Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 08 luglio 2016, n. 28557

… Correttamente la Corte di merito ha disconosciuto rilievo al dato che il ricorrente avrebbe voluto vedere diversamente considerato, posto che per quanto “imprudente” il gesto della vittima sia stato, esso risulta comunque compiuto nello svolgimento dei compiti assegnatigli, non estraneo al processo produttivo e non imprevedibile nel senso sopra chiarito.

Quanto alla responsabilità amministrativa dell’impresa:

“…La colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli” (cfr. Sez. U 38343/2014 Thyssen Krupp, Rv. 261113), incombendo, tuttavia, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità di tali modelli di organizzazione e gestione a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez. U. n. 38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112).
Onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza dell’esistenza di tale modello, non avendo la parte chiarito se esso contemplasse l’adozione delle misure di sicurezza mancanti.”


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 05/05/2016

Fatto

1. Con sentenza 06/07/2015, La Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Urbino, appellata dall’imputato R.V. e dall’Ente “R.V. IMBALLAGGI s.r.l.”, con la quale il primo era stato dichiarato colpevole di lesioni colpose aggravate ai sensi degli artt. 590 e 583 co. 1 n. 1 e 113 cod. pen. per avere, in concorso con C.R. (giudicato separatamente), n.q. di presidente del C.d.A. della ditta “R.V. IMBALLAGGI s.r.l.” e, quindi, datore di lavoro di T.P., per negligenza, imprudenza, imperizia, nonché per colpa specifica [artt. 71 co. 1 e 87 co. 1 lett. b) del d. Lgs. 81/2008, artt. 23 e 57 co. 2 del d. lgs. 81/2008], avendo omesso di mettere a disposizione del predetto T.P. attrezzature conformi e adeguate al lavoro da svolgere (utilizzando una macchina laminatrice, priva di qualsiasi sistema di sicurezza atto ad evitare il contatto accidentale degli operatori con l’organo lavoratore in movimento posizionato all’ingresso della stessa), cagionato lesioni personali gravi al predetto T.P., il quale, mentre stava lavorando al macchinario, inserendo fogli di cartone al suo interno per l’incisione delle apposite linee di piegatura, scivolava ed agganciava il piede sinistro al rullo in movimento che lo trascinava all’interno degli organi lavoratori in movimento, riportando la perdita cutanea all’avampiede e al dorso del piede sinistro con fratture delle falangi II e del V dito, per un periodo di malattia di oltre 63 giorni. Con la stessa sentenza, l’Ente sopra indicato era riconosciuto responsabile della violazione amministrativa di cui all’art. 25 septies d. lgs. 231 del 2001, come modificato dall’art. 300 del d. lgs. 81 del 2008, in relazione al reato di cui sopra, commesso nel suo interesse e a suo vantaggio da R.V., legale rappresnetante della ditta, in violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sopra indicate [artt. 71 co. 1 e 87 co. 1 lett. b) decreto 81/2008], avendo omesso di adottare un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire la commissione nel suo interesse o a suo vantaggio del reato di cui all’art. 590 cod. pen.
2. La Corte di merito ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità della prova testimoniale assunta ex art. 507 c.p.p., ritenendo che il giudice di primo grado avesse correttamente esercitato il potere discrezionale di cui alla norma richiamata, anche sulla scorta della giurisprudenza di legittimità.
Quanto al merito, quel giudice non ha condiviso la lettura delle norme antiinfortunistiche proposta da parte appellante, secondo cui la responsabilità dell’infortunio era ascrivibile esclusivamente al comportamento del lavoratore infortunato, non attribuendo rilievo alla circostanza che costui lavorava da tempo a quel macchinario e fosse stato istruito sul suo funzionamento. Infatti, secondo il giudice del gravame, l’evento sarebbe stato impedito dalla conformità della macchina alle disposizioni antinfortunistiche, come dimostrato anche dalla circostanza che, dopo il fatto, essa era stata dotata di un dispositivo di sicurezza (consistente nel restringimento dell’imboccatura ove era penetrato il piede dell’infortunato) e di una fotocellula che, in caso di ingresso di copri diversi dai fogli di cartone o di accidentale contatto con parti del corpo, ne provocava l’immediato arresto.
