Cassazione Penale, Sez. 4, 10 agosto 2015, n. 34706

…”escluso con certezza che fosse stata la vittima a forzare le porte del montacarichi, lo stesso, a motivo di assenza di meccanismo di blocco, di malfunzionamento dello stesso o, eventualmente, di esistenza di un meccanismo di protezione non a norma, ebbe a presentare le porte aperte sibbene non fosse presente al piano; la certificazione di conformità era risalente nel tempo e l’inadeguatezza del sistema risulta, confermata dalla decisone dell’imputato, il quale dopo l’infortunio, ha provveduto a sostituire l’intiero impianto.

Tenuto conto che il lavoratore deve fidarsi della sicurezza degli strumenti ed impianti di lavoro, ad assicurare la quale il datore di lavoro è chiamato a garanzia, è del tutto evidente che il D’A., ove avesse tenuto la condotta che gli era imposta dal ruolo (assidua e costante verifica del puntuale funzionamento dei presidi di sicurezza in specifica relazione all’impianto del montacarichi), il grave infortunio non si sarebbe registrato.”


Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data Udienza: 05/06/2015

Fatto

1. Il Tribunale di Isernia, con sentenza del 15/1/2013, condannò D’A.A., titolare del supermercato avente insegna “Briò-General DAP”, alla pena sospesa di due mesi di reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della p.c, per il reato di lesioni personali colpose gravi ai danni di L.V.M., la quale, in qualità di lavoratrice dipendente, accintasi ad utilizzare il montacarichi aziendale, precipitava nella “tromba” dello stesso, procurandosi trauma cranico commotivo, trattato chirurgicamente, esitato in postumi permanenti severi, lesioni della milza, trattate chirurgicamente con l’asportazione della stessa e lussazione al terzo dito della mano sinistra. In particolare si rimproverava all’imputato sia la colpa generica, che quella specifica .
1.1. La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 10/7/2014, giudicando a seguito dell’impugnazione dell’imputato, confermò la statuizione di primo grado.
2. Quest’ultimo propone ricorso per cassazione corredato da tre motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo, prospettante violazione di legge il ricorrente assume che l’addebito di colpa specifica (aver violato gli artt. 198 e 398, lett. b del d.P.R. n. 547 del 27/4/1955) non era più previsto dalla legge come reato, al momento del fatto, in quanto le richiamate norme erano state abrogate dal D.lgs. n. 81 dell’8/4/2008; né sussisteva continuità normativa, in quanto non poteva ragionevolmente affermarsi che le disposizioni di cui agli artt. 69-71 del predetto d.lgs. avessero preso il posto di quelle abrogate.
2.2. Con il secondo motivo, denunziante anch’esso violazione di legge, si esclude che l’emergenze istruttorie avessero dato prova piena della commissione colpevole del fatto da parte dell’imputato, specie alla luce del principio del ragionevole dubbio. L’unico addebito mosso al D’A.A. dal principale teste d’accusa (l’ispettore dell’ASREM F.S.) era costituito dall’ipotizzata violazione dell’art. 198, di cui detto, da tempo abrogato. In contrario andava osservato che l’ascensore era munito di tutte le autorizzazioni del caso e aveva superato tutti i controlli previsti dalla legge, l’ultimo dei quali risaliva al 14/4/2006; inoltre i dipendenti escussi (C.A. e P.R.) avevano confermato che le porte non si aprivano se l’ascensore non era al piano.
2.3. Con il successivo motivo il ricorrente deduce ulteriore violazione di legge per non essersi fatto luogo all’invocata sostituzione della pena detentiva nell’equivalente pena pecuniaria, a mente dell’art. 53 della legge n. 689/81. Il ricorrente sostiene di aver diritto alla conversione in quanto godente dei requisiti soggettivi previsti dalla legge e la Corte territoriale aveva errato nel non aver voluto far luogo alla predetta conversione, previo revoca della concessa sospensione condizionale.

