elaborazione del POS, non individuava le misure di prevenzione e protezione per ridurre o eliminare i rischi e più precisamente non prevedeva il programma delle misure ritenute opportune per garantire la sicurezza dei lavoratori nell’esecuzione dei lavori oggetto del subappalto da effettuarsi sul solaio in cemento armato realizzato all’interno della Galleria Stradale MARINASCO ad una quota di circa 5 metri dal nastro stradale sottostante, dove erano presenti le 42 aperture non protette: per V.V.: nella violazione dell’art 5 comma 1 lettera a L. 494/96 perché nella qualità sopra specificata non verificava l’applicazione da parte dell’impresa esecutrice, delle relative disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento; in particolare: non rilevava che le aperture verso il vuoto, costituite dalle aperture presenti nel solaio di calpestio del soppalco in cemento armato, realizzato all’interno della terza galleria del tratto stradale Felettino Marinasco aggettanti verso il nastro stradale sottostante e aventi altezza superiore a due metri, non risultavano protette da normale parapetto e tavola fermapiede o coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio in modo da impedire la caduta di persone; nella violazione dell’art 5 comma 1 lettera b) a perché nella qualità sopra specificata, non adeguava il Piano di Sicurezza e Coordinamento , in conformità al DPR 222/03 del 03.07.2003 e in particolare ometteva di elaborare a riguardo della specificità per la singola opera da realizzare, una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti in relazione all’accertato maggior rischio derivante dall’esecuzione delle opere sul solaio in cemento armato, presente all’interno della Galleria Marinasco, dove erano ubicate le 42 aperture non protette.
Fatto aggravato ex art 589 co 2 cp in quanto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In La Spezia il 21.12.2005.
2. Il Tribunale di La Spezia, all’esito di giudizio ordinario, dichiarava L.P. e V.V. colpevoli del reato loro ascritto e, concesse in favore di L.P. l’attenuante ex art. 62 n. 6 c.p. e in favore di entrambi gli imputati le attenuanti generiche, ritenute per L.P. prevalenti sull’aggravante contestata e le attenuanti concesse a V.V. equivalenti all’aggravante contestata, condannava L.P. alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione e V.V. alla pena di anni 2 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Con pena sospesa e non menzione per entrambi gli imputati.
In primo grado V.V., in solido con il responsabile civile ANAS s.p.a,., veniva condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili costituite Omissis, rimettendo le parti davanti al giudice civile per la liquidazione. V.V. veniva anche condannato, in solido con il responsabile civile, al pagamento della provvisionale di euro 160.000 ciascuno in favore di Omissis e di euro 30.000 in favore di Omissis nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle medesime parti civili, che venivano liquidate in complessivi euro 7.537,50 in favore di Omissis e in eurolO.170,60 in favore di Omissis, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.
3. La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 17.1.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della Spezia del 28/5/2012, appellata dagli imputati L.P. e V.V. e dal responsabile civile Anas S.p.A., dichiarava non doversi procedere nei loro confronti perché il reato ascritto era estinto per prescrizione; confermava le statuizioni civili nei confronti di V.V. e del responsabile civile e li condannava al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile.
4. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il Responsabile Civile ANAS spa in persona del Irpt, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. NULLITÀ’ DELLA SENTENZA PER MANCANZA, CONTRADDITTORIETÀ’ ED ILLOGICITÀ’ DELLA MOTIVAZIONE IN ORDINE ALLA VALUTAZIONE DELLA TIPOLOGIA DI CANTIERE, DEL SUSSEGUIRSI DEI LAVORI E DEL DATO TEMPORALE E VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 530 e 129 C.P.P.
Aspetto essenziale, indicato nei motivi di appello e che secondo il ricorrente sarebbe stato assolutamente ignorato dalla Corte di Appello sarebbe quanto riportato a premessa dell’atto, a pagina 2 e cioè che “il tribunale ha proceduto considerando distintamente le posizioni dei tre imputati, prendendo in esame le rispettive funzioni, tralasciando però completamente la tipologia di cantiere, l’oggetto dell’appalto e del subappalto, il susseguirsi dei lavori e l’elemento temporale.”
Su questa questione, centrale e di straordinaria rilevanza proprio per valutare le singole responsabilità, ci si duole che non si ritrovi neanche una parola nella sentenza della Corte di Appello.
A pagina 8 della sentenza impugnata, in riferimento ai motivi di appello formulati del responsabile civile ANAS SpA, è indicato che “un primo rilievo riguarda la circostanza che il POS cui fa riferimento la sentenza appellata non sia della società Anas, bensì della società G., con conseguente sovrapposizione di responsabilità. La corte ritiene che tale considerazione riguardi un aspetto meramente formale, non essendo dubitabile la figura di committente in capo alla società Anas SpA”.