Quel giudice ha poi ritenuto tardivamente formulata la richiesta di riduzione della pena (che, comunque, ha stimato persino troppo mite rispetto alla gravità della colpa, tenuto conto della natura basilare, nell’ottica della prevenzione degli infortuni sul lavoro, della norma violata), e della conversione di essa.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore, formulando quattro separati motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 507 c.p.p., riproponendo il contenuto dell’eccezione già sollevata in appello con riferimento alla integrazione istruttoria disposta dal Tribunale (con l’audizione del teste M., non indicato dal P.M., sebbene risultasse sin dall’inizio estensore del rapporto) contestandone la ritualità, avendo il giudice supplito ad una inerzia dell’organo della pubblica accusa, violando la terzietà e imparzialità e i principi del giusto processo, che potrebbero ritenersi salvaguardati solo ove l’intervento integrativo del giudice riguardi elementi non conosciuti ed emersi a seguito dell’instaurato contraddittorio.
Con il secondo, ha dedotto vizio motivazionale, precisando che l’infortunio era accaduto il 21.11.2008 e non nel gennaio 2009 (avendo il P.M. modificato il capo d’imputazione all’udienza del 30.09.2011); che esso era da ascriversi al comportamento dell’infortunato (operaio specializzato che ben conosceva il lavoro ed era stato adeguatamente informato dei rischi inerenti le lavorazioni), assolutamente imprevedibile ed anomalo e, quindi, non governabile da parte del datore di lavoro.
Con il terzo, ha dedotto violazione di legge e vizio di omessa motivazione, con riferimento alle caratteristiche del macchinario, che era a norma di legge e non era stato manomesso, alla perizia del lavoratore e alla presenza di un capo operaio nelle vicinanze della lavorazione, rilevando che la responsabilità del datore di lavoro era stata affermata senza una previa identificazione del rischio e senza considerare il livello in cui era collocato il soggetto deputato al governo di tale pericolo (nella fattispecie, la parte rinvia alla conformità CE del macchinario, alla redazione del modello 231/01, alla partecipazione del lavoratore ai corsi obbligatori per la sicurezza, all’affiancamento del predetto ad un capo operaio).
Infine, con il quarto motivo, la parte ha dedotto vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta di riduzione della pena e della conversione di essa ex artt. 132 e 135 cod. pen.
Con successiva memoria depositata il 13 aprile 2016, il ricorrente ha formulato un ulteriore motivo, deducendo vizio motivazionale e integrando le proprie considerazioni in ordine al comportamento tenuto dalla vittima, anche mediante un richiamo a recente giurisprudenza di questa sezione.
3. Ha proposto ricorso per cassazione anche l’ente amministrativamente responsabile, a mezzo di proprio difensore formulando tre separati motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 507 del codice di rito, riproponendo argomenti sostanzialmente sovrapponibili a quelli esposti dall’Imputato.
Con il secondo, ha dedotto vizio motivazionale, per avere il giudice del gravame ignorato la circostanza che il modello di organizzazione e gestione (la cui mancanza è oggetto dell’imputazione a norma dell’art. 25 septies del d.lgs. 231/01) era presente in azienda, essendo stato depositato sin dal 22.07.2008 e cioè prima del fatto.
Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge, con riferimento alla norma processuale di cui all’art. 12 del d.lgs. 231/01, avendo la società provveduto al risarcimento del danno (tanto che l’infortunato ha revocato la propria costituzione di parte civile) e dovendo, pertanto, essere operata la riduzione di cui al richiamato articolo 12 co. 1 lett. b), co. 2 lett. a) e b) e co. 3.
Con memoria depositata il 14 aprile 2016, la parte ha formulato un ulteriore motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento agli arti. 157 cod. pen. e 22 d.lgs. 231/01, essendo maturata la prescrizione dell’illecito avvenuto il 21 novembre 2008.

