Infortunio mortale durante la movimentazione delle ribalte. Rischi interferenziali.
> articolo collegato: Di cosa si parla quando si parla di “interferenza”?
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO
Data Udienza: 17/06/2015
Fatto
1. M.R. e P.G. ricorrono per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello di Milano ha confermato nei loro confronti la sentenza di condanna del GIP del locale Tribunale, emessa a seguito di giudizio abbreviato, in ordine al delitto di omicidio colposo, aggravato ai sensi del 2° comma dell’art. 589 cod. pen., e a contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni e sicurezza sul lavoro, commessi in Rozzano in data 8.05.2009.
Il procedimento aveva per oggetto l’infortunio mortale del lavoratore T.H., dipendente della cooperativa Siria, di cui il M.R. era amministratore unico, verificatosi nel sito di Lainate della ditta Sifte B. s.p.a, società che svolgeva attività di deposito per conto terzi (il cui rappresentante legale B.F., anch’egli sottoposto a giudizio, è stato assolto dalla medesima sentenza con la formula per non aver commesso il fatto) che aveva appaltato alla società GESCONET e, questa, a sua volta, a varie società cooperative, tra cui la Siria, il servizio di magazzinaggio delle merci trasportate da altre ditte, in particolare la s.r.l. Lu.Ma Group di cui il P.G. era amministratore unico e datore di lavoro dell’autista B.K. (anche questi giudicato dal GIP ed assolto con la formula per non aver commesso il fatto), che trovavasi alla guida dell’autocarro durante l’operazione di scarico e di magazzinaggio, cui era addetta la persona offesa.
Sebbene non vi sia contestazione sulla dinamica dell’incidente (è stato ripreso dal circuito interno di telecamere), è opportuno descrivere, in particolare, le mansioni cui era addetta la persona offesa, come pure, per una migliore comprensione dei motivi posti a base del ricorso del P.G., verranno esposti i profili di colpa ritenuti a carico del M.R., ancorché quest’ultimo non abbia, con l’odierno ricorso, formulato motivi inerenti il merito della vicenda.
Le mansioni del T.H. consistevano nella movimentazione delle ribalte e nelle operazioni di carico e scarico delle merci trasportate dagli automezzi.
La ribalta è una pedana mobile che, azionata elettricamente mediante un pulsante del tipo a rilascio effettua su comando dell’operatore, movimenti in verticale: viene sollevata e riabbassata al fine di posizionarla con la sua parte più esterna sul pianale del mezzo accostato. Viene, quindi, utilizzata per l’accesso al pianale dell’automezzo per portarvi attrezzature da lavoro idonee allo scarico e/o al carico delle merci. In corrispondenza della ribalta è installata una porta dotata di una finestra centrale per permettere di vedere l’avvicinamento del mezzo; l’apertura e la chiusura di tale porta è effettuata manualmente all’interno del magazzino dagli operatori delle cooperative. Per svolgere tale operazione in sicurezza la porta a rullo si deve aprire solo dopo che il mezzo si è avvicinato alla ribalta con la parte posteriore e si è fermato, e solo allora l’operatore può posizionare la ribalta, facendola salire o scendere, a seconda del posizionamento del pianale dell’automezzo.
Nella specie, invece, il T.H. aveva aperto la porta a rullo prima ancora che l’automezzo in retromarcia si fosse fermato, ed aveva manovrato la pedana, stazionando su di essa, man mano che il mezzo si avvicinava, si era sporto più volte all’interno del cassone per abbassare e risollevare la pedana, con il mezzo ancora in movimento, cosicché per un movimento errato rimaneva schiacciato tra la ribalta ed il mezzo che procedeva in avvicinamento alla prima.