Tale motivazione sarebbe, tuttavia, con tutta evidenza apparente, in quanto la difesa ricorda che nei motivi di appello aveva evidenziato tale aspetto, non certo per negare la posizione di committente di Anas, bensì per segnalare come il tribunale spezzino, in concreto, non avesse opportunamente distinto i diversi soggetti entrati in campo nella vicenda in oggetto e le diverse fasi e tipologie di lavorazioni nei diversi siti della galleria.
L’erronea sovrapposizione dei soggetti e delle tipologie di lavorazioni avrebbe indotto il giudice di primo grado a considerazioni e conclusioni errate proprio in riferimento alle condotte contestate, ma tale aspetto sarebbe stato completamente ignorato dalla Corte di Appello.
Nella sentenza della Corte di Appello è quindi indicato che “L’atto di gravame prosegue affermando che non fu data notizia dell’inizio dell’attività di installazione dell’impianto di illuminazione sulla volta della galleria Marinasco. Anche tale rilievo è infondato, poiché tali lavori erano preventivati; inoltre, il coordinamento, l’adeguamento del POS e le verifiche previsti dalla legge, per essere realmente efficaci, devono precedere l’inizio dei lavori cui si riferiscono. Ed invece per il ricorrente non è certo da sottovalutare, in fatto, che i lavori in esecuzione fossero molti e complessi e che all’interno della galleria convivessero diverse aziende, con compiti differenti ed altresì che più aziende si siano avvicendate nell’esecuzione delle diverse attività.
La tesi sostenuta in appello e oggi riproposta dal responsabile civile ricorrente è che, non avendo avuto notizia del fatto che fossero iniziate le attività di installazione da compiersi sulla volta della galleria, e quindi lo svolgimento di operazioni in altezza, in quel momento non era esigibile dal V.V. l’esecuzione di verifiche volte a controllare che quelle operazioni si svolgessero in sicurezza. Ebbene, il ricorrente rileva che nella motivazione della Corte di Appello, a pagina 9 della sentenza, è indicato: « Il responsabile civile, analogamente all’appellante V.V., propone l’argomento secondo cui il tribunale darebbe per scontato che l’imputato V.V. e la società Anas fossero stati avvertiti dell’inizio dei lavori sotto la volta della galleria; in tale situazione, afferma la società Anas, non sarebbe neppure ipotizzabile la possibilità di adeguare il piano di sicurezza e coordinamento relativamente all’analisi e valutazione dei rischi concernenti le opere sul solaio, non essendo stato acquisito il POS della ditta esecutrice dei lavori. La Corte ribadisce che quella in esame non era un’attività estemporanea e imprevedibile, inscrivendosi nell’ambito dei rischi da cadute dall’alto, preventivati anche in relazione alla necessità di operare all’interno delle gallerie. Tali circostanze, quindi, erano note sia al committente che al coordinatore per la sicurezza, che si sarebbe dovuto attivare preventivamente, proprio per la necessità di coordinare una molteplicità di interventi”. Ebbene, si lamenta che nella motivazione della Corte di Appello, nel fare genericamente cenno al fatto che quella In esame non era un’attività “estemporanea e imprevedibile”, in sostanza non una parola vene spesa in riferimento alla circostanza che, per come segnalato anche a pagina 4 dell’atto di appello, nessun elemento probatorio è stato raccolto circa il fatto che ANAS fosse stata informata dell’inizio dei lavori nella soletta; è proprio da tale mancata comunicazione che deriva secondo il ricorrente l’insussistenza della contestazione.
Come avrebbe potuto V.V. – ci si domanda in ricorso- verificare l’applicazione da parte dell’Impresa esecutrice delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento se per come è provato non era a conoscenza che fossero in esecuzione lavori sul solaio? Neanche una parola – ci si duole- è riportata in ordine alla circostanza che nei motivi di appello si fosse indicato; “Parimenti come poteva l’ing V.V. adeguare il Piano di Sicurezza e Coordinamento relativamente all’analisi e valutazione dei rischi concernenti le opere su solaio se non aveva neanche ricevuto il POS della ditta esecutrice”.
In sostanza, si sostiene che è vero che erano stati “preventivati” i rischi di cadute dall’alto collegati al fatto di operare all’interno di una galleria, però è vero anche che in quel momento non era stato ancora stabilito l’inizio dei lavori sulla soletta della galleria per installare l’illuminazione.
L’illogicità della motivazione sarebbe poi evidente nel passo ove è indicato che “la notizia dell’inizio di tale lavorazione, anzi, avrebbe segnato il ritardo degli adempimenti inerenti alla sicurezza che, di norma, devono essere preventivi rispetto all’inizio delle attività pericolose”.
