Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 10 giugno 2016, n. 24124

Infortunio ad addetto alla linea di estrusione: responsabilità del datore di lavoro e del costruttore della macchina.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: BELLINI UGO
Data Udienza: 01/03/2016

Fatto

1. La Corte di Appello di Brescia con sentenza in data 4.12.2013, all’esito di giudizio abbreviato, in parziale riforma della la sentenza del Gup – Tribunale di Brescia in data 28.3.2013 la quale dichiarava B.G. e M.A. responsabili del delitto di omicidio colposo loro ascritto e, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate circostanze aggravanti e applicata la riduzione per la scelta del rito li condannava alla pena di mesi dieci di reclusione, riduceva il trattamento a mesi otto di reclusione.
2. La contestazione trae origine dall’infortunio occorso a B.P., dipendente della società R.P. s.r.l. con sede in Alfianello, di cui B.G. era presidente del consiglio di amministrazione, il quale, addetto alla linea di estrusione Tecnova, macchinario utilizzato per l’attività di rigenerazione di materiale plastico, mentre era intento, prima di riprendere il ciclo di lavorazione, a liberare il camino di degasaggio dell’impianto dall’otturazione rappresentata da materiale plastico solidificatosi, veniva violentemente colpito al torace da un blocco di materiale plastico del peso di circa due kg il quale era violentemente espulso all’esterno del camino.
3. B.G. era chiamato a rispondere, quale titolare di delega alla sicurezza sul lavoro ai sensi dell’art. 28 comma 2 lett.b) T.U. 81/2008per omissione nella valutazione del rischio della proiezione del suddetto materiale fuso e per conseguente omessa predisposizione di presidi idonei a prevenire il rischio; nonché ai sensi degli art. 70 e 71 TU 81/2008 per avere messo a disposizione degli operai una attrezzatura non conforme alle specifiche disposizioni legislative e comunque inadeguata ai fini della sicurezza e della salute per la specifica attività demandata ai lavoratori; nonché per avere omesso di fornire loro informazioni sui rischi, istruzioni necessarie e in particolare la indicazione delle procedure operative e la formazione necessaria per operare in sicurezza; veniva altresì contestata la omessa adozione di cautela rappresentata da una copertura appropriata sul camino di degasaggio dell’impianto idonea a deviare o comunque a intercettare il composto estruso (come invece previsto da disposizioni regolamentari riconducibile a Direttiva macchineDPR 459/96), laddove il condotto era orientato orizzontalmente e ad altezza di uomo; risultava altresì contestata al datore di lavoro la mancata progettazione, costruzione ed equipaggiamento della macchina con misure idonee a limitare l’intervento manuale dell’operatore ovvero a consentire le specifiche operazioni richieste in condizione di sicurezza, ovvero a macchina spenta, ovvero al di fuori della zona pericolosa.
4. M.A. era chiamato a rispondere quale amministratore della società Tecnova s.r.l., costruttrice della macchina, per violazione degli art.22 e 23 T.U. 81/2008 trattandosi di macchina non conforme a specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento di direttive comunitarie in relazione ai due profili di carenze progettuali più sopra evidenziati sia in relazione alla assenza di una copertura appropriata sul camino del degasaggio, sia in assenza di presidi e accorgimenti al fine di limitare l’intervento degli operatori o comunque di consentire ad essi di operare in condizione di sicurezza; veniva altresì contestato al costruttore venditore della macchina il fatto che nel manuale di istruzioni e manutenzione non risultava idoneamente segnalato il pericolo di proiezione di materiale fuso o solido dal camino di degasaggio, che poteva provenire da particolari modalità di uso della macchina (come invece previsto dal DPR 459/96), come nella ipotesi verificatasi allorquando l’operaio era intento a rimuovere con strumenti manuali l’otturazione di materiale plastico realizzatasi all’interno del camino di degasaggio.
