Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 09 novembre 2016, n. 47019

 Lavoratore investito nel piazzale da un carrello elevatore senza fari e dispositivo acustico funzionanti.


Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 12/05/2016

Fatto

1. Il 1.9.2008, mentre eseguiva una manovra di retromarcia nel piazzale della società S. nel Porto di Genova, M.B., alla guida di un carrello elevatore, investiva P.S., come lui lavoratore dipendente della A. Società Cooperativa a r.l., che aveva ricevuto in appalto dalla S. s.p.a. i lavori di movimentazione delle merci nel predetto terminal. In conseguenza dell’investimento lo P.S. riportava lesioni personali dalle quali derivava una malattia guarita in oltre quaranta giorni.
La responsabilità del sinistro veniva ascritta dal Tribunale di La Spezia al M.B., per non aver tenuto la necessaria diligenza, prudenza e perizia nell’esecuzione della manovra di retromarcia con il carrello, e per averla eseguita pur in assenza di dispositivo acustico e di faro di sicurezza funzionanti; nonché a C.A., quale datore di lavoro di entrambi i lavoratori, e a B.P., quale presidente del C.d.a. della S. s.p.a., ai quali veniva addebitato di aver violato l’art. 63, co. 1 d.lgs. n. 81/2008, essendo risultato che l’area dove si era verificato il sinistro non era delimitata con segnaletica orizzontale e verticale, contemplava la presenza promiscua di merci e di lavoratori, ed era quindi priva della definizione delle zone di rispettiva competenza; di aver violato l’art. 23, co. 1, per essere il carrello in uso al M.B. privo dei requisiti di sicurezza; nonché l’art. 7 d.lgs. n. 626/94, per la mancata adozione del Piano di coordinamento e cooperazione previsto in caso di rischio interferenziale. Al solo B.P., poi, veniva attribuita la violazione dell’art. 28, co. 1 d.lgs. n. 81/2008, per non aver eseguito in modo adeguato la valutazione dei rischi.
La Corte di appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato il primo giudizio, ritenendo che il M.B. avesse tenuto una condotta di guida non solo genericamente negligente ed imprudente, ma anche in violazione di specifiche norme cautelari e che il comportamento dello P.S., erroneamente accostato dal ricorrente a quello del pedone che attraversa una sede autostradale, non presentasse il carattere dell’abnormità valevole ad escludere che il comportamento colposo del M.B. avesse cagionato le lesioni personali alla persona offesa.
Ha poi ribadito che il C.A. aveva omesso di predisporre un piano di circolazione nell’area del piazzale, nonostante il disposto dell’allegato IV del d.lgs. n. 81/2008, ed esclusa la risolutiva incidenza causale del comportamento dei due lavoratori. Quanto al B.P., la Corte di appello ha affermato che attraverso lo I. la S. avesse assunto compiti di sostanziale dirigenza sulle attività della A., i quali impegnavano l’imputato ad organizzare il traffico nel piazzale.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione M.B. a mezzo del difensore di fiducia, avv. C..
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 420-ter e 178, co. 1 lett. c) cod. proc. pen.
Rileva il ricorrente che, in presenza di una certificazione medica attestante una malattia con relativo impedimento a comparire per l’udienza del 13.1.2015, la Corte di Appello avrebbe dovuto acquisire altri elementi in merito alla patologia dell’imputato mediante visita fiscale per valutare l’assolutezza o meno dell’impedimento.
2.2. Con un secondo motivo lamenta che la Corte di Appello ha ritenuto, quale profilo di colpa ascrivibile all’imputato, l’aver condotto il carrello elevatore pur se l’avvisatore acustico non era funzionante; e ciò, mentre il capo di imputazione ascriveva unicamente il mancato uso della necessaria diligenza, prudenza ed imperizia nella esecuzione della manovra.
2.3. Con un terzo motivo lamenta violazione dell’art. 40 cod. pen. per non aver la corte territoriale giudicato causa interruttiva del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e le lesioni patite dallo P.S. il comportamento abnorme di questi.
