Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2016, n. 10187

Lavori di realizzazione di uno scavo e rischio di frana: infortunio mortale e responsabilità.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: GIANNITI PASQUALE
Data Udienza: 10/02/2016

Fatto

1.Il Tribunale di Isernia in composizione monocratica, con sentenza emessa in data 13 marzo 2012, dichiarava DF.C., DF.G., DF.A. e DG.S. colpevoli di omicidio colposo di I.M.P. con violazione della normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, fatto commesso in Isernia, località Croce Santa Maria, il 27 aprile 2005; e condannava ciascuno dei predetti alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Il tutto con concessione di entrambi i benefici di legge (salvo che per il DF.G. al quale veniva concesso soltanto il beneficio della sospensione condizionale della pena) e con previsione di una provvisionale di euro 50 mila in favore di ciascuna parte civile oltre accessori e con rigetto della domanda risarcitoria articolata dalle parti civili nei confronti dei responsabili civili.
Era accaduto che, durante i lavori di sistemazione idraulica del torrente Longano mediante la realizzazione di gabbioni metallici, il predetto I.M.P. veniva travolto da uno smottamento di terra e pietre verificatosi nella parte alta della scarpata in prossimità della 7 gabbionatura, rimanendo così ricoperto fino alle spalle riverso in giù, e riportava gravissime lesioni con conseguente decesso avvenuto pochi minuti dopo l’evento traumatico.
Era stato contestato a tutti gli imputati di aver cagionato colposamente il decesso di I.M.P. per violazione della normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro.
In particolare, a DF.C., in qualità di legale rappresentante della Tecnoscavi srl, impresa edile stradale e dì movimento terra, e a DF.G., in qualità di responsabile in materia antinfortunistica della suddetta impresa, nonché responsabile del cantiere installato in località Croce S. Maria per l’esecuzione di lavori di sistemazione idraulica del torrente Longano mediante la realizzazione di gabbioni metallici, era stata contestata la violazione della norma di cui agli artt. 12 comma 2 e 77 sub a) d.P.R. n. 164/1956 per aver fatto eseguire ai lavoratori Ia.P., Ia.M.P. e F.P. (che quel giorno avevano cominciato a lavorare per la suddetta ditta) lavori di montaggio, posa in opera e riempimento dei gabbioni con pietre nello scavo realizzato nella parte sottostante la scampata di contenimento della strada adiacente senza la preventiva armatura ed il consolidamento del terreno circostante al fine di evitare frane e scoscendimenti di materiale (peraltro già avvenuti nelle vicinanza con conseguente avvallamento della sede stradale sovrastante) anche in considerazione della presenza in loco di un escavatore utilizzato per eseguire materialmente gli scavi alla cui guida vi era il predetto DF.C.,
Al DG., in qualità di coordinatore per la sicurezza e la salute durante la progettazione dell’opera e durante l’esecuzione dei lavori era stata contestata la violazione della norma di cui all’art. 5 comma 1 lett.a) d.lgvo n. 494/1996 per non aver provveduto ad assicurare l’applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 del citato d.lgvo n. 494/96 con riferimento alla necessità di porre particolare attenzione, operando con personale di controllo capace di attivare tutte le forme di allerta per la salvaguardia del personale addetto ai lavori sotto pendio, al pericolo di frana conseguente ai lavori di realizzazione dello scavo per la posa in opera dei gabbioni.
A DL., in qualità di Dirigente del Settore Lavori Pubblici del Comune di Isernia, ente committente dei lavori sopra indicati, era stato contestata la violazione della norma di cui all’art. 6 comma 2, in relazione all’art. 5 comma 1 lett. a) e 20 lett. a), del d.lgvo n. 494/1996 per aver omesso di verificare l’adempimento degli obblighi previsti dall’art. 5 citato in capo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori, con particolare riferimento alla concreta applicazione, durante la realizzazione dell’opera, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art.12 del citato d. lgvo 494/96, riguardanti la necessità di porre particolare attenzione, operando con personale di controllo capace di attivare tutte le forme di allerta per la salvaguardia del personale addetto ai lavori sotto pendio, al pericolo di frana conseguente ai lavori di realizzazione dello scavo per la posa in opera dei gabbioni.
2. La Corte di appello di Campobasso, con sentenza emessa in data 19 febbraio 2015, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Isernia, che veniva nel resto confermata, concedeva a tutti gli imputati le attenuanti generiche e, ritenute le stesse equivalenti alla contestata aggravante e per il solo DF.G. anche alla recidiva, rideterminava in mesi otto di reclusione la pena inflitta agli stessi. La Corte revocava altresì nei confronti di tutti gli imputati le statuizioni civili rese dal primo giudice, in virtù della documentata intercorsa transazione e dell’ampia quietanza liberatoria rilasciata dai figli e dalla moglie della vittima.
3. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale presentavano ricorso per cassazione tutti gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
4. Il ricorso degli imputati DF.C. e DF.G. era affidato a tre motivi di doglianza.
4.1. Con il primo veniva dedotta violazione degli artt. 589 e 40 comma 1 c.p.
Al riguardo i ricorrenti si lamentavano del fatto che la Corte territoriale aveva affermato la loro penale responsabilità esclusivamente sulla base della titolarità della posizione da ciascuno di loro rivestita, senza tener conto che i lavori nel cantiere, in cui si è verificato l’infortunio mortale per cui è processo, erano stati eseguiti, unicamente, in modo autonomo ed indipendente, dall’Imprenditore Z.N. (all’uopo incaricato dalla società Tecnoscavi srl, solo formalmente aggiudicataria dal Comune di Isernia dei lavori stessi, come peraltro dallo stesso ammesso in sede di testimonianza). Così operando, la Corte territoriale avrebbe disatteso il principio di diritto secondo il quale, nei reati colposi, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo, il principio di colpevolezza, la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare, sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (c.d. concretizzazione del rischio), sia della sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso. D’altronde, la Corte si era immotivatamente richiamata alla sentenza di primo grado laddove quest’ultima aveva ritenuto instaurato un rapporto di lavoro di fatto tra i tre operai del Beneventano (I.M.P. e gli altri due operai dipendenti dello Z.N.) e la società Tecnoscavi, senza tener conto delle censure articolate in sede di appello.
4.2. Con il secondo e con il terzo veniva dedotto vizio di motivazione in punto di affermata responsabilità penale sotto due distinti profili.
Al riguardo, sotto un primo profilo, i ricorrenti facevano presente che la Corte territoriale aveva affermato, alterando la realtà, che i testi, i carabinieri e gli Ispettori del Lavoro avrebbero accertato la loro responsabilità penale, mentre tutti i suddetti soggetti avevano riferito solo generiche e vaghe circostanze sui fatti addebitati, senza nulla rapportare e riferire dell’attività in concreto da essi posta in essere, quale causa determinante dell’Infortunio.
4.3. Sotto altro profilo, i ricorrenti osservavano che sulla base delle risultanze processuali non era possibile affermare con certezza che il decesso di I.M.P. fosse stato causato dallo smottamento della frana, conseguente ai lavori di realizzazione dello scavo per la posa in opera dei gabbioni. Ciò in quanto I.M.P., subito dopo l’infortunio, era stato condotto nella propria abitazione, sita nel lontano beneventano, mentre, se fosse stato subito ricoverato presso il locale Ospedale di Isernia, si sarebbe potuto rimediare alle intervenute lesioni.
5.Il ricorso di DG.M. era affidato a due motivi di doglianza
5.1. Con il primo veniva dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 589 e 40 c.p. in punto di nesso causale.
Al riguardo il ricorrente osservava che la ricostruzione dell’accaduto effettuata dai giudici di merito era diversa, in quanto, secondo il Tribunale di Isernia, lo I.M.P. stava lavorando sui gabbioni ai piedi del costone allorché sarebbe stato travolto da una frana, mentre, secondo la Corte di appello di Campobasso, che aveva ricostruito l’accaduto in modo più aderente alle conclusioni medico legali del consulente del PM dr. P., lo stesso I.M.P. stava operando sulla parte alta del costone allorquando una frana staccatasi lo avrebbe trascinato verso il basso.
Senonché, nel capo di imputazione, era a lui contestato di non aver assicurato la predisposizione di cautele tali da evitare che il personale intento alla realizzazione dei gabbioni ai piedi della scarpata potesse essere travolto, ragion per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare sul perché la condotta omissiva contestata al ricorrente veniva considerata idonea a provocare l’evento, pur risultando le modalità dell’accaduto diverse da come contestate. Motivazione invece assente. Tanto più che nessuno dei testi sentiti era presente all’incidente e quelli presenti (I.M.Pa. e F.P.) si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, in quanto indagati in procedimento connesso.
5.2. Con il secondo veniva dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 5 del d. lgs. n. 494/96 (trasfuso nell’art. 92 d. lgvo n. 81/2008) sugli obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, nonché agli artt. 129 e 130 d.P.R. n. 554/99(oggi trasfusi negli artt. 153 e 154 d.P.R. n. 207/2010) sul verbale di consegna dei lavori 23 marzo 2005 (il cui contenuto veniva integralmente riportato in ricorso).
Al riguardo, il ricorrente osservava che, quale direttore dei lavori, aveva affidato alla società appaltatrice esclusivamente le attività iniziali (spostamento dell’alveo del torrente; pulitura del terreno; posizionamento picchetti; e, in particolare, acquisto del materiale per i gabbioni), per cui la ditta aveva iniziato la realizzazione dei gabbioni, contrariamente agli ordini ricevuti. Aggiungeva che il tenore del verbale di consegna lavori era stato erroneamente interpretato dalla Corte, senza considerare che nel caso di consegna urgente dei lavori, che per l’appunto ricorreva nel caso di specie, la normativa prevede (e prevedeva) che la ditta appaltatrice deve limitare le attività da svolgere (prima della stipula del contratto) a quelle immediatamente da iniziare, indicate dalla direzione lavori nel verbale di consegna e che, solo dopo la stipula del contratto (intervenuta nel caso di specie il 27/5/2005, cioè un mese dopo il sinistro) la direzione lavori poteva rimuovere tali limitazioni.
