Cassazione Penale, Sez. 4, 10 giugno 2016, n. 24136

Crollo di una gru a torre su un edificio per franamento del fronte di scavo. Posizioni di garanzia e responsabilità.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 06/05/2016

Fatto

1. La Corte d’appello di Bologna, 1 Sezione penale, con sentenza emessa il 9 giugno 2015, decideva in merito agli appelli proposti dagli imputati condannati in primo grado e dalle parti civili avverso la sentenza del Tribunale di Ravenna in data 28 gennaio 2013, nell’ambito di un procedimento in cui tutti gli imputati (ossia P.S.F., E.C., S.B., F.S., V.G., P.DM., V.R. e F.DL.) rispondevano del reato di cui al capo a) (crollo colposo, p. e p. dagli artt. 113, 434, 449 cod.pen.) e del reato di cui al capo b) (lesioni personali colpose ex art. 590, commi 1, 3 e 4 cod.pen., in danno di F.M., N.M. e A.T.); gli imputati rispondevano inoltre di una serie di violazioni di norme di cui al D.Lgs. n. 81/2008.
Oggetto del processo é il crollo di una gru a torre per edilizia prodotta dalla ditta ALFA, causato dal franamento del fronte di scavo, su un edificio sito in Via …a Ravenna, avvenuto il 23 settembre 2008; il crollo della gru, abbattutasi sul detto edificio, oltre a cagionare ad esso gli ingenti danni compiutamente descritti in rubrica, cagionava lesioni alle persone di cui al capo b) (ossia, come detto, F.M., N.M. e A.T.), tutte occupanti dello stabile; secondo l’ipotesi accusatoria, poi accreditata nelle sentenze di primo grado e d’appello, il crollo era dovuto a una carente e negligente valutazione delle caratteristiche del terreno ove la gru veniva installata. In particolare, l’installazione della gru – del peso di svariate tonnellate – veniva eseguita dopo che nel punto d’alloggiamento della stessa era stato realizzato uno scavo, in seguito al quale si rendeva necessaria la realizzazione di opere di contenimento, destinate a rinforzare la tenuta del fronte dello scavo suddetto, oltreché di quattro blocchi per il basamento della gru; ma, in base alle caratteristiche del terreno (già in passato caratterizzato da smottamenti) rapportate alla gru da installare, le opere di contenimento, costituite da palancole (travi da infiggere nel terreno) risultavano del tutto inidonee, anche per la scarsa profondità (appena due metri) alla quale le stesse venivano infisse.
Gli imputati rispondevano dei reati loro contestati nelle rispettive qualità, ossia – in estrema sintesi – il S.B. e il F.S. quali legali rappresentanti della ditta ALFA, produttrice della gru, e il V.G. quale direttore tecnico della stessa ditta, per non aver preso le dovute misure e preveduto le necessarie istruzioni d’uso affinché la gru fosse installata tenendo conto delle caratteristiche idrogeologiche del terreno; il V.R. quale legale rappresentante della ditta CON.S.A.R., il F.DL. quale legale rappresentante della F.DL. soc. coop. e il P.DM. quale legale rappresentante dell’omonima ditta, in relazione ai lavori di demolizione, scavo ed edili affidati alle suddette imprese, per non avere provveduto all’armatura idonea o al consolidamento del terreno, in ragione delle sue caratteristiche geologiche; la P.S.F. quale legale rappresentante dell’Immobiliare Le G., proprietaria e committente dei lavori e della gru, per non aver consentito la pianificazione in sicurezza dei lavori e per non aver fatto sottoporre la gru a verifica dopo il montaggio; il E.C. quale progettista e direttore dei lavori, per avere omesso le dovute valutazioni nel piano di sicurezza e coordinamento, con riguardo alle indagini geologiche e al contesto in cui si collocava l’area di cantiere, con mancata valutazione della situazione in relazione allo scavo e alle caratteristiche del terreno.
In primo grado il Tribunale di Ravenna aveva condannato gli imputati E.C., P.DM., V.R. e F.DL. (con pena sospesa solo per gli ultimi due) sia in ordine ai reati di cui ai capi a) e b), applicando loro una pena di un anno e sei mesi di reclusione per ciascuno, sia in ordine agli ulteriori reati loro rispettivamente ascritti, per i quali applicava al E.C. una pena di quattro mesi d’arresto e agli altri imputati la pena di tre mesi e quindici giorni d’arresto; aveva inoltre condannato i suddetti imputati al risarcimento dei danni alle parti civili costituite, con assegnazione di provvisionale, e alla rifusione in loro favore delle spese di giustizia. Quanto agli altri imputati P.S.F., S.B., V.G. e F.S., il Tribunale li aveva assolti dai reati di cui ai capi a) e b) per non aver commesso il fatto, e dai rimanenti reati loro ascritti perché il fatto non sussiste.
La Corte di merito, emettendo la predetta sentenza in data 9 giugno 2015 all’esito del giudizio d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati E.C., P.DM., V.R. e F.DL. quanto ai reati contravvenzionali loro ascritti, perché estinti per prescrizione; confermava per il resto sia la condanna degli stessi per i reati di cui ai capi a) e b) (concedendo però anche al E.C. e al P.DM. la sospensione condizionale della pena), sia il proscioglimento degli altri imputati.