2.4. Con un quarto motivo deduce violazione degli artt. 590, 43 cod. pen. e 192 e 530 cod. proc. pen. per la errata valutazione degli elementi di prova a carico del M.B.. La Corte di Appello ha dato per accertato il mancato funzionamento del segnalatore acustico, che tuttavia presentava solo scollegati i fili dell’alimentazione elettrica; condizione che per l’esponente poteva essersi determinata poco prima dell’incidente, anche in considerazione del contributo dichiarativo offerto da alcuni testi. La pari dignità logica della tesi difensiva precludeva l’affermazione di responsabilità dell’imputato ‘oltre ogni ragionevole dubbio’.
2.5. Con un ultimo motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione che da un canto rimarca la valenza salvifica del corretto funzionamento del segnalatore acustico e dall’altro reputa necessaria a scongiurare l’evento la presenza di un segnalatore a terra.
3. Ricorre per cassazione C.A., con atto sottoscritto dal difensore, avv. Co..
3.1. Con un primo motivo deduce violazione degli artt. 43 e 590 cod. pen. e vizio motivazionale per aver la Corte di Appello da un canto ritenuto integrato il nesso causale per le sole omissioni del M.B. dall’altro aver contraddetto tale giudizio attribuendo un grave profilo di responsabilità al C.A.. Censura poi la motivazione resa a riguardo della concreta e reale possibilità di evitare l’evento qualora adottata la misura cautelare inosservata e il collegamento tra questa e l’evento, posto che il fatto che dopo l’incidente “siano state approntate ulteriori misure cautelative non vale a dimostrare ex se che la loro esistenza ilio tempore avrebbe garantito (o anche solo reso probabile) l’incolumità dello P.S.”. La Corte di Appello omette di approfondire il nesso tra la violazione cautelare e l’evento, limitandosi ad indicare l’ipotetica violazione.
3.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale, per aver la Corte di Appello omesso di valutare una circostanza decisiva, ovvero che il cicalino acustico, il cui funzionamento si é ritenuto avrebbe con ampio grado di probabilità scongiurato l’evento, era perfettamente funzionante. In realtà il congegno non presentava alcun malfunzionamento ma ignoti lo avevano scollegato dall’alimentazione elettrica. Tale condotta di ignoti, consistita nella alterazione dell’apparato acustico, é esorbitante ed abnorme, perché ha introdotto un rischio nuovo; la Corte di Appello non ne trae le conseguenze sul piano causale.
3.3. Con ulteriore memoria il ricorrente segnala che, tenuto conto della sospensione del termine di prescrizione conseguente al rinvio dell’udienza del 23.10.2014, della durata di sessanta giorni, il reato per cui si procede risulta estinto per prescrizione con il decorso del 1.5.2016.
3. Ricorre per cassazione l’imputato B.P., con atto sottoscritto dal difensore, avv. Ca..
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale per aver la Corte di Appello affermato la responsabilità dell’imputato sulla scorta della mera violazione della regola cautelare, senza operare la verifica della cd. concretizzazione del rischio e della valenza impeditiva del comportamento doveroso; inoltre, perché pur avendo configurato la condotta del M.B. come da sola sufficiente a determinare l’evento ha poi attribuito anche al B.P. la responsabilità del fatto.
3.2. Con un secondo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale per aver la Corte di Appello fatto errata applicazione della disciplina degli obblighi incombenti sul datore di lavoro-committente in rapporto al rischio interferenziale, poiché tali obblighi attengono ai rischi comuni ai lavoratori delle due parti, restando ciascun datore di lavoro gravato dall’obbligo di provvedere autonomamente alla tutela dei propri lavoratori. Tale principio avrebbe dovuto condurre all’assoluzione del B.P.

Diritto

5. In via preliminare va escluso che il reato per il quale si procede sia estinto per prescrizione. Il computo operato dal ricorrente C.A. non tiene conto del
fatto che alla sospensione del termine di prescrizione per un periodo di sessanta giorni dovuta al legittimo impedimento del difensore dell’imputato è succeduta una ulteriore sospensione del termine, determinata dal rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato con l’effetto di posticipare il verificarsi della prescrizione del reato in epoca di gran lunga successiva all’odierna udienza.
6. Il ricorso del M.B. è infondato.
6.1. Quanto al primo motivo vale rammentare che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’affermare che il giudice di merito può ritenere l’insussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputato, dedotto mediante l’allegazione di certificato medico, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza idonee a valutare l’impossibilità del soggetto portatore della prospettata patologia di essere presente in giudizio, se non a prezzo di un grave e non evitabile rischio per la propria salute (Sez. 5, n. 44369 del 29/04/2015 – dep. 03/11/2015, Romano, Rv. 265819). Sicché non ricorre la violazione di legge denunciata dal ricorrente.
