Cassazione Penale, Sez. 4, 10 agosto 2015, n. 34704

Contatto tra una betompompa e la linea elettrica e decesso per folgorazione. Responsabilità di un committente e del coordinatore per la sicurezza.


 

Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA
Data Udienza: 05/06/2015

Fatto

1. Il presente procedimento riguarda il decesso sul posto di lavoro, in data 17 aprile 2007, di L.F., dipendente della ditta individuale “G.”, titolare S.G., subappaltatrice delle opere di realizzazione di un edificio residenziale in territorio di Tornimparte. (L’Aquila)
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, il L.F. era addetto al controllo manuale della parte terminale del braccio meccanico della betonpompa con la quale si stava operando una gettata di calcestruzzo; la pompa era comandata a distanza, attraverso un radiocomando, da D.T., dipendente della “I.M.” e conducente del mezzo; a seguito di un contatto tra il braccio della betonpompa e la linea elettrica aerea di media tensione a 20.000 volt che sovrastava il cantiere, si scaricava corrente elettrica sulla struttura metallica e, quindi, sulle maniglie in quel momento impugnate dal L.F. per direzionare la parte finale del braccio: l’operaio veniva investito dalla scarica e decedeva sul colpo.
Del fatto erano ritenuti responsabili da entrambi i giudici di merito T.C. quale committente delle opere di costruzione dell’edificio, C.B. quale coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione delle opere; DM.M. quale legale rappresentante della ditta “DM. Costruzioni s.r.l.” in qualità di appaltatore-subappaltante delle opere; S.G. quale titolare della ditta individuale “G.”, in qualità di subappaltatore delle opere e datore di lavoro del L.F.; D.T. quale dipendente della ditta “I.M.” e autista/manovratore della betonpompa, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché per le specifiche violazioni alla normativa antinfortunisca per ciascuno richiamate con appositi capi di imputazione..
Con specifico riferimento alle posizioni di T.C. e C.B., attuali ricorrenti, la Corte di appello assolveva entrambi dalla contravvenzione contestata sub e) (art. 7, co. 2, d. lvo n.626/1994) per non aver commesso il fatto e C.B. anche da quella sub e) (art. 5, co. 1 lett. a,b,c,e,f,) perché il fatto non sussiste; confermava la responsabilità di entrambi per i residui profili di colpa contestati e, ritenuta per entrambi la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche, rideterminava la pena inflitta.
Si accertava che il giorno precedente a quello dell’infortunio mortale, si era tenuta una riunione alla quale avevano partecipato la committente (attraverso il marito, sig. A.V.), il coordinatore per la sicurezza C.B. (attraverso il padre C.G.), DM. (legale rappresentante della ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori) e S.G. (titolare della “G.) nel corso della quale si era stabilito di iniziare i lavori di getto del magrone, con disposizione di tenere i bracci della betonpompa in posizione orizzontale rispetto al terreno, cosi da escludere ogni possibilità d’interferenza con la linea elettrica sovrastante; ulteriori attività sarebbero state intraprese solo dopo il già programmato scostamento della linea elettrica che avrebbe dovuto essere effettuato il giorno successivo.
Secondo la Corte di appello la responsabilità della T. e del C. derivava dal fatto di aver consentito l’inizio dei lavori senza attendere la disattivazione della linea elettrica, che pure era stata chiesta e che avrebbe dovuto essere attuata il giorno successivo. La T., quale committente, non avendo delegato le proprie responsabilità attraverso la nomina di un responsabile dei lavori, aveva l’obbligo di esercitare la vigilanza sul cantiere e pertanto non avrebbe dovuto consentire l’inizio dei lavori nella situazione di pericolo di cui ben era consapevole. Il C., che pure aveva previsto nel piano di coordinamento il rischio collegato alla presenza delle linea elettrice, si era attribuito un potere d’iniziativa sull’andamento dei lavori partecipando, sia pure per interposta persona alla riunione di cui sopra e autorizzando l’inizio dei lavori.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione i difensori degli imputati.