E’ ovvio – secondo la tesi proposta in ricorso- che ANAS avrebbe dovuto avere avviso dell’inizio delle attività pericolose sulla soletta, con un certo anticipo così da porre in essere tutti i necessari adempimenti funzionali alla sicurezza, mentre nel caso di specie si sarebbe andati oltre, in quanto l’informazione non è intervenuta neanche in un momento successivo all’inizio di dette attività.
Nel richiamare pag. 9 della sentenza impugnata, ove la Corte territoriale afferma il convincimento che, nel caso in esame, non sia ravvisabile un fatto imprevedibile ed estemporaneo, rispetto alle attività di lavoro insite nella commessa affidata, in primis, alla G. s.p.a, il ricorrente sottolinea che, evidentemente, l’impianto argomentativo della sentenza omette di considerare le diverse lavorazioni da scandire e da coordinare.
Sarebbe del tutto evidente – si sostiene- che, se una specifica fase della lavorazione non è prevista in un determinato momento, il coordinatore non avrà il dovere di verificare i rischi operativi collegati a quella lavorazione.
Si lamenta che nella motivazione della sentenza della Corte di Appello venga completamente ignorata, tanto che sul punto non viene spesa neanche una parola, la questione centrale relativa alle “varie fasi di lavorazione”.
Seppur accertata l’intervenuta prescrizione del reato contestato, la decisione della Corte di Appello avrebbe dovuto, dunque, valutare le diverse questioni per poi trarre le relative conclusioni con riguardo al capo relativo alla responsabilità penale, nel caso in esame quindi pronunciare assoluzione nel merito, valutazione che invece non risulta effettuata.
b. NULLITÀ’ DELLA SENTENZA PER MANCANZA, CONTRADDITTORIETÀ’ ED ILLOGICITÀ’ DELLA MOTIVAZIONE IN RELAZIONE ALLA FIGURA DEL COORDINATORE PER LA SICUREZZA IN FASE DI ESECUZIONE ED ALLE CARATTERISTICHE DEL RISCHIO
La motivazione poi, nel riferire quanto precisato da questa Suprema Corte, facendo richiamo a pagina 6 dell’atto di appello, in concreto farebbe un salto che renderebbe la valutazione del motivo di gravame assolutamente illogica.
In particolare, il ricorrente ricorda di avere richiamato nei motivi di gravame la sentenza di questa sez. 4 n. 18149/2010 che ha meglio definito i limiti della responsabilità in capo al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, in particolare laddove ha affermato che “… sempre nel caso di compresenza di più imprese, nella fase esecutiva è prevista la figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori. In breve, il legislatore ha mostrato particolare consapevolezza dei rischi derivati dall’azione congiunta di diverse organizzazioni e ne ha disciplinato la prevenzione, imponendo un penetrante reciproco obbligo di tutti i soggetti coinvolti di coordinarsi e di interagire con gli altri in modo attento e consapevole, affinché risulti sempre garantita la sicurezza delle lavorazioni”. Su tale presupposto si era ricordato che questa Suprema Corte, nella citata sentenza, ha indicato che “senza dubbio, il ruolo centrale per ciò che attiene alla sicurezza nell’ambito di cui si discute è affidato al datore di lavoro che organizza e gestisce la realizzazione dell’opera. Egli, come si è accennato, è gravato da plurimi, tipici obblighi che la Legge specifica adeguatamente. ”
Per ciò che riguarda il coordinatore per l’esecuzione, atteso l’indicato ruolo di collaboratore del committente che caratterizza tale figura -si rileva ancora in ricorso- la lettura della specifica sfera di gestione del rischio demandatogli discende per un verso dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda al committente: e per l’altro dalla disciplina di cui al più volte evocatoD.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5. Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è “alta” e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alle figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente e il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazione dei loro doveri “tipici”, e di quelle afferenti all’inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. E solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori.
Appare dunque chiara -si sostiene- la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).
Si cita ancora la giurisprudenza di legittimità che ha esplicato che per comprendere se l’evento illecito coinvolga la responsabilità del coordinatore occorre analizzare le caratteristiche del rischio dal quale è scaturito l’evento letale: “Occorre cioè comprendere se si tratti di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto; o se invece l’evento stesso sia riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione; in tale ambito al coordinatore è affidato il formalizzato, generale dovere di alta vigilanza di cui si è ripetutamente detto; dovere che non implica normalmente, la continua presenza nel cantiere con ruolo di controllo sulle contingenti lavorazioni in atto”.
Nel caso in esame, allora, secondo la tesi proposta in ricorso, sarebbe pacifico che, per come previsto nel POS della G., le bucature andassero protette, ma le protezioni avrebbero dovuto essere assicurate contestualmente con l’inizio della fase di lavoro sulla soletta; da ciò deriverebbe che non è possibile contestare al V.V. di non avere verificato un’attività, certamente programmata, quando ancora questa non era stata “calendarizzata” e fissata e quando questi non era stato ancora informato circa l’inizio dei lavori.