6.2. Nella giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata una interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell’imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull’addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti – e in particolare l’imputato – non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia pure a mero titolo di esempio può citarsi la massima per la quale “ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione” (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 – dep. 29/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278).
Nella specifica materia dei reati colposi la concreta applicazione delle indicazioni giurisprudenziali incorre in alcune peculiari difficoltà, derivanti dal fatto che la condotta colposa – in specie omissiva e massimamente se commissiva mediante omissione – può essere identificata solo attraverso la integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere dal primo al secondo e viceversa. Mentre nei reati dolosi – in specie commissivi – la condotta tipica risulta identificabile per la sua corrispondenza alla descrizione fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di pura condotta) o per la sua valenza eziologica (reati di evento), nei reati omissivi impropri colposi la condotta tipica può essere individuata solo a patto di identificare la norma dalla quale scaturisce l’obbligo di tacere e la regola cautelare che avrebbe dovuto essere osservata. Quest’ultima, in particolare, può rinvenirsi in leggi, ordini e discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali generalmente osservate o prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa generica).
Com’è evidente, l’una e l’altra operazione sono fortemente tributarie della precisa identificazione del quadro fattuale determinatosi e nel quale si è trovato inserito l’agente/omittente; tanto che una modifica anche marginale dello scenario fattuale può importare lo stravolgimento del quadro nomologico da considerare.
Di qui il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di legittimità alla necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto è emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini, al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perché sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013 – dep. 20/12/2013, Miniscalco e altro, Rv. 257902). L’accento posto sul concreto svolgimento del giudizio marginalizza – nella ricerca di criteri guida nella verifica del rispetto del principio di correlazione – un approccio fondato sulla tipologia dell’intervento dispiegato dal giudice (ad esempio, quello che si rifà alla presenza di una contestazione di colpa generica per affermare l’ammissibilità di una dichiarazione di responsabilità a titolo di colpa specifica).
Si può aggiungere, in questa sede, che la centralità della proiezione teleologica del principio in parola conduce a ritenere che, ai fini della verifica del rispetto da parte del giudice del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza, è decisivo che la ricostruzione fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le (solitamente) molteplici narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando l’estraneità al tema in esame della qualificazione giuridica del fatto). La principale implicazione di tale assunto è che, dando conto del proprio giudizio con la motivazione, il giudice è chiamato ad esplicare i dati processuali che manifestano la presenza della ‘narrazione’ prescelta tra quelle con le quali si sono confrontate le parti, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.
La seconda implicazione, che in questa sede assume diretto rilievo, è che risulta aspecifico e quindi inammissibile il ricorso che si limiti a segnalare la formale mancanza di coincidenza tra l’imputazione originaria ed il fatto ritenuto in sentenza. aspecifico, giacché ai sensi dell’art. 581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., l’impugnazione deve enunciare, tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”. L’art. 591, co. 1, lett. c) cod. proc. pen., poi, commina la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione quando venga violato, tra gli altri, il disposto dell’art. 581 cod. proc. pen. Come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, sez. 6, 30/10/2008, Arruzzoli ed altri, rv. 242129), in materia di impugnazioni, l’indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell’art. 581 lett. c) c.p.p., costituisce di per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame.
6.3. La tesi che il comportamento del P.S. sia stato abnorme – e pertanto tale da escludere la diretta derivazione causale dell’infortunio dalla condotta di guida del M.B. – é poi del tutto destituita di fondamento, atteso che la costante giurisprudenza di questa Corte ricorda che per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013 – dep. 07/03/2013, Calarco, Rv. 255288). Anche a voler considerare la vicenda che occupa nella prospettiva della disciplina della sicurezza del lavoro (ma, invero, al M.B. risultano ascritti profili di colpa che attengono al comportamento richiesto nella circolazione stradale; non deve quindi fuorviare, nella valutazione della condotta del M.B., il contesto del sinistro e la qualità della vittima), é sempre esclusa l’abnormità di una condotta pur negligente, imperita o imprudente di un lavoratore che svolga i compiti assegnatigli (da ultimo, Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227).
