Cassazione Penale, Sez. 4, 10 settembre 2015, n. 36781

Minore muore a seguito della caduta da una scala a chiocciola di un’abitazione: responsabilità dei costruttori per omissioni di progettazione e calcoli strutturali e inosservanza di norme di sicurezza.


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO
Data Udienza: 03/07/2015

Fatto

S.S. e A.O. venivano chiamati a rispondere dinanzi al Tribunale di Fermo Sezione distaccata di Sant’Elpidio a Mare (FM) del delitto di cui all’art. 589 cod.pen., per aver cagionato, per colpa, la morte della minore N.F., deceduta a seguito della caduta dalla scala a chiocciola mentre era in braccio alla nonna P.N.; scala realizzata dalla azienda degli imputati, costruttori di scale in legno. L’incidente è avvenuto presso la abitazione di famiglia in Porto Sant’Elpidio il 18.6.2004 ed ai prevenuti è stata attribuita la responsabilità dell’occorso ritenendo la scala costruita con omissioni di progettazione e di calcoli strutturali e con inosservanza di norme di prevenzione per gli incidenti sul lavoro, anche in relazione all’ancoraggio dell’accessorio parapetto e, conseguentemente, si è ritenuto che la morte sia avvenuta per colpa specifica e generica dei costruttori del predetto manufatto.
La Corte d’appello, adita dagli imputati, ha dichiarato n.d.p. nei loro confronti per essere il reato estinto per prescrizione. Propongono ricorso congiunto gli imputati.
I ricorrenti premettono che la Corte territoriale, nel dichiarare l’estinzione del reato (in violazione dell’art. 129, co. II c.p.p che impedisce valutazioni di merito sulla colpevolezza dell’imputato, proprio in ragione del principio del “favor rei” introdotto e tutelato dalla norma e dal principio della S.U. di cui alla sentenza n. 35490 del 28.05.2009) invece di verificare come non si rilevino evidenti motivi di assoluzione, introduce tutta una serie di argomentazioni dirette a dimostrare la colpevolezza degli imputati ed evita di valutare le pur evidenti, prove scientifiche che dimostrano l’innocenza degli stessi.
Quindi, con il primo motivo, si denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo “colpa”, erroneamente ritenuta “colpa specifica”, per l’applicazione in malam partem della normativa della prevenzione degli infortuni sul lavoro stante il divieto di applicazione di una norma penale per analogia.
Si contesta, in sostanza, l’affermazione della Corte secondo cui appare corretto il richiamo, contenuto nell’imputazione,alle normative specifiche in materia, pur se contenute in norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, poiché persistono analoghe esigenze di sicurezza con riferimento ad un manufatto destinato a civile abitazione.
Erronea per i ricorrenti è l’applicazione al caso di specie dell’art. 26 del d.P.R. 547/55 che detta una serie di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro mentre l’articolo citato stabilisce i requisiti che un parapetto deve avere in tali luoghi e durante l’attività di cantiere. Nel caso di specie, tuttavia, la scala a chiocciola ed il parapetto sono stati realizzati non in un luogo di lavoro, bensì all’interno di una privata abitazione quale scala secondaria e di conseguenza non può ritenersi applicabile la suddetta normativa, in applicazione, si ripete, del principio che vieta l’applicazione analogica di norme in malam partem.
Parimenti dicasi per quanto riguarda il richiamo, sempre sotto il profilo di colpa specifica, all’art. 26 circa i requisiti e le modalità di realizzazione del parapetto, laddove si è individuato primariamente l’elemento di colpa nella omessa redazione di una progettazione esecutiva della scala con i relativi calcoli strutturali statici per un corretto dimensionamento del corpo scale, dei parapetti, degli ancoraggi, adottando un coefficiente di sicurezza che fosse in grado di assorbire le normali sollecitazioni di esercizio.
Con il secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione in relazione alla omessa valutazione della “nuova perizia” introdotta dalla difesa con l’atto di appello ed acquisita quale elemento probatorio dalla Corte di merito che attesta la evidente insussistenza dell’elemento oggettivo anche in punto di colpa generica.
Nel caso di specie, onde valutare la sussistenza di una condotta colposa degli imputati di natura generica, era necessario verificare la violazione delle regole della buona arte, dell’esecuzione dell’opera a regola d’arte su cui parametrare la sussistenza di condotte definibili come negligenti, imprudenti ed imperite; bisognava far ricorso alle cc.dd. direttive UNI, vigenti, e proprio ad esse il manufatto costruito dalla “A.O. e S.S. snc” risulta essere perfettamente conforme, come ha rilevato il collegio peritale, composto da esperti del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università Politecnica delle Marche, incaricato dalla difesa. Ebbene, la Corte, sebbene abbia acquisito la perizia ed abbia interloquito sulla stessa, ha ritenuto non rilevanti le risultanze peritali in quanto la relazione non è stata fondata sull’apprezzamento del dato fattuale dello stato finale del parapetto. Tale circostanza per i ricorrenti è del tutto non veritiera e frutto di grave e censurabile errore come emerge dallo stesso paragrafo 3 della relazione dal titolo “Descrizione dello stato residuale”, essendo stato il parapetto, sottoposto a giudiziale sequestro, esaminato direttamente dai periti previa autorizzazione del Tribunale. Il risultato scientifico che è stato tratto è che il parapetto presenta uno stato di deformazione incompatibile con la forza vettoriale che poteva esprimere una persona durante una caduta accidentale e che il C.T. del P.M. ha calcolato in circa 30,24 Kg/m. In sostanza, i periti hanno accertato che la situazione del parapetto è stata creata ad arte da chi ha voluto simulare le tracce del reato per il quale è iniziato il procedimento penale a carico degli imputati: una manomissione a fini illeciti.
A riprova del dato di rilievo oggettivo si riportano, estrapolate dall’atto di appello, le gravissime incongruenze emerse nelle testimonianze rese dai nonni russi della piccola vittima, a conferma che la prova dell’innocenza degli imputati, era del tutto “evidente” se solo si fossero esaminate le prove a discarico così come emergenti dal materiale probatorio disatteso dalla lettura unidirezionale colpevolista contraddittoriamente adottate dalla Corte marchigiana.