In definitiva, nel caso di specie, non era ipotizzabile a suo carico alcun obbligo di controllo e vigilanza e lui avrebbe dovuto essere mandato assolto.
6.Il ricorso di DF.A. era affidato a tre motivi di ricorso.
6.1. Con il primo si deduceva violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.
Al riguardo il ricorrente deduceva a sua volta che la dinamica ritenuta dalla Corte era del tutto diversa da quella indicata nel capo di imputazione (che rappresenta il I.M.P. al lavoro a valle, intento al riempimento di gabbioni) e che la Corte, confermando la sua penale responsabilità, aveva finito con il sostituire radicalmente, oltre il fatto tipico contestato, anche il nesso di causalità riferito e riferibile alla sua condotta.
6.2. Con il secondo veniva dedotta vizio di motivazione laddove veniva affermata una dinamica dell’incidente mediante alterazione della realtà delle testimonianze considerate.
Al riguardo, il ricorrente faceva presente che la Corte aveva ritenuto di dare una diversa ricostruzione dell’Infortunio sulla base delle testimonianze rese da Z.N., Zu. e DG., senza però considerare che nessuno dei predetti era stato presente all’evento. D’altra parte, gli ispettori del lavoro Omissis avevano si riferito che I.P. e F.P., colleghi del defunto, avevano loro mostrato il luogo della frana, ma avevano anche aggiunto che F.P. ebbe a precisare che l’incidente si era verificato sotto la scarpata. Aggiungeva che la Corte aveva affermato la compatibilità della frana con lo scivolamento, ma senza motivare su suddetta compatibilità (e cioè su quando e come frana e scivolamento si siano coniugati con effetto causale).
6.3. Con il terzo venivano dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 40 comma 1 c.p.
Al riguardo il ricorrente osservava che, nel difetto di qualsivoglia contraria indicazione contenuta nella sentenza impugnata, la condotta gravemente colposa ed omissiva a lui contestata dovrebbe essere quella indicata nel capo di imputazione (aver omesso di verificare l’adempimento degli obblighi previsti dall’art. 5 citato in capo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori, con particolare riferimento alla concreta applicazione, durante la realizzazione dell’opera, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 del citato d. lgvo 494/96, riguardanti la necessità di porre particolare attenzione, operando con personale di controllo capace di attivare tutte le forme di allerta per la salvaguardia del personale addetto ai lavori sotto pendio, al pericolo di frana conseguente ai lavori di realizzazione dello scavo per la posa in opera dei gabbioni) e si risolverebbe nel fatto che lui non era presente nel giorno del sinistro a verificare a sua volta se il coordinatore dell’esecuzione verificava a sua volta la presenza del personale di allerta. Senonché a suo carico non gravava affatto l’obbligo di essere sempre presente in cantiere. D’altra parte, la Corte – nell’affermare che la caduta di I.M.P. era dovuta ad una frana che, distaccandosi nella parte alta del costone presso il quale la vittima
stava operando, aveva trascinato quest’ultima verso il basso – aveva implicitamente negato efficienza causale alla mancata presenza del personale di allerta ai fini indicati nel capo di imputazione.

Diritto

l. La disamina dei ricorsi proposti impone una triplice comune premessa: in punto di individuazione dei soggetti che, nella suddetta materia, assumono il ruolo di garante dell’incolumità fisica del prestatore di lavoro; in punto di nesso di causalità tra il sinistro e le contestate infrazioni della disciplina antinfortunistica; nonché in punto di idoneità delle eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato ad interrompere, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p., il nesso di causalità sussistente tra l’omissione colposa di un garante e l’evento mortale (o, più semplicemente lesivo) che ne è derivato.
1.1. Sotto il primo profilo, si rileva che il legislatore, tenuto conto della complessità dei processi produttivi moderni, che sempre più coinvolge un numero ampio di imprese, ha di recente rivisitato la materia relativa al contratto di appalto, che, passando dalla disciplina originariamente prevista dagli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547/1995, ha trovato una sua prima regolamentazione nell’art. 7 del d. lgs. N. 626/1994, per poi giungere alla elaborazione del complesso normativo di cui al d. lgvo n. 494/96, oggi sostanzialmente trasfuso nel d. legislativo 81/08.
In relazione a lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza trova il suo referente, in primo luogo, nell’appaltatore, cioè nel soggetto che si obbliga verso il committente a compiere l’opera appaltata, con propria organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio: l’appaltatore, invero, quale datore di lavoro, è il primo destinatario delle disposizioni antinfortunistiche.
Ma nell’articolata disciplina posta da detto ultimo decreto, sono previste specifiche figure alle quali vengono affidati precisi compiti con connesse responsabilità. Le ragioni della introduzione di tale articolata disciplina risiedono non soltanto nella constatazione che i cantieri edili costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevanti, ma anche nell’esigenza che, all’atto della realizzazione di una opera, vi sia un coordinamento tra le varie imprese, chiamata a realizzarla.