5. Avverso la suddetta sentenza che, nel confermare la decisione del primo giudice, recepiva in motivazione l’impianto accusatorio sopra delineato, proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati:
5.1 L’imputato M.A. si affidava a quattro motivi di ricorso contestando, sul presupposto della violazione di legge, i singoli addebiti di colpa specifica riconosciuti in imputazione nonché gli addebiti di colpa generica; con il primo motivo invero assumeva che il giudice territoriale aveva erroneamente riconosciuto la ricorrenza di violazione di norme cautelari in relazione agli art.22 e 23 TU 81/2008 con richiamo alla Direttiva macchine DPR 459/1996 e alla norma Uni En 1114-4, laddove la macchina era dotata di presidi assolutamente adeguati al tipo di lavorazione e alle esigenze di sicurezza degli operatori, stante la presenza di uno sportello in metallo pesante e, all’interno del camino, di un deflettore atto a deviare il materiale plastico, laddove l’evento era dipeso da un fenomeno di sovrapressione rischio che non contemplava che specifiche cautele dovessero essere apportate sul camino di degasaggio per rischi connessi a espulsioni violenti di materiale plastico, rilevando semmai il rischio di cesoiamento o di contatto con gas o con superfici calde;
con il secondo motivo la difesa del M.A. deduceva erronea applicazione di legge penale in relazione ai generici doveri di diligenza perizia e diligenza connessi alla posizione di garanzia da questi rivestita, quali la predisposizione di un blocco elettrico che impedisse l’avviamento della vite o la predisposizione di un deflettore esterno, trattandosi di predisposizioni cautelari non esigibili, non indicati da norme tecniche, a fronte di un infortunio che era conseguenza di un utilizzo anomalo della macchina, non sussistendo alcuna ragione lavorativa per la quale la vite dovesse funzionare con la pompa a vuoto disinserita trattandosi di elementi che dovevano necessariamente lavorare in combinazione, mentre l’eventuale predisposizione di un deflettore non sarebbe risultata idonea a impedire il sinistro in quanto avrebbe dovuto essere rimossa per consentire la eliminazione del materiale plastico; con un terzo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta prevedibilità dell’evento, a fronte di comportamento assolutamente imprevedibile e contrario a qualsiasi logica e prassi aziendale tenuto dal lavoratore, il quale aveva impostato una temperatura di 175 gradi insufficiente per fluidificare il materiale plastico, azionando la vite ad una velocità anomala e alimentando l’estrusore con materiale molto umido, comportamenti che differiscono dalle istruzioni ricevute dal personale del datore di lavoro come risultanti dagli atti;
Con un ultimo motivo deduceva violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della causalità della colpa, laddove una condotta del lavoratore conforme alla prassi lavorativa avrebbe imposto di non attivare il ciclo della vite, ma soltanto di innalzare la temperatura del condotto onde consentire il rammollimento e la fluidificazione della otturazione di plastica solida. Attesa la dinamica del sinistro, nessuna diversa indicazione sul macchinario, sulla scheda tecnica e sul libro di manutenzione del macchinario avrebbe consentito di evitare il sinistro, in quanto, come riconosciuto dalla sentenza impugnata, l’operatore non ignorava le modalità di funzionamento della macchina ma era a conoscenza di quelli che sarebbero stati gli effetti della propria condotta, atteso che il movimento della coclea congiunto all’innalzamento della temperatura avrebbero determinato un aumento della pressione alla base della ostruzione, al fine di agevolare la rimozione dell’ostruzione, che costituiva lo scopo perseguito con modalità assolutamente anomale.
6. La difesa di B.G. proponeva tre distinti motivi di ricorso.
Con un primo motivo denunciava violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al riconosciuto obbligo di valutazione dei rischi e di informazione facenti capo al datore di lavoro in quanto la corte territoriale dopo avere enunciato il principio che il profilo della valutazione del rischio andava inteso in senso sostanziale aveva del tutto omesso di considerare tale assunto pur avendo appreso che gli operai erano stati adeguatamente informati su come affrontare le problematiche relative alla ostruzione del condotto di degasaggio, in termini sostanzialmente antitetici a quelli impiegati dal B.P.: invero al fine di agevolare la espulsione dei residui plastici non era necessario procedere alla attivazione della macchina, essendo sufficiente provocare l’innalzamento della temperatura; con il secondo motivo denunciava violazione di norma processuale e vizio motivazionale nella parte in cui il giudice aveva valorizzato, ai fini di dare logica spiegazione alla pericolosa prassi operativa adottata dal lavoratore, ad una fonte acquisita nel corso del primo sopralluogo dagli stessi ispettori del lavoro, fonte peraltro non utilizzabile in quanto si trattava delle dichiarazioni non verbalizzate dello stesso imputato datore di lavoro, erroneamente ritenute dal giudice di appello come provenienti dai lavoratori i quali, al contrario avevano escluso di essersi adeguati ad una siffatta prassi.