Dall’attenta lettura dei sopraccitati passaggi della pronuncia di questa Corte di legittimità, che il ricorrente ricorda di avere già indicati a pagina 6 dell’atto di appello, risulterebbe evidente che, con l’eccessiva schematizzazione e semplificazione della questione riportata nella sentenza impugnata, la Corte di Appello genovese abbia omesso di motivare sul punto.
c. NULLITÀ’ DELLA SENTENZA PER MANCANZA, CONTRADDITTORIETÀ’ ED ILLOGICITÀ’ DELLA MOTIVAZIONE IN RIFERIMENTO AL MOTIVO DI APPELLO RELATIVO ALLE STATUIZIONI CIVILI
Il ricorrente rileva che, in ordine alle statuizioni civili, nella sentenza impugnata a pagina 11 è indicato che “il responsabile civile ha impugnato soltanto il punto riguardante la condanna ai pagamento della provvisionale, per ragioni assimilabili a quelle esposte dall’appellante V.V. (p.9 appello); l’appellante in esame infatti ritiene che il riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 6 c.p. agii imputati L.P. e M.D., per avere risarcito interamente il danno, sia incompatibile con la condanna di V.V. e Anas al pagamento della provvisionale, essendo pacifico che la somma stabilita dalla provvisionale sia già stata corrisposta alle parti civili dagli altri imputati. La Corte ritiene che, fermo restando il carattere parziale e provvisorio del provvedimento concernente la provvisionale, il versamento della somma di Euro 290.000 da parte degli altri coimputati, indipendentemente dalla concessione del risarcimento del danno, sia lungi dai costituire il pieno risarcimento dei danni subiti dalle parti civili; di conseguenza, la somma liquidata a titolo di provvisionale è adeguata ai soddisfacimento del danno non ancora risarcito, tenuto anche conto degli interessi della rivalutazione “.
Ebbene, secondo il ricorrente è evidente che nella sentenza, nonostante un parziale e breve richiamo al motivo di ricorso, in concreto non viene fornita alcuna motivazione.
Ci si duole che, a fronte del fatto che la difesa aveva evidenziato che il riconoscimento in favore degli imputati L.P. e M.D. dell’attenuante di cui all’alt. 62 n. 6 c.p. – che come noto trova applicazione nel momento in cui gli imputati hanno riparato “interamente il danno” – è circostanza evidentemente incompatibile con la condanna al risarcimento e al pagamento della provvisionale, nella motivazione della Corte di Appello la questione è semplicemente aggirata con l’espressione “indipendentemente dalla concessione del risarcimento del danno”.
Il punto centrale invece sarebbe proprio questo; il fatto che detta attenuante sia stata riconosciuta è il riscontro al fatto che il risarcimento del danno è stato perfezionato.
In sostanza si afferma che nella sentenza di primo grado era stato “distorto” il senso della provvisionale e la sentenza della Corte Genovese conferma detta distorsione, senza peraltro fornire motivazione alcuna in ordine a detta conferma.
d. NULLITÀ’ DELLA SENTENZA PER MANCANZA DI MOTIVAZIONE ED INOSSERVANZA DELL’ART. 539 C.P.P. NELLA PARTE IN CUI SONO STATE RICONOSCIUTE E QUANTIFICATE LE PROVVISIONALI IN FAVORE DELLE PARTI CIVILI
Peraltro la Corte nel confermare le statuizioni civili indica che “la somma liquidata a titolo di provvisionale è adeguata al soddisfacimento del danno non ancora risarcito, tenuto anche conto degli interessi di rivalutazione”.
Ci si duole che tale apodittica affermazione non sarebbe fondata su alcun impianto motivazionale, non spenda una parola in relazione alla quantificazione, al pari della sentenza di primo grado, e non esplichi il criterio adottato.
Proprio in considerazione del fatto che — come noto – il secondo comma dell’art. 539 c.p. stabilisce che “a richiesta della parte civile, l’imputato e il responsabile civile sono condannati al pagamento di una provvisionale nei limiti dei danno per cui si ritiene già raggiunta la prova”, il ricorrente evidenziare come non sia stato indicato alcunché che possa dimostrare come provato un danno maggiore rispetto alle cifre già corrisposte dai due dei tre imputati, dazioni risarcitone tanto importanti da valere il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p.