2. Avverso detta sentenza ricorrono gli imputati F.DL., V.R. e P.DM., nonché le parti civili.
3. Esaminando per primo il ricorso del F.DL., personalmente sottoscritto dal medesimo, esso é articolato in due motivi.
3.1. Con il primo si denunciano violazione di legge processuale (art. 192 cod.proc.pen., relativo alla valutazione della prova) e vizio motivazionale, in riferimento alla mancata assoluzione del F.DL. per non aver commesso il fatto. L’esponente deduce che, nel contratto d’appalto concluso tra la Immobiliare Le G. e la F.DL. soc.coop., vi era unicamente l’affidamento a quest’ultima dei lavori di realizzazione della nuova costruzione edile, lavori previsti in epoca successiva a quelli di demolizione e di scavo, appaltati ad altre imprese (in specie alla CON.S.A.R., che li assegnava a sua volta dapprima al socio consorziato M. e poi al P.DM.); le opere provvisionali incriminate, finalizzate a contenere lo scavo in cantiere e preliminari ad esso, competevano alla ditta incaricata di svolgere la demolizione e lo scavo, come hanno affermato gli stessi consulenti del Pubblico ministero e dunque non alla ditta del F.DL., la quale doveva occuparsi delle opere in muratura del nuovo edificio. La posizione di garanzia ravvisata dalla Corte territoriale in capo al F.DL. é perciò insussistente; quanto alla presenza in cantiere dello stesso imputato fin dall’inizio di settembre 2008, essa non dimostra la consapevolezza da parte dello stesso della situazione di rischio connessa all’installazione della gru e della necessità di opere di consolidamento. Il F.DL. era presente in cantiere in quanto egli avrebbe dovuto realizzare i basamenti su cui doveva essere ancorata la gru, e non per prestare assistenza al P.DM. che stava realizzando le opere provvisionali; ma, anche ammettendo che ciò sia vero (come sostenuto dal coimputato E.C.), al F.DL. non potevano muoversi gli addebiti di cui agli artt. 118 comma 2 e 159 comma 1 D.Lgs. n. 81/2008, atteso che egli in quella circostanza avrebbe eseguito prestazioni di lavoro autonomo, e non come datore di lavoro. Peraltro, il teste B. ha riferito che l’aiuto al P.DM. da parte del F.DL. consistette esclusivamente nel tenere fermi i pali mentre il P.DM. li piantava nel terreno: il che non può certo determinare il sorgere, in capo al F.DL., di una qualsivoglia posizione di garanzia. Né può perciò ravvisarsi, come invece ritenuto dalla Corte felsinea, una responsabilità del medesimo a titolo di cooperazione colposa, fattispecie caratterizzata dalla riconoscibilità dell’inadempienza altrui e quindi dalla prevedibilità dell’evento dannoso da parte del compartecipe.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: circostanze che, pur a fronte della gravità del fatto, dovevano essergli riconosciute in relazione al suo stato d’incensuratezza, al grado di colpa a lui attribuibile e al modesto apporto causale della sua condotta.
4. Il ricorso del P.DM., presentato per il tramite dei suoi difensori di fiducia, consta di sei motivi.
4.1. I primi tre motivi sono unitariamente trattati e denunciano vizio di motivazione e inosservanza delle disposizioni riguardanti le modalità di realizzazione degli scavi, natura e forme del contratto di nolo a caldo, nonché gli obblighi del lavoratore autonomo in tema di sicurezza. Il ricorrente osserva che il P.DM. non aveva redatto il POS non essendovi tenuto, in quanto lavoratore autonomo; egli, in base agli atti da lui conoscibili, sapeva di dover realizzare uno scavo senza necessità di opere provvisionali o di protezione delle pareti, non essendo le stesse previste dal contratto d’appalto né indicate dal POS redatto dalla ditta precedente affidataria dei lavori a lui commissionati (M.), che faceva unicamente riferimento a uno scavo con natural declivio. Quando si rese conto dei rischi che, invece, lo scavo comportava in relazione alla pendenza delle pareti, il P.DM. decise di bloccare i lavori: si limitò a infiggere alcuni pali, in base a contratto di nolo a caldo, sicuramente in modo inadeguato (ma su direttive della committenza, e dunque con esonero da responsabilità, in base all’art. 94 del D.Lgs. 81/2008), indi lasciò il cantiere, perché il completamento dell’opera fu affidato al F.DL.. Quanto ai basamenti per il montaggio della gru, essi furono posizionati nel punto in cui la gru venne montata in un momento successivo rispetto a quello in cui il P.DM. e la CON.S.A.R. lasciarono il cantiere.
4.2. Il quarto e il quinto motivo di ricorso attengono ambedue alla mancata assunzione della deposizione di G.P., indicata dal ricorrente come prova decisiva (in ordine a quanto accaduto tra la sospensione dei lavori da parte del P.DM. e la successiva opera di puntellamento delle pareti) e non assunta in primo grado in violazione dell’art. 195 cod.proc.pen., essendo stato il detto teste indicato come a conoscenza di circostanze rilevanti.
4.3. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla pena, giudicata eccessiva.
5. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato V.R., per il tramite dei suoi difensori di fiducia, é articolato in dieci motivi, oltre a motivi aggiunti successivamente depositati.