Pertanto, non può ritenersi abnorme il comportamento di una persona che sia presente in un’area per svolgere “una operazione compresa nei propri compiti lavorativi, che prevedevano un suo accesso in zona”, come rimarcato dalla Corte di appello in replica al pedissequo motivo avanzato dall’appellante; peraltro la presenza dello P.S. sul piazzale era stata percepita dal M.B. qualche minuto prima del sinistro.
6.4. Con riferimento al quarto motivo ben si comprende che il ricorrente, spostando l’accento sulla ipotesi di un difetto non strutturale bensì occasionale del dispositivo acustico tenda a dimostrare l’assenza di responsabilità del M.B.. Ma non si coglie, in tal modo, che per quanto prossimo al verificarsi dell’incidente sia potuto essere il malfunzionamento di quel dispositivo, all’insorgere del medesimo incombeva sul M.B. l’obbligo di controllare, prima di azionare il mezzo, la funzionalità in concreto dell’avvisatore di retromarcia, come correttamente rilevato dal giudice di secondo cure. Il quale ha già ritenuto prive di ancoraggio a concrete emergenze processuali le ipotesi avanzate dall’appellante, alternative rispetto alla ricostruzione che vuole il difetto di funzionamento risalente ad un tempo anteriore rispetto al momento dell’incidente. D’altro canto, il motivo di ricorso non tiene conto della sussistenza di un ulteriore e non censurato fondamento del giudizio di responsabilità, ovvero l’aver il M.B. movimentato in retromarcia il carrello senza un ausilio umano o meccanico che gli permettesse di eseguire la manovra senza rischio alcuno per l’incolumità dei pedoni.
6.5. Infondato è, poi, l’ultimo motivo. Se è vero che la Corte di appello ha da un verso ritenuto che il corretto funzionamento del segnalatore acustico avrebbe avuto il risultato di evitare l’investimento dello P.S. e dall’altro affermato che il tema non era comunque decisivo perché nelle circostanze di tempo e di luogo sarebbe stata necessaria anche la presenza di un segnalatore a terra, è parimenti vero che la Corte territoriale non ha concluso per la inutilità del comportamento alternativo lecito rappresentato dal fermo del mezzo una volta constatato che il dispositivo acustico non funzionava all’innesto della retromarcia, ma ha ritenuto che per garantire il completo ‘dominio’ dello spazio retrostante al mezzo sarebbe stato comunque necessario un segnalatore a terra. Precisazione che si pone dal punto di vista del guidatore, descrivendone il comportamento ‘maggiormente avveduto’; mentre dalla prospettiva della vittima, l’evento sarebbe stato evitato – nel giudizio del giudice territoriale – già dal corretto funzionamento del segnalatore acustico.
6.6. In conclusione il ricorso del M.B. va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
7. Infondato è anche il ricorso del C.A..
7.1. Il primo motivo – incentrato sulla asserita assorbente valenza eziologica del comportamento del M.B. – non tiene conto di quanto questa Corte ha da tempo statuito in materia di concorso di cause. Quando più comportamenti si succedano convergendo verso un medesimo evento, secondo il più tradizionale orientamento l’efficienza eziologica di quello antecedente non va verificata attraverso il procedimento di eliminazione mentale che viene utilizzato per affermare o negare il nesso causale tra la singola condotta e l’evento, ma va accertata alla luce del diverso canone della assoluta anormalità o, della eccezionalità della causa sopravvenuta, la quale non può dirsi eccezionale se logicamente inserita nella precedente serie, pur se connotata dalla violazione di regole cautelari (si veda, ad esempio, in tema di condotta colposa dei sanitari che sia succeduta a lesioni personali volontarie, Sez. 5, n. 29075 del 23/05/2012 – dep. 18/07/2012, P.G. in proc. Barbagallo, Rv. 253316). Una diversa e più recente prospettiva affronta il tema dei plurimi comportamenti che si pongono in una sequenza sfociante nell’evento illecito guardando al concetto di rischio e ritiene configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta (Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015 – dep. 28/07/2015, Sorrentino e altri, Rv. 264365).
