In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore dello stabilimento di una società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti.
Se ovviamente al C.G.D., in ragione della qualifica funzionale rivestita, non potevano farsi carico scelte gestionali generali rimesse al datore di lavoro, era peraltro del tutto pacifico che allo stesso, attesa la posizione apicale ricoperta nell’organigramma dello stabilimento, faceva capo una ben precisa e netta posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori dipendenti in servizio nello stabilimento dallo stesso prevenuto diretto (cfr. Sez. 4 n. 6277/2007; Sez. 4 n. 19712/ 2009). Appare pertanto corretta l’indicazione della Corte di merito alle regole cui si sarebbe dovuto attenere l’imputato nel ruolo di dirigente con funzioni di direttore dello stabilimento, sul rilievo specifico della mancata adozione di misure organizzative ed integrative di controllo e di vigilanza (demandate a colui che rivestiva un ruolo apicale nello stabilimento e quindi del tutto differenti da quelle di ordine esecutivo rientranti invece nelle mansioni del capo squadra o del semplice preposto) finalizzate ad evitare il pericolo del verificarsi di infortuni quale quello di cui è causa.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 09/06/2015
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.G. D. N. IL 03.09.1960
Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI MILANO in data 19 novembre 2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, sentite le conclusioni del PG in persona del dott. Massimo Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso. E’ presente l’avvocato Omissis del foro di Milano che si riporta ai motivi di ricorso
Fatto
1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Milano in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza in data 30 ottobre 2012 appellata da C.G. D., concessa all’imputato l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., ritenuta unitamente alle già concesse attenuanti generiche prevalente sulla contestata aggravante, rideterminava la pena in giorni 40 di reclusione, sostituita con la sanzione pecuniaria di € 1520,00 di multa, revocando in accoglimento di una specifica istanza difensiva il concesso beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Il C.G.D. era stato tratto a giudizio (unitamente a V.G., nei cui confronti la sentenza di primo grado è passata in giudicato non essendo stata proposta impugnazione) per rispondere nella sua qualità di direttore dello stabilimento e responsabile della sicurezza della ditta P.H. S.p.A. del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche in danno di C.A..
3. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore di fiducia il C.G.D., lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 40 cpv cod. pen. nonché agli artt. 18 e 19 D.lgs.vo n. 81 del 2008; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà e manifesta illogicità intrinseca della motivazione in punto di riconducibilità del ruolo di preposto al C.G.D. anziché al V.G. nonché per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e per travisamento della prova ed omessa motivazione sul punto, rispetto agli atti del processo ed alla sentenza emessa dal Tribunale di Monza, sempre in relazione al ruolo del preposto signor V.G.; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 516, 521 e 522 cod proc. pen. e 24 e 111 Cost., essendo il fatto addebitato in sentenza diverso da quello descritto al capo di imputazione; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per omessa motivazione in relazione al motivo di appello relativo alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per mancato espletamento dell’esame dell’imputato.
4. Sono stati presentati motivi nuovi con cui si invoca la applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Diritto
5. Il C.G. si è infortunato mentre azionava un trapano a colonna privo dello schermo di protezione. Al C.G.D. quale direttore dello stabilimento in cui si era verificato l’infortunio è stato contestato di aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non idonee ai fini della salute e della sicurezza ed adeguate al lavoro da svolgere.
Non è in contestazione la circostanza che l’infortunio occorso al C.G. fu determinato da una manovra dallo stesso operata che si rese possibile solo ed in quanto il trapano a colonna sul quale era stato fatto lavorare, era sprovvisto di adeguata protezione che consentisse all’operaio stesso di non venire in contatto con le parti in movimento della macchina. Sul punto il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe pervenuta alla sua condanna per un fatto diverso da quello in contestazione (l’aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non idonee). Va a riguardo precisato che, a prescindere dalla circostanza che non è stato chiarito con sufficiente certezza se i dispositivi di sicurezza, pure in ipotesi acquistati dalla società, fossero stati debitamente e correttamente installati, la gravata sentenza ha chiarito che la violazione della disposizione che prevede l’apposizione di una protezione atta ad evitare il contatto delle mani del lavoratore con gli organi della macchina in movimento, è ravvisabile sia nell’ipotesi in cui lo schermo o altro meccanismo di protezione non sia mai stato apposto, come in quella in cui sia stata successivamente rimossa.
Deve peraltro ritenersi legittimamente consentito al giudice individuare, oltre agli elementi di fatto contestati, altri profili del comportamento colposo dell’imputato emergenti dagli atti processuali in relazione ai quali questi sia stato posto in grado di difendersi.
Quanto alla posizione di garanzia del ricorrente va precisato che nel capo di imputazione è precisato che lo stesso rivestiva la qualifica di “direttore di stabilimento”, ruolo peraltro pacificamente ammesso dallo stesso imputato. Sul punto è quindi sufficiente precisare che come affermato da questa Corte (cfr. in particolare sez. IV, n. 41981 del 07/02/2012 Rv. 255001), in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore dello stabilimento di una società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti.
Se ovviamente al C.G.D., in ragione della qualifica funzionale rivestita, non potevano farsi carico scelte gestionali generali rimesse al datore di lavoro, era peraltro del tutto pacifico che allo stesso, attesa la posizione apicale ricoperta nell’organigramma dello stabilimento, faceva capo una ben precisa e netta posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori dipendenti in servizio nello stabilimento dallo stesso prevenuto diretto (cfr. Sez. 4 n. 6277/2007; Sez. 4 n. 19712/ 2009). Appare pertanto corretta l’indicazione della Corte di merito alle regole cui si sarebbe dovuto attenere l’imputato nel ruolo di dirigente con funzioni di direttore dello stabilimento, sul rilievo specifico della mancata adozione di misure organizzative ed integrative di controllo e di vigilanza (demandate a colui che rivestiva un ruolo apicale nello stabilimento e quindi del tutto differenti da quelle di ordine esecutivo rientranti invece nelle mansioni del capo squadra o del semplice preposto) finalizzate ad evitare il pericolo del verificarsi di infortuni quale quello di cui è causa.
Appare pertanto privo di fondamento, indipendentemente dall’accertamento del ruolo di preposto in capo al V.G. il tentativo dell’odierno ricorrente di addossare ogni responsabilità a quest’ultimo, condannato in primo grