Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 09 ottobre 2015, n. 40719

Caduta di un palo della linea telefonica a seguito dell’abbattimento di un salice. Responsabilità del datore di lavoro per omessa vigilanza sul corretto svolgimento dell’attività lavorativa.


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 09/09/2015

Fatto

1. Il 19 dicembre 2006, in Minucciano, O.L. subiva lo sfondamento della calotta cranica ad opera di un palo della linea telefonica caduta a seguito dell’abbattimento di un salice operato da personale della cooperativa La Fanaccia e in conseguenza del grave sinistro veniva a morte. Di tale evento, subito da soggetto estraneo all’attività lavorativa, il Tribunale di Lucca riteneva non responsabile P.L., geometra, legale rappresentante e direttore tecnico della menzionata cooperativa, al quale unitamente al caposquadra della medesima, tale B., era stato ascritto di aver cagionato il decesso dell’O.L. avendo omesso di riferire al B. le indicazioni date dal direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza in ordine alle modalità di taglio della pianta da osservare (dall’alto verso il basso) e comunque non assicurandosi che il taglio avvenisse con tali modalità. Ad avviso del Tribunale il P.L. aveva riferito le direttive ricevute e si era raccomandato con il capo cantiere B. di tagliare l’albero dalla cima, salendovi con una scala, essendo peraltro a conoscenza del fatto che gli operai avevano a disposizione i mezzi necessari per farlo; e poiché egli non era stato presente sul cantiere al momento del taglio, non aveva potuto accorgersi che il B. aveva disatteso completamente le direttive ricevute decidendo di abbattere la pianta dal basso.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha ritenuto accoglibile l’appello proposto dalle parti civili, ai soli effetti civili, ed ha quindi ritenuto responsabile della morte dell’O.L. anche il P.L.. I giudici distrettuali hanno convenuto con il primo giudice in ordine al fatto che il P.L. aveva riportato al B. le direttive ricevute dal direttore dei lavori ma hanno ritenuto che egli aveva omesso di vigilare sul corretto svolgimento dell’attività lavorativa, come avrebbe dovuto perché non avrebbe potuto fare affidamento sul corretto comportamento del B. in quanto, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, l’abbattimento del salice non era attività tipica e normale per gli operai della cooperativa in ragione delle circostanze eccezionali che rendevano quel lavoro particolarmente pericoloso (quali la presenza dei cavi aerei molto vicini alle fronde più alte, la natura impervia del luogo che rendeva impossibile avvicinarsi all’albero con mezzi meccanici, le caratteristiche della pianta, avente un tronco sottile e numerose diramazioni); neppure era vero che gli operai della cooperativa fossero esperti anche della tecnica di taglio dall’alto verso il basso o della salita sul tronco con una scala, come ricavabile dalle dichiarazioni del B. medesimo che si era detto esperto solo di tagli al piede, nonché dalle testimonianze di P.E. e di tale Bi.; inoltre, l’imputato medesimo aveva riferito che il B. si era mostrato perplesso, dicendogli subito che egli non sarebbe salito su una scala e non avrebbe quindi eseguito personalmente il taglio nel modo richiesto; a ciò il P.L. aveva replicato dicendo di far salire uno degli altri operai e tuttavia non si era preoccupato di verificare se uno di questi fosse stato effettivamente incaricato dell’operazione e se avesse accettato di compierla; il B., anzi, non aveva dato alcuna assicurazione al proprio datore di lavoro di voler rispettare le direttive che gli erano state impartite ma aveva manifestato a questi che le avrebbe eseguite solo se le avesse egli stesso valutate attuabili. Infine la Corte territoriale ha ritenuto la prevedibilità sia della violazione della regola cautelare da parte degli operai sia l’evento, in relazione al fatto che la pianta in questione era prossima ad una linea aerea telefonica e pertanto le conseguenze della caduta dell’intero albero era prevedibile potessero ripercuotersi anche su una più ampia area.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo dei difensori di fiducia, avv. Omissis.