In particolare, il D.Lgs. 14.8.1996 n. 494 prima, e il T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81), ora, hanno effettuato e confermato una scelta di campo: il committente resta coinvolto nell’attuazione delle misure di sicurezza. Chiara la ratio: il legislatore, al fine di contenere il fenomeno degli infortuni sul lavoro nel campo degli appalti e costruzioni, ha optato per la responsabilizzazione del soggetto per conto del quale i lavori vengono eseguiti. Quanto precede si è tradotto nella previsione di tutta una serie di obblighi in capo al committente, cristallizzati nell’art 90 del T.U., che tra l’altro prevede la nomina (alla presenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge) del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione nel caso di presenza di più imprese esecutrici; la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese affidatane ed esecutrici.
Con riferimento poi all’esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un unico cantiere edile predisposto dall’appaltatore, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio in base al quale gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, grava non soltanto sull’appaltatore, ma anche su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di un’opera parziale e specialistica (Sez. 4, sent. n. 42477 del 16/07/2009, Cornelli, Rv 245786).
D’altra parte è stato precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di “alta vigilanza”, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’Incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell’adeguamento del piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, sent. n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257167).
In generale, dalla sopra richiamata disciplina normativa (e in particolare dall’art. 26 del d.lgs 9 aprile 2008, n. 81) si desume il principio, secondo il quale, in caso di contemporanea presenza di più imprese all’interno di un medesimo cantiere edile, tutti i soggetti titolari di una posizione di garanzia hanno il dovere di cooperare all’attuazione di misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto di appalto, informandosi, reciprocamente, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese, coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
1.2. Quanto poi al profilo causale, è indubbio che l’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatismo rispetto all’addebito di responsabilità e si impone la verifica, in concreto, della violazione da parte dell’imputato non solo della regola cautelare (generica o specifica), ma, soprattutto nel caso di specie, della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd. “concretizzazione” del rischio).
L’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare, cioè, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (ciò che si risolve nell’accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare sia essa generica o specifica, ma anche se l’autore della stessa potesse prevedere, con giudizio “ex ante” quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.
In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio, che la regola stessa mirava a prevenire; e se l’evento dannoso fosse o meno prevedibile, da parte dell’imputato (Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
Come è noto, infatti, la prevedibilità ed evitabilità del fatto svolgono un articolato ruolo fondante: sono aH’origine delle norme cautelari e sono inoltre alla base del giudizio di rimprovero personale. In particolare, per quel che qui maggiormente interessa, l’art. 43 c.p. reca una formula ricca di significato: il delitto è colposo quando l’evento non è voluto e “si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia…”. Viene così chiaramente in luce, e con forza, il profilo causale della colpa, che si estrinseca in diverse direzioni.
Il pensiero giuridico italiano ha da sempre sottolineato che la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Tale esigenza conferma l’importante ruolo della prevedibilità e prevenibilità nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L’accadimento verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire “la concretizzazione del rischio”.
1.3. Quanto infine alla rilevanza della eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato, occorre osservare che, in tema di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’offesa, la giurisprudenza di legittimità ritiene che possano considerarsi tali quelle che diano luogo a una serie causale, sebbene non del tutto autonoma rispetto a quella riferibile all’agente, che si atteggi in termini di assoluta anomalia, eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 4, sent. n. 13939 del 30/01/2008, Bauwens, Rv. 239593).
In particolare, è stato chiarito (Sez. 4, sent. n. 7267 del 10/11/2009, 2010, Iglina, Rv. 246695) che la condotta colposa del lavoratore infortunato non esclude la responsabilità dell’imprenditore, poiché il datore di lavoro è destinatario delle norme antinfortunistiche proprio per evitare che il dipendente compia scelte irrazionali che, se effettuate, possano pregiudicarne l’integrità psico-fisica: l’imprenditore è esonerato da responsabilità soltanto nel caso in cui il comportamento del dipendente sia eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile (e non anche nel caso in cui l’irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare proprio il contrario di quello che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni).
Con particolare riferimento alla sicurezza sul luogo di lavoro, la giurisprudenza di legittimità ritiene che presenti efficacia interruttiva del rapporto causale esistente tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l’offesa soltanto il comportamento abnorme del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, sent. N. n. 14440 del 05/03/2009, Ferrara, Rv. 243881).
In tale senso è abnorme soltanto la condotta del dipendente infortunato che esuli dai limiti delle attribuzioni proprie del segmento di lavoro ad esso attribuito, non insistendo nell’area di rischio della lavorazione svolta.
In ogni caso, quand’anche sussista una condotta colposa del lavoratore, questa non potrà comunque spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti destinatari di obblighi di sicurezza che abbiano violato prescrizioni in materia antinfortunistica (Sez. 4, sent. n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv. 214999), in quanto le disposizioni prevenzionistiche hanno la funzione primaria di eliminare o almeno ridurre i rischi per l’incolumità fisica dei lavoratori intrinsecamente connaturati ai processi produttivi dell’attività di impresa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi derivino da condotte colpose dei prestatori di lavoro.