Diritto

1. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato R.V. va rigettato.
2. Tutti i motivi di ricorso sono infondati.
2.1. Il primo riguarda l’attivazione dei poteri istruttori del giudice ai sensi dell’art. 507 c.p.p. e, in merito ad esso, pare sufficiente una rassegna delle decisioni di questa Corte per rilevare l’assoluta infondatezza degli assunti difensivi. Si è infatti affermato che “Il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod.proc. pen., può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto, ove sussista il requisito della loro assoluta necessità” (cfr. Sez. 1 n. 3979 del 28/11/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv.259137).
Ed infatti, l’opzione in favore del principio dispositivo desumibile dall’art. 190 c.p., comma 1 non è incondizionata, ma subisce plurime deroghe, essendo previsto il ripristino dei poteri istruttori d’ufficio nel giudizio dibattimentale ai sensi dell’art. 507 c.p.p., nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3, nel giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5. Inoltre, tali deroghe al principio dispositivo sono compatibili con il principio del contraddittorio affermato dall’art. 111 Cost., comma 2, atteso che la prova testimoniale ammessa d’ufficio a norma dell’art. 507 c.p.p., al pari della prova ammessa su richiesta delle parti, è assunta nel rispetto delle regole del contraddittorio e secondo la modalità dell’esame diretto e controesame stabilite dall’art. 498 c.p.p. (in tal senso Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006, Rv. 234907; Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Rv. 191606).
Nessuna inutilizzabilità, quindi, può ritenersi con riferimento all’attività istruttoria svolta nel caso di specie, atteso che “L’ammissione di prove non tempestivamente indicate dalle parti nelle apposite liste non comporta alcuna nullità, né le prove in questione, dopo essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili “…posto che l’art. 507 cod. proc. pen. consente al giudice di assumere d’ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 191 cod.proc.pen.” (cfr. Sez. 5 n. 8394 del 02/10/2013 Ud. (dep. 21/02/2014), Rv. 259049).
2.2. Parimenti infondate sono le censure dedotte con il secondo e il terzo motivo di ricorso e con il motivo unico formulato nella successiva memoria.
La sentenza impugnata ha espressamente motivato in ordine al comportamento tenuto dal lavoratore infortunato (il quale avrebbe inserito il cartone mediante il piede e non utilizzando le mani) e ai suoi riflessi sull’eventuale interruzione della sequenza causale tra la condotta omissiva e l’evento. Nessun vizio inficia il ragionamento sviluppato sul punto dalla Corte di merito, risultando esso pure coerente con i principi di diritto, più volte ribaditi da questa stessa sezione, secondo cui “In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale” (cfr. Sez. 4 n. 22249del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di “atto abnorme”, si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un’operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L’abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del “comportamento abnorme”, serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento “…è “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare” (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
Alla luce di tali principi, correttamente la Corte di merito ha disconosciuto rilievo al dato che il ricorrente avrebbe voluto vedere diversamente considerato, posto che per quanto “imprudente” il gesto del T.P. sia stato, esso risulta comunque compiuto nello svolgimento dei compiti assegnatigli, non estraneo al processo produttivo e non imprevedibile nel senso sopra chiarito.
2.3. Infine, con riferimento al trattamento sanzionatorio, il giudice d’appello ha motivato, contrariamente a quanto asserisce parte ricorrente, la decisione di non rimodulare la pena, evidenziandone anzi la sua inadeguatezza in difetto, avuto riguardo alla gravità della colpa desunta dalla natura basilare, rispetto al fine sotteso, della norma violata, quanto al mancato accoglimento dell’ulteriore richiesta (conversione della pena) ritenendosi assolto l’onere motivazionale laddove il giudice d’appello abbia ritenuto, come nel caso di specie, minima e addirittura inadeguata la pena irrogata dal primo giudice (cfr. sul punto Sez. 3 n. 21265 del 27/02/2003, Rv. 224512).
