Cassazione Penale, Sez. 4, 09 novembre 2015, n. 44793

Investimento di un pedone nel piazzale di carico e scarico. Rischio previsto nel DVR ma nessuna attuazione delle misure preventive.


Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IZZO FAUSTO
Data Udienza: 18/06/2015

Fatto

1. Con sentenza del 21\3\2013 la Corte di Appello di Milano confermava la condanna di F.L. per il delitto di cui all’art. 589 c.p. per omicidio colposo in danno di G.R. (acc. in Sedriano il 8\4\2006).
Al F.L. era stato addebitato di avere, in qualità di responsabile per la sicurezza della unità locale di Sedriano della ditta NORD TRS s.r.l. (Gruppo B. s.p.a.) contribuito a cagionare l’investimento del pedone G.R. (unitamente a tale A., autista dell’autoarticolato Scania 1441); infatti mentre il pedone si trovava sul piazzale di carico e scarico della NORD TRAS dando le spalle all’autoarticolato, veniva investito dal mezzo che stava effettuando una manovra di retromarcia. In particolare il F.L. non aver provveduto a predisporre nel piazzale dell’unità locale di Sedriano, pur avendo redatto il documento di valutazione dei rischi ed avendo evidenziato il rischio specifico di investimento del personale da parte degli automezzi in manovra, passaggi di larghezza sufficiente e delimitati da strisce al fine di permettere il transito dei pedoni senza incorrere nello specifico rischio di investimento; nonché a far rispettare le regole di circolazione all’interno del piazzale statuite nel documento di valutazione dei rischi, con particolare riguardo al posizionamento degli automezzi, allo spegnimento del motore durante la sosta ed alla effettuazione della manovra di retromarcia in condizioni di scarsa visibilità.
Osservava la corte di merito, conformemente al giudice di primo grado, che il F.L., responsabile della sicurezza con ampia delega, pur avendo individuato lo specifico rischio di incidenti ed investimento sul piazzale, non aveva dato attuazione alle misure atte a prevenire tale rischio, non facendo apporre nell’area di manovra una segnaletica orizzontale delineante i percorsi sicuri di manovra e di circolazione dei pedoni; né facendo apporre una cartellonistica adeguata a richiamare i pericoli. Tali misure erano vieppiù necessarie, tenuto conto che nelle operazioni di carico e scarico erano impegnate anche aziende sub appaltatrici che non avevano alcuna conoscenza dei rischi connessi alla circolazione nel piazzale. Inoltre l’imputato, nella sua qualità, non aveva mai preteso e controllato il rispetto delle norme di prevenzione.
Rilevava la corte che tale condotta omissiva era stata una concausa dell’evento, unitamente alla negligenza del conducente dell’autoarticolato investitore (giudicato separatamente).
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’Imputato, lamentando :
2.1. la erronea applicazione della legge laddove il giudice di merito non aveva rilevato che la causa assorbente dell’incidente andava identificata nella condotta gravemente negligente del conducente dell’autoarticolato, il quale aveva effettuato una retromarcia in spregio alle specifiche cautele previste dalle norme sulla circolazione stradale che si pongono oltre che come regole specifiche, anche come norme di ordinaria cautela.
2.2. la erronea applicazione della legge, ove il giudice di merito, nell’individuare l’apporto causale della condotta omissiva del F.L., aveva svolto un ragionamento, che seppur corretto, era però teorico ed astratto, svincolato dal fatto così come realmente accaduto. In primo luogo, infatti, andava valutato che la persona investita non era un pedone, ma un autista appena sceso dal suo mezzo e che si trovava vicino ad esso. Pertanto il giudice di merito avrebbe dovuto spiegare, cosa non fatto, come nel caso concreto il comportamento alternativo lecito avrebbe potuto evitare l’evento, il quale si era concretizzato, invece, per cause del tutto imprevedibili e non evitabili.
2.3. La violazione del principio di correlazione, in quanto mentre la sentenza di primo grado aveva addebitato al F.L. di non avere tradotto in misure concrete di prevenzione i rischi valutati nell’apposito documento, nella sentenza di appello si faceva riferimento invece, alla omissione di “doverose cautele” neanche specificamente individuate, tutto ciò con grave lesione del diritto di difesa. Peraltro il rischio specifico di investimento gravava sul datore di lavoro del conducente dell’autoarticolato e non se ne poteva far carico al F.L..