2. Precisati i principi che precedono, i ricorsi di DF.C., DF.G. e di DG.M. sono infondati e, pertanto, vanno rigettati; mentre deve essere annullata la sentenza impugnata nei confronti di DF.A. per non aver commesso il fatto.
3. In primo luogo, va esaminato il primo motivo di ricorso di DF.A., in quanto relativo a questione processuale.
3.1. Occorre premettere che nel capo di imputazione è stata contestata la violazione dell’art. 12 comma 2 del d.P.R. n. 164/1956(oggi trasfuso nell’art. 118 del d. lgs. n. 81/2008), che si riferisce a lavori di splateamento e sbancamento e pone l’obbligo di provvedere all’armatura ed al consolidamento del terreno nel corso dei lavori di scavo, quando il terreno presenti pericolo di frane o di smottamento. Sulla base di detto richiamo normativo è stato contestato ai DF. l’aver fatto eseguire a I.M.P. lavori di montaggio, posa in opera e riempimento di gabbioni con pietre nello scavo realizzato nella parte sottostante la scarpata di contenimento della strada adiacente senza la preventiva armatura ed il consolidamento del terreno circostante al fine di evitare frane e scoscendimenti di materiale, anche in considerazione della presenza in loco di un escavatore utilizzato per eseguire materialmente gli scavi alla cui guida vi era DF.C.;
Al DG. è stata contestata la violazione della norma di cui all’art. 5 comma 1 lett. a d. lgvo n. 494/1996 (oggi trasfuso nell’art. 92 del d. lgvo n. 81/2008) per non aver provveduto ad assicurare l’applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 del citato d. lgvo n. 494/1996 (oggi trasfuso nell’art. 100 del d. lgvo n. 81/2008) con riferimento alla necessità di porre particolare attenzione, operando con personale di controllo capace di attivare tutte le forme di allerta per la salvaguardia del personale addetto ai lavori sotto pendio, al pericolo di frane conseguenti ai lavori di realizzazione dello scavo per la posa in opera dei gabbioni.
Al DL. è stata contestata la violazione dell’art. 6 comma 2 in relazione (oggi trasfuso nell’art. 93 del d. lgvo n. 81/2008) all’art. 5 comma 1 lett.a) e 20 lett. a) d. lgs. n. 494/1996 di aver omesso di verificare l’adempimento degli obblighi previsti dall’art. 5 in capo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori, Ing. DG., con particolare riferimento alla concreta applicazione, durante la realizzazione dell’opera, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 del citato d. lgvo n. 494/1996 (oggi trasfuso nell’art. 100 del d. lgvo n. 81/2008), riguardanti la necessità di porre particolare attenzione, operando con personale di controllo capace di attivare tutte le forme di allerta per la salvaguardia del personale addetto ai lavori sotto pendio, al pericolo di frane conseguente ai lavori di realizzazione dello scavo per la posa in opera dei gabbioni.
3.2. Le Sezioni Unite, richiamando una precedente pronuncia, hanno chiarito che “per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’Imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio del diritti di difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Sez. U, sent. n. 36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv. 248051).
Per quanto occorrer possa, si ricorda che, a fondamento del principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza sta l’esigenza di assicurare all’imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell’Imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita; e, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l’accusa sia sfuggito alla difesa dell’imputato, non è ravvisabile alcun mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, la lamentata violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza.
E di recente la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “il principio di correlazione tra contestazione e sentenza è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne consegue che la violazione di tale principio è ravvisabile quando il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva” (Sez. 4, sent. n. 10140 del 18/02/2015, Bossi, Rv. 262802).
Come noto, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che le norme di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. – avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato – non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto da una modificazione dell’imputazione che pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato. La nozione strutturale di “fatto”, contenuta nelle disposizioni in questione, va cioè coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di escludere le effettive lesioni del diritto di difesa. Il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un
fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 4, sent. n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423).
In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che sussiste il mutamento del fatto, quando la fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge subisca una radicale trasformazione nei suoi tratti essenziali, tanto da realizzare un’incertezza sull’oggetto dell’Imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 6, sent. n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756). Se la contestazione concerne globalmente la condotta, addebitata come colposa, non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: è consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata.
Orbene, la Corte di Appello si è attenuta ai suddetti principi laddove, nell’incipit della motivazione della decisione ha in primo luogo considerato la doglianza difensiva formulata dal DG. e dal DL., afferente un asserito travisamento dei fatti ad opera del primo giudice che si sarebbe discostato dalla perizia del dr. Panarese, il quale aveva accertato che il decesso della vittima sarebbe avvenuto per una caduta dall’alto e messo in evidenza che le risultanze dell’elaborato scientifico debbono essere necessariamente integrate dalle risultanze della prova storica (e, in particolare, della prova per testi)
La Corte territoriale ha sottolineato (pp. 4-6) che la morte per caduta dello I.M.P. era da ritenersi pienamente compatibile con una caduta dovuta ad una frana che, distaccandosi dalla parte alta del costone presso il quale I.M.P. stava operando, aveva trascinato lo stesso verso il basso, sommergendolo fino alle spalle.