Con un terzo motivo il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio motivazionale nella parte in cui la corte territoriale aveva ritenuto, sulla base di una interpretazione degli art.70 e 71 d.lgs.81/2008 e delle disposizioni UNI EN richiamate, che il datore di lavoro avrebbe dovuto predisporre specifici accorgimenti per prevenire il pericolo di espulsione violenta di materiale plastico dal camino di degasaggio, atteso che le disposizioni richiamate in relazione alle sovrapressioni non si riferivano al condotto di degasaggio mentre la disposizione ad esso riferibile che prevedeva un accorgimento per deviare il componente estruso, si riferiva non già al rischio specifico occorso, bensì al pericolo di trafilamento di plastica fusa tale da potere determinare ustioni; quanto poi al dispositivo di blocco elettrico indicato dal giudice di merito, si assumeva che l’obbligo di dotazione non era imposto dalla legge e che una tale dotazione non poteva ritenersi esigibile in quanto assolutamente imprevedibile era l’evento cui la misura cautelare avrebbe dovuto fronteggiare.

Diritto

l. Va preliminarmente osservato che i ricorsi investono la pronuncia del giudice di appello che attiene a un fatale infortunio sul lavoro intervenuto nella utilizzazione di un complesso macchinario impiegato per la rigenerazione di materiale plastico, denominato estrusore, mentre lo stesso si trovava in apparente fase di lavorazione in quanto il meccanismo che lo azionava era in funzione al momento del fatto; in realtà l’operaio che rimase infortunato attendeva ad un compito non direttamente connesso con la operatività dell’estrusore in quanto stava tentando di rimuovere un residuo plastico della lavorazione che ostruiva il camino di degasaggio, in cui erano normalmente convogliati i gas e i fumi che si producevano durante il ciclo produttivo nonché eventuali componenti plastici estrusi durante la lavorazione.
2. Tanto i motivi articolati dal datore di lavoro, quanto quelli dedotti dal costruttore del macchinario denunciano vizio di violazione di legge e di errore motivazionale nella parte in cui i giudici di merito hanno ravvisato specifici profili di colpa a carico di ciascuno di essi e in particolare la inosservanza di norme di legge e di regolamento che impongono una adeguata valutazione dei rischi di infortuni connessi alla lavorazione ovvero, per il costruttore, la omessa segnalazione del rischio specifico nel manuale di istruzioni, nonché, per il datore di lavoro, la mancata adeguata formazione e informazione dei dipendenti su detto rischio; veniva altresì riconosciuta, a titolo di colpa, a carico di entrambi gli imputati, la omessa predisposizione di adeguate cautele idonee a scongiurare lo specifico rischio realizzatosi, a fronte di una operazione che in ragione della parte della macchina interessata (camino di degasaggio chiuso di regola da un portellone) e delle modalità operative della manovra (con la macchina in funzione e con la temperatura inserita), si presentava particolarmente pericolosa ed eccentrica rispetto a quello che avrebbe dovuto essere un corretto operare.
Entrambe le difese peraltro hanno rappresentato di ritenere viziata da travisamento del fatto e della prova la conclusione cui é pervenuto il giudice di merito, e che costituiva un presupposto nella valutazione di responsabilità degli imputati, e cioè che nella azienda di modeste dimensioni gestita dal B.G. fosse invalsa la prassi di eseguire l’intervento di pulizia, cui era intento il lavoratore al momento dell’infortunio, con macchina in funzione e all’inizio di ogni nuovo ciclo di lavorazione e all’uopo hanno allegato alcuni atti del giudizio per dimostrare la inconferenza e la contraddittorietà di tale conclusione, nel rispetto dell’art. 606 co. 1 lett.e) cod.proc.pen., soprattutto per rimarcare l’abnormità della manovra intrapresa dal lavoratore, e la sua eccentricità rispetto alle direttive pure impartite dal datore di lavoro. Rispetto a tale operato eccezionale e improvvido del lavoratore ne sarebbe rimasto del tutto assorbito ogni diverso profilo eziologico riconducibile ai ricorrenti, anche per le eventuali inosservanze riscontrate.
4. In relazione a tali profili di doglianza va preliminarmente osservato che in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell’ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 rv 226074). Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad “altri atti del processo”, ed ha quindi, ampliato il perimetro d’intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto “al testo del provvedimento impugnato”. La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica, la coerenza strutturale della decisione.