5.1. Con i primi due motivi il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione di legge per inosservanza delle disposizioni riguardanti le modalità di realizzazione degli scavi, nonché per natura e forme del contratto di nolo a caldo. Si contesta in particolare che i giudici d’appello non hanno tenuto conto di risultanze processuali e dei motivi d’appello: il contratto d’appalto in origine non prevedeva opere provvisionali a protezione dello scavo, e il PSC della committente Immobilare Le G. le contemplava solo a fronte di condizioni particolari, mentre il POS della ditta M., originariamente incaricata dello scavo, parlava esclusivamente di uno scavo con natural declivio e, quindi, senza opere provvisionali. Quando il P.DM. (consorziato CON.S.A.R., della quale il V.R. é legale rappresentante), resosi conto della necessità di proteggere le pareti, blocca i lavori; viene stipulato a questo punto un nuovo contratto di nolo a caldo in cui il P.DM., per conto di CON.S.A.R., opera sotto la piena e diretta responsabilità del committente, con conseguente mutamento anche degli oneri a carico di CON.S.A.R.. Sul punto, erra la Corte felsinea nel ritenere che non vi fosse contratto di nolo a caldo per mancanza di forma scritta, attesa l’assenza di tale requisito di forma e a fronte delle plurime conferme probatorie dell’esistenza del contratto; così come é errato l’assunto della Corte territoriale nel ritenere che l’installazione di una gru postulasse le opere provvisionali, poiché questo dipende semmai dal posizionamento della stessa; inoltre, il P.DM. e la CON.S.A.R. non erano più presenti in cantiere quando i basamenti della gru furono posizionati, a nulla rilevando il fatto che essi fossero invece presenti mentre i basamenti venivano realizzati.
In aggiunta ai detti motivi, con l’atto contenente motivi nuovi il ricorrente precisa che il PSC della Immobiliare Le G. fu modificato e integrato con la previsione delle opere di puntellamento solo dopo il fermo lavori imposto dal P.DM..
5.2. Con il terzo e il quarto motivo si lamentano vizio di motivazione e violazione degli artt. 2602 e 2615-ter cod.civ. in relazione alla natura di una società cooperativa in forma consortile come la CON.S.A.R., di cui il V.R. era legale rappresentante: una società con 300 soci e 700 automezzi, strutturata in diverse divisioni, ciascuna con a capo un direttore; a fronte di tale articolata struttura, egli é stato condannato, mentre altri imputati sono stati assolti sulla base di principi non adottati per il V.R.. Nei motivi aggiunti si evidenzia che nel caso di specie i compiti inerenti alla sicurezza nel cantiere erano demandati alla consorziata assegnatala ed esecutrice delle opere.
5.3. Il quinto e il sesto motivo di ricorso richiamano il quarto e il quinto motivo del ricorso P.DM., vertendo sulla mancata assunzione della deposizione di G.P., indicata dal ricorrente come prova decisiva e non assunta in primo grado in violazione dell’art. 195 cod.proc.pen.; il ricorrente aggiunge un settimo motivo, riferito al rigetto del motivo d’appello svolto dal ricorrente su quest’ultimo punto, nel quale la Corte territoriale ha argomentato che la doglianza sulla mancata deposizione del G.P. non era stata precedentemente proposta, laddove invece detta istanza era stata disattesa in primo grado con l’ordinanza del 24 settembre 2012, espressamente impugnata avanti la Corte di merito.
5.4. L’ottavo e il nono motivo, cumulativamente trattati, hanno ad oggetto il vizio di motivazione in ordine alla presenza di un organigramma aziendale in tema di sicurezza, nonché la violazione delle norme attributive delle posizioni di garanzia in materia. Si duole il ricorrente che la Corte bolognese abbia formato il proprio convincimento sul rilievo dell’assenza di una delega di funzioni in tema di sicurezza, laddove invece essa, in riferimento ad alcune posizioni di garanzia (come quelle dei dirigenti e dei preposti), non é necessaria ed é invece frutto di un’attribuzione originaria di doveri in tema di sicurezza. Ciò posto, non é stato considerato che l’organigramma CON.S.A.R. prevede un riparto di competenze in materia, nel quale ad esempio sono previste le figure dei direttori di divisione, provvisti sia di delega anche a fini antinfortunistici, sia di autonomia di spesa; ciò ha trovato riconoscimento in alcuni provvedimenti giudiziari menzionati dal ricorrente.
5.5. Con il decimo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla pena, giudicata eccessiva.
6. Il ricorso delle parti civili M.M., F.M., N.M. e D.T. (questi ultimi anche per la figlia minore A.T.) é articolato in quattro motivi.