A tale giudizio la Corte è pervenuta sulla base di una articolata disamina delle risultanze processuali: in particolare, non soltanto della deposizione del teste Z.N. (colui che la mattina del sinistro ebbe incarico da DF.G. di reperire tre operai specializzati nel posizionamento dei gabbioni, che furono portati sul cantiere della Tecnoscavi con l’autovettura di tale Zu., dipendente della stessa) e del teste DG. (colui che ebbe a trasportare da una vicina cava il pietrame che serviva per i gabbioni di contenimento ed ebbe ordine di rovesciarlo in un punto ben preciso proprio da DF.C.), ma anche dalla deposizione del Carabiniere Simeone intervenuto nell’immediatezza e degli Ispettori del Lavoro Omissis, ai quali fu mostrato il luogo della frana proprio da I.P. e da F.P. (cioè dai colleghi del deceduto).
Non può non essere rilevato che il capo di imputazione è piuttosto articolato ed ampio e che la corrispondenza tra sentenza ed imputazione non va intesa in senso strettamente formale e pedissequo, specie in presenza di condotte così articolate e complesse come quelle in disamina, ma deve essere tale da garantire l’imprescindibile diritto di difesa costituzionalmente garantito. Orbene, l’intera attività difensiva ha posto in evidenza come il DL., nella spiegata qualità di committente, è stato consapevole degli effettivi ambiti della contestazione ed ha avuto ampia possibilità di difesa.
4. Quindi, vanno esaminati i residui motivi di ricorso degli imputati, che vengono qui trattati unitariamente in quanto tutti attinenti al giudizio di penale responsabilità degli imputati.
4.1. Al riguardo, occorre in primo luogo precisare il perimetro del sindacato, ammissibile nella presente sede di legittimità.
Orbene, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent. n. 4115 del 27.11.1995, 1996, Beyzaku, Rv. 203272).
Sotto altro profilo è stato precisato che la Corte di cassazione, nel momento del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745).
Si deve infine ribadire, per condivise ragioni, l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
4.2. Precisato nei termini che precedono l’orizzonte dello scrutinio di legittimità, occorre rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv. 216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure rilevabili dalla Corte regolatrice, salvo che in relazione alla posizione dell’imputato DL., per i motivi di seguito indicati.
4.3. Invero, il Tribunale di Isernia, nel ricostruire i fatti per cui è processo, ha dapprima ripercorso il contenuto della determina dirigenziale n. 126 del 8/03/2005, a firma del Responsabile del Procedimento, ingegnere Omissis, con la quale il Comune di Isernia: approvava il progetto esecutivo per la sistemazione del Torrente Longano in Località Croce Santa Maria , redatto dall’ing. DG.S. (non senza osservare che nelle more di redazione del progetto, a causa delle avverse condizioni metereologiche, la scarpata aveva iniziato a cedere; e non senza sottolineare l’urgenza del caso); nonché incaricava il progettista, DG.S., anche del ruolo di direttore dei lavori e di coordinatore , in fase di progettazione ed esecuzione.
Tale determina dirigenziale era stata trasmessa anche al Sindaco, al Dirigente dell’Area Tecnica, nonché a DF.A., quale Dirigente Settore Lavori Pubblici del Comune di Isernia, il quale assunse la qualifica di “Responsabile dei Lavori” redigendo, unitamente al DS.G., quale coordinatore per la sicurezza, il piano di sicurezza e di coordinamento, nel quale era tra l’altro espressamente indicato che il luogo di lavoro era soggetto a pericolo di frana, che avrebbe potuto attivarsi all’atto della realizzazione dello scavo per la posa dei gabbioni e che particolare attenzione avrebbe dovuto essere posta in questa fase.
Compatibilmente a quanto stabilito dal Diretore dei Lavori-coordinatore per la sicurezza, DG.S., ed al committente, responsabile dei lavori, DF.A., la Tecnoscavi s.r.l., il cui legale rappresentante era DF.C. ed il cui responsabile in materia di infortunistica nonché preposto alla vigilanza era il DF.G., adottava una piano operativo di sicurezza nel quale era previsto espressamente: “alle pareti degli scavi deve essere data una pendenza non superiore a quella del declivio naturale o si devono allestire le opere di armatura …Contro il rischio di caduta nello scavo si devono applicare normali parapetti sui cigli o barriere segnaletiche opportunamente arretrate”.
In data 21/03/2005 il Committente nonché responsabile dei lavori presso il Comune di Isernia, ossia l’architetto DF.A., Dirigente del Settore Lavori Pubblici, inoltrò alla ASL ed all’Ispettorato Provinciale del Lavoro la notifica preliminare ai sensi dell’art. 11 d.lgvo n. 494/96 proprio relative ai lavori di sistemazione idraulica dei torrente Longano in Località Croce Santa Maria, notifica preliminare nella quale si individuavano formalmente le posizioni ed i ruoli degli odierni imputati.