5. Precisazione, quella appena svolta, evidentemente necessaria, avendo il ricorrente B.G. denunciato, con il secondo motivo di ricorso, anche il vizio di travisamento della prova o comunque profili di inutilizzabilità di atti del procedimento quali le dichiarazioni non verbalizzate di persone informate sui fatti ovvero dello stesso imputato ricorrente e datore di lavoro in relazione ad una illegittima “prassi” aziendale nelle manovre di pulizia del condotto del degasatore ostruito da materiale plastico solidificato.
Così come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall’obiettivo e semplice esame dell’atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall’altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l’atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.
6. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dalle parti ricorrenti, atteso che l’articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità degli imputati.
7. Invero il B.G. si duole della ritenuta inosservanza agli obblighi gravanti sul datore di lavoro in ordine alla valutazione dei rischi e alla formazione e informazione degli operai sul contenuto specifico degli stessi, assumendo che l’adempimento di un tale obbligo non deve intendersi in senso formale e che il ricorrente aveva dato adeguate istruzioni alle proprie maestranze che, in sede di sommarie informazioni, avevano dato conto delle istruzioni ricevute, che risultavano conformi alle corrette prassi operative. Il motivo non è fondato atteso che, a prescindere da quanto verrà successivamente indicato in relazione alle contraddittorie dichiarazioni assunte in sede di sopralluogo degli ispettori dell’ASL, il condotto del degasatore costituiva precipua e regolamentata porzione del macchinario oggetto di interesse in chiave antinfortunistica, atteso il chiaro tenore delle disposizioni contenute nella disciplina UNI En 1114-1 punti 5.1.10 e 5.1.15, proprio in relazione ai rischi derivanti dalla fuoriuscita dal condotto di fumi, gas e residui plastici della lavorazione o comunque dagli effetti della sovrapressione della macchina. La corte territoriale ha poi dato conto della particolare conformazione dell’apertura del condotto di degasaggio, collocata ad altezza di uomo e aggettante in senso orizzontale rispetto alla posizione dell’operatore, evidenziando la totale assenza di qualsivoglia disposizione del datore di lavoro da cui risultasse rappresentato ai dipendenti lo specifico rischio che connotava la pulizia del condotto ostruito da scarti della lavorazione. Il giudice territoriale dava altresì conto della assenza di un documento o di altra segnalazione che rendesse edotti i lavoratori delle modalità operative e procedimentali da seguire, sia con riferimento alla posizione e agli strumenti da impiegare nel rimuovere gli scarti solidificati all’Interno del camino, sia in relazione alla operatività della macchina e alle fasi della lavorazione (operare al termine del ciclo, ovvero prima della ripresa del nuovo ciclo produttivo).
8. Orbene é pacifico insegnamento del giudice di legittimità in materia di prevenzione degli infortuni che ricorre in capo al datore di lavoro un obbligo giuridico di analizzare e di individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presentì all’interno dell’azienda e all’esito, redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art.28 D.Lgs. 81/2008, all’interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (sez.U, 24.4.2014 n. 261109; sez.III, 3.3.2011 rv.250375; sez.IV, 26.11.2015 rv. 265979; 19.3.2015 rv. 263726 in relazione alla omessa spiegazione dei rischi collegati ad una determinata attività, e adozione di procedure di sicurezza adeguate, pur perfettamente a conoscenza dei rischio lavorativo connesso a detta attività), adozione tanto più esigibile in ragione delle modeste dimensioni dell’azienda e della distorta prassi operativa intrapresa dal B.P. di cui al successivo paragrafo, che in relazione a quanto qui rileva, evidenzia quantomeno una non assimilata rappresentazione delle modalità attuative della manovra cui era impegnato.
Il giudice territoriale dava poi conto del fatto che, al momento dell’infortunio, la macchina Tecnova era in fase dismissiva e sarebbe stata sostituita da un modello più evoluto della stessa ditta costruttrice, dotato di uno specifico presidio antinfortunistico e di più adeguate istruzioni in ordine alle modalità operative in relazione a quel tipo di rischio, il che imponeva al datore di lavoro, come indicato dal giudice di appello, un più attento e specifico aggiornamento e consolidamento della valutazione e selezione dei rischi ancora presenti nell’approssimarsi al condotto dell’estrusore per la rimozione dei residui solidificati della lavorazione.
