Cassazione Penale, Sez. 4, 09 novembre 2016, n. 47038

 Morte del manutentore incastrato nel nastro trasportatore: responsabilità del datore di lavoro e del direttore tecnico e RSPP.


Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA
Data Udienza: 28/06/2016

Fatto

Con sentenza in data 27.5.2013 del Tribunale di Fermo, confermata quanto all’accertamento di responsabilità, dalla sentenza della Corte di appello di Ancona, in data 18.5.015, L.M. e R.S. sono stati ritenuti colpevoli del reato di cui agli artt. 589 co. 1 e 2 c.p. perché, nelle rispettive qualità, il L.M., di datore di lavoro, presidente del consiglio di amministrazione della FERMO Asite s.r.l., impresa esercente attività di smaltimento e recupero di rifiuti solidi urbani con stabilimento in Fermo contrada San Biagio, e il R.S., quale direttore tecnico del predetto stabilimento nonché responsabile del servizio di prevenzione e di protezione aziendale, per colpa generica e specifica, segnatamente per negligenza, imprudenza ed inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro – in particolare art. 2087 c.c., art. 1 8 co. 1 lett. f dLvo 81/2008 con riferimento al R.S., art. 17 co. 1 lett a), 71 co. 1, 70 co. 2 d.lvo 81/2008, con riferimento al L.M. – il L.M. omettendo di effettuare una idonea valutazione dei rischi meccanici riferiti al CIGRU nel documento in data 30.12.2008. nonché mettendo a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro con elementi mobili che presentavano rischi di contatto meccanico, che potevano causare incidenti, non conformi ai requisiti generali di sicurezza in quanto prive di protezione o di sistemi protettivi che impedissero l’acceso alle zone pericolose o che arrestassero i movimenti pericolosi prima che fosse possibile accedere alle zone in questione; il R.S. non predisponendo o non facendo predisporre (avendo anche un obbligo di segnalazione quale direttore dello stabilimento), misure tecniche tali da garantire che i rulli del nastro trasportatore FE SI6, nella parte accessibile ai lavoratori, fossero dotati delle protezioni o di sistemi protettivi sopra indicati (art. 18 co. 1 lett. f dLvo 81/2008), nonché non predisponendo direttive aziendali puntuali tali da impedire che i lavoratori accedessero all’interno dell’impianto di selezione nella zona del nastro trasportatore FIMECO SI6, peraltro priva di idonea segnaletica di sicurezza, cagionavano il decesso del lavoratore V.S., manutentore degli impianti, il quale nel tentativo di togliere del materiale incastrato intorno ad uno dei rulli del suddetto nastro trasportatore, in ragione delle rilevate violazioni omissive accedeva alla sezione presente al di sotto della struttura e, posizionandosi al di sotto del nastro, nell’effettuare la predetta operazione di pulitura del nastro, rimaneva incastrato col braccio sinistro fino all’altezza del collo fra il rullo e il nastro trasportatore e, a seguito della gravissime lesioni riportate (trauma cranico, trauma toracico, stangolamento) decedeva sul colpo.
I giudici di merito hanno ritenuto che le cause dell’infortunio fossero da ricercarsi in una serie di omissione degli imputati in violazione della normativa antinfortunistica.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto, a mezzo del difensore di fiducia, ricorso per Cassazione gli imputati.
Con un primo motivo denunciano vizio di motivazione con riguardo alla valutazione della abnormità della condotta del lavoratore, assolutamente eccezionale e non prevedibile, tale quindi da elidere il nesso di causalità fra la condotta omissiva contestata agli imputati e l’evento dannoso.
Con un secondo motivo deducono che all’atto del collaudo dell’impianto esso risultava dotato di tutti i presidi antinfortunistici previsti; in particolare, in osservanza del regolamento in vigore al momento dell’adozione dell’impianto, esso era stato dotato di un recinto perimetrale in ferro oggetto di verifica da parte dei tecnici della ASUR.
Ancora deduce la difesa vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta responsabilità del datore di lavoro per l’omessa installazione delle misure di protezione atte ad impedire l’accesso dei lavoratori all’area del nastro trasportatore – misure che sono state installate dopo l’infortunio mortale – ovvero per non aver aggiunto al preesistente recinto perimetrale una rete metallica di protezione e di interdizione dell’accesso al nastro trasportatore.
Osserva in proposito la difesa che il recinto perimetrale risultava già presente al momento del collaudo definitivo, come comprovato dal verbale di collaudo del 20.12.97, al pari di una balaustra che fu imposta dall’ASUR in sede di modifica del progetto originariamente approvato. Di conseguenza, nessun rimprovero può essere mosso all’imputato in quanto egli ha realizzato l’impianto nella totale osservanza di quanto prescritto dall’ASUR che aveva ritenuto quel tipo di recinzione idonea a preservare dai rischi inerenti la sicurezza dei lavoratori e conforme alla normativa antinfortunistica vigente in quel momento nonché alla norma generale di cui all’art. 2087 c.c.
Lamenta poi la difesa vizio di motivazione in ordine alla ritenuta erronea applicazione degli artt. 70 co. 2, 71 co. 1 d.lvo 81/08, per aver ritenuto che l’impianto non fosse dotato di presidi di sicurezza imposti dalla suddette norme. L’allegato V di detto decreto, cui l’art. 70 rinvia, prevede che se gli elementi mobili di una attrezzatura di lavoro presentato rischi di contatto meccanico che possano causare incidenti, gli stessi devono essere “dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l’accesso a zone pericolose o l’arresto dei movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone medesime”. Nel caso in esame, se è pacifica l’assenza di sistemi del secondo genere altrettanto pacifica è anche l’adozione di sistemi atti ad impedire l’accesso all’impianto in movimento.
Inoltre, anche qualora l’impianto si ritenesse non conforme ai requisiti fissati nei paragrafi 6.1., 1 1.3 allegato V art. 70 d.lvo 81/08, tale difformità non sarebbe in alcun modo sanzionabile. Difatti il d.lvo 81/08 entrò in vigore solo pochi mesi prima dell’infortunio e l’art. 70 co. 3 esonerare dall’obbligo di adeguarsi gli impianti ritenuti idonei in rapporto ai precedenti, ma non attuali, parametri normativi si sicurezza.
Con un terzo motivo si deduce violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza in quanto i giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità degli imputati per la violazione di norme antinfortunistiche non richiamate nel capo di imputazione.

