Cassazione Penale, Sez. 4, 09 novembre 2016, n. 47092

… La Corte territoriale ha escluso l’abnormità e l’imprevedibilità del comportamento dell’infortunato, evidenziando anzi come fosse stata accertata la frequente operazione di pulizia dell’asciugatrice con il macchinario in movimento, e la costante inerzia del datore di lavoro che ben avrebbe potuto e dovuto rendersi conto dell’inadeguatezza del sistema di protezione.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MENICHETTI CARLA

Fatto

1. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna di B.M.C., rappresentante legale ed amministratrice unica della tintoria LU.NA., quale responsabile del reato di lesioni colpose gravi cagionate con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro al dipendente D.S., oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2. In merito alle modalità del fatto la Corte distrettuale esponeva che il giorno 6 febbraio 2008 il D.S., dopo aver caricato la macchina asciugatrice cui era addetto, aveva tentato di rimuovere il materiale in eccesso mentre questa era in movimento; per fare ciò aveva inserito la mano destra in una feritoia posta lateralmente, di norma chiusa da uno sportello apribile con una chiave; il nastro trasportatore aveva afferrato la mano trascinando il braccio fino a quando la macchina non era stata bloccata da un altro operaio; ne erano derivate gravi lesioni da schiacciamento ed una frattura alla dialisi ulnare.
Nei motivi di appello la difesa aveva contestato l’affermazione di penale responsabilità, sostenendo che il meccanismo di protezione della feritoia utilizzata per la rimozione del materiale in eccesso era sufficientemente sicuro e che l’evento era stato provocato dall’iniziativa inadeguata ed abnorme del D.S., il quale aveva preso la chiave, tolto i bulloni ed aperto lo sportello con l’asciugatrice in movimento, pur essendo consapevole della necessità di spegnere prima il macchinario.
Nel respingere il gravame, la Corte di Firenze escludeva ogni condotta eccezionale ed imprevedibile del lavoratore ed evidenziava che l’asciugatrice non presentava un efficace dispositivo di sicurezza, nonostante si trattasse di un’attrezzatura in relazione alla quale era di particolare evidenza il pericolo costituito dagli organi lavoratori in movimento e la conseguente problematica attinente alla protezione e segregazione degli stessi.
3. Ha proposto ricorso la B.M.C., tramite il difensore di fiducia, per due distinti motivi, entrambi relativi al vizio motivazionale.
3.1. Sotto un primo profilo si deduce che i giudici di merito non avevano considerato che il D.S. da anni svolgeva quel compito ed aveva profonda esperienza del macchinario, e che della gestione dei dipendenti e dell’utilizzo e sicurezza dei macchinari si occupava il figlio dell’imputata, circostanza che escludeva la responsabilità della titolare dell’azienda.
3.2. Sotto un secondo profilo si duole del giudizio di mera equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, sollecitandone invece la prevalenza.

Diritto

1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
2. Quanto alla prima doglianza, si osserva che i giudici di merito hanno correttamente messo in luce che l’asciugatrice non presentava un efficace dispositivo di sicurezza, tanto che era possibile inserire la mano con il macchinario in movimento, come appunto fatto dal D.S. per rimuovere il materiale in eccesso.
Tale manchevolezza, addebitabile all’imputata quale titolare della posizione di garanzia, era causalmente collegata alla verificazione dell’evento infortunistico in oggetto, che ha rappresentato la concretizzazione proprio di quel rischio, prevedibile ed evitabile, che le norme di prevenzione inosservate erano volte ad evitare, di guisa che l’attuazione delle menzionate e doverose cautele sarebbe stata sufficiente ad impedirlo. Sul datore di lavoro grava infatti l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare una macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza.
Nel caso di specie l’attrezzatura era priva di un dispositivo che impedisse di aprire lo sportello laterale di riparo degli organi mobili durante il movimento della macchina, ovvero che ne provocasse l’immediato arresto in caso di improvvisa apertura, e ciò in violazione della specifiche disposizioni di cui agli artt.70 comma 2 e 71 comma 1 D.Lgs. n.81/2008 che impongono al datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori macchine idonee ai fini della salute e della sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere, come puntualmente contestato alla B.M.C..
Le dette argomentazioni, ben sviluppate in sentenza, fanno corretta applicazione dei principi più volte ribaditi da questa Corte Suprema in tema di responsabilità colposa del datore di lavoro, per la cui affermazione è necessaria non solo la violazione di una norma cautelare, ma anche la constatazione che il rischio che la cautela intende presidiare si sia concretizzato nell’evento (c.d. causalità della colpa), poiché alla colpa dell’agente va ricondotto solo quell’evento che sia causalmente collegabile alla condotta omessa ovvero a quella posta in essere in violazione della regola cautelare (Sez.4, 11 ottobre 2011 n.43645, rv.251913; Sez.4, 3 ottobre 2014 n.1819, Rv. 261768).
La violazione di tali norme cautelari, suffragata dalle risultanze istruttorie i cui esiti sono stati richiamati dai giudici di Firenze, è stata quindi ritenuta a ragione causa dell’evento lesivo.
2.1. Il ragionamento sviluppato dalla Corte di merito è corretto anche laddove ha escluso un comportamento colposo del D.S. idoneo ad escludere il nesso di causalità.
Il rispetto delle norme prevenzionali ha infatti lo scopo di ridurre al minimo il rischio di incidenti, che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato anche da imprudenza. Proprio al fine di scongiurare tali eventi nefasti, evitabili rispettando gli standard di sicurezza imposti dalla legge, vi sono soggetti chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio antinfortunistico: essi non possono pretendere esonero di responsabilità in caso di condotta inadeguata del lavoratore, fatto salvo il contegno abnorme, che si configura in caso di comportamento anomalo, assolutamente estraneo alle mansioni attribuite, esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere (Sez.4, 5 marzo 2015 n. 16397, Rv.263386; Sez.4, 14 marzo 2014 n.22249, rv.259228) e non anche quando il lavoratore compia un’operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate.
In ossequio a tali principi la Corte territoriale ha escluso l’abnormità e l’imprevedibilità del comportamento dell’infortunato, evidenziando anzi come fosse stata accertata la frequente operazione di pulizia dell’asciugatrice con il macchinario in movimento, e la costante inerzia del datore di lavoro che ben avrebbe potuto e dovuto rendersi conto dell’inadeguatezza del sistema di protezione.
2.2. Infine, la circostanza che il figlio dell’imputata si occupasse della gestione dell’azienda, oltre a costituire un elemento meramente assertivo, sicuramente non vale ad escludere la responsabilità del titolare della ditta, su cui gravano per legge gli obblighi di protezione dei lavoratori.
3. Con il secondo motivo la ricorrente avanza nuovamente la richiesta, già disattesa dalla Corte di Firenze, di operare un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
Anche tale doglianza è manifestamente infondata poiché la Corte ha argomentato sul punto, valutando la gravità delle lesioni riportate dal lavoratore e tutti i criteri dell’art.133 c.p., ed inoltre è oltremodo generica, non prospettando alcuna ragione che induca ad una valutazione più favorevole.
4. Il ricorso va per tali considerazioni dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost.sent.n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2016

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