9. Neppure coglie nel segno il secondo motivo di ricorso del B.G. il quale dopo avere riportato le dichiarazioni del dipendente Z., il quale aveva a più riprese riferito di essere stato reso edotto dei rischi connessi al tipo di lavorazione in questione e dei rischi di operare con la macchina in funzione, ha riconosciuto un vizio di legge, anche processuale nella parte in cui il giudice di appello, dopo avere svalutato la portata di tali sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria due giorni dopo l’infortunio, era al contrario a valorizzare la annotazione degli ispettori della autorità sanitaria che, all’atto del primo sopralluogo, erano a riferire sommariamente e senza indicare la fonte, di una contraria prassi invalsa presso il luogo di lavoro, consistente nella pulizia del condotto del camino di degasaggio a macchina accesa, sebbene a regime molto basso, e con temperatura inserita con lo scopo di ammorbidire più rapidamente il materiale plastico solidificato all’interno del condotto e, con la coclea attivata, agevolarne la fuoriuscita. Orbene la ricorrenza di una tale prassi, conforme a quella impiegata dal B.P., rappresenterebbe da un lato la prova più evidente del fatto che non solo il datore di lavoro B.G. non aveva provveduto ad una adeguata valutazione del rischio relativo alla pulizia del condotto, ma che, al contrariamente alle istruzioni impartite (s.i. Za.), aveva tollerato, se non incentivato pratiche del tutto contrarie e pericolose, di fatto consentendo che il portellone potesse rimanere aperto nonostante la macchina fosse in funzione. A tale proposito il ricorrente ha denunciato il vizio processuale sulle modalità di assunzione di informazioni da cui risultava la evidenza della suddetta prassi, precisando che tali informazioni provenivano dallo stesso datore di lavoro, il quale avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie proprie della persona nei cui confronti si procede, dichiarazioni comunque non utilizzabili in quanto illegittimamente acquisite e comunque non compiutamente verbalizzate.
10. In relazione a tale motivo di ricorso è necessario evidenziare che dalla stessa nota 6 a pagina 8 della sentenza impugnata, nella parte in cui viene riportato il testo della sentenza di primo grado, risulta evidente che le informazioni relative alle modalità esecutive di una siffatta pericolosa ed erronea operazione di disostruzione non siano state fornite dall’odierno ricorrente, dal momento che nei corso del sopralluogo risultavano presenti B.D., impiegato amministrativo e figlio dell’amministratore (che non risulta essere stato indagato) e l’operaio M.N.. Dall’altra parte deve evidenziarsi come in sede di giudizio abbreviato l’annotazione della polizia giudiziaria recante la sintesi di affermazioni personalmente ascoltate dall’ufficiale di p.g. integra la mera e doverosa documentazione dell’attività di indagine espletata, “ritualmente acquisita al fascicolo del p.m. e, dunque, suscettibile di utilizzazione ai fini della decisione nell’ambito del giudizio celebrato con rito abbreviato, dato che l’accesso a tale rito, la cui scelta è rimessa all’imputato, attribuisce agli atti di indagine un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie” (Cass. Sez. 1, 3.3.2005 n. 16411, Baldassarre, m. 231571 anche se in relazione a dichiarazioni rese dalla persona offesa che non ha inteso sottoscrivere il verbale).
Le contrarie deduzioni esposte nel ricorso non contrastano la suddetta conclusione, poiché sono frutto di un palese errore prospettico, che prescinde dalla specificità del giudizio di primo grado svoltosi nelle forme del rito abbreviato senza condizioni e dalla palese inesistenza, a tutto voler concedere, di situazioni che consentano di ricondurre la testimonianza de auditu (o, meglio, la sua annotazione di servizio) dell’ufficiale di p.g. nell’alveo delle prove acquisite illegittimamente ai sensi dell’art. 191 c.p.p.. In ogni caso giammai si sarebbe in presenza di una inutilizzabilità cd. patologica, l’eventuale irritualità nella acquisizione dell’atto probatorio essendo vanificata dalla scelta negoziale delle parti e in particolare dell’imputato; scelta di carattere abdicativo che riconosce dignità di prova agli atti di indagine, non illegittimi ma eventualmente e soltanto assunti senza il rispetto delle forme di rito, senza dubbio utilizzabili nel giudizio abbreviato (v. Cass. Sez. 3, 9.6.2005 , Fiero, m. 232374; sez.V, 6.6.2012 m.254081), come nella ipotesi in cui l’annotazione di servizio riporti le dichiarazioni rilasciate da persona ivi presente di cui non sia stato possibile procedere alla completa identificazione (sez. I, 11.5.2010 m. 248235).
