Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2016, n. 10183

Schiacciamento della vittima per scivolamento dei bancali: mancata predisposizione delle barre di contenimento.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO
Data Udienza: 15/01/2016

Fatto

1. Con sentenza in data 30 gennaio 2013, il Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Atri, dichiarava DF.F. colpevole del reato di cui all’art. 589 cp., per avere, in cooperazione colposa con il collega DG.M. (separatamente giudicato), cagionato la morte di M.S. e, per l’effetto, concesse al medesimo le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena – sospesa- di anni uno di reclusione, nonché al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese dalle stesse parti civili sostenute per l’esercizio dell’azione.
2. Con sentenza n. 1567/14 in data 05/05/2014, la Corte di Appello di L’Aquila, adita in gravame, confermava quella del primo giudice.
3. Avverso tale ultima sentenza ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione evincibile dal testo stesso del provvedimento impugnato, ex art.606, comma 1, lett. e), c.p.p. Deduce che l’impugnata sentenza, trova il suo fondamento nell’erronea convinzione della sussistenza di un nesso causale tra l’evento (schiacciamento del M.S. con conseguente morte di quest’ultimo) e la condotta omissiva dell’imputato (la mancata predisposizione delle barre di contenimento), escludendo peraltro l’incidenza del fattore causale autonomo della condotta posta in essere dal coimputato DG.M.. Rappresenta, inoltre, il ricorrente che il giudice del merito ha omesso di valutare come, dopo aver regolarmente trasportato il semirimorchio dalla sede della Safta S.p.A., il DF.F. si svestiva del suo ruolo di vettore essendo il mezzo successivamente -dopo due giorni dallo stallo- trasportato da altra motrice (condotta da DG.M., coimputato, giudicato separatamente) e sottoposto medio tempore dal DG.M. finanche a revisione sempre a pieno carico. Da tutto ciò deriverebbe il venir meno della posizione di garanzia del DF.F. rispetto al carico trasportato. Rileva, infine, l’assenza di un opportuno esame autoptico da cui inferire con la certezza ed affidabilità richiesti dal codice di rito che la morte del M.S. è stata conseguenza dello schiacciamento ad opera del collo caduto dal semirimorchio.