6.1. Con il primo motivo, ampiamente illustrato, si lamenta vizio di motivazione in riferimento al giudizio di non colpevolezza espresso dalla Corte di merito nei confronti degli imputati S.B., V.G. e F.S.: secondo le parti civili ricorrenti, la società ALFA omise di effettuare qualsivoglia verifica dello stato dei luoghi; in particolare l’ing. V.G. omise di effettuare qualsivoglia valutazione in ordine al fatto che nello scavo, che egli ebbe modo di vedere in fase di realizzazione, non erano presenti opere di contenimento; a parte la sua visita in cantiere il 15 settembre 2008, egli non effettuò alcun sopralluogo, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale; cionondimeno egli affermò che lo scavo era protetto; oltretutto il V.G., oltre ad essere a conoscenza del PSC redatto dalla Immobiliare Le G., ben sapeva, come ha ammesso egli stesso in dibattimento, che la relazione geologica trasmessa all’ALFA e redatta, per conto della committenza, dal dott. R. aveva fatto presente che la capacità di resistenza del terreno non era delle migliori, tenuto conto della portata necessaria a sostenere il peso di una gru di 9 tonnellate, con contrappesi in calcestruzzo di oltre 10 tonnellate di peso. Il V.G. giustifica la ricezione della relazione geologica con il fatto che la ALFA doveva assicurare condizioni di sicurezza ai propri dipendenti, ma non effettuò alcuna valutazione della consistenza del terreno presso la gru; eppure egli stesso ha dichiarato in dibattimento che, se il terreno non é adatto a sostenere le spinte della gru, quest’ultima non si può montare. In definitiva il V.G. si affidò a un soggetto privo di qualifiche (Alessio B.) il quale lo rassicurava circa il fatto che lo scavo era protetto, ma non interloquì mai con il tecnico di cantiere e redattore del PSC, ossia il geom. E.C.. Vengono poi articolati ulteriori elementi deponenti per la negligenza del V.G. nella sua qualità di RSPP, non avendo effettuato le dovute verifiche nella ricerca dei fattori di rischio e nell’individuazione delle misure di sicurezza da adottare, ed avendo così omesso di ottemperare al suo potere-dovere di segnalazione delle necessità d’intervento a fini di prevenzione. Il motivo in esame attiene anche alla posizione dei legali rappresentanti della ALFA, S.B. e F.S., per avere disatteso i doveri di ottemperanza alle regole di cautela nel montaggio della gru e per avere affidato compiti di RSPP a soggetto privo di competenza tecnica, quale il V.G..
6.2. Con il secondo motivo gli esponenti lamentano vizio di motivazione in ordine al proscioglimento della P.S.F., legale rappresentante della committente Immobiliare Le G.: la parte civile, osservano i ricorrenti, non ha mai affermato che la P.S.F. si sia recata in cantiere in un’unica occasione, ciò che secondo la Corte di merito proverebbe che la stessa non si ingerì mai nell’andamento dei lavori; é la stessa P.S.F. a dichiarare che ella si recava in cantiere per effettuare verifiche sull’andamento dei lavori e per vedere se ci fosse qualche problematica; ma soprattutto l’ingerenza della committenza era riferibile al socio della Immobiliare Le G., Alessio B., da alcuni indicato come il vero padrone del cantiere, che per espressa ammissione della P.S.F. era però privo di qualsiasi competenza tecnica e che non aveva ricevuto alcuna delega. Inoltre, l’Immobiliare Le G. aveva ricevuto la relazione geologica del dott. R., che evidenziava criticità nel terreno del cantiere, e la P.S.F. non poteva quindi andare esente da responsabilità, nella sua qualità apicale all’Interno della società committente ed in relazione agli obblighi che tale posizione comportava e all’affidamento di compiti nella direzione e nell’esecuzione dei lavori a persone incompetenti sul piano tecnico-professionale.
6.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in ordine alla liquidazione del risarcimento dei danni e alla determinazione delle provvisionali in sede di merito: ciò a fronte della copiosa documentazione rassegnata in atti dalle parti civili, puntualmente richiamata nel motivo di ricorso e dimostrativa dell’entità dei danni patiti dalle persone offese.
6.4. Con il quarto motivo, infine, si lamenta vizio di motivazione in ordine all’entità delle spese legali liquidate in sede di merito, a fronte del fatto che l’assistenza legale veniva prestata a ben cinque parti offese, con posizioni diversificate fra loro, e che l’altra parte civile costituita (P.C.), pur avendo riportato danni molto inferiori e non avendo partecipato a molte delle attività processuali, ha ricevuto una liquidazione a titoli di spese legali di € 2.700,00.
7. All’odierna udienza la difesa di parte civile ha rassegnato in atti conclusioni scritte e nota spese.

Diritto
1. L’articolata esposizione dei motivi formulati dai singoli ricorrenti – generalmente ripropositivi di quelli formulati avanti la Corte di merito – impone un’analitica disamina di ciascuno di essi, siccome in larga parte riferiti a questioni che involgono ogni singola posizione; con l’ulteriore premessa che la decisione di sostanziale conferma della sentenza di primo grado in punto di accertamento delle responsabilità, unitamente agli ampi richiami per relationem della pronunzia emessa in primo grado da parte della Corte territoriale, rende necessario considerare che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Va, ancora, premesso che é pacifica e incontestata la configurabilità, sul piano oggettivo, dei reati di cui ai capi a) e b) (con specifico riferimento alla nozione di crollo colposo, si rammenta che esso deve assumere la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante: Sez. 4, n. 18432 del 01/04/2014, dep. 2015, Papiani e altri, Rv. 263886), mentre le doglianze attengono tutte, in sostanza, alla sola riferibilità soggettiva dei suddetti reati.
Tanto evidenziato, vengono di seguito esaminate le singole posizioni dei ricorrenti e, per ciascuno, i motivi in cui i rispettivi ricorsi sono articolati.

RICORSO F.DL.
2. Il primo motivo di ricorso presentato personalmente dall’imputato F.DL. é infondato.
Si deve premettere che, in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell’agente, consistente nella presa in carico del bene protetto (Sez. 4, n. 2536 del 23/10/2015, dep. 2016, Bearzi e altro, Rv. 265797).