e. NULLITÀ’ DELLA SENTENZA PER CONTRADDITTORIETÀ’ ED ILLOGICITÀ’ DELLA MOTIVAZIONE IN ORDINE ALLA CONFERMA DELLE STATUIZIONI CIVILI IN RELAZIONE ALL’ORDINANZA EMESSA DALLA CORTE DI APPELLO IL 12/07/2013
Il ricorrente rileva che nell’ordinanza pronunciata il 12 luglio 2013 la Corte di Appello di Genova, nel richiamare l’istanza del responsabile civile con la quale si era “rilevato che le persone offese sono state già integralmente risarcite dai coimputati di V.V., tanto è vero che questi ultimi hanno beneficiato dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 6 c.p.; l’immediata esecutività dell’indicata provvisionale, tenuto anche conto del suo notevole importo, costituirebbe, pertanto, un’indebita maggiorazione del risarcimento” ha testualmente indicato “La Corte tenuto conto delle ragioni appena indicate e ritenuto che esse costituiscano gravi motivi, ai sensi dell’articolo 600 comma 3 CPP, poiché le affermazioni del richiedente trovano immediato riscontro nella sentenza indicata, da cui risulta pacificamente che due dei tre imputati hanno risarcito integralmente il danno; in tale situazione, le concrete ragioni indicate, congiuntamente all’elevato importo della provvisionale, inducono la Corte a sospendere l’esecuzione della condanna ai pagamento della provvisionale”.
La contraddittorietà risulterebbe perciò evidente, in quanto all’esito dell’udienza del 12 luglio 2013 la Corte di Appello si era espressa in termini assolutamente differenti rispetto a quelli indicati in sentenza.
Nel motivare l’intervenuta sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale, in altri termini, al contrario che in sentenza, aveva pacificamente preso atto del fatto che il danno era già stato integralmente risarcito da due dei tre imputati.
f. ISTANZA DI SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELLA CONDANNA CIVILE EX ART. 612 C.P.P.
Auspicando l’annullamento della sentenza della Corte di Appello, evidenziando che risulterebbe sia difficile sia oneroso richiedere la restituzione di quanto eventualmente percepito a titolo di provvisionale, che ciò comporterebbe un danno grave ed irreparabile in capo ad ANAS Spa, il ricorrente chiede a questa Corte di sospendere l’esecuzione della condanna civile.
g. INOSSERVANZA DELL’ART. 521 C.P.P. IN RELAZIONE ALLA MANCATA CORRELAZIONE TRA L’IMPUTAZIONE CONTESTATA E LA SENTENZA
In considerazione del fatto che la sentenza di primo grado risulta fondata sul presupposto che “se il V.V. avesse adottato la condotta alternativa lecita, soprattutto con la prospettiva di sospensione dei lavori, la ditta M.D. si sarebbe determinata a porre in essere le opere provvisionali di sicurezza e l’evento, quindi, con alto grado di probabilità razionale, non si sarebbe verificato”, il ricorrente ricorda che nell’appello aveva segnalato che “In concreto (…) ii V.V. è stato condannato per non aver tenuto una condotta che non era esigibile dallo stesso, peraltro, non ricompresa nell’analitica elencazione di cui al capo d’imputazione, in sostanza lo stesso è stato condannato per un fatto diverso e per una violazione diversa rispetto a quanto in contestazione”.
Ebbene, si lamenta che nella sentenza della Corte genovese la questione venga liquidata a pagina 9 “La Corte ritiene che le contestate omissioni, riferibili alle lettere a) e b) del citato primo comma dell’art. 5 siano pregiudiziali rispetto alla possibilità di compiere le attività indicate nella lettera e) della medesima norma; non a caso, infatti, il tribunale si è riferito alla “prospettiva di sospensione dei lavori” (cfr. p. 18 sentenza appellata), il cui logico presupposto è l’adempimento degli obblighi imposti dall’art. 5, comma 1, lettere a) e h) del D.Lgs. n. 494/1996. In sostanza, proprio la condotta omissiva dell’imputato rispetto agli obblighi imposti dalle norme contestate, gli ha precluso di adoperarsi secondo quanto previsto dalla lettera e) della norma appena citata”.
Secondo il ricorrente sarebbe del tutto evidente che nella sentenza della Corte di Appello genovese, al di là di un mero stilistico richiamo alla lettera e), di fatto nulla si dica in riferimento all’eccepita violazione; quand’anche si ritenesse che le omissioni di cui alle lettere a) e b) siano pregiudiziali alla lettera e), tale violazione avrebbe dovuta essere contestata, in tal modo garantendo il diritto alla difesa dell’imputato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata e formula istanza di sospensione dell’esecuzione della condanna civile.
In data 30.12.2015 è stata depositata memoria difensiva ex artt. 90-121 cod. proc. pen. a firma del difensore e procuratore speciale della costituita parte civile T.A., che ripercorre la vicenda processuale, ricorda la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (in particolare quella sul ruolo del coordinatore per l’esecuzione dei lavori ed in materia di provvisionale) e chiede respingersi perché manifestamente inammissibili ed infondati tutti i motivi di ricorso, nonché condannarsi parte ricorrente al pagamento delle spese processuali della parte civile relative al presente grado di giudizio.