11. Ma anche qualora le dichiarazioni specificamente riportate tanto nella sentenza di primo grado quanto nei motivi di ricorso della difesa B.G. fossero attribuibili non già ad uno dei dipendenti della società che si trovavano presenti sul luogo di lavoro all’atto del sopralluogo della polizia giudiziaria ma allo stesso ricorrente datore di lavoro, in relazione al giudizio abbreviato è pacifico l’insegnamento del S.C. che siano utilizzabili le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria da soggetto che non abbia ancora formalmente assunto la qualità di indagato (sez.V, 16.1.2014 m.258960), laddove l’art.350 comma VII cod.proc.pen. ne limita la inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (sez.V, 12.6.2014 m. 262192).
Orbene le suddette dichiarazioni, sia provenienti da taluno dei dipendenti nella immediatezza dell’infortunio che dalla parte datoriale, evidenziano la esistenza di una prassi operativa del tutto eccentrica rispetto a quella che doveva essere seguita nelle operazioni di pulizia del camino di degasaggio prima della ripresa del ciclo produttivo in quanto, contrariamente ad ogni regola di prudenza e di salvaguardia del rischio di fuoriuscita violenti di residui della lavorazione, prevedeva che l’operatore munito di strumenti manuali e leve operasse all’altezza del foro di degasaggio, con temperatura interna tale da determinare un rammollimento del polietilene e con la vite della macchina in funzione ad una velocità minima. Peraltro una siffatta prassi operativa, oltre ad essere contraria a quella indicata come corretta da tutti i consulenti tecnici delle parti e dalle stesse difese dei ricorrenti, secondo le stesse indicazioni fornite dai giudici di merito non era sconosciuta neppure agli altri dipendenti i quali hanno reso dichiarazioni compatibili con una esperienza lavorativa ad essa conforme (cfr. sentenza primo grado pag.4-5), rendendo ancor più pregnante ed esigibile l’obbligo in capo al datore di lavoro di una compiuta ricostruzione e regolamentazione dei rischi connessi a detta pericolosa e sensibile opera di disostruzione del condotto e di informazione dei lavoratori sulle corrette modalità di esecuzione.
12. Il terzo motivo di ricorso di parte ricorrente B.G. attiene al profilo di colpa addebitata al datore di lavoro per l’assenza di presidi antinfortunistici idonei a prevenire eventi di infortunio in ipotesi di operazioni come quella intrapresa dal dipendente B.P., motivo che può essere esaminato congiuntamente ai primi due motivi di ricorso del produttore-progettista e venditore della macchina, M.A. il quale, a sua volta, deduce violazione di legge proprio in relazione alla contestazione che gli viene mossa, della omessa installazione nel suddetto macchinario di appositi dispositivi di protezione rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia e la predisposizione di specifiche avvertenze sui rischi residui.
I giudici di merito con ragionamento assolutamente piano e del tutto coerente sotto il profilo logico giuridico hanno evidenziato, pure a fronte delle argomentazioni degli odierni ricorrenti, che non solo il B.P. si attenne ad una metodica non arbitraria ma frutto di una valutazione dettata da ragioni di utilità per la celerità della ripresa del ciclo, ma che la stessa fu possibile in ragione di carenze progettuali del macchinario, che pure presentava rischi connessi alla sovrapressione (punto 5.1.5 Uni En del Febbraio 1998), stante la assenza di presidi idonei a impedire il funzionamento della coclea pure in costanza della apertura del condotto del camino, nonché di cautele antinfortunistiche (si pensi al deflettore esterno), pure presenti in prodotti della stessa casa costruttrice ovvero nell’impianto che prese il posto dell’estrusore esistente in azienda al momento dell’infortunio.
13. In particolare il giudice territoriale, facendo propria la motivazione del primo giudice e integrandola con autonome argomentazioni, pur dando atto della imprudente condotta del lavoratore, prospettava altresì il dato, rmarcandone l’anomalia, che la macchina potesse essere impiegata con la coclea in funzione e la temperatura inserita, a pompa di pressione spenta e pertanto con il portellone aperto, mentre un operatore era intento a ripulire il condotto dai detriti ivi accumulatisi, così da costituire un ostacolo alla ripresa della produzione.