Nella specie, come convenientemente rilevato dalla Corte di merito, il F.DL., nell’affidamento dei lavori a lui commissionati, aveva assunto l’obbligo – perdurante fino all’ultimazione dei lavori – di garantire tutte le opere di protezione e le cautele a tutela non solo degli operai, ma altresì dei terzi e delle proprietà pubbliche e private, e sottoscrisse in data 9 settembre 2008 un verbale di visita in cui, vista la consistenza del terreno, si dava atto della necessità di eseguire le opere di protezione dello scavo; né risponde a verità che egli si sia limitato a presenziare in cantiere o a dare assistenza al P.DM., atteso che – come precisa la Corte territoriale – il F.DL. aveva materialmente collocato i pannelli protettivi, assumendo così la responsabilità connessa all’esecuzione delle opere di consolidamento manifestamente inadeguate in rapporto al carico che il terreno era destinato a sopportare (una gru di diverse tonnellate di peso). Egli, in quanto titolare di una ditta operante nel settore edile ed assuntore di fatto – in collaborazione con altri – delle opere di protezione suddette, non solo aveva le competenze tecniche e pratiche per rendersi conto dell’inidoneità delle stesse, ma ne aveva altresì curato l’esecuzione; perciò a nulla rileva l’argomento del ricorrente riferito alla sua posizione di lavoratore autonomo, ossia non datoriale, atteso che la regola cautelare violata (nella specie art. 118 D.Lgs. n. 81/2008) non é rivolta al solo datore di lavoro, ma investe tutti coloro i quali, nelle opere di scavo, abbiano assunto la posizione di garanti (arg. ex Sez. 4, n. 16346 del 19/12/2007 – dep. 18/04/2008, Caramia, Rv. 239578, riferita al precedente quadro normativo ma applicabile anche all’attuale).
Non hanno poi pregio le doglianze del ricorrente in ordine alla ritenuta cooperazione colposa da parte sua, in realtà correttamente configurata, atteso che tale fattispecie presuppone (come sicuramente verificatosi) la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all’incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, paragr. 29; nello stesso senso Sez. 4, Sentenza n. 14053 del 18/09/2014, dep. 2015, Grauso e altri, Rv. 263208; Sez. 4, n. 26239 del 19/03/2013, Gharby e altri, Rv. 255696).
2.1. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso é inammissibile in quanto manifestamente infondato: la Corte felsinea ha debitamente argomentato il rigetto delle attenuanti generiche in relazione al fatto che non solo non sussiste lo stato d’incensuratezza addotto dal ricorrente, avendo costui un precedente per delitto, ma soprattutto l’apporto causale della sua condotta non fu sicuramente di trascurabile rilievo, essendo stato per contro decisivo in rapporto al suo contributo alle opere di contenimento risultate del tutto inidonee e di diretta incidenza e rilevanza ai fini dell’evento disastroso.

RICORSO P.DM.
3. I primi tre motivi del ricorso presentato nell’interesse del P.DM. sono tutti infondati.
In proposito, la Corte territoriale ha convenientemente illustrato le ragioni del proprio convincimento, in relazione al quale le prospettazioni del ricorrente si appalesano irrilevanti: é accertato infatti che il P.DM., a prescindere dalla pretesa qualificazione come lavoratore autonomo e dalla mancata redazione del POS, fu incaricato inizialmente di eseguire le opere di sbancamento, e che effettuò anche con il concorso del F.DL. le successive opere di contenimento, rivelatesi del tutto inadeguate in funzione della circostanza (certamente a lui nota) che esse erano finalizzate all’installazione della gru; a nulla rileva il fatto che egli dapprima bloccò i lavori e poi li riprese sulla base di un preteso contratto di “nolo a caldo” (qualificazione peraltro confutata, con argomentazioni pienamente condivisibili, dalla Corte felsinea, atteso che sul piano sostanziale non si trattava solo del noleggio di un’escavatrice con operatore, ma dell’installazione delle opere di rinforzo alle quali il P.DM. effettivamente contribuì), essendo accertato che, con l’esecuzione da parte sua delle opere di contenimento, chiaramente inadeguate alla successiva posa in opera della gru, egli assumeva precisi obblighi di garanzia in quanto gestore del rischio connesso alle dette opere da lui eseguite; senza contare che il P.DM. lasciò il cantiere prima che la gru venisse installata, benché consapevole del rischio connesso alle opere da lui malamente realizzate. Ciò, lungi dall’esimere il ricorrente da responsabilità, ne aggrava anzi la posizione: é del resto appena il caso di ricordare che l’appaltatore di lavori edili, in base al principio del neminem laedere, deve osservare tutte le cautele necessarie per evitare danni alle persone, non soltanto nel periodo di esecuzione delle opere appaltate, ma anche nella fase successiva, allorquando egli ha l’obbligo di non lasciare senza custodia le situazioni di grave pericolo che gli siano note (Sez. 4, n. 1511 del 28/11/2013 dep. 2014, Schiano Di Cola e altro, Rv. 259084).
3.1. Il quarto e il quinto motivo di ricorso, riferiti alla mancata assunzione della deposizione di G.P., sono inammissibili in quanto manifestamente infondati e in parte generici.
Va premesso, invero, che é “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606 lett. d) cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (ex multis vds. Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323).