Diritto

1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il ricorso proposto dal responsabile civile ANAS s.p.a. va rigettato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso (sub a.), con esso si deduce vizio motivazionale assumendosi che la Corte, nell’affermazione di responsabilità del V.V., seppure ai soli effetti civili in ragione dell’intervenuta prescrizione, non abbia tenuto conto: 1. Della sovrapposizione dei soggetti e delle diverse tipologie di lavorazioni che erano contemporaneamente in corso. 2. Del fatto che la notizia dell’inizio dell’attività di installazione dell’impianto di illuminazione sulla volta della galleria Marinasco non fu data all’ANAS. I giudici del merito, dunque, avrebbero dovuto secondo il ricorrente assolvere il L.P. e tenere indenne da responsabilità civile l’ANAS.
Tale primo motivo, in realtà, è strettamente connesso al secondo (sub b.), che involve i limiti del ruolo del coordinatore per l’esecuzione.
Ebbene, su entrambi i punti le doglianze appaiono infondate in quanto la Corte territoriale fornisce una motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto, e pertanto immune da censure di legittimità.
I giudici del gravame del merito ricordano come la condotta omissiva contestata all’imputato non ne presupponga affatto la continua presenza nel cantiere e il controllo sulle contingenti lavorazioni, che non potrebbero richiedersi al coordinatore per l’esecuzione.
La responsabilità del V.V. sarebbe riconducibile alle sue inadempienze in tema di controlli, adeguamento dei piani e coordinamento, benché il rischio di caduta dall’alto fosse già stato individuato e fosse programmata l’attività di posa in opera degli impianti di illuminazione della galleria.
L’attività nel corso della quale è deceduto il T.O. -secondo il condivisibile argomentare dei giudici del gravame del merito- non può essere considerata estemporanea e conoscibile soltanto grazie alla costante presenza del cantiere, ma era prevedibile e programmata, a nulla rilevando che essa fosse stata intrapresa da poco tempo.
Incontestata è l’affermazione che la società ANAS S.p.A., per cui V.V. lavorava, in quanto committente dei lavori, fosse titolare ex lege di una posizione di garanzia che interagiva con quella di altre figure di garanti legali; ferma restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza.
Il punto nodale, allora, è se il V.V., e per esso ANAS s.p.a., possano addurre a propria scusante la circostanza che l’obbligo di garanzia non potesse dirsi in quel momento sussistente in ragione del fatto che, a loro dire, non erano stati avvisati dell’inizio dei pur programmati lavori di installazione dell’impianto di illuminazione sulla volta della galleria Marinasco.
Il ricorrente contesta, in altri termini, l’attualità della posizione di garanzia del V.V..
3. Sul punto, va detto che i giudici di merito inquadrano correttamente il ruolo e le mansioni del V.V..
Egli era il coordinatore per l’esecuzione, in quanto tale collaboratore del committente ed aveva una funzione di vigilanza “alta”, da non confondersi con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alle figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente e il preposto (vedasi in tal senso questa sez. 4, n. 37738 del 28.5.2013, Gandolla ed altri, rv. 256637).
Lo stesso, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative(così, oltre la già citata sez. 4 n. 37738/2013, sez. 4, n. 18149 del 21.4.2010, Cellie e altro, rv. 247536).
In quanto tale -come peraltro riconosce lo stesso ricorrente- egli aveva varie possibilità di intervento formale: 1. la contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazione dei loro doveri “tipici”, e di quelle afferenti all’inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; 2. la segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate; 3. in ultima analisi, in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato, la possibilità di imporre l’immediata sospensione dei lavori.
Ebbene, la Corte territoriale non mette in dubbio la marcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici e il ruolo di alta vigilanza, che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative del datore di lavoro, del dirigente e del preposto.
Tuttavia i giudici del gravame del merito rilevano che tali compiti di alta vigilanza non sono stati osservati dal V.V., a nulla rilevando le addotte autonome scelte operative della società G. S.p.A..
In realtà, in ragione della natura delle lavorazioni di cui ci si occupa (l’installazione dell’impianto di illuminazione sulla volta di una galleria), evidentemente di non poco conto, quanto ad utilizzo di materiali e predisposizione di mezzi, e al di là di una formale comunicazione, il loro inizio non poteva passare inosservato anche a chi, come il V.V., rispetto a quelle lavorazioni aveva da svolgere un tipo di vigilanza “alta”.
Non essersi accorti, da parte del coordinatore per l’esecuzione, dell’inizio dei lavori, rende evidente che la vigilanza risultava in essere solo sulla carta, attraverso atti formali, ma non anche in concreto. Il che non vuol dire pretendere la presenza costante sul cantiere da parte del V.V..