2.1. La difesa di T.C. con un primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 3, 5 e 6 decreto legislativo 494/1996 e degli articoli 41,43 e 589 codice penale e vizio di motivazione relativamente alla ritenuta responsabilità della medesima quale committente dei lavori. Si sostiene che avendo la ricorrente nominato il coordinatore dei lavori per la fase di progettazione e di esecuzione, aveva soltanto l’obbligo di verificare che il coordinatore medesimo svolgesse i suoi compiti di controllo e coordinamento dell’attività dell’appaltatore/datore di lavoro; non rientrava negli obblighi afferenti alla posizione di committente e responsabile dei lavori propria della T. quello di impedire l’inizio dei lavori, tanto più che la medesima non disponeva di elementi o conoscenze specifiche che le potessero suggerire la necessità di impedire l’inizio dei lavori; pur essendo la medesima consapevole della esistenza del rischio per la presenza della linea elettrica, le erano state fornite sia per iscritto che verbalmente assicurazioni che il rischio poteva essere neutralizzato mediante l’adozione di specifiche misure da adottare nell’esecuzione dei lavori. Con un secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 11 e 77 lett. b) d.p.r. 164/ 56 e vizio di motivazione. Si sostiene che la fattispecie incriminatrice di cui trattasi è reato proprio, applicabile solo a soggetti che ricoprono ruoli ben precisi, tra cui non rientra quello del committente. Con un terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 111, co.3, Costituzione e 6, co. 3, lett.e C.E.D.U.e difetto di motivazione. Ci si duole che non sia stata accolta l’istanza presentata dall’avvocato N. anche quale difensore della signora T. in data 3 luglio 2007 ed acquisita al fascicolo del dibattimento, volta ad ottenere l’autorizzazione all’accesso ai luoghi dove si era verificato l’incidente e al controllo della betompompa; sarebbe erronea la decisione della corte di appello che ha ritenuto tardiva la eccezione di nullità proposta al riguardo rilevando che trattandosi di nullità verificatosi nel corso delle indagini preliminari, non di natura assoluta, non era più possibile sollevarla con i motivi di appello; questa soluzione non coglie il vero significato della censura proposta con cui si era eccepita non la nullità di un determinato atto del procedimento ma la nullità della sentenza in quanto adottata sulla base di un materiale probatorio parziale, formatosi impedendo alla difesa di esercitare i propri diritti come garantiti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella Costituzione e nel codice di procedura penale. Con un quarto motivo deduce vizio di motivazione con riferimento alla ricostruzione della dinamica del sinistro ed in particolare alla posizione dei bracci della betonpompa. Sostiene che sono illogici e ancor più insufficienti le affermazioni della consulenza tecnica di ufficio effettuata in appello secondo cui il braccio della betoniera aveva assunto una posizione ad “L” in quanto non si tiene in alcun modo conto delle controdeduzioni dell’ingegner L., consulente di parte, depositate all’udienza del 27 gennaio 2014 di cui nemmeno si dà atto. Con il quinto motivo si deduce violazione falsa applicazione degli articoli 41 e 43 del codice penale e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza di una causa interruttiva del nesso di causalità consistente nel comportamento abnorme del manovratore della beton pompa; anche ammesso e non concesso che il sinistro si sia verificato a causa di un contatto tra la linea elettrica e i bracci della beton pompa posizionati ad L, deve comunque essere esclusa qualsiasi responsabilità della T. in quanto il manovratore della beton pompa non solo ha violato la distanza minima di 5 mt. ma addirittura ha posizionato i bracci in modo totalmente inutile al fine del getto che doveva essere compiuto, come riconosciuto anche dal perito M..
2.2. La difesa di C.B. deduce cinque motivi di ricorso. Con un primo motivo lamenta nullità per violazione del diritto di difesa in quanto non è stato consentito all’imputato l’esame della betompompa; l’istanza presentata in data 11 maggio 2007 era stata “differita” e la successiva istanza, reiterata il 3 luglio 2007, è stata rigettata perché il mezzo era stato restituito, restituzione peraltro avvenuta nella stessa data; la corte di appello non ha risposto alle censure del C., ritenendo, erroneamente secondo quanto il ricorrente evidenzia allegando copia dei motivi di appello, che la questione non fosse stata sollevata in tale sede; non è condivisibile la decisione della corte di appello che riconduce la violazione lamentata ad una nullità a regime intermedio che, essendosi verificata nelle indagini preliminari, è stata tardivamente dedotta; si è trattato di una nullità che influisce direttamente sulla sentenza in quanto questa è stata emessa e motivata in forza di materiale probatorio viziato per la evidente preclusione alla difesa di esercitare il proprio diritto di difendersi provando. Solo il pubblico ministero ha potuto svolgere tranquillamente la propria attività di investigazione di ricerca della prova, peraltro non ritenendo di svolgere alcuna forma di controllo e di verifica sul mezzo, ma con il proprio comportamento ha impedito che anche la difesa potesse eseguire accertamenti. Si eccepisce pertanto la violazione dell’articolo 6, co.3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con