1.1 Il primo giudice, premesso che il rischio di contatto o investimento tra il mezzo di carico ed il lavoratore addetto alla movimentazione della ribalta rientra tra i rischi interferenziali, dopo aver esaminato la posizione dei responsabili di tutte le ditte coinvolte in tale attività, quanto ai profili di colpa a carico del M.R., ha evidenziato:
– che a seguito del contratto stipulato con Gesconet erano state specificamente subappaltate alle società cooperative (e tra queste a Siria) le attività di manovra alle ribalte e le operazioni da volgersi in prossimità delle ribalte stesse,
– che il documento di valutazione dei rischi della cooperativa era compilato “secondo uno schema tipico, non calibrato al particolare ambiente di lavoro. In particolare, nella sezione di presentazione dei risultati della valutazione rischi, non veniva esaminata la trattazione del rischio di schiacciamento tra banchina e veicolo; l’analisi del luogo di lavoro della banchina di carico, la verifica in ordine alla idoneità delle attrezzature presenti e non venivano individuali ed analizzati i pericoli correlabili alle interferenze con altri lavoratori ed attrezzature;
– che la società Siria “aveva omesso di prendere le misure necessarie a che l’uso della ribalta fosse riservato ai lavoratori che avessero ricevuto una formazione adeguata e specifica, nonché aveva omesso di vigilare e verificare, anche mediante specifici incarichi a preposti, che i lavoratori addetti alle operazioni di carico/scarico utilizzassero correttamente le ribalte, avuto particolare riguardo al rischio di contatto/investimento tra i mezzi di trasporto ed i magazzinieri;
– che la società non aveva impedito ‘che gli addetti alla manovra delle ribalte procedessero alla movimentazione delle stesse con le porte del rullo aperte e nonostante i mezzi da caricare/scaricare, già avvicinatisi, fossero ancora fermi.
In ordine alla posizione del P.G. il primo giudice considera che:
– non erano stati valutati adeguatamente i pericoli di contatto/investimento nella fase di avvicinamento dei mezzi di trasporto alle ribalte per le operazioni di carico e scarico;
– aveva omesso “di provvedere affinchè il lavoratore dipendente B.K. ricevesse una formazione adeguata in relazione ai rischi connessi alle mansioni svolte”, e nella specie quelli relativi alla fase di avvicinamento alle ribalte;
– aveva omesso, altresì, di delegare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi.
1.2 La Corte d’appello adita, nel fare proprio l’impianto motivazionale del giudice di primo grado, ha ritenuto infondati i motivi posti a base dei gravami di merito.
2. M.R. con il primo motivo denuncia mancanza di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod.pen. in combinato con l’art. 81, comma 2 cod. pen., e le concesse attenuanti generiche con riferimento ai due capi di imputazione, oltre alla omessa motivazione della determinazione dell’aumento di pena per la continuazione ex art. 133 cod. pen.; per avere omesso la Corte di merito di valutare e motivare il riconoscimento delle predette attenuanti ad entrambi i reati contestati e di sviluppare la determinazione della pena.
Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione agli art. 132 e 133 per erronea determinazione della pena.
2.1 P.G., con il primo motivo denuncia violazione di legge con riferimento agli artt. 40, co. 1 e 2 , 589, co. 1 e 2 cod. pen. in relazione agli artt. 17, 18, 28 co. 1 lett I), 36, 37 d.lgs. 81/2008, art. 2087 cod. Civ. Co 1 Cost. Direttiva 2014/24/UE.
Si premette che la responsabilità dell’infortunio di cui trattasi è da addebitare esclusivamente alla SIFTE B.F., società committente dei servizi di magazzinaggio nell’area depositi di sua proprietà: dagli elementi probatori acquisiti, esame dei luoghi, analisi del DVR e del DUVRI, delle consulenze tecniche, emerge che era l’unica a dover garantire la sicurezza del sito, non solo attraverso la predisposizione di tutti gli accorgimenti necessari a garantire la “asetticità” in sé, ma anche a formare ed informare tutti coloro che ivi avessero lavorato, soprattutto se si trattava di un lavoratore “sconosciuto”, quale era il dipendente del ricorrente, l’autista B.K., di nazionalità ganese costretto ad arrangiarsi a seguire le indicazioni ed i suggerimenti dei diretti dipendenti della stessa SIFTE o Siria.
Per altro, anche la sentenza impugnata rileva che la gestione del piazzale incombeva alla Sifte B.F., alla quale restano addebitabili le conseguenti gravi carenze di illuminazione e segnaletica, oltre che le mancanze di adeguata informazione agli autotrasportatori che, soprattutto per la prima volta o comunque sporadicamente, si presentavano nel sito. Sta di fatto, però, che come risulta dal contratto di appalto del 31 marzo 2009 tra Sifte B.F. e Gesconet, tutte le operazioni concernenti l’arrivo dei mezzi alla ribalta, lo scarico delle merci e il successivo carico dei cassoni in partenza erano di competenza della società consortile, che immediatamente aveva individuato le cooperative addette al loro svolgimento. Non v’è dubbio, dunque, che incombevano alla società cooperativa Siria tutti i doveri di sicurezza inerenti a tali specifiche attività; l’esame degli atti, invece, illustra quanto gravemente tali doveri siano stati elusi».