Diritto

1. Il ricorso è infondato e costituisce, sostanzialmente, mera riproposizione dei medesimi motivi d’appello.
2. Il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
2.1. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base del rigetto di tutti i motivi d’impugnazione procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
2.3. Si tratta, in vero, di censure con cui si pretende di rivalutare le acquisizioni probatorie ed i comportamenti dell’imputato, prerogativa, questa, riservata al giudice di merito e preclusa in sede di legittimità. Giova rammentare che “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Sez. Un. 30.4.1997, Dessimone). L’impugnata sentenza -unitamente a quella originaria confermata-, in realtà, hanno reso compiuta ed esaustiva motivazione, come tale non meritevole di alcuna censura, in ordine a tutte le doglianze sollevate con l’atto di appello (sez. 4 n. 16390 del 13/02/2015).
2.4. In ordine alla definizione dei confini del controllo di legittimità sulla motivazione in fatto può dirsi ormai consolidato il principio giurisprudenziale, ripetuto in plurime sentenze delle Sezioni unite penali, per il quale la Corte di cassazione ha il compito di controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice di merito, non il contenuto della medesima, essendo essa giudice non del risultato probatorio, ma del relativo procedimento e della logicità del discorso argomentativo. La Corte ha, in vero, più volte chiarito che non è sufficiente che gli atti indicati dal ricorrente siano contrastanti con le valutazioni del giudice o siano astrattamente idonee a fondare una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice; gli atti del processo su cui fa leva il ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudice e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente contraddittoria la motivazione. In secondo luogo la Corte ha chiarito che resta preclusa al giudice di legittimità la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
2.5. Quanto alla manifesta illogicità della motivazione, è consolidata in giurisprudenza la massima secondo cui la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito propone effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione è compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
3. Ciò premesso, per quanto attiene alla rappresentata interruzione del nesso causale, occorre svolgere, per completezza, doverose precisazioni:
3.1. L’indagine sul nesso di causalità mira ad un duplice decisivo risultato, di precipuo rilievo per la soluzione del problema della responsabilità penale dell’imputato: consente di individuare la condotta che ha causato l’evento lesivo previsto dalla norma incriminatrice (contribuendo, per tale via, alla esatta delimitazione dei confini del fatto punibile), ed allo stesso tempo consente di accertare la effettiva riconducibilità al soggetto agente non solo della condotta ma anche del “prodotto esterno” della stessa, come richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
3.2. Nella maggior parte dei casi un evento è il risultato di più fattori causali, e l’art. 41 c.p. chiarisce che l’azione (ovvero l’omissione) umana assurge a causa penalmente rilevante quando costituisce anche solo una delle condizioni necessarie a determinare l’evento tipico, indipendentemente dal fatto (ritenuto espressamente irrilevante dal terzo comma) che la causa concorrente sia costituita dal fatto illecito altrui.
3.3. Causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento è solo quella del tutto indipendente dal fatto dell’imputato; quando invece la causa sopravvenuta si trovi in una situazione di interdipendenza con la causa preesistente, in un rapporto tale che, mancando l’una, l’altra rimarrebbe inefficace, il rapporto di causalità non può ritenersi escluso. In altri termini, sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l’evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell’imputato, sicché non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l’evento in sinergia con la condotta dell’imputato, atteso che, venendo a mancare una delle due, l’evento non si sarebbe verificato (sez. 4, n. 17442 del 13/01/2011).
3.4. Giova precisare che ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento, la causa sopravvenuta o preesistente da sola sufficiente a determinare l’evento di cui all’art. 41, comma 2, c.p., non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacché, allora, la disposizione sarebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause di cui all’art.41, comma 1, c.p. La norma, viceversa, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo; in altri termini solo l’inserimento di un elemento del tutto eccentrico nel decorso causale è idoneo ad interrompere il nesso di condizionamento (Sez. Unite, 18 settembre 2014, n. 38343).
4. Nel caso che occupa il giudice di merito, con coerente e logica motivazione, facendo buon governo dell’art. 41 c.p., pur riconoscendo alla causa sopravvenuta, costituita dalla condotta negligente del coimputato (per altro già condannato per questo fatto), un’efficacia causale, ha ritenuto però determinante eziologicamente la negligente condotta dell’imputato il quale, in violazione di regole cautelari specifiche e di ordinaria prudenza, omettendo il doveroso posizionamento delle barre fermacarico in dotazione, da utilizzate per bloccare il carico nella parte posteriore, ha posto in essere in tal modo una ineliminabile condizione determinativa dell’evento (scivolamento dei bancali e conseguente schiacciamento e morte della vittima), senza la quale esso non si sarebbe verificato pur in presenza della indicata causa sopravvenuta.
4.1. Tale sopravvenuta concausa non è qualificabile come inopinata, abnorme, assolutamente imprevedibile posto che -come correttamente ritenuto dal giudice di merito- la condotta del coimputato consistette nella apertura dello sportello di carico (che, prima o poi, avrebbe dovuto comunque essere aperto) e nello spostamento del semirimorchio ancora carico; carico che non sarebbe, verosimilmente, scivolato (sebbene a portellone aperto e in marcia) se non vi fosse stata la condotta omissiva e sopra descritta del ricorrente la quale ha creato le premesse dell’evento dato.
4.2. Come, per altro, riferito dal coimputato DG.M., le revisioni dei semirimorchi venivano sempre effettuate a pieno carico, con la conseguenza che anche l’eventualità che quel semirimorchio venisse condotto a revisione non era né inopinata né imprevedibile né eccezionale.
5. Del pari ineccepibile è la motivazione della corte territoriale (e del primo giudice, versandosi in ipotesi di c.d. “doppia conforme”) in ordine alla sussistenza della colpa.
5.1. Mette conto rimarcare che le regole cautelari -scritte- di condotta violate (e contestate nell’imputazione) sono contenute negli artt. 6 e 181 D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (vigente all’epoca della condotta omissiva) in virtù dei quali “I lavoratori devono: a) osservare, oltre le norme del presente decreto, le misure disposte dal datore di lavoro ai fini della sicurezza individuale e collettiva; b) usare con cura i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro” (art. 6); e “L’imbracatura dei carichi deve essere effettuata usando mezzi idonei per evitare la caduta del carico e il suo spostamento dalla primitiva posizione di ammarraggio” (art. 181).
5.2. Come correttamente valorizzato dai giudici di merito, non sussistono dubbi in ordine alla violazione, da parte dell’imputato ricorrente (che lo ha pure, meritoriamente, ammesso in dibattimento), delle suddette norme cautelari scritte (che rappresentano la cristallizzazione normativa di giudizi di prevedibilità ed evitabilità) tese a prevenire, anche e proprio, spostamenti e scivolamenti del carico e le relative possibili (nel caso di specie verosimili) conseguenze; né può dubitarsi che la loro osservanza fosse, nelle condizioni date, esigibile da parte del medesimo (a prescindere dalle rassicurazioni fornite dal personale che provvide al carico dei bancali sul semirimorchio). Era, in vero, precipuo compito dell’odierno imputato controllare il corretto stivaggio del carico e di verificare che lo stesso non si muovesse, adoperando, all’occorrenza, cinghie, barre o catene in dotazione. Egli, inoltre, avrebbe dovuto assicurare il carico con l’apposizione delle barre c.d. “fermacarico” di cui aveva la disponibilità.
6. Priva di pregio è anche la doglianza secondo cui sarebbe incerta la causa della morte della vittima: come già affermato dal giudice dell’appello, nessun elemento probatorio acquisito agli atti consente di ipotizzare che la morte del M.S. derivò da cause o avvenne in luoghi diversi da quelli giudizialmente accertati; anzi dagli atti risulta che il coimputato DG.M. avvertì il rumore e, portatosi dietro il semirimorchio, vide il bancale che era sopra il corpo del M.S. e che, nella scheda redatta dal responsabile del “118” si legge la diagnosi presunta “Politrauma da schiacciamento”; il medico, infine, in sede di ispezione cadaverica, riscontrò polifratture agli arti inferiori, con parziale distacco del piede sinistro.
7. Il ricorso va dunque rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali.

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