E’ ben evidente che il ricorrente articola le proprie osservazioni avendo quale termine teorico di riferimento l’art. 40, co. 1 cod. pen. (affermata per il M.B. l’evitabilità dell’evento ove egli avesse tenuto la condotta doverosa, non può predicarsi la valenza causale della condotta del C.A.); laddove nella specie la rilevanza eziologica della condotta del C.A. è stata correttamente valutata secondo la previsione dell’art. 41 cd. pen.
V’è da aggiungere che correttamente la Corte distrettuale ha replicato al rilievo già avanzato con l’atto di appello rammentando la natura non abnorme del comportamento tenuto dal M.B..
7.2. Ancorché non munendolo dell’evidenza di autonomo motivo, il ricorso formula un rilievo anche in relazione al giudizio espresso dalla corte territoriale per il quale la condotta che il C.A. avrebbe dovuto tenere avrebbe in concreto impedito il verificarsi dell’incidente, ove tenuta. Orbene, la critica viene svolta, invero con una certa insufficiente linearità, sia contestando che l’essere state approntate ulteriori misure cautelative dopo l’infortunio valga a dimostrare che esse, qualora adottate anche prima di quello, lo avrebbero evitato; sia nuovamente richiamando l’affermata autonoma sufficienza a produrre l’evento della condotta del M.B.. Ma quanto al primo corno, si tratta di un accertamento di merito che non può essere sindacato in questa sede se sostenuto da idonea motivazione. La Corte di appello ha ricavato dalla successiva predisposizione di una segnalazione adeguata la dimostrazione della loro attitudine a prevenire eventi come quello verificatosi utilizzando un criterio di inferenza per nulla arbitrario o manifestamente illogico (per i limiti del sindacato sui criteri inferenziali utilizzati dal giudice del merito si veda, tra le altre, Sez. 6, n. 36430 del 28/05/2014 – dep. 01/09/2014, Schembri, Rv. 260813). Quanto al secondo, la sua infondatezza è già stata dimostrata trattando della incidenza del comportamento del M.B. sulla posizione del C.A..
7.3. Il secondo motivo non è consentito, trattandosi di censura che viene articolata a partire da una ricostruzione del fatto diversa da quella avallata dalle decisioni di merito, affermando la ricorrenza di una manomissione del segnalatore acustico che non è mai stata recepita dalla corte distrettuale, che all’inverso ha licenziato tale ipotesi come meramente congetturale.
7.4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
8. Parimenti infondato è il ricorso del B.P..
8.1. A riguardo del primo motivo occorre osservare che con l’atto di appello il tema della cd. causalità della colpa non era stato devoluto alla Corte di Appello, di tal che la censura dedotta al riguardo è inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in questa sede. La Corte di merito era stata chiamata ad occuparsi unicamente della efficienza eziologica delle omissioni contestate al B.P., muovendo dal rilievo dell’esser stata la condotta del M.B. da sola sufficiente a determinare l’evento: orbene, al proposito, vale, in replica, quanto già esposto al superiore punto 7.1.
8.2. Coglie il segno il ricorrente quando rileva che sul datore di lavoro- committente, in rapporto al rischio interferenziale, incombe l’obbligo di gestire i rischi comuni ai lavoratori delle due parti, derivanti dalla interferenza delle diverse lavorazioni e plessi organizzativi, restando ciascun datore di lavoro gravato dall’obbligo di provvedere autonomamente alla tutela dei propri lavoratori. Ma nel caso che occupa tale principio è evocato impropriamente poiché al B.P. è stato ascritto di aver omesso di concorrere all’organizzazione del traffico nell’area del piazzale, nonostante l’impresa facente capo allo stesso fosse direttamente coinvolta nelle lavorazioni attraverso la figura dello I., che per conto della S. disponeva dell’ordine delle operazioni di movimentazione, con posizione di sostanziale dirigenza [la Corte di appello utilizza l’espressione “ingerenza qualificata (in termini di sovrintendenza)”]. Sicché non si tratta di obblighi nascenti dal rischio interferenziale ma di quelli derivanti dalla diretta organizzazione dei lavori nel piazzale; a riguardo della relativa ricostruzione ad opera della corte distrettuale e del rinvenimento di una loro violazione nel caso che occupa il ricorso non muove alcuna censura.
8.3. Pertanto, anche il ricorso del B.P. va rigettato; ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così decido in Roma, nella camera di consiglio del 12/5/2016.

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