Dunque, atteso che alcun vincolo contrattuale legava la Sifte B.F. alla LU.MA Group e, posta la responsabilità della sicurezza del sito, della formazione ed informazione dei lavoratori, anche se non dipendenti della stessa Sifte e/ o della corresponsabile Siria, non si comprende perché la Corte a quo abbia così conclusoci P.G., «conoscendo i propri autisti, è il primo a rendersi conto dell’acuirsi delle difficoltà comunicative ove essi non comprendano la lingua».
Non stava, infatti, a quest’ultimo prevedere che, nel sito gestito dalla società committente, i lavoratori stranieri avrebbero avuto tutte le difficoltà, logistiche e comunicative, che, poi, di fatto, si sono concretizzate ed hanno portato all’evento letale.
Si ribadisce che la motivazione è contraddittoria in quanto è la stessa Corte ad affermare che deve ascriversi alla responsabilità della società committente la mancata informazione degli autotrasportatori esterni (come il B.) circa le procedure da seguire nelle operazioni di carico e scarico, anche al fine di tutelare l’incolumità del personale delle cooperative addetto a ricevere le merci.
Ulteriore argomento posto a base della denunciata contraddittorietà motivazionale è data dalla assoluzione del dipendente del ricorrente. Assolvere il diretto autore dell’evento lesivo e condannare il suo datore di lavoro rappresenta sotto il profilo logico-ricostruttivo una contraddizione in termini.
Diversamente opinando, si attribuirebbe al P.G. la tutela di un bene giuridico che non spettava a lui proteggere. Il soggetto che ha assunto il ruolo di garante verso la vittima era la Siria, suo datore di lavoro e/o la società committente che gestiva il sito.
Ma quand’anche si volesse rinvenire in capo al ricorrente una qualche posizione di garanzia, non v’è dubbio che la condotta dei due lavoratori non era affatto prevedibile.
Il ricorrente fa poi riferimento al principio di affidamento in relazione alla condotta che il datore di lavoro si aspetta che venga posto in essere dal lavoratore messo nelle condizioni di operare con sicurezza, laddove si evidenzia che tale principio, lungi dal rimuovere l’obbligo di sorveglianza gravante sul datore di lavoro, ne presupporrebbe l’assolvimento mediante istruzioni dirette ad ottenere dai lavoratori il rispetto degli standard di sicurezza prescritti dalla legge.
Quanto alla dedotta violazione della normativa europea in particolare quella della direttiva 2014/24/UE si evidenzia che anche per questa la responsabilità permane esclusivamente in capo alla SIFTE B.F. ed al più anche alla Siria ma non anche alla LU.MA Group.
Si richiama sul punto la giurisprudenza di questa Corte (sez. IV 23.01.2014 n. 6784 rv. 259286 e sez.IV 28.11.2013 n. 1511 rv. 259086) secondo cui l’estensione al committente delle responsabilità dell’appaltatore è ammissibile soltanto laddove l’evento possa ritenersi casualmente collegato ad un’omissione colposa, specificamente determinata che risulti imputabile alla sfera di controllo dello stesso committente, vale a dire che la responsabilità dell’omissione colposa in un’area da sé gestita e per le attività degli autotrasportatori, ricade solo ed esclusivamente sul committente, proprio allorquando risulti imputabile alla sua sfera di controllo. Comunque nell’analizzare la giurisprudenza di questa Corte in tema di rischi interferenziali il ricorrente a maggior ragione prospetta quale unico responsabile dell’infortunio la ditta committente, per non tacere del fatto come rilevato dalla notizia criminis che il DUVRI della SIFTE era risultato privo della valutazione del rischio relativo alla gestione delle ribalte e del rischio relativo alle operazioni svolta ei prossimità delle stesse.
Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge con riferimento alla lettera D) del capo d’imputazione artt. 17 c.l lett. a) e b) 18, c.l lett. I) d.lgs 81/2008.
Con il terzo motivo si deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 62 bis, 69 e 133 cod. Pen..