Diritto

3. Nessuno dei motivi coglie nel segno e, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
3.1. A non volere considerare, per ragioni di comodità argomentativa, la contestata e ben sussistente colpa generica, deve ribadirsi che l’affermata soluzione di continuità tra la regolamentazione entrata in vigore con il T.U. approvato con d. lgs n. 81 del 9/4/2008 e la normativa regolante la materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro non sussiste, siccome correttamente evidenziato nei due gradi di merito. Appare, infatti, chiaro, sulla base di una disamina contenutistica del corpo normativo approvato nel 2008 che le situazioni di rischio, derivanti dall’uso delle attrezzature di lavoro risultano essere state individuate omnicomprensivamente, privilegiando il profilo funzionale e individuando, appunto, la generale categoria di rischio intesa prevenire, resa, tuttavia, concretamente specifica dalla puntuale correlazione funzionale, mediante l’uso dei necessari presidi e l’approntamento delle cautele del caso, alle quali il garante è tenuto (artt. 69-71).
Pertanto, non par dubbio, che la norma, ora abrogata, posta a tutela del rischio da uso di ascensori e montacarichi nei luoghi di lavoro (art. 198 del d.P.R. n. 547/1955), sia stata sostituita (in quanto la fattispecie rientra fra quelle ridefinite, in relazione alla categoria del rischio), senza soluzione di continuità, dalla disciplina di cui al cit. T.U. del 2008 (trattasi di una conclusione univoca nella giurisprudenza di legittimità: cfr., Cass., Sez. 4, n. 42011 del 12/10/2011, dep. 15/11/2011, Rv. 251933; Sez. 4, n. 46965 del 10/11/2011, dep. 20/12/2011, Rv. 251444; Sez. 3, n. 26701 del 3/3/2011, dep. 7/7/2011, Rv. 250630; Sez. 3, n. 26754 del 5/5/2010, dep. 12/7/2010, Rv. 248059; Sez. 3, n. 23976 del 7/5/2009, dep. 11/6/2009, Rv. 244083).
3.2. Anche la seconda critica, che valorizzando il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, assume l’ingiustizia della decisione non merita miglior fortuna.
Con la formula, introdotta con l’art. 5 della l. n. 46 del 2006, ad integrazione dell’art. 533, cod. proc. pen., dopo essersi chiarito che così non si era varato un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova, quanto piuttosto proceduto a dare valore normativo alla consolidata affermazione giurisprudenziale secondo la quale la condanna è possibile solo in presenza di certezza processuale della penale responsabilità dell’imputato (Cass., Sez. I, n. 20371 dell’11/5/2006, Rv. 234111), si è con maggiore puntualità, precisato che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del ben che minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Cass., I, n. 31456 del 21/5/2008, Rv. 240763). Sicché, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, occorre che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Cass., IV, n. 30862 del 17/6/2011, Rv. 250903). Con la conseguenza dell’apparire del tutto conseguente l’ulteriore approdo di legittimità (Cass., I, n. 41110 del 24/10/2011, Rv. 251507) che ha sintetizzato il principio nella cogenza di un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del “dubbio”, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (l’autocontraddittorietà o l’incapacità esplicativa) o esterni (l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica).
Una tale lettura del principio in rassegna ben si concilia con l’altro che impone al giudice di legittimità di astenersi dal valutare nel merito il percorso motivazionale, in quanto in questa sede non è consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità.
Sull’argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n.15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla l. 20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il “novum” normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un’inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza travisamenti, all’interno della decisione.
Nel caso al vaglio, invero, la Corte di merito, peraltro, conformante all’evidenza fattuale, ha chiarito come, escluso con certezza che fosse stata la vittima a forzare le porte del montacarichi, lo stesso, a motivo di assenza di meccanismo di blocco, di malfunzionamento dello stesso o, eventualmente, di esistenza di un meccanismo di protezione non a norma, ebbe a presentare le porte aperte sibbene non fosse presente al piano; la certificazione di conformità era risalente nel tempo e l’inadeguatezza del sistema risulta, confermata dalla decisone dell’imputato, il quale dopo l’infortunio, ha provveduto a sostituire l’intiero impianto.
Tenuto conto che il lavoratore deve fidarsi della sicurezza degli strumenti ed impianti di lavoro, ad assicurare la quale il datore di lavoro è chiamato a garanzia, è del tutto evidente che il D’A., ove avesse tenuto la condotta che gli era imposta dal ruolo (assidua e costante verifica del puntuale funzionamento dei presidi di sicurezza in specifica relazione all’impianto del montacarichi), il grave infortunio non si sarebbe registrato.
3.3. Il terzo motivo, diretto com’è a censurare decisione squisitamente di merito, del tutto esente dalle prospettate gravi patologie, deve qualificarsi inammissibile. La Corte di Campobasso, infatti, ha ben spiegato le ragioni (assicurare efficacia social-preventiva alla pena, attraverso l’afflitti vita della pena detentiva, sospesa sotto la condizione di cui all’art. 163, cod. pen.) per le quali non aveva ritenuto opportuno disporre la chiesta conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria,
4. All’epilogo consegue condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5/6/2015.

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