In data 23/03/2005 il progettista e Direttore dei Lavori-coordinatore per la sicurezza, DG.S. – alla presenza di DF.G., nella qualità di amministratore della Tecnoscavi s.r.l., e dell’ing. Omissis, quale responsabile del Procedimento, per il Comune – ha “proceduto alla consegna in via d’urgenza dei lavori medesimi ai sensi dell’art. 129, comma IV, del Regolamento n. 554/99” alla srl Teonoscavi. I lavori – che avevano ad oggetto la deviazione del corso del Torrente Lonagano, la pulitura dell’area di lavoro mediante il taglio di alberi, lo scavo ed il posizionamento di picchetti di confine dell’alveo e l’acquisto dei materiali per la realizzazione dei gabbioni – dovevano iniziare alla data della consegna e dovevano essere compiuti in giorni 40.
Così descritto il contesto nel quale si è verificato l’infortunio mortale per cui si procede, il Giudice di primo grado ha osservato che dall’istruzione dibattimentale era risultato provato che non era stata tradotta in atto nessuna delle opere provvisionali e di sicurezza (previste dal piano di sicurezza ovvero dal piano operative di sicurezza) che avrebbero dovuto essere approntate sul cantiere per evitare pericoli agli operai (pericoli derivanti dalle frane in atto che avevano imposto la necessità di consegnare i lavori in via di urgenza senza aspettare neanche la firma del contatto).
Sta di fatto che nel mese di aprile del 2005 Z.N., imprenditore responsabile della omonima ditta individuale specializzata in gabbionature ai margini dei fiumi per arginare il pericolo di frane a mezzo di sacchi riempiti con pietre, venne incaricato da DF.G. di trovare degli operai qualificati che svolgessero i lavori di gabbionatura presso il cantiere in Isernia, località Croce Santa Maria, in quanto gli operai della Tecnoscavi non erano qualificati in tal senso. Fu proprio Z.N. a fare al DF.G. il nome, fra gli altri, di I.M.P., che il primo conosceva come operaio specializzato in tal senso e a contattare immediatamente lo stesso I.M.P.,il quale accettò immediatamente l’incarico, impegnandosi a trovare altri due o tre operai che potessero fare quel tipo di lavoro, individuandoli poi in I.P. e in F.P.. A quel punto Z.N. contattò DF.G. e si accordò nel senso che i tre operai sarebbero dovuti arrivare all’uscita di Isernia Santo Spirito ove qualche operaio dei DF.G. si sarebbe recato a prenderli.
In effetti, proprio la mattina del 27 aprile 2005, Zu., un dipendente della Tecnoscavi, per incarico DF.G. si portò alla Caserma dei Vigili del Fuoco per prelevare gli operai che provenivano dal beneventano e che dovevano andare presso il cantiere di Croce Santa Maria a posizionare i gabbioni (ossia i due I.M.P. e F.P.). Il manovale Zu. trovò i tre operai “beneventani” e li condusse sul cantiere di Croce Santa Maria, vicino al fiume, al Torrente Longano. A quel punto i tre rimasero sul cantiere (dove era presente DF.C.), e Zu. se ne andò sul cantiere presso il quale stava lavorando.
Intorno alle ore 13,00 Z.N., il quale si trovava ad Avellino, venne contattato telefonicamente da DF.G. il quale gli intimò perentoriamente di recarsi prontamente ad Isernia “perché era successa una cosa. All’uscita di Isernia Santo Spirito, DF.G. prelevò Z.N. e lo condusse in una stradina ove erano presenti Ia.P. e F.P. i quali testualmente riferirono: “è franata la terra, è morto M.. Sta dentro la macchina”. Z.N. replicò nel senso che avrebbero dovuto chiamare l’ambulanza, ma DF.G. disse: “no, non, andate via, dite che non è successo qua, che è andato per funghi, per asparagi” .
Il Tribunale di Iseria ha sottolineato (pp. 10-15) che la deposizione di Z.N. attesta inequivocabilmente che il decesso di I.M.P. era avvenuto a seguito di una frana del terreno sul quale lo stesso stava lavorando. In altri termini, secondo il Giudice di primo grado, è indubbio che il decesso è avvenuto a causa del concretizzarsi di quel pericolo di frana che era stato segnalato fin dalla determina n. 126 del 8/3/2005 e che: “in presenza… di un quadro probatorio così nitido e convergente quanto alla prova che l’operalo sia stato travolto da una frana, affermare …che ricorra anche solo il dubbio che Ia.M.P. sia deceduto per scivolamento accidentale rasenta la più assoluta inverosimiglianza”.
4.4. E la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado (salvo che in punto di dosimetria della pena e di concessione delle attenuanti generiche) ha preso analiticamente in considerazione tutte le doglianze defensive (il fatto che il decesso della vittima sarebbe avvenuto per una caduta dall’alto; il fatto che I.M.P. avrebbe riportato per effetto del sinistro soltanto lesioni e sarebbe morto, lungo il trasporto a casa propria, a causa di un malore dovuto ad un quadro coronarico compromesso; il fatto che i tre operai del beneventano non erano formalmente dipendenti della Tecnoscavi), realizzando una disamina che, in quanto esente da aporie di ordine logico, è immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità.