Tanto premesso, la prospettazione del ricorrente in ordine alla pretesa decisività dell’audizione del G.P. non consente di qualificarlo come decisivo nel senso suddetto.
E’ poi appena il caso di precisare che la sanzione processuale prevista per la mancata citazione da parte del giudice del teste indiretto, qualora l’esame dello stesso sia stato sollecitato dalla parte interessata (elemento anch’esso non chiarito nel ricorso), é costituita dall’inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato rese dal teste che ne fa richiamo, e non certo dal travolgimento delle altre prove ritualmente assunte, e men che meno della decisione finale, non risultando che il riferimento, da parte dei testi escussi (e nella specie da parte del coimputato P.DM.), al dichiarato del G.P. abbia formato oggetto di valutazione decisiva ai fini dell’impugnata sentenza. Del resto é noto che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011).
3.2. Parimenti inammissibile, perché manifestamente infondato, il sesto motivo di ricorso, riguardante la mancata concessione delle attenuanti generiche: in proposito la Corte felsinea ha debitamente chiarito che non solo l’apporto causale del P.DM., costituito dal contributo alla realizzazione di opere di contenimento manifestamente inidonee (lasciando oltretutto il cantiere prima del tempo), é stato tutt’altro che trascurabile in un evento di evidente e rilevante gravità; ma, oltretutto, egli é già gravato da un precedente per omicidio colposo, che testimonia la sua attitudine a porre in essere condotte negligenti, imprudenti e imperite.

RICORSO V.R.
4. I primi due motivi (e, in parte qua, i motivi aggiunti ad integrazione degli stessi) del ricorso presentato nell’interesse del V.R., Presidente del Consiglio d’Amministrazione della CON.S.A.R., sono infondati, per ragioni largamente riconducibili a quelle illustrate a proposito dei primi tre motivi del ricorso P.DM., alle quali si rinvia.
Vale qui la pena ricordare unicamente che la Corte di merito ha correttamente escluso la configurabilità di un contratto di “nolo a caldo” con riferimento all’operato del P.DM. successivo al blocco dei lavori da lui deciso: non già – come sostiene il ricorrente – per una mera questione di forma contrattuale, ma perché nella specie l’oggetto del contratto, lungi dal trattarsi del solo noleggio di un’escavatrice con operatore, era di fatto costituito anche dall’installazione delle opere di rinforzo alle quali il P.DM. effettivamente contribuì, operando (come si legge nello stesso ricorso) per conto della CON.S.A.R.. Ciò assorbe ex se larga parte delle doglianze espresse dal ricorrente; per il resto, il fatto che il il P.DM. e la CON.S.A.R. non fossero più presenti in cantiere quando i basamenti della gru furono posizionati non li esime certo da responsabilità, attesa la già ricordata giurisprudenza in ordine al perdurare, in capo all’appaltatore, della responsabilità da lui assunta per le opere eseguite, non soltanto nel periodo di esecuzione delle opere appaltate, ma anche nella fase successiva, in base al generale principio del neminem laedere, qualora dette opere introducano fattori di rischio per l’incolumità delle persone: e nella specie era evidente che le opere di contenimento che il P.DM. aveva contribuito a realizzare, destinate com’erano all’installazione della gru, erano del tutto inidonee.
4.1. Possono essere congiuntamente trattati, in quanto tutti afferenti al ruolo e alla posizione di garanzia attribuite nella vicenda al V.R., il terzo, il quarto, l’ottavo e il nono motivo di ricorso, nonché quelli aggiunti integrativi degli stessi.
Si tratta in ogni caso di motivi infondati.
Sinteticamente, deve osservarsi che non colgono nel segno, a fronte dei molteplici elementi addotti in proposito nel tessuto motivazionale dell’impugnata sentenza, gli argomenti secondo i quali la CON.S.A.R. (di cui il V.R. era legale rappresentante) fosse all’oscuro dei rischi tipici che, come società appaltatrice dei lavori di demolizione e scavo, era chiamata a gestire. Invero, sulla base della motivazione della sentenza impugnata, é agevole rilevare che era sicuramente noto alla detta società (e sicuramente lo fu prima che il crollo si verificasse) che l’esecuzione dei lavori suddetti, necessariamente comprensiva dell’installazione di una gru avente le caratteristiche già evidenziate, implicava una serie di cautele operative e di connessi rischi di notevole impatto, anche per una molteplicità indeterminata di soggetti terzi, posto che le operazioni si svolgevano in area densamente abitata della città di Ravenna; e le concorrenti responsabilità non possono certo dirsi elise dall’affidamento di alcune lavorazioni (per ciò che qui interessa, in particolare, dei lavori di escavazione e di apposizione delle opere di contenimento) a soggetti associati al consorzio di cui la stessa società era capofila (per la non configurabilità del c.d. nolo a caldo, contrariamente a quanto sostenuto dall’esponente, si rinvia alle considerazioni già svolte ut supra).
Quanto poi all’argomento secondo il quale il V.R., in quanto soggetto in posizione apicale di un consorzio di società cooperative di rilevanti dimensioni, non poteva essere gravato delle responsabilità datoriali nella vicenda in esame (mentre potevano e dovevano esserlo altri soggetti, qualificabili come dirigenti nell’organigramma della società), si tratta di argomento suggestivo ma anch’esso privo di fondamento, se si considerano: 1) la natura, l’entità e la tipologia del rischio venutosi nella specie a concretizzare; 2) la rilevanza e la portata di detto rischio nell’ambito dell’assunzione dei lavori considerati nel loro complesso; 3) le specificità dell’assunzione del detto rischio da parte della società assuntrice dell’appalto, ossia la CON.S.A.R., e per essa del V.R. in quanto soggetto apicale.