Diritto
3. Il ricorso del M.R. è inammissibile, quanto alla posizione processuale del P.G. la sentenza impugnata va annullata nei limiti che si esporranno.
3. 1 E’ opportuno iniziare, per ragioni di ordine logico motivazionale, l’esame delle questioni sottoposte dal P.G. all’esame del Collegio.
Tutti i motivi posti a base del ricorso che riguardano la contestazione della ritenuta posizione di garanzia del ricorrente nei confronti della persona offesa sono infondati.
In sostanza, il P.G. cerca di far convergere sulla società Sifte B.F. s.p.a, che gestiva il sito di Lainate, per il deposito delle merci per conto terzi, e poi sulla Cooperativa Siria, tutte le manchevolezze, in materia di prevenzione infortuni, riscontrate e che sono state determinanti nella causazione dell’infortunio per cui è processo, escludendo, in tal modo, ogni sua responsabilità penale.
Il ricorrente dimentica, però, come correttamente evidenziato dai giudici del merito, che, in ragione dell’attività di trasporto merci, di cui aveva ricevuto l’appalto, che andavano messe a deposito, per conto della richiamata Cooperativa, nel sito della ditta Sifte B.F. s.p.a., i suoi dipendenti (autisti) venivano a contatto con quelli della società cooperativa, nell’esplicazione dell’attività di magazzinaggio.
3. 2 Ci si ci riferisce alla prevenzione dei “rischi interferenziali”.
L’interpretazione del concetto di “interferenza”, da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dall’art. 26 al comma 1, lett. a) e b) e comma 3 del D.Lgs. 81/2008, con riferimento alla posizione del committente, ed al comma 2 lett. a) e b) stesso decreto, con riferimento alla posizione dell’appaltatore e del subappaltatore, non viene definita dal D.lvo 81/2008, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n. 3/2008 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come “circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti”.
Gli obblighi di cui al richiamato art. 26 presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i rapporti a cui fa riferimento l’intero art. 26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. In particolare, la ratio della norma di cui all’art. 26 D.Lgs 81/2008 è quella di far si che il datore di lavoro “committente” appresti un segmento all’interno della propria azienda al fine di prevenire ed evitare i rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all’ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa. Se questa è la ratio, ciò che rileva ai fini della normativa di cui all’art. 26 del citato decreto legislativo, non è la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l’effetto che tale rapporto crea, cioè l’interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per entrambi i lavoratori delle imprese coinvolte.
Quindi, anche se si accetta l’interpretazione del concetto di “interferenza, offertaci dalla richiamata “Determinazione n. 3/2008”, al fine di individuare i confini della stessa, occorre far riferimento alla suindicata ratio per comprendere quando l’interferenza è rilevante; quest’ultima, infatti, non può essere circoscritta alle mere ipotesi di contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, perché ciò condurrebbe ad escludere in capo a quei “committenti”, che forniscono il mero luogo di lavoro, qualunque posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori che, pur essendo alle dipendenze di altre imprese, operano nel medesimo luogo di lavoro. L’interferenza rilevante – dovendosi ricercare una nozione che sia il più confacente possibile al perseguimento della sua ratio – deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, ossia come interferenza non di soli lavoratori, ma come interferenza derivante dalla coesistenza di un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi (Così Sez. IV, sentenza n. 36398 del 23 maggio 2013).
Emerge, quindi, che, nell’ambito di interferenza tra organizzazioni di più imprese, in cui è irrilevante l’interferenza di fatto tra lavoratori di plurime imprese, ciò che rileva è la presenza di un potere di interferenza nei confronti dell’appaltatore.
3.3. Ciò precisato, per il caso di specie, vanno considerate l’interferenza dell’attività lavorativa di cui il P.G. era responsabile (autotrasporto) con l’attività di gestione del sito di stoccaggio riferibile alla Sifte – B.F., che è senza dubbio di natura funzionale, e l’interferenza rinvenibile tra i dipendenti della Siria e gli autisti alle dipendenze del ricorrente P.G., che è, non solo di tipo funzionale, ma soprattutto di fatto, essendo rimasto incontrovertibilmente provato che le attività lavorative degli addetti al magazzinaggio, dipendenti della cooperativa committente, e quella degli autisti, dipendenti della LU.MA, Group s.r.l., si interferivano reciprocamente e che non potevano svolgersi se non con la cooperazione di tutti.