Il filone giurisprudenziale di questa Corte appena richiamato, infatti, ha anche chiarito che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ha non soltanto compiti organizzativi e di raccordo tra le imprese che collaborano alla realizzazione dell’opera, ma deve anche vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza (così sez. 4, n. 32142 del 14.6.2011, Goggi, rv. 251177, relativamente ad un caso, analogo a quello che ci occupa, in cui si contestava all’Imputato, nella suddetta qualità, di avere omesso di vigilare – non essendo assiduamente presente in loco – sulla corretta applicazione delle prescrizioni del piano di sicurezza dallo stesso redatto: la Corte, pur non configurando un obbligo di presenza continuativa in cantiere, ha ritenuto che l’imputato, nel corso delle periodiche visite, avrebbe dovuto informarsi scrupolosamente sullo sviluppo delle opere, verificando specificamente, per ciascuna fase, l’effettiva realizzazione delle programmate misure di sicurezza, che erano risultate in concreto non approntate).
Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ex art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996 – è stato ribadito in altra condivisibile pronuncia- oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell’Incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (sez. 4, n. 18651 del 20.3.2013, Mongelli, rv. 255106 relativamente ad un caso in cui la Corte ha ritenuto corretta la condanna pronunciata nei confronti del coordinatore il quale, non avendo adeguato il piano di sicurezza e coordinamento rispetto alle modifiche strutturali intervenute nel corso dei lavori svolti all’Interno di un capannone presso la Bridgestone e non avendo provveduto a dare idonea informazione di dette modifiche ai datori di lavoro, causava la morte di un operaio ed il grave ferimento di un altro, entrambi precipitati da un solaio per effetto del suo cedimento).
In tema di infortuni sul lavoro, dunque, le figure del coordinatore per la progettazione ex art. 4 D.Lgs. n. 494 del 1996 e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ex art. 5 stesso D.Lgs., non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’Incolumità dei lavoratori (sez. 4, n. 7443 del 17.1.2013, Palmisano ed altri, rv. 255102, in cui, in applicazione del principio, la Corte, in un caso di infortunio mortale occorso ad un lavoratore intento a svolgere lavori di manutenzione di una banchina adibita al camminamento dei viaggiatori e travolto dalla motrice di un treno in transito, ha ritenuto corretta la condanna del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dell’impresa subappaltatrice, precisando che egli ha anche l’obbligo di vigilanza sulla esatta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza).
4. La Corte territoriale, facendo buon governo dei principi suddetti, rileva non solo che i lavori erano preventivati, ma -soprattutto- che il coordinamento, l’adeguamento del POS e le verifiche previsti dalla legge, per essere realmente efficaci, devono precedere l’inizio dei lavori cui si riferiscono.
La Corte ribadisce, infatti, che quella in esame non era un’attività estemporanea e imprevedibile, inscrivendosi nell’ambito dei rischi da cadute dall’alto, preventivati anche in relazione alla necessità di operare all’Interno delle gallerie.
Tali circostanze, quindi, erano note sia al committente che al coordinatore per la sicurezza, che si sarebbe dovuto attivare preventivamente, proprio per la necessità di coordinare una molteplicità di interventi.
La Corte, rispetto alle considerazioni già proposte in quella sede dall’odierno ricorrente, secondo cui V.V. non sarebbe stato tenuto a una stringente vigilanza, momento per momento, sulle fasi della lavorazione, rimarca la possibilità di preventivare quelle esigenze di coordinamento e cautela, dettata dalla consapevolezza che l’appaltatore avrebbe dovuto occuparsi anche dell’illuminazione sulla volta della galleria. La notizia dell’inizio di tale lavorazione, anzi, secondo i giudici liguri, avrebbe segnato il ritardo degli adempimenti inerenti alla sicurezza che, di norma, devono essere preventivi rispetto all’inizio delle attività pericolose.
Proprio in relazione all’esigenza, sollecitata dal ricorrente in quella sede, di accertare se l’evento illecito costituisse un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto, oppure se esso fosse riconducibile alla configurazione complessiva della lavorazione, la Corte territoriale afferma in sentenza il convincimento che, nel caso in esame, non sia ravvisabile un fatto imprevedibile ed estemporaneo, rispetto alle attività di lavoro insite nella commessa affidata, in primis alla G. s.p.a..
In tal senso, sono state correttamente ritenute irrilevanti le dichiarazioni del teste C. ed anzi, l’affermazione dello stesso secondo cui ANAS “ogni tanto passava” è stata considerata indicativa che la società committente, evidentemente consapevole degli obblighi derivanti dalla propria posizione, controllò periodicamente l’appaltatore. E la circostanza che il teste N. avesse riferito di non conoscere l’imputato V.V., lungi dall’avvalorare la tesi difensiva, è stata ritenuta denota, piuttosto, un inadeguato espletamento livello dell’attività di verifica e controllo, tradottosi nelle inadempienze contestate.