Diritto

I ricorsi risultano inammissibili nella misura in cui mirano ad ottenere una valutazione degli elementi fattuali ulteriore e diversa rispetto a quella effettuata dai giudici di merito; operazione, quest”ultima, come è noto preclusa in sede di legittimità qualora le argomentazioni poste a fondamento dell’impugnata sentenza risultino logiche e non contraddittorie.
Sotto tale profilo la pronuncia di appello appare incensurabile. Difatti, quanto al datore di lavoro L.M., i giudici di appello hanno ricavato la responsabilità dall’aver messo a disposizione dei lavoratori una macchina (il nastro trasportatore) non conforme ai requisiti di sicurezza in quanto privo di dispositivi che impedissero l’accesso alle zone pericolose o che determinassero l’arresto della macchina al momento dell’accesso di lavoratori nelle zone pericolose.
A ciò si aggiunga l’omissione consistita nell’aver posto a disposizione dei dipendenti attrezzature di lavoro che richiedevano per le varie operazioni di caricamento, manutenzione, pulizia, riparazione che il lavoratore si introducesse e si sporgesse ponendosi a contatto con organi in movimento della macchina, privi di dispositivi adeguati che assicurassero in modo assoluto l’arresto del movimento. Pur dando atto della presenza di un interruttore di emergenza per bloccare il movimento del nastro e di un recinto nel quale il nastro trasportatore era collocato, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto detti presidi insufficienti. L’interruttore, infatti, era collocato sul lato opposto del nastro rispetto al quale la vittima ebbe ad accedere; quanto al recinto si trattava di una semplice delimitazione dell’area in cui si trovava la macchina senza alcuna funzione di impedire l’accesso.
Quanto al documento di valutazione rischi – redatto il 30.12.2008 – la sentenza di appello mette in risalto la sua non corrispondenza al vero. Lo stesso, infatti, fa riferimento a protezioni fisse interbloccate inesistenti al momento dell’infortunio. Solo successivamente, su disposizione dell’ASUR, si è provveduto ad installare una barriera costituita da recinto alto due metri a maglia fitta con accesso chiuso da un lucchetto la cui chiave è ubicata presso il pannello di comando ed è fruibile da una sola persona.
Con specifico riguardo al R.S., la Corte territoriale ha sottolineato come, nella sua qualità di direttore tecnico dello stabilimento, avesse omesso di adottare, in violazione dell’art. 18 co. 1 lett. f) d.lvo 81/2008, sistemi protettivi che impedissero l’accesso alle parti pericolose dell’impianto, di impartire direttive puntuali volte ad impedire la condotta del lavoratore ed omesso di collocare adeguata segnaletica di sicurezza lungo il perimetro di operatività del nastro trasportatore al fine di impedire l’accesso ai rulli del nastro trasportatore (Cass. Sez. Un. n. 38343/2014 RV 261107).
All’inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 28 giugno 2016.

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