Infortunio durante il disintasamento di una macchina. Comportamento abnorme del lavoratore o responsabilità datoriale?
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 11/06/2015
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha riformato quella emessa dal Tribunale di Milano, con la quale V.G. era stato giudicato responsabile dell’infortunio sul lavoro occorso a B.A. e condannato alla pena ritenuta equa nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
La Corte di Appello ha infatti mandato assolto l’imputato dal reato ascrittogli.
I fatti, per come ricostruiti nei gradi di merito, risultano incontroversi. Il 15.7.2008 il frantoio per la frantumazione di materiali inerti al quale era adibito il B.A. presentò un intasamento, ovvero una marcia a vuoto degli organi della frantumazione (le ‘mascelle’), dovuto alla presenza di due massi caduti nella tramoggia di carico. Il lavoratore provvide quindi a spegnere l’impianto e, dopo essersi calato all’interno del frantoio, imbracò con delle cinghie uno dei due massi; quindi con l’utilizzo di una gru rimosse il masso riponendolo su un piano del frantoio. Mentre era intento a imbracare il secondo masso, il primo gli rovinò addosso, procurandogli una frattura scomposta ed esposta alla gamba destra, con successiva inabilità ad attendere alle sue occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni.
2. La pronuncia di condanna identificava una violazione cautelare attribuibile al datore di lavoro quale antecedente causale del sinistro: il V.G. aveva omesso di valutare il rischio specifico derivante dall’evenienza ‘intasamento’, ordinaria nel funzionamento dell’impianto. In tal senso riteneva che alcuni documenti aziendali recassero previsioni generiche che non valevano a far ritenere soddisfatte le prescrizioni di legge.
La Corte di Appello, per contro, ha ritenuto che tale documentazione desse indicazioni sulle procedure di lavoro da osservare per il caso di intasamento della macchina e che tali procedure fossero rimaste non osservate dal lavoratore, il cui comportamento ha giudicato esorbitante rispetto alle mansioni attribuitegli, che non contemplavano l’intervento sul macchinario.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la parte civile B. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.
3.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale per aver la Corte di Appello operato un salto logico, deducendo dal fatto che l’azienda aveva adottato una procedura di disintasamento e dalla consegna di alcuni documenti la circostanza che il lavoratore era stato edotto della stessa, pur nell’assenza di prova che il medesimo fosse stato adeguatamente istruito sulle modalità di intervento. Censura che la Corte distrettuale abbia ritenuto che i documenti aziendali prevedessero una specifica procedura per il disintasamento della macchina, rilevando la genericità delle previsioni in essi contenute ed il correlato effetto di porre a carico dei lavoratori l’onere di valutazione dei rischi. Rimarca che la sentenza impugnata attribuisce al lavoratore la violazione di norme comportamentali che non risultano delineate dai documenti richiamati.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta ancora vizio motivazionale e però anche violazione di legge, in relazione all’art. 71 d.lgs. n. 81/2008, evidenziando che la Corte di Appello ha affermato che le prescrizioni non erano contenute in un documento di valutazione dei rischi ma in un piano di sicurezza che era il corrispondente del D.V.R. In realtà si tratta, per l’esponente, di prescrizioni generiche e quindi risulta anche la violazione dell’art. 71 citato.
3.3. Con un terzo motivo si prospettano ancora vizio motivazionale e violazione di legge, in relazione all’affermata natura esorbitante del comportamento del lavoratore, ritenuta nonostante non siano state precisate quali fossero le mansioni rispetto alle quali si é formulato il giudizio di esorbitanza. Peraltro, si aggiunge, la stessa Corte dà atto del fatto che era previsto che il lavoratore dovesse intervenire con un’asta metallica per cercare di disintasare l’apparecchiatura; restando così dimostrato che le mansioni dell’infortunato non si riducevano all’accensione e allo spegnimento dell’impianto. Anzi, questi era addetto al controllo dell’impianto e quindi una sua condotta imprudente non può essere definita abnorme.
Diritto
4. I primi due motivi sono inammissibili in quanto propongono una diversa valutazione della prova, laddove la Corte di Appello ha motivato compiutamente e senza manifeste illogicità il proprio convincimento al riguardo (cfr. pg. 9 e s.).
Vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
La Corte di Appello ha ritenuto accertato che il lavoratore avesse avuto effettiva conoscenza delle prescrizioni impartire dall’azienda; e che tali prescrizioni era tanto determinate da costituire assolvimento degli obblighi di legge.
4.1. Il ricorso è fondato relativamente al terzo motivo, nei termini di seguito precisati.
Il caposaldo sul quale poggia la sentenza impugnata é rappresentato dalla qualificazione della condotta del lavoratore, sulla cui fisionomia non v’é discussione, quale condotta esorbitante dalle mansioni affidategli e pertanto causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, secondo la previsione dell’art. 41 cpv. cod. pen.
Nel formulare il proprio giudizio la Corte di Appello, che pure si rifa a principi più volte espressi dal giudice di legittimità, incorre in errore laddove assume il concetto di mansioni, in termini tali da farlo coincidere con la singola operazione compiuta dal lavoratore. Infatti, la Corte distrettuale ha affermato che non rientrava tra le mansioni del B.A. rimuovere le pietre bloccatesi nel frantoio; e non considera che il medesimo era invece effettivamente addetto all’impianto, essendo adibito alla sua alimentazione, e che in caso di intasamento dell’apparecchio la prima manovra prevista era quella di utilizzare delle aste per tentare lo sblocco dell’impianto e solo in caso di insuccesso chiamare il capo cava per decidere se risolvere l’inconveniente aprendo le ‘mascelle’ (cfr. teste Sp., nella sintesi redatta dalla Corte di Appello). Sicché, da un canto risulta accertato che al B.A. era affidato anche il compito di provvedere al disintasamento della macchina, sia pure solo in prima battuta; dall’altro, la indubbia imprudenza commessa dal lavoratore non si pone in rapporto di ‘eccentricità’ (per usare l’espressione della Corte territoriale) rispetto allo svolgimento delle mansioni affidategli ma anzi rappresenta una modalità di soluzione di un problema che si opponeva all’espletamento dei compiti; che in ipotesi fosse anche trasgressiva delle disposizioni impartite dall’impresa nulla toglie alla non abnormità di quel comportamento.
La sentenza impugnata va quindi annullata, ai fini civili, con rinvio, per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata, ai fini civili, con rinvio, per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11/6/2015.