Appare evidente che una tale evenienza, non certamente eccezionale se considerata nell’ottica della pulizia del condotto, e non in quella della normalità del ciclo produttivo in costanza del quale mai sarebbe stato possibile procedere con la pompa disinserita e il portellone aperto, non era stata assolutamente considerata né dal datore di lavoro, a parte quanto già si è detto sugli obblighi connessi alla valutazione dei rischi, né dal produttore il quale, a fronte delle univoche indicazioni fornite dai paragrafi 7.1 e 7.2 (in relazione agli obblighi informativi cui era tenuto per prevenire i rischi connessi alla operazione di pulizia del camino) e 5.1.5 e 5.1.10 sopra menzionati della direttiva UNI EN 1114-1, non aveva predisposto alcun accorgimento tecnico volto a inibire l’uso scorretto della macchina, come invece aveva fatto per il modello Gamma e per la nuova linea di estrusori. Ma come evidenziato dalla corte territoriale ricorreva uno specifico obbligo giuridico che imponeva la previsione di specifici accorgimenti contro la fuoriuscita di materiali caldi o di residui della lavorazione dal camino di degasaggio, dal momento che se da un lato la scheda tecnica della unità di degasaggio poneva in rilievo il pericolo rappresentato da materiale caldo plastificato, il sopra menzionato punto 5.1.10 della normativa Uni En citata prevedeva l’obbligo della installazione di una copertura appropriata per deviare il componente estruso che potrebbe essere espulso, che integra appunto l’evenienza realizzatasi nel caso in specie, cui la casa produttrice ovviò successivamente mediante la applicazione di un deflettore esterno volto a intercettare e a deviare il componente plastificato espulso dal condotto.
Ma a parte il rilievo di tale dato, in grado di incidere sulle posizione di entrambi i ricorrenti, anche in ragione degli obblighi di garanzia sugli stessi gravanti nelle loro rispettive sfere di intervento, anche in una prospettiva (datoriale) di costante verifica di rispondenza della macchina a standard di sicurezza adeguati all’uso della stessa e alle specifiche procedure adottate dalle maestranze nel corso della lavorazione, appare altresì congrua la motivazione della corte territoriale laddove riconosce profili di colpa generica e specifiche inosservanze di norme cautelari in capo al progettista costruttore dell’estrusore in relazione agli obblighi di informazione, pure sanciti a suo carico e ai quali si sottrasse.
14. All’uopo argomenta il giudice di appello che la macchina non recava alcuna segnalazione di pericolo in caso di apertura dei portello (diversamente da quanto riportato nella nuova linea consegnata ed installata, dopo l’infortunio, con il cartello “attenzione: aprire per pulizia solo a vite ferma”), ma soprattutto il libretto di uso e manutenzione consegnato all’acquirente non dava alcuna indicazione su come effettuare la delicata fase manuale di pulizia del camino di degasaggio, per la verità neppure menzionata, in tutto in violazione di specifica norma tecnica (UNI EN 1114-1 paragrafo 7.1 e paragrafo 7.2), omissione cui è stato posto rimedio solo dopo l’infortunio, in occasione della consegna dei nuovo impianto, il cui libretto di istruzione reca la procedura di “pulizia dei degasaggio”…In tale contesto di assoluta incertezza e di mancanza di informazioni appare francamente inconsistente la tesi difensiva di un impianto “sicuro”, se “la macchina lavora entro i limiti di progetto e vengono seguite le normali procedure di intervento”, o se vengono “rispettate le procedure di manutenzione ormai consolidate” (le parti tra virgolette riprendono il contenuto di atto difensivo del ricorrente M.A. e cioè la consulenza di parte dell’ing. F. a pag.19) laddove lo stesso costruttore ha omesso di indicare quali fossero queste normali procedure di intervento.
Orbene a fronte delle suddette riconosciute violazioni di generiche regole cautelari ovvero delle disposizioni scaturenti da uno specifico atto normativo, che comprendono l’obbligo in capo al costruttore di fornire adeguata informazione del contenuto dei rischi residui e comunque delle modalità esecutive per operare in sicurezza, la difesa del ricorrente M.A. ha proposto un terzo e un quarto motivo di ricorso. In particolare, nel denunciare violazione di legge in punto a colpa e a rapporto di causalità e vizio motivazionale, ha asserito che le suddette condotte non erano comunque esigibili all’epoca di realizzazione della macchina e che le modalità con cui il B.P. aveva operato erano assolutamente imprevedibili ed eccezionali, tali comunque da escludere qualsiasi profilo di colpa in capo al costruttore, che non poteva prevedere l’impiego distorto e abnorme della macchina dallo stesso progettata e realizzata, e comunque non sussiste alcuna imputazione causale tra le eventuali inosservanze cui fosse incorso il costruttore e l’evento dannoso, in ragione di un comportamento del dipendente del tutto assorbente sotto il profilo eziologico.