Secondo la giurisprudenza di legittimità affermatasi sul punto, soprattutto nei contesti lavorativi più complessi, si é frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio. Ciò suggerisce che in molti casi occorre configurare, già sul piano dell’imputazione oggettiva, distinte sfere di responsabilità gestionale, separando le une dalle altre: esse conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto “gestore” del rischio, nel senso che garante è, appunto, il soggetto che gestisce il rischio (Sez. U, n.38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, paragr. 13); ragionando in termini volutamente generici, si può tendenzialmente affermare che rientra nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa; in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. U., Espenhahn e altri cit., paragr. 14).
Ciò posto, deve precisarsi che il richiamo contenuto nell’impugnata sentenza all’istituto della delega (e alla sua mancanza nel caso di specie) é errato e improprio. Sul punto va rammentata la già richiamata giurisprudenza apicale della Corte regolatrice, secondo cui, nell’individuazione del soggetto garante (soprattutto nelle istituzioni complesse) occorre partire dall’identificazione del rischio che si é concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva. Ad esempio, semplificando, potrà accadere che rientri nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa; in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. U., Espenhahn e altri cit., paragr. 14); quanto all’istituto della delega, nella stessa sentenza a Sezioni Unite si è osservato che é diffusa l’opinione (e la si rinviene spesso negli atti giudiziari) che i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto nascano necessariamente, appunto, da una delega. Al contrario, le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall’investitura o dal fatto (ibidem, paragr. 15).
Peraltro, tornando al motivo di doglianza in esame, il potere-dovere generale di vigilanza che rimane in capo alla figura datoriale, in una struttura che in realtà non sembra potersi dire particolarmente articolata (come quella al cui vertice era il V.R.), implicava comunque che costui, assumendo quale appaltatore i lavori durante i quali si verificò il disastroso evento, fosse sicuramente, e doverosamente, nelle condizioni di sincerarsi dell’esecuzione in sicurezza, e con l’osservanza di tutte le norme e di tutti i principi prevenzionistici, dell’installazione della gru e delle connesse attività preparatorie, ivi comprese quelle legate allo scavo e alla realizzazione delle necessarie opere di contenimento: e ciò non solo a tutela dei lavoratori, ma anche di terzi, specie considerando che le opere incidevano, come si ripete, in pieno centro abitato. L’installazione della gru e le correlative attività preparatorie, per il fatto di costituire non solo un intervento necessitato nell’economia generale dell’appalto, ma altresì in quanto introduttive di rischi di notevole portata, costituivano infatti un elemento di importanza strutturale e generale nella configurazione dei lavori appaltati alla CON.S.A.R.: la quale, per le singole lavorazioni che qui interessano, si avvaleva poi, come si é visto, di soggetti associati, che, pur non essendo tecnicamente dipendenti dalla società appaltatrice, neppure potevano definirsi come soggetti “tecnici” ai quali le operazioni di scavo e di rinforzo erano state affidate in termini tali da comportare l’assunzione in via esclusiva, da parte di costoro, dell’autonomo governo del rischio connesso all’esecuzione in sicurezza di siffatti lavori: costoro infatti operavano come “propaggini” della CON.S.A.R., in termini sostanzialmente fiduciari, ma non certo in autonomia rispetto alla società di cui il V.R. era legale rappresentante.
Perciò i rischi collegati all’installazione di una gru avente le caratteristiche dimensionali e ponderali che si sono viste, in un cantiere ubicato in pieno centro abitato, non potevano esulare dalle competenze e dalle valutazioni del soggetto apicale.
Oltre a ciò, non si può affermare, alla stregua di quanto addotto dal ricorrente, che la struttura organizzativa della CON.S.A.R. fosse di complessità e di dimensioni tali da implicare un dettagliato riparto di competenze in materia prevenzionistica, da attribuire la gestione in via esclusiva del rischio in esame a soggetti dipendenti e da sollevare l’organo apicale dalle connesse responsabilità datoriali; d’altronde, i compiti che al riguardo – secondo le allegazioni del ricorrente – sono affidati alla dirigenza non appaiono caratterizzati da sufficiente specificità e da chiari e definiti criteri di competenza, tali da attribuire a dette figure, sia sul piano della portata settoriale, sia sotto il profilo del livello, la riferibilità della gestione del rischio nella specie concretizzatosi, con connessa esclusione di quella di competenza del datore di lavoro. Né risulta dal ricorso in esame che alcuno di detti soggetti aventi qualifica dirigenziale avesse competenze nel governo dello specifico rischio in concreto verificatosi.
4.3. Il quinto e il sesto motivo di ricorso, relativi alla mancata assunzione della deposizione di G.P., sono inammissibili per manifesta infondatezza e in parte per genericità, per le ragioni già illustrate con riferimento al quarto e al quinto motivo del ricorso P.DM., ragioni alle quali pertanto si fa rinvio.