Diritto

I motivi esposti sono infondati e determinano il rigetto del ricorso.
Preliminarmente, non può non condividersi la motivazione della sentenza di appello, laddove la Corte del merito, nel dichiarare estinto il reato contestato per prescrizione, ha richiamato il principio di diritto, affermato da questa Corte a SS.UU. con sentenza n.35490 del 28.05.2009, da adottare anche e soprattutto in sede del giudizio di legittimità, pure qualora si censuri l’esatta applicazione di esso in appello.
Ed, infatti, in presenza di una declaratoria di improcedibiltà per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione del secondo comma dell’art. 129 c.p.p. deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo.
La Corte anconetana, pur nei limiti della valutazione consentita dall’art. 129 c.p.p.. ha preso in esame le censure poste a base del gravame di merito, riproposte anche con l’odierno ricorso, e le relative argomentazioni, con cui è stata motivata la infondatezza delle stesse, vanno pienamente condivise.
Innanzitutto, appare del tutto fuorviante, rectius non conferente, affermare da parte del ricorrente che la Corte, più che escludere elementi evidenti dell’innocenza degli imputati, come richiede la disposizione del richiamato art. 129 c.p.p., ha fatto riferimento ad elementi probatori che conducono alla affermazione della responsabilità del medesimo, non considerando che essi sono, rispettivamente, aspetti delle due facce della stessa medaglia.
Invero, nel momento in cui si indicano gli elementi di prova, di fatto e logici, che determinano la responsabilità di un soggetto riguardo ad un determinato reato, criticando la valenza difensiva di quelli prospettati a suo favore, inevitabilmente, per conseguenza logica, si rileva la non evidenza dell’innocenza dell’imputato.
Ancora in via preliminare, stante la specifica censura avanzata dai ricorrenti, non è stata affatto riconosciuta una colpa specifica per la violazione di norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tant’è che non è oggetto di contestazione l’aggravante del cui al secondo comma dell’art. 589 cod. pen., ma il riferimento a tale normativa, come sottolineato dalla Corte d’appello, è stato fatto solo per evidenziare in che modo le carenze strutturali riscontrate nella scala a chiocciola de qua corrispondano alla mancata osservanza di quelle regole di costruzione atte a garantire analoghe esigenze di sicurezza, che devono persistere anche in riferimento ad un manufatto destinato ad abitazione familiare. E solo in tal senso la colpa è stata qualificata specifica, avuto riguardo alle tecniche di costruzione cui avrebbero dovuto uniformarsi i costruttori della scala per renderla sicura dai futuri utilizzatori.
Relativamente ad altra censura, non risponde alla realtà processuale il non avere tenuto in conto da parte della Corte territoriale le osservazioni formulate dal perito di parte, contenute nella relazione depositata nel giudizio di gravame. Infatti, i giudici di appello rilevano che la valutazione tecnica sulla resistenza e sicurezza del parapetto e sulle sollecitazioni di forza che esso era in grado di supportare non è stata fondata sull’apprezzamento del dato fattuale dello stato finale del parapetto desumibile dall’inclinazione di esso, così come emerge dalla documentazione fotografica in atti. Diversamente, da tale dato il consulente della difesa ritiene che l’inclinazione riscontrata non può corrispondere alla forza impressa da una persona che, scendendo dalla scala, sia inciampata, ma da ben altra forza che lascia supporre, fondatamente, una manomissione artefatta di essa. Sul punto la Corte del merito, oltre a rilevare che la denuncia presentata dagli imputati circa la dolosa modifica dello stato dei luoghi non ha avuto esito processuale essendo stata oggetto di archiviazione, dopo un’approfondita disamina dei rilievi del perito di ufficio, ing. S., conclude con l’affermare che la connessione tra le accertate criticità della scala a chiocciola e la carenza di progettazione, la pericolosità del parapetto-ringhiera è stata valutata dal perito mediante la verifica delle caratteristiche di costruzione, e non con riferimento all’inclinazione dello stesso visibile nella documentazione fotografica. La visione di tali foto evidenzia le caratteristiche del parapetto-ringhiera ancorato soltanto alla base, con modalità tali da non garantire la robustezza a causa dei vincoli cedevoli sulla base, come oggettivamente accertati.
A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sez. 4, Sentenza n. 34747 el 17/05/2012 Ud. Rv. 253512;Sez. 4, Sentenza n. 45126 el 06/11/2008 Ud. Rv. 241907Cass. sez. IV 20 maggio 1989 n.7591 rv.181382).
Orbene, come già posto in rilievo, la Corte territoriale rifacendosi “per relationem” alle argomentazioni svolte dal perito ing. S., ha dato ampia contezza di valutazione dei risultati peritali ivi compresa la parte riguardante i rilievi mossi dai consulenti di parte.
In conclusione, l’impugnata sentenza, offre ampie garanzie di motivazione circa la non sussistenza della evidenza della prova dell’innocenza degli imputati.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 3 luglio 2015.

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