15. Orbene il giudice territoriale ha ampiamente dato conto di tali rilievi, sia sotto il profilo oggettivo sia in termini di prevedibilità dell’evento, e le odierne censure costituiscono una mera riedizione di censure che già avevano trovato una risposta nell’ambito del giudizio di merito. In particolare è stato affermato dalla corte di appello che il B.P. aveva eseguito una serie di operazioni imprudenti, ma che le stesse non potevano ritenersi abnormi in quanto realizzate nell’ambito della lavorazione cui era addetto e proprio per superare una impasse generata da una ordinaria fase del ciclo produttivo (pulizia del camino di degasaggio). Ha altresì evidenziato come la responsabilità del costruttore risiedesse nel fatto che, pure in presenza di specifiche regole cautelari che indicavano una possibile causa di rischio nella sovrapressione dell’estrusore e la unità di degasaggio come luogo di fuoriuscita di fumi, residui incandescenti e espulsione di componenti estrusi (così da richiedere l’adozione di una copertura), l’unità di degasaggio non era stata munita di particolari cautele, a parte il portellone che peraltro poteva essere tenuto aperto anche con la macchina in funzione. Assumeva pertanto che la responsabilità per colpa del M.A. quale costruttore della macchina, non può essere limitata alle ipotesi di uso corretto della macchina che determina un danno alla persona, ma é estesa anche alla ipotesi in cui lavoratore abbia utilizzato l’impianto in maniera non conforme alle ordinarie regole di uso, ma comunque prevedibile nell’ordinario svolgersi dell’attività cui é assegnato, utilizzazione evitabile predisponendo l’impianto di idonei dispositivi di sicurezza, pure previsti dalla disciplina positiva, e fornendo adeguate informazioni nel manuale di uso per evitare l’impiego distorto, ma comunque non inibito meccanicamente, di componente essenziale del macchinario (sul punto sez. IV, 29.4.2003 Rv.227289; 26.10.2005 rv. 233174). In particolare nella ipotesi che qui viene in considerazione è del tutto infondato secondo la corte di appello assumere l’assenza di colpa in capo al costruttore per il fatto di confidare nel corretto uso di coclea e pompa che, se impiegate in combinazione nel corso del ciclo produttivo impedivano, in ragione della pressione esercitata, l’apertura del portello a protezione del condotto di degasaggio; mentre al contrario, al termine del ciclo produttivo e per finalità di pulizia del condotto (di cui il manuale di istruzioni non forniva alcuna metodica) la vite che azionava la coclea poteva essere avviata senza abbinamento con la pompa, così da consentire la pulizia del condotto a macchina in funzione e con il portellone aperto e in assenza della specifica protezione esterna pure prevista da norma comunitaria.
16. Con motivazione altrettanto adeguata ed esente da vizi logici il giudice territoriale ha escluso la ricorrenza di una ipotesi di interruzione del rapporto di causalità in ragione del comportamento imprudente del lavoratore atteso che, mirando le norme di prevenzione a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, In generale, del destinatario dell’obbligo di adozione delle misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedìbile e opinabile e tate, dunque da presentare i caratteri della eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, sempre che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza, nei qual caso nessuna efficienza causale può essere attribuita alla condotta del lavoratore che abbia dato occasione all’evento (sez.IV, 3.11.2004 rv. 230770; 26.10.2006 rv. 236009). Non ricorre nella specie un siffatto comportamento abnorme, per le ragioni indicate dal giudice di appello in presenza di operazione rientrante nelle mansioni ordinarie del lavoratore, per fare fronte a una non infrequente stasi della lavorazione onde consentire la pulizia del condotto di degasaggio dell’estrusore, compiuta in assenza di documentali o univoche istruzioni operative provenienti dal costruttore e dal datore di lavoro, ma in costanza di una prassi operativa contrastante con regole di prudenza, comunque funzionale ed utile alla più celere ripresa del ciclo produttivo, prassi che sarebbe risultata avversata, quantomeno sul manuale contenente le istruzioni operative, dal costruttore della nuova linea di estrusori.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1.3.2016.

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