E’ dato processuale certo che il responsabile della prevenzione e sicurezza della Sifte-B.F. ed il M.R. (per altro sul punto non vi è impugnazione di quest’ultimo), quale amministratore della Siria, sono venuti meno agli obblighi imposti dal richiamato art. 26, comma 1 lett. a) e b) del D.lvo 81/2008, con le condotte omissive indicate nella parte narrativa.
Ciò non toglie, diversamente da come pretende il ricorrente P.G. che la carenza prevenzionale addebitabile ad altri (anche al responsabile della prevenzione e sicurezza della Sifte B.F. s.p.a) possa esimere da responsabilità l’appaltatore del servizio di trasporto.
Il comma 2 dell’art. 26 D.lvo 81/2008 prescrive che .
Ebbene, come hanno rilevato i giudici del merito, sulla base delle acquisizioni probatorie, è rimasto provato che l’imputato:
– non aveva valutato adeguatamente i pericoli di contatto/investimento nella fase di avvicinamento dei mezzi di trasporto alle ribalte per le operazioni di carico e scarico;
– aveva omesso “di provvedere affinchè il lavoratore dipendente B.K. ricevesse una formazione adeguata in relazione ai rischi connessi alle mansioni svolte”, e nella specie quelli relativi alla fase di avvicinamento alle ribalte;
– aveva omesso, altresì, di delegare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi.
Sulla base di tali certe acquisizioni probatorie correttamente la Corte d’appello rileva che il P.G., “….interferisce gravemente con omissioni, non avendo neppure prodotto un documento di valutazione rischi che attestasse la formazione ricevuta dal proprio autista in ordine alle operazioni di sua spettanza:
-avvicinarsi alla panchina a portellone chiuso;
– impedire che l’addetto alla banchina venisse a contatto con il cassone prima che il mezzo fosse stato fermato con i cunei”.
Altrettanto è condivisibile l’osservazione della Corte milanese nel rilevare che le attività, ora descritte, non possono essere delegate esclusivamente al gestore del sito nel momento in cui l’autista ne varca l’ingresso; si tratta, infatti, di precisi aspetti formativi che il titolare della società di autotrasporti deve dare ai propri dipendenti, in modo che essi li rispettino in ogni luogo in cui le operazioni di carico e scarico si debbano svolgere, anche perché egli stesso, conoscendo i propri autisti, è il primo a rendersi conto delle difficoltà comunicative ove essi non comprendano la lingua italiana. Sul punto, al contrario, il ricorrente, nel caso concreto, addebita ad altri il comportamento non adeguato del proprio autista gañese in ragione di questa sua difficoltà di comprensione, dimenticando che proprio in ragione di tale carenza linguistica, incombeva su di lui l’obbligo di informazione e formazione.
A parere del Collegio, e non ritenendo condivisibili sul punto le critiche del ricorrente, la condotta omissiva a lui contestata, come descritta in rubrica e ritenuta dai giudici, ha non solo messo in pericolo la sicurezza dei propri dipendenti ma anche quella dei dipendenti della cooperativa, e ciò, al di là dell’obbligo di attuare tale garanzia ai sensi dell’art. 26 TU 81/2008, in quanto in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro, predisponendo idonee misure antinfortunistiche. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell’Incolumità fisica dei prestatori di lavoro e di coloro che, per ragioni contingenti, interferiscono con la sua attività di impresa, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 C.P.P. comma 2.
3. 4 Del tutto destituita di fondamento è la denunciata contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza con riferimento all’assoluzione del dipendente del ricorrente. Si è affermato che assolvere l’autista del camion, diretto autore dell’evento lesivo, e condannare il suo datore di lavoro, rappresenta sotto il profilo logico-ricostruttivo una contraddizione in termini.
Il Collegio non conosce le ragioni, in fatto ed in diritto, che hanno determinato i giudici ad assolvere l’autista del camion, ma ciò non rileva, essendo diversi i piani di valutazione della responsabilità dell’autista e del suo datore di lavoro, laddove la mancata formazione del primo da parte del secondo certamente ha determinato l’errata manovra di accostamento alla ribalta che ha causato la morte del dipendente della cooperativa. Con la conseguenza che, se l’autista fosse stato adeguatamente formato sui rischi inerenti alla sua attività lavorativa e sulle misure atte ad evitarli, con alta probabilità logica, l’evento non si sarebbe verificato.