La condotta alternativa lecita, dunque, era possibile: vigilare in attesa che venissero apprestate le misure di tutela antinfortunistica previste dal POS e impedire che partissero quegli specifici lavori prima che lo fossero. E se nel frattempo fossero partiti, imporne la sospensione.
5. Infondato è anche il profilo di doglianza sub g. in relazione ad un’assunta mancata correlazione tra accusa e sentenza.
La Corte territoriale, infatti, ha confutato con motivazione logica e congrua l’analoga doglianza già proposta in quella sede ove il responsabile civile aveva lamentato che il tribunale, attribuendo a V.V. la responsabilità di non aver contestato alla società M.D. l’assenza di opere provvisionali e di non aver segnalato la mancanza al committente e proposto la sospensione dei lavori, avrebbe esorbitando la contestazione, facendo riferimento alla previsione di cui all’articolo 5, comma 1, lettera e) del D.Lgs. 14-8-1996 n. 494(segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 7, 8 e 9, e alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 12 e proporre la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione provvede a dare comunicazione dell’inadempienza alla azienda Unita sanitaria locale territorialmente competente e alla direzione provinciale del lavoro).
La Corte territoriale ha condivisibilmente ritenuto, sul punto, che le contestate omissioni, riferibili alle lettere a) e b) del citato primo comma dell’articolo 5 siano pregiudiziali rispetto alla possibilità di compiere le attività indicate nella lettera e) della medesima norma; non a caso, infatti, il tribunale si è riferito alla “prospettiva di sospensione dei lavori”(cfr. p. 18 sentenza appellata), il cui logico presupposto è l’adempimento degli obblighi imposti dall’art.5, comma 1, lettere a) e b) del D.Lgs. n. 494/1996. In sostanza, proprio la condotta omissiva dell’imputato rispetto agli obblighi imposti dalle norme contestate, gli ha precluso di adoperarsi secondo quanto previsto dalla lettera e) della norma appena citata.
6. Evidenziato, quanto alla richiesta di sospensiva dell’esecuzione della condanna civile ex art. 612 cod. proc. pen. di cui sub f. che, essendosi approdati alla fase decisionale, la questione non ha più rilevanza, va infine rilevato che appaiono infondati i motivi sub c. d. ed e. relativamente alle statuizioni civili ed alla determinazione della provvisionale.
E’ incontestato che due dei tre imputati hanno risarcito il danno per quanto di competenza, così determinando la rinuncia delle pretese delle parti civili nei loro confronti e la concessione loro della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
La Corte territoriale -secondo quanto si legge nella sentenza impugnata- ha ritenuto che, fermo restando il carattere parziale e provvisorio del provvedimento concernente la provvisionale, il versamento della somma di € 290.000 da parte degli altri coimputati, indipendentemente dalla concessione del risarcimento del danno, sia lungi dal costituire il pieno risarcimento dei danni subiti dalle parti civili; di conseguenza, la somma liquidata a titolo di provvisionale è adeguata al soddisfacimento del danno non ancora risarcito, tenuto anche conto degli interessi della rivalutazione.
Evidentemente la questione del quantum di ulteriore risarcimento riconoscibile alle parti civili andrà risolta da parte del giudice civile, cui la sentenza penale ha rimandato per la determinazione del danno.
Tuttavia, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in relazione alla provvisionale, la doglianza proposta in questa sede si palesa inammissibile atteso che la determinazione della provvisionale, in sede penale, ha carattere meramente delibativo e può farsi in base a giudizio presuntivo, derivandone che detta valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto e conseguendone che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura pronuncia provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, destina-ta ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento del danno (così Sez. Un. n. 2246 del 19.12.1990 dep. 19.2.1991, Capelli, rv. 186722; conf. sez. 5, n. 40410 del 18.3.2004, Farina ed altri, rv. 230105; sez. 5, n. 5001 del 17.1.2007, Mearini ed altro, rv. 236068; sez. 4, n. 34791 del 23.6.2010, Mazzamurro, rv. 248348; sez. 5, n. 32899 del 25.5.2011, Ma-pelli e altri, rv. 250934; sez. 2, n. 49016 del 6.11.2014, Patricola ed altri, rv. 261054; sez. 3, n. 18663 del 27.1.2015, D.G., rv. 263486; sez. 6, n. 50746 del 14.10.2014, P.C. e G., rv. 261536).
Il ricorrente, dunque, non può dolersi ne’ del difetto di motivazione e nemmeno potrebbe di un’eventuale abnormità, poiché dispone di ogni possibilità di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno.
7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese processuali per questo giudizio di legittimità in favore delle parti civili Omissis, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente responsabile civile al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese processuali per questo giudizio di legittimità in favore delle parti civili Omissis, che liquida in complessivi euro 4200,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2016

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