4.5. Orbene, la sentenza impugnata si è attenuta ai principi di questa Corte, richiamati in premessa, laddove ha affermato la penale responsabilità degli imputati DF. (C. e G.) e dell’imputato DG.: rispetto a costoro, il verificarsi dell’infortunio ha costituito l’indubbia concretizzazione del rischio, alla cui prevenzione era preordinata la normativa da essi violata (rispettivamente gli artt. 159-119 e l’art. 82 del d. lgvo n. 81 del 974/2008).
Invero, DF.C., legale rappresentante della Tecnoscavi, e DF.G., responsabile per la sicurezza della suddetta società e responsabile del cantiere, entrambi presenti al momento dell’infortunio, proprio in considerazione della loro posizione, non avrebbero dovuto consentire che i lavori venissero svolti senza la previa messa in sicurezza dell’area del cantiere: poiché il terreno non dava alcuna garanzia di stabilità ed il luogo dove stava lavorando I.M.P. presentava un declivio naturale di circa cinque metri, avrebbero dovuto vigilare a che fossero approntate le armature di sostegno, espressamente previste nel piano operativo di sicurezza ma in concreto non attuate (come si desume anche dalle lettere dirette in data 8 e 29 agosto 2005 – dunque, successivamente ai fatti -dallo stesso DL. al DG., all’Ispettorato del Lavoro ed alla Tecnoscavi).
D’altra parte, DG., quale Coordinatore per la sicurezza durante la progettazione dell’opera e durante l’esecuzione dei lavori, ha del tutto omesso la doverosa verifica sull’attuazione da parte della Tecnoscavi del piano operativo di sicurezza (laddove, come sopra precisato, era stata espressamente prevista la necessità di porre particolare attenzione, operando con personale di controllo capace, al pericolo di frana all’atto della realizzazione dello scavo): rilievo a fronte del quale sfuma la circostanza che egli aveva autorizzato soltanto le attività iniziali (tra le quali, si noti, la deviazione del corso del Torrente Longano e lo scavo di pulizia) e non anche la realizzazione dei gabbioni. Inoltre il DG. (cfr. sentenza di primo grado, p. 17, righi 8 e ss.) ha omesso di segnalare al Responsabile dei Lavori le omissioni della Tecnoscavi (e, quindi, di assicurare il necessario collegamento tra l’impresa appaltatrice e l’ente committente), come pur avrebbe dovuto, finendo così con l’assumere in pieno le conseguenze derivanti dalla violazione della posizione di garanzia impostagli per legge.
Non può non essere qui ricordata – a riprova di una complessiva franosità dell’area, che non poteva che essere governata a monte, rispetto alle lavorazioni in corso – la circostanza, stigmatizza dal giudice di primo grado, per la quale lo stesso ispettore del lavoro Pastore Caro aveva evidenziato, nel corso del proprio esame dibattimentale, come tale e tanto era il pericolo di frana sul posto che persino durante i sopralluoghi da parte degli operanti si erano verificati degli smottamenti di terra al punto che una mattina gli stessi avevano dovuto scappare per timore di ulteriori frane.
Al contrario, la sentenza va annullata nei confronti di DF.A., dirigente comunale incaricato di gestire la committenza dei lavori. Vero è che la nomina del coordinatore per la progettazione o per l’esecuzione dei lavori non esonera il committente ed il responsabile dei lavori da responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, ma nel caso di specie il piano di sicurezza era stato correttamente redatto. Parimenti vero è che l’art. 93 d. lgvo n. 81/2008 stabilisce l’obbligo del Responsabile dei lavori di verificare l’effettiva e corretta applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, ma tale obbligo il DL. aveva assolto proprio attraverso la nomina dell’Ing. DG., quale Coordinatore per la sicurezza. A capo del DL. residuava una posizione di garanzia limitata alla verifica che il nominato Coordinatore per la sicurezza adempisse al suo compito, ma dalla mera titolarità di detta posizione di garanzia, in difetto di precisi elementi fattuali, non può essere fatta discendere automaticamente l’affermazione di penale responsabilità, come invece ha erroneamente fatto la Corte territoriale, la cui sentenza va sul punto annullata, tanto più che il giudice di primo grado aveva espressamente ritenuto provato che il DG., Coordinatore per la sicurezza, non aveva segnalato al DL., Committente e Responsabile dei Lavori presso il Comuna di Isernia, le omissioni della Tecnoscavi, come pur avrebbe dovuto.
Non residuando margini di ulteriore esplorabilità del compendio probatorio, rispetto al tema di giudizio, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti del suddetto imputato, per non aver commesso il fatto, difettando la prova della sussistenza del necessario nesso causale.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di DF.A. per non aver commesso il fatto.
Rigetta i ricorsi di DF.C., DF.G. e di DG.M. e li condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/02/2016

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