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’articolo 521 cod. proc. pen. Rilevano gli esponenti che al P.L. sono stati originariamente contestati due profili di colpa; un primo consistente nell’aver omesso di riferire al capo cantiere le direttive provenienti dal direttore dei lavori ed escluso sia dal Tribunale che dal giudice dell’appello; un secondo consistente nel non essersi assicurato che il taglio avvenisse con le corrette modalità, concretante colpa generica e tuttavia mutato dalla Corte di appello in un profilo di colpa specifica consistente nell’aver affidato il lavoro a soggetto non esperto. In sostanza il P.L. è stato condannato non perché si era allontanato dal luogo ma perché avrebbe dovuto valutare e verificare in modo concreto se vi fosse del personale capace di applicare le sue direttive. Da qui la lamentata nullità della sentenza per mancata correlazione con l’imputazione.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta la manifesta illogicità della motivazione per aver la Corte d’appello convenuto con il Tribunale sul fatto che nessuna norma prevede che il legale rappresentante e direttore tecnico dell’impresa rimanga sempre sul luogo dei lavori ad esercitare l’azione di sorveglianza e tuttavia ha poi ritenuto la sussistenza di uno specifico dovere di vigilanza sull’osservanza delle direttive impartite in materia di sicurezza sul lavoro, che impone, se necessaria, la diretta e continua presenza del datore di lavoro sul luogo di lavoro. Ad avviso degli esponenti dalla normativa prevenzionistica non è possibile ricavare un obbligo di presenza continua e permanente a carico del datore di lavoro e la responsabilità di questi è esclusa laddove il comportamento del lavoratore sia in palese contrasto con le direttive impartite. L’opera di sorveglianza è finalizzata a verificare che il lavoratore, magari inesperto, recepisca correttamente ed esegua le direttive impartite dal datore di lavoro; non è certo finalizzato né impone un controllo permanente sul rispetto delle procedure lavorative, specie quando le direttive sono state affidate a soggetto esperto che svolge il ruolo di preposto. D’altro canto, dalla giurisprudenza che esclude la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui il comportamento del lavoratore si sia posto in espressa violazione di direttive impartitegli si ricava che al datore di lavoro non viene imposto l’obbligo costante di sorveglianza.
3.3. Con un terzo motivo si lamenta ancora vizio motivazionale in relazione all’affermazione secondo la quale “il datore di lavoro non può limitarsi a dire al lavoratore … di adottare dispositivi di protezione e di usare un macchinario con le modalità meno pericolose, ma deve anche controllare che egli lo faccia, e la sua posizione di garanzia lo rende responsabile dell’inosservanza e delle sue conseguenze lesive se non abbia vigilato in modo idoneo direttamente o delegando terzi competenti. Nel caso di specie P.L. aveva delegato terzi competenti nella persona del B.. Ciò nonostante, con una affermazione contraddittoria, la Corte di appello ascrive al P.L. di non aver controllato che anche il B., ovvero il preposto, rispettasse le sue direttive ed indicazioni. Parimenti illogica per gli esponenti é l’affermazione secondo la quale il P.L. non avrebbe delegato le funzioni di vigilanza al B.; infatti cosi facendo la Corte d’appello snatura le funzioni dalla legge attribuite al preposto, che sono quelle di dare esecuzione alle direttive impartite dal datore di lavoro e vigilare sulla corretta e sicura esecuzione delle medesime. Non vi era quindi necessità di alcuna specifica delega. Gli esponenti rimarcano che il P.L. aveva dato l’avvertimento che in caso di difficoltà e necessità egli avrebbe dovuto essere chiamato; ciononostante il B. procedette senza avvisarlo al taglio del salice al piede.
3.4. Con un quarto motivo si deduce travisamento della prova in relazione alla circostanza dell’essere il preposto e gli operai della cooperativa esperti di abbattimenti di alberi dall’alto e con l’uso di scale; si fa riferimento a tal proposito alle dichiarazioni rese dal B. alle udienze della 22 dicembre 2009 e dell’11 gennaio 2011 nonché alla deposizione del teste Mechi dell’ 11 gennaio 2011; da tali deposizioni emerge che la decisione di operare il taglio al piede dell’albero fu presa unicamente dal preposto, non fu comunicata al datore di lavoro e che per questi era assolutamente imprevedibile.
Sì chiede quindi la revoca delle statuizioni civili e della provvisionale immediatamente esecutiva disposta in favore delle parti civili.

