Lavoratore irregolare si taglia un dito con una sega motorizzata. Responsabilità del “datore di lavoro”.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
Data Udienza: 07/10/2015
Fatto
1. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di DI.V. avverso la sentenza emessa in data 25.11.2013 dalla Corte di appello di L’Aquila che, in parziale riforma di quella in data 24.4.2012 del Tribunale di L’Aquila, dichiarava l’improcedibilità in ordine a taluni reati contravvenzionali perché estinti per prescrizione e rideterminava la pena inflitta per il residuo delitto di lesioni colpose con violazione delle norme a tutela degli infortuni sul lavoro in danno di S.H., in mesi sei di reclusione.
2. Al DI.V. era contestato di aver, in qualità di datore di lavoro, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza nonché violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni ed in particolare perché, omettendo di fornire i necessari Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) e un’adeguata formazione e una sufficiente ed adeguata formazione in materia sicurezza, cagionato a S.H. lesioni personali gravi, dato che quest’ultimo, mentre stava tagliando della legna con una sega motorizzata verticale, si procurava lesioni consistite nell’amputazione parziale del quarto dito della mano destra, lesioni che comportavano un periodo di malattia superiore a quaranta giorni con indebolimento della funzione prensile della mano destra (fatto del 18/4/2008).
3. Deduce il vizio motivazionale in ordine alla ricostruzione del fatto ed in particolare alla sussistenza di un rapporto datoriale e alla responsabilità penale dell’imputato, avendo la Corte territoriale ripercorso lo stesso iter argomentativo del Tribunale ritenendo che le dichiarazioni della persona offesa in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro “irregolare” potesse essere riscontrato sulla scorta dei soli rapporti redatti dai pubblici ufficiali operanti (carabinieri e funzionari dell’ASL) e valutato come non credibile quanto riferito da soggetti presenti al fatto.
Diritto
4. Il ricorso è infondato e va respinto.
5. La Corte territoriale ha fornito adeguata e corretta motivazione in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato intercorrente tra DI.V. e l’infortunato, fondandosi non solo sulle dichiarazioni rese da quest’ultimo e sul contenuto della denuncia querela da quello sporta (laddove aveva riferito di aver lavorato alle dipendenze del DI.V., senza regolare assunzione), ma anche su quanto emerso dal “rapporto relativo all’infortunio” del servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro dell’ASL n. 4 di L’Aquila e relativi allegati.
Del resto, il dato oggettivo della presenza dell’infortunato presso il deposito di legna del DI.V. è stato confermato dalla stessa convivente del prevenuto allorquando ha riferito, adducendo una versione legittimamente e motivatamente ritenuta incredibile da parte dei giudici di merito (pag. 4 sent.), dell’attività lavorativa prestata dall’S.H. utilizzando da solo, “invito domino”, uno dei macchinari dell’azienda, dopo essersi colà spontaneamente presentato.
Del pari è stata, con argomentazione pienamente esaustiva, esclusa la rilevanza della deposizione del teste (altro lavoratore in “nero”) G.I., presentatosi a lavorare anch’egli quella mattina ma dopo che il lavoratore infortunato era già stato ricoverato presso l’Ospedale di Popoli.
Peraltro, a ben vedere, la censura mossa, tende, sostanzialmente, ad una improponibile rivalutazione della prova e si risolve in deduzioni in punto di fatto, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di legittimità, sottraendosi, la motivazione della impugnata sentenza, ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di completezza e di razionalità dei suoi contenuti.
6. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7.10.2015