Conseguentemente è del tutto inaccettabile la giustificazione addotta dal P.G., che, richiamando nei motivi il contenuto della nota dell’ASL di Rho del 10.07.2009, esclude ogni sua responsabilità sulla mancata formazione dell’autista in ordine alla manovra di avvicinamento alle ribalte, sul rilievo che la Sifte B.F. s.p.a non aveva una procedura che stabilisse le misure di prevenzione e protezione di avvicinamento alle ribalte e che, pertanto, non aveva fornito alle imprese appaltatrici e/o lavoratori autonomi dettagliate informazioni sulle misure di prevenzione da adottare in relazione alle attività che essi svolgevano nell’area dalla stessa gestita.
Il ricorrente dimentica che, a mente della richiamata disposizione di cui all’art. 26 comma 2 lett. a) e b) del D.lvo 81/2008, egli era tenuto a richiedere al committente il documento di valutazione dei rischi interferenziali e, qualora, come presumibilmente è accaduto, avesse ricevuto risposta negativa avrebbe dovuto personalmente sopperire alla individuazione del rischio in questione (da lui ben conosciuto) cooperando e collaborando con il committente.
3.5 Va dichiarata l’estinzione del reato contravvenzionale contestato al P.G. al capo D) della rubrica per essere perento il relativo termine di prescrizione.
Il ricorrente su tale contestazione ha denunciato vizio di motivazione, ma va ricordato che è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione del secondo comma dell’art. 129 c.p.p. deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una sua pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo.
Analoga pronuncia di estinzione del reato: per prescrizione non può essere fatta nei confronti del M.R. in ordine al reato contravvenzionale a lui contestato al capo B), i cui termini prescrizionali formalmente sono perenti, in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
3. 6 Le censure relative alla quantificazione della pena formulatc^sia dal M.R. che dal P.G. possono essere esaminate congiuntamente, e vanno ritenute inammissibili.
Si premette che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’alt. 133 c.p. (Cass., Sez. 4^, 13 gennaio 2004, Palumbo). A ciò dovendosi aggiungere che non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (di recente, Cass., Sez. 4^, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).
Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena inflitta, è stato dal giudice correttamente esercitato, con riferimento alla concessione delle attenuanti generiche, ritenute equivalenti, per entrambi i ricorrenti, alla contestata aggravante, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati nell’art. 133 c.p..
La Corte d’appello, quale giudice di secondo grado, non venendo meno al suo obbligo motivazionale ha evidenziato come la gravità delle condotte, contestate al M.R. ed al P.G., l’elevato grado della colpa rispetto alla mancata o inadeguata previsione delle procedure – tutt’altro che difficili o costose – volte a prevenire l’accadimento del rischio principale nell’attività lavorativa, la miope considerazione di dover essere esenti da rischi che, invece, sono assolutamente interferenziali, ha giustamente condotto il GIP a determinare la pena, per entrambi gli imputati, attraverso un sensibile distacco dal minimo edittale.
Quanto alla specifica censura in ordine all’istituto di cui all’art. 81 cpv. cod.pen., formulata dal M.R., per non avere la Corte d’appello proceduto alla diminuzione ex art. 62 bis cod. pen. per il reato (capo b) ritenuto in continuazione con quello di cui all’art. 589, 2° comma cod. pen. (capo a), a partente manifesta infondatezza (basta rilevare che le attenuanti generiche sono state riconosciute con giudizio di equivalenza sull’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589 cod.pen.) essa è stata avanzata per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, e, non riguardando nullità rilevabili ai sensi del secondo comma dell’art. 609 c.p.p., è da configurarsi come inammissibile.
3.7 L’annullamento della sentenza, con riguardo alla posizione del P.G. per essere il reato di cui al capo D) estinto per prescrizione comporta l’eliminazione di quella parte della pena calcolata in continuazione con il reato più grave (art. 589 c.p.) determinata in mesi uno di reclusione.
3.8 Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso del M.R. segue la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali e della somma di €1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del M.R. e condanna il M.R. stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.G. limitatamente al reato contravvenzionale di cui al capo D) della rubrica perché estinto per prescrizione, elimina la relativa pena inflitta a titolo di continuazione e ridetermina la pena complessiva in anni uno e mesi tre di reclusione.