Diritto

4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Il primo motivo é manifestamente infondato. Come rammentano già gli esponenti, la Corte di Appello ha esposto che il P.M. aveva individuato due profili di addebito al P.L., l’uno dei quali era proprio quello di non essersi assicurato che il taglio avvenisse con le prudenti e corrette modalità indicate. La sola operazione innovativa compiuta dalla Corte di Appello é consistita nella qualificazione normativa di tale condotta, che ha ritenuto non integrare (solo) una ipotesi di colpa generica bensì (anche, pur in assenza di una individuazione delle norme già da parte dell’accusa pubblica,) un’ipotesi di colpa specifica, per essere posto il dovere inadempiuto da “specifiche norme di legge in materia di prevenzione antinfortunistica”. E di ciò ha poi dato ampia esplicazione, puntualizzando che – in considerazione della particolare pericolosità dell’abbattimento nel peculiare contesto operativo – quel dovere importava di assistere alle operazioni per verificare la puntuale ottemperanza alle disposizioni date e la loro concreta applicabilità, per intervenire ove necessario, per modificare le disposizioni se richiesto dalla situazione in concreto determinatasi. Non risponde quindi al vero che al P.L. sia stato attribuito, con novazione indebita, una culpa in eligendo. Il solo richiamo che la Corte distrettuale opera alla mancanza di esperienza specifica del B. é laddove tratta della inoperatività nel caso di specie del principio di affidamento, esclusa per l’appunto anche in ragione di tale inesperienza specifica, come meglio si considererà appresso. Ne consegue che il motivo si articola a partire da una premessa insussistente, mentre la Corte di Appello ha provveduto ad una qualificazione normativa che le era senz’altro consentita, secondo un principio tanto noto che non abbisogna di richiami giurisprudenziali.
4.2. Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, assumendo essi a fulcro le modalità di adempimento dell’obbligo di vigilanza imposto al datore di lavoro sull’osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni impartite.
E’ sufficiente richiamare, in proposito, il consolidato principio secondo il quale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012 – dep. 11/09/2012, Parisi, Rv. 253513).
Sul piano modale, l’obbligo di vigilanza può essere adempiuto, quando la legge non ne preveda di specifici, in differenti modi, dovendosi optare per le forme che appaiono più adeguate allo scopo, nelle circostanze date. Può certamente farsi ricorso, da parte del datore di lavoro, ad altro soggetto, al quale vengano delegate le particolari attività di vigilanza che siano state individuate come necessarie ed esorbitanti da quanto già insito nei doveri che la legge, in via originaria, pone in capo al dirigente ed al preposto. In tale ipotesi, l’obbligo datoriale di vigilanza non ha (più) ad oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni – che la legge affida al garante – concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Con l’effetto che esso non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Sez. 4, n.10702 del 01/02/2012 – dep. 19/03/2012, Mangone, Rv. 252675).
Ove non sia possibile tale delega, e le competenze, l’esperienza o altre circostanze rendano specificamente inadeguati i collaboratori del datore di lavoro, sarà questi a dover assicurare, se del caso anche con la presenza, l’osservanza delle disposizioni che garantiscono la sicurezza del lavoro.
Orbene, nel caso in esame é del tutto incontroverso che la Corte di Appello ha individuato fattori implicanti lo spiegamento da parte del datore di lavoro di una particolare attività di vigilanza. Non si trattava soltanto di controllare l’operato dei lavoratori alla stregua di una situazione ordinaria; ma di vigilare che le modalità operative identificate dal coordinatore per la sicurezza venissero effettivamente e pedissequamente eseguite, stante la situazione di rilevante pericolo e la ‘inadeguatezza’ manifestata dal B..
La Corte di Appello ha spiegato che la presenza diretta del P.L. era richiesta dall’atteggiamento del B., che oltre a non essere esperto di tagli al piede, aveva manifestato di non aderire alle disposizioni dategli e di essere intenzionato a valutare personalmente l’opportunità di eseguire l’operazione con le modalità prescrittegli. Correttamente, quindi, la Corte distrettuale ha escluso che nelle circostanze date il P.L. potesse fare affidamento sull’effettivo e puntuale adempimento da parte del B. dell’obbligo di vigilanza; e che egli era perciò tenuto a garantire con la propria presenza la corretta esecuzione del taglio. In sostanza, la Corte distrettuale ha ritenuto che nel caso di specie non si dessero le condizioni per un adempimento mediato dall’altrui attività dell’obbligo di vigilanza gravante sul datore di lavoro; e ciò, a prescindere dall’essere il B. garante originario (in quanto preposto) o derivato (perché delegato), perché questi aveva reso esplicita la propria intenzione di non applicare – o applicare a sua discrezione – le direttive impartitegli. Affermazione corretta nelle premesse giuridiche assunte e nient’affatto manifestamente illogica o dissonante rispetto ai dati processuali.
4.3. A tal ultimo riguardo, e venendo all’ulteriore motivo di ricorso, va ritenuto che il travisamento della prova denunciato dal ricorrente non risulti comunque decisivo. Anche ad ammettere che il dato processuale militi per tessere il B. soggetto esperto di taglio dall’alto di alberi della medesima altezza e conformazione di quello al centro della vicenda, risulta non scalfito il perno del ragionamento condotto dalla Corte di Appello, ovvero che il B. aveva esibito al P.L. perplessità nell’assumere su di sé le disposizioni che gli erano state date. Con il che é reso manifesto perché debba ritenersi infondato anche il rilievo difensivo che pretende l’imprevedibilità per il P.L. del comportamento del B..
Da tanto deriva, oltre all’inoperatività in concreto del principio di affidamento (il quale, al di là della controversa applicabilità al settore della sicurezza del lavoro, presuppone in ogni caso che non sia di già percepibile o prevedibile l’altrui comportamento inosservante: Sez. 4, n. 12260 del 09/01/2015 – dep. 24/03/2015, Moccia e altro, Rv. 263010, in tema di circolazione stradale), che solo la personale direzione delle operazioni poteva garantire al P.L. che queste avvenissero secondo le indicazioni del coordinatore per l’esecuzione.
4.4. Da quanto precede risulta impronunciabile la statuizione richiesta in ordine alle disposizioni civili della sentenza impugnata, che conseguirebbe unicamente all’annullamento senza rinvio della stessa.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore delle parti civili T.G., O.A. e O.L.; spese che si liquidano in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili T.G., O.A. e O.L. che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/9/2015.

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