4.4. Il decimo e ultimo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio e in specie alla mancata concessione delle attenuanti generiche, é infondato: la Corte di merito, facendo riferimento alla gravità della colpa in capo al V.R. nella sua posizione apicale e, soprattutto, all’estrema gravità del fatto, ha infatti fornito al riguardo adeguata motivazione, in quanto fondata sui parametri di cui all’art. 133 cod.pen..

RICORSO DELLE PARTI CIVILI
5. Il primo motivo di ricorso, assai ampiamente sviluppato e riferito all’asserita negligenza dei vertici della ALFA e, in particolar modo, del V.G., é infondato.
Sul punto, si richiamano le argomentazioni al riguardo formulate dalla Corte territoriale, la quale ha chiarito, in termini esaustivi ed esenti da vizi logici, che i compiti e le responsabilità della ALFA (e, per essa, dei suoi rappresentanti), puntualmente elencati nell’impugnata pronunzia, esulavano da quelli strettamente connessi alla messa in sicurezza dello scavo. Può soggiungersi che,  in relazione a quanto precede, pur volendosi ammettere che il V.G. non abbia valutato gli elementi a sua conoscenza in ordine ai rischi connessi alla specifica operazione (ad esempio l’installazione della gru su terreno che presentava caratteristiche di dubbia sicurezza), detti rischi non erano affidati in modo specifico alla gestione dell’ALFA, ma ad altri soggetti (ed in specie alla società appaltatrice e a coloro che per suo conto operarono in situ), né furono introdotti dall’operato dei responsabili della stessa ALFA; si aggiunge inoltre che difetterebbe in ogni caso, alla stregua della ricostruzione della serie causale che condusse all’evento, la possibilità di attribuire alla condotta del V.G., del S.B. e del F.S. alcun effettivo contributo eziologico all’evento disastroso, atteso che quest’ultimo ebbe a verificarsi per negligenze e violazioni di regole cautelari riferibili ad altri soggetti, e sicuramente non all’ALFA. Si ricorda in proposito che il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 264128; Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015, Corso e altri, Rv. 262033).
5.1. Per ragioni non dissimili é infondato anche il secondo motivo di ricorso delle parti civili, in ordine al quale pure la Corte territoriale ha convenientemente motivato il rigetto di analoga doglianza in appello: sebbene, per conto della committenza, un socio della Immobiliare Le G. (ossia Alessio B.) si sia ingerito proprio nell’attività esecutiva dei lavori di apposizione delle opere di contenimento (non a caso il Tribunale, nella sentenza emessa in primo grado, ha disposto la trasmissione degli atti al competente Ufficio di Procura in ordine alla posizione del B.), con riguardo alla posizione della P.S.F. non sono emersi elementi univoci deponenti per una sua consapevolezza circa l’ingerenza del B., né appare comprovato (neppure alla stregua delle deduzioni delle parti civili ricorrenti) che costei si sia personalmente ingerita nell’esecuzione dei lavori e in specie di quelli risultati causa dell’evento disastroso. Tanto meno appare comprovato che la P.S.F. fosse in grado di valutare la congruità del piano di sicurezza redatto dalla società appaltatrice. Né, infine, risultano supportate da elementi probatori univoci le deduzioni difensive in ordine a una presunta culpa in eligendo da parte della P.S.F. con riferimento alle società appaltatrici e al progettista e direttore dei lavori, non essendosi palesate macroscopiche inadeguatezze di detti soggetti al momento della scelta della committente.
5.2. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
Quanto alla determinazione (e alla determinabilità) del danno, la cui quantificazione é stata demandata in sede di merito a giudizio civile, é stata liquidata in primo grado e confermata in appello la concessione alle parti civili di una provvisionale.
Orbene, va premesso che la Corte di merito (e, prima di essa, il giudice di primo grado) non era tenuta a liquidare alle parti civili i danni derivanti da reato nel loro esatto ammontare, atteso che la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l’accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l’entità del danno, ivi compresa la possibilità di escludere l’esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all’evento illecito (Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, Bertini e altri, Rv. 265637).
Quanto poi alla determinazione della provvisionale, é ormai ius receptum che essa non é ricorribile per cassazione, avuto riguardo alla natura discrezionale, non delibativa e non necessariamente motivata della relativa statuizione (ex multis vds. Sez. 3, Sentenza n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 6, Sentenza n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536).
Infine, quanto alla liquidazione delle spese di assistenza e rappresentanza in giudizio sostenute dalla parte civile, il motivo di ricorso é fondato su una serie di evenienze procedimentali tese a evidenziare la gravosità dei compiti defensionali, ma é viziato da aspecificità in ordine all’indicazione delle voci di spesa che sarebbero state liquidate in modo illegittimo: sul punto, oltretutto, la giurisprudenza di legittimità é affatto pacifica nel qualificare come generico, e pertanto inammissibile, il motivo di ricorso per cassazione che, censurando i criteri adottati dal giudice di merito, non indichi specificamente le singole voci tabellari che si reputano violate sotto il profilo della liquidazione inferiore ai minimi di tariffa (ex multìs vds. Sez. 4, Sentenza n. 16019 del 14/03/2002, Pantaleoni, Rv. 221944); a maggior motivo ciò vale quando le doglianze attengano a liquidazione delle spese che si attesta al di sopra dei detti minimi.
6. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La reciproca soccombenza delle parti private, quanto meno con riferimento all’entità del risarcimento e alle spese di assistenza, induce a compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016

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