il secondo motivo deduce carenze, illogicità, contraddizione della motivazione in relazione alla ricostruzione della dinamica del sinistro. Sostiene che la betompompa era stata posizionata correttamente, con il rispetto delle distanze di legge e che l’elettro folgorazione non può essere stata causata da un contatto con il cavo elettrico. Il perito in appello ha ritenuto che la posizione dei bracci della gru non poteva che essere a “L”, perché se fossero stati posizionati in modo diverso e cioè a”Z”, non si sarebbe potuta verificare il contatto tra i bracci stessi e la linea elettrica. La corte d’appello ritiene che effettivamente l’incidente si sia svolto in tale modo ma ciò facendo trascura le testimonianze di tutti i testi che avevano detto che la betompompa lavorava con la modalità operativa “Z”, modalità confermata anche dalle foto e dal fatto che lo stesso perito aveva rilevato che la lavorazione con la modalità a “L” non era congruente con la traccia di calcestruzzo rilasciata sul posto. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione alla individuazione dei contenuto della posizione di garanzia del coordinatore in materia di sicurezza. Il C. era coordinatore per la progettazione e l’esecuzione e il piano di sicurezza dallo stesso redatto prevedeva espressamente il rischio di elettrocuzione individuando le contromisure di sicurezza, cioè l’obbligo di lavorare a distanza di 5 m; si prevedeva la possibilità che i lavori iniziassero anche prima del distacco della linea elettrica ma stabilendo espressamente che qualunque lavorazione fosse effettuata a una distanza non inferiore a 5 mt. Dunque l’imputato – si sostiene – ha proceduto ad una corretta valutazione dei rischi, contemplandoli espressamente e prevedendo strumenti per il loro contenimento e neutralizzazione. Quanto poi alla vigilanza, questa spettava al datore di lavoro dal momento che al coordinatore per la sicurezza la legge demanda una funzione di generale “alta vigilanza” che non si confonde con quella, operativa, demandata al datore di lavoro; alta vigilanza che significa controllo sulla generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza momento per momento. Si sostiene che l’incidente, alla luce della particolare dinamica delio stesso, può essere apprezzato come un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, e in quanto tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto. Si ricorda che l’articolo 11 del d.p.r. n. 164 del 56 non vieta di lavorare in prossimità delle linee elettriche aeree, ma fissa la distanza minima di lavorazione, distanza che peraltro a seguito delle modifiche introdotte nel 2009 non è più di 5 mt. ma di 3 metri e mezzo e che comunque che si tratta di una responsabilità che fa carico soltanto al datore di lavoro. Il ricorrente lamenta ancora la violazione degli articoli 7.1 lett. B) , 8 e 9 del decreto legislativo 626/1994 e la mancata risposta sul punto da parte della Corte di appello; si era rappresentato che l’infortunio è avvenuto in occasione ed in conseguenza di una fornitura di cemento armato e con la circolare n.4 del 2007 del Ministero del lavoro è stato escluso l’obbligo del POS da parte dell’impresa che fornisce il materiale, restando a carico della sola impresa che esegue i lavori indicati nell’articolo apprestare i presidi di sicurezza; da ciò deriverebbe l’esenzione di responsabilità anche del coordinatore. Con ultimo motivo si sostiene l’interruzione del nesso di causalità per il comportamento abnorme del manovratore della betompompa.

Diritto

1.1 ricorsi che possono essere congiuntamente esaminati salvo che per le precisazioni che riguardano la specifica posizione dei ricorrenti, sono infondati.
2.Deve essere preliminarmente rigettata la eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del diritto di difesa in relazione alla mancata possibilità da parte delle difese dei due ricorrenti, in particolare di quella di C. che aveva presentata apposita istanza di accesso sul cantiere, di ispezionare la betompompa al fine di controllarne lo stato e la possibilità di una perdita che avesse creato una nube d’acqua responsabile della folgorazione del L.F.; secondo le difese infatti l’incidente non sarebbe avvenuto a seguito di un contatto “franco”, cioè a seguito di contatto diretto del braccio della betompompa con la linea della corrente o a seguito di arco voltaico, ma come conseguenza della formazione di una nube d’acqua ricca di ioni, fuoriuscita da un foro del braccio, che avrebbe agito da conduttore. La questione è ad un tempo irrilevante e infondata. Infondata non essendo dato comprendere sotto quale profilo si sarebbe verificata una nullità atteso che il provvedimento del pubblico ministero che ha negato l’accesso ai luoghi alla difesa è stato legittimamente motivato in relazione alle esigenze istruttorie sussistenti in quel momento, rimandando l’autorizzazione ad un momento successivo; mentre la nuova richiesta non ha potuto trovare accoglimento perché il mezzo era stato già restituito. Né è ipotizzabile una violazione del diritto di difesa dal momento che sul mezzo in questione, come riconoscono gli stessi ricorrenti, non sono stati fatti esami o ispezioni all’insaputa della difesa ma, proprio per consentire la partecipazione di tutte le parti alla formazione della prova, è stata disposta perizia da parte della corte di appello sia pure in relazione alla documentazione esistente in atti.