Diritto

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. In ordine alla doglianza di rito relativa alla lamentata violazione del principio di correlazione, va ricordato che questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, ha statuito che “nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818\05, De Bona; conf. Cass. I, 11538\97, Geremia; Cass. IV, 2393\05, Tucci; Cass. IV, 31968\09, Raso).
Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
Nel caso di specie, la specificazione delle cautele omesse non ha vulnerato il diritto di difesa, in quanto richiamate nella imputazione laddove si indicano le carenze circa la mancanza di chiare indicazione di passaggi pedonali idonei e sicuri. In ogni caso la partecipazione dell’imputato all’Istruttoria dibattimentale, gli ha consentito di difendersi sulle specifiche circostanze via via emerse in giudizio.
Ne consegue da quanto detto che la censura formulata è infondata.
3. Quanto alle doglianze attinenti all’affermazione di colpevolezza, vanno fatte alcune premesse.
In primo luogo va ricordato l’insegnamento di questa Corte secondo il quale in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, il soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo all’organizzazione dei lavori, sicché dell’infortunio che sia occorso all'”extraneus” risponde il garante della sicurezza, sempre che l’infortunio rientri nell’area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere un comportamento di volontaria esposizione a pericolo (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43168 del 17/06/2014 Ud.; dep. 15/10/2014, Rv. 260947). Pertanto è irrilevante che il delitto si sia consumato in danno di un soggetto non dipendente dell’azienda nel cui perimetro è avvenuto il fatto.
In secondo luogo, va ribadito che ai fini dell’affermazione della responsabilità per colpa del datore di lavoro è necessaria non solo la violazione di una norma cautelare ma anche la constatazione che il rischio che la cautela intende presidiare si sia concretizzato nell’evento.
Tale rischio può anche consistere nella negligenza altrui quando, come nel caso di specie le misure di sicurezza siano preordinate proprio ad evitare incidenti per la disattenzione dei conducenti di mezzi, dei pedoni o di entrambi.
4. Ciò premesso, come correttamente osservato dal giudice di merito, l’imputato F.L., in ordine al rischio infortunio poi concretizzatosi, era titolare di una posizione di garanzia che gli imponeva di tenere un comportamento attivo invece omesso. Egli infatti, in qualità di responsabile per la sicurezza, nonché delegato dal datore di lavoro per l’attuazione delle misure di prevenzione, era il soggetto in azienda tenuto alla gestione del rischio infortuni. Ebbene, pur essendo consapevole del pericolo di “investimento” nel piazzale aziendale, tanto da averlo inserito nel documento di valutazione dei rischi, in violazione degli art. 8 del d.P.R. 547 del 1955 e dell’art. 35, co. 4-bis, del d.lgs. 626 del 1994, norme vigenti all’epoca dei fatti, non si è attivato per predisporre una segnaletica orizzontale ed una cartellonistica che indicasse con chiarezza i passaggi per i pedoni, a distanza di sicurezza dal traffico veicolare; né si è attivato per controllare il rispetto delle misure di prevenzione e quindi la sicurezza delle manovre.
Come osservato dalla Corte di Appello, egli si è limitato ad individuare il rischio, senza poi concretamente adottare prescrizioni idonee a prevenire il suo concretizzarsi ed a controllar il rispetto delle norme cautelari.
E’ di tutta evidenza quindi che, la regolazione ed il controllo del traffico veicolare e pedonale (comportamento alternativo lecito), a fronte della commistione senza regole nel piazzale tra pedoni e mezzi in movimento, avrebbe evitato l’evento. Tali argomentazioni, esplicitate dal giudice di merito assolvono in modo convincente all’obbligo di motivazione in ordine al giudizio controfattuale.
Si impone per quanto detto il rigetto del ricorso. Segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 18 giugno 2015


 

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