3. Anche il ricorso nell’interesse dell’ente va rigettato.
4. Con riferimento alla responsabilità dell’ente dell'”ENTE R.V. IMBALLAGGI s.r.l.”, la Corte territoriale ha richiamato la sentenza delle Sez. U. Thyssen Krupp (n. 38343 del 2014), per affermare che i criteri di imputazione oggettiva di cui al riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 231/01 all’interesse o vantaggio dell’ente, sono riferibili alla condotta e non all’evento e che, in caso di reati colposi di evento, essi sono alternativi e concorrenti tra di loro, esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione del reato di tipo teleologico, apprezzabile ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio soggettivo e avendo, invece, quello del vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito.
Sulla scorta di tali principi, quel giudice ha ritenuto integrati entrambi i suindicati parametri, poiché la condotta omissiva colposa del datore di lavoro era stata posta in essere nell’interesse della società e a suo vantaggio (da un lato, il presidio antinfortunistico, riducendo l’imbocco, avrebbe rallentato i tempi di produzione; dall’altro, l’aggiornamento e l’adeguamento del macchinario alle norme antinfortunistiche avrebbe richiesto un costo) e irrilevante la disquisizione circa l’esistenza di un organigramma e di un modello organizzativo gestionale, l’esistenza di mansionari e la tenuta di riunioni periodiche.
5. I motivi formulati nell’interesse dell’ente ricorrente sono tutti infondati.
5.1. Quanto al primo motivo valgono le ragioni già illustrate al §3.1. concernente l’analoga censura proposta nell’interesse dell’imputato R.V..
5.2. Quanto alla adozione in azienda del modello di organizzazione e gestione, la Corte d’appello ha motivato in ordine alla sua irrilevanza, alla luce del positivo vaglio circa l’esistenza dei criteri d’imputazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 231 del 2001, da riferirsi, nel caso di reati colposi, alla condotta e non all’evento (cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112), avuto riguardo alle caratteristiche del macchinario che, peraltro, era stato oggetto, dopo l’infortunio, di un adeguamento inteso a renderlo conforme ai normali standards di sicurezza.
La mera allegazione della circostanza che un modello di organizzazione e gestione era stato depositato in azienda qualche mese prima dell’evento, oltre a palesare la sua genericità, non dimostra che tale modello sia stato violato dal datore di lavoro mediante l’approntamento di un macchinario sfornito di sistemi di sicurezza, adottati solo successivamente ai fatti per cui si procede, dovendosi a tal proposito rilevare che “…la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli” (cfr. Sez. U 38343/2014 Thyssen Krupp, Rv. 261113), incombendo, tuttavia, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità di tali modelli di organizzazione e gestione a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez. U. n. 38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112).
Onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza dell’esistenza di tale modello, non avendo la parte chiarito se esso contemplasse l’adozione delle misure di sicurezza mancanti.
5.3. Del tutto infondato è l’ultimo motivo formulato con il ricorso.
La parte si è limitata ad invocare l’attenuante del risarcimento del danno, affermando genericamente che la società vi aveva provveduto, senza tuttavia specificare se ciò fosse avvenuto nel rispetto del termine di cui all’art. 12 co. 2 lett. a) del d.lgs. 231 del 2001.
5.4. Infine, il motivo unico formulato con la memoria successivamente depositata, mediante il quale si è dedotta la estinzione dell’illecito amministrativo per prescrizione, è manifestamente infondato, a fronte del chiaro tenore letterale delle norme di cui all’art.22 e 59 del d.lgs. 231 del 2001, non avendo la parte allegato la consumazione del termine di prescrizione prima della contestazione dell’illecito ammnistrativo (ad esempio con la richiesta di rinvio a giudizio), atteso che, da tale momento la prescrizione non corre sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (cfr. sul punto, Sez. 5 n. 50102 del 22/09/2015, Rv. 265588).
6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Deciso in Roma il 05 maggio 2016

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