Irrilevante in quanto la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, fondandosi sul contributo offerto dal perito dalla medesima Corte nominato, ha già preso in considerazione la questione ed ha opportunamente evidenziato che anche a voler ammettere – peraltro del tutto ipoteticamente non avendo trovato l’ipotesi conferma né nelle dichiarazioni dei testi (come rilevato dalla sentenza di primo grado) né nelle foto in atti – l’esistenza di un foro con fuoriuscita di calcestruzzo, il getto così determinato avrebbe avuto una elongazione massima di un metro, con la conseguenza che per avere una incidenza effettiva sullo svolgimento dell’incidente si doveva ipotizzare che il braccio della beton pompa si fosse trovato a meno di 5 mt. dalle linee elettriche.
3. Devono poi essere dichiarate inammissibili le censure attinenti allo svolgimento dei fatti. Come si è già detto, la Corte di appello ha disposto perizia per approfondire il tema delle modalità dell’incidente proprio alla luce dei rilievi formulati dalle difese degli attuali ricorrenti circa l’esistenza di una causa alternativa dell’incidente, consistente nella formazione di una nube d’acqua ionizzante a seguito di una perdita sui bracci della beton pompa, fattore certamente non addebitale ai due imputati e tale dunque da escludere la loro responsabilità; la Corte aquilana, con ampia ed esaustiva motivazione, ha riferito i contenuti dell’indagine peritale e ha ritenuto condivisibili, sia perché formulate all’esito di approfonditi rilievi e studi, sia perché effettivamente esaustive e convincenti, le conclusioni cui sono giunti i periti. Su tali basi la Corte ha escluso la stessa verosimiglianza (oltre che, come si è già detto, la rilevanza) della tesi alternativa della nube d’acqua e ha del tutto esaustivamente affermato che il decesso del lavoratore era avvenuto per folgorazione, a seguito di un contatto o dell’eccessivo avvicinamento tra la betompompa e la linea elettrica, in ciò condividendo la soluzione cui già era pervenuto il giudice di primo grado; contatto che, ha aggiunto il giudice di appello sulla base delle osservazioni tecniche formulate dal perito, era possibile solo se i bracci della betompompa erano posizionati a L, in quanto ove fosse stata mantenuta per tutto il corso della lavorazione la posizione a Z ipotizzata dal giudice di primo grado, il contatto con la linea elettrica non sarebbe stato possibile. Nessuna illogicità o travisamento della prova rispetto a quanto dichiarato dai testi e ritenuto dalla sentenza di primo grado è ravvisabile in tale affermazione, atteso che essa è frutto di un fisiologico sviluppo della prova nel corso del giudizio essendo stata resa possibile dall’approfondimento della situazione di fatto in cui è avvenuto l’incidente avutosi con la disposta indagine peritale.
4. Deve peraltro rilevarsi che le discussioni circa l’esatto svolgimento dell’incidente, se avvenuto con i bracci della betompompa in posizione a L o a Z, appaiono scarsamente significative se solo si considera che la norma cautelare violata dai due ricorrenti è quella che fa divieto di lavorare in prossimità di linee elettriche aeree, a distanza inferiore a quella minima prevista di cinque metri, da calcolarsi in relazione alla massima estensione che possono raggiungere i macchinari utilizzati, senza predisporre da parte di chi dirige i lavori una adeguata protezione atta a evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse; e poiché nella specie è pacifico, come già intuitivamente ritenuto in primo grado e come poi confermato dai dati tecnici forniti dalla perizia svolta in appello, che i bracci della betompompa nella loro massima e più sfavorevole elongazione ben potevano raggiungere e forse anche superare la linea elettrica sovrastante il cantiere, era necessario o disattivare la linea stessa (come peraltro era stato previsto per il giorno successivo) o creare adeguate protezioni, quali barriere ed ostacoli atte ad evitare contatti accidentali o pericolosi avvicinamenti come in effetti proprio avvenuto. La violazione di tale regola cautelare, rientrante nella specifica posizione di garanzia da essi rispettivamente rivestita, fonda la responsabilità di entrambi i ricorrenti, i cui rilievi in proposito non hanno fondamento. Come esattamente rilevato fin dalla sentenza di primo grado, la T., committente dei lavori, non si era avvalsa della facoltà di nominare un responsabile dei lavori, cui trasferire gli adempimenti in materia di sicurezza del lavoro, ed era pertanto rimasta obbligata in proprio. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4 28/5//2013 n.37738, Gandolla Rv 256635) in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza . Lei stessa peraltro era ben consapevole del rischio tanto che aveva chiesto lo spostamento della linea elettrica, poi però autorizzando l’inizio dei lavori senza attendere che un tale spostamento (previsto per il giorno successivo) fosse stato effettuato. Non giovano alla ricorrente le assicurazioni fornite dai coimputati circa il fatto che i lavori sarebbero avvenuti con la massima attenzione e con il braccio in orizzontale per non interferire con la linea elettrica, dal momento che la sua specifica posizione di garanzia le impediva di fare affidamento su tali generiche e inadeguate assicurazioni da parte di soggetti come lei gravati da un obbligo di sicurezza.
Sussiste anche la responsabilità di C., vuoi che si abbia riguardo alla qualità di coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dal medesimo rivestita, che gli imponeva di verificare, attraverso una attenta e costante opera di vigilanza, l’eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere anziché limitarsi a raccomandare genericamente l’adozione di una modalità operativa pericolosa e vietata (Sez. 4 26/10/2011 n.46820 Rv. 252139; Sez. 4 14/06/2011 n.32142 Rv. 251177; Sez. 4 del 17/01/2013 n.7443Rv. 255102; vuoi che si abbia riguardo alla autorizzazione da lui data a tali modalità operative che ne ha comportato, come ritenuto dal giudice di appello, una diretta assunzione di responsabilità. Entrambi i ricorrenti hanno sostenuto l’inapplicabilità dell’art. 11 dpr 164/56 sotto il profilo che tale norma è reato proprio che comporterebbe la responsabilità del solo datore di lavoro; ovvero in quanto la disposizione è stata modificata in senso meno restrittivo dal d.l.vo 2009/106. Sotto il primo profilo è sufficiente osservare che l’obbligo di adeguata protezione (da intendersi nel senso sopra precisato) cui è subordinata la possibilità di lavorare a distanza inferiore a quella di legge, di cui all’art. 11, è genericamente indirizzato nei confronti di chi dirige i lavori e la sanzione prevista dall’art. 77 fa carico a datore di lavoro e dirigenti; mentre sotto il secondo va ribadito che in tema di infortuni sul lavoro, poiché le norme che disciplinano gli obblighi dei soggetti cui è affidato il compito di tutelare la salute dei lavoratori non hanno funzione integratrice del precetto penale, ma quella di individuazione delle persone alle quali incombe il dovere di osservare e far osservare le regole di cautela, la loro modificazione nel senso di rimodulazione degli obblighi di tutela non ricade sotto la disciplina della successione delle leggi penali nel tempo e non può quindi avere come effetto quello di rendere legittima una condotta precedentemente vietata in vista della valutazione della responsabilità penale dell’imputato (ex aliis, Sez. 4 25/10/2006 n.2604 Rv. 235780).
5. Neppure colgono nel segno le censure attinenti alla pretesa interruzione del nesso di causalità sotto il profilo del comportamento colposo, asseritamente abnorme del manovratore della betompompa. Premesso che trattasi di questione che non risulta devoluta nelle precedenti sede di merito, è al riguardo opportuno sottolineare che le posizioni di garanzia dei vari soggetti cui è affidata la tutela della sicurezza sul lavoro sono tra loro autonome e indipendenti e pertanto non giova ad uno dei garanti l’eventuale comportamento colposo di altri, salvo che possa dimostrarsi che tale comportamento è stato causa esclusiva dell’evento; ora è pacifica la colpa concorrente del manovratore, accertata con la sentenza qui impugnata sul punto passata in giudicato, ma ciò non significa che un tale comportamento sia interruttivo del nesso di causalità atteso che l’errore da parte di un lavoratore, per la oggettiva difficoltà di controllo a mezzo del telecomando degli scostamenti dei bracci della macchina di cui ha dato atto la sentenza qui impugnata, rientra nel normale sviluppo causale degli infortuni ed è assolutamente prevedibile da tutti i soggetti portatori di posizioni di garanzia.
6.Inammissibile è il quarto motivo dell’imputato C. atteso che lo stesso non tiene conto di quanto osservato dalla Corte di appello a pagina 8 con riferimento alle varie ipotesi contravvenzionali allo stesso contestate, da cui è stato assolto.
7. In conclusione risultando infondati e in parte inammissibili i motivi proposti, i ricorsi qui in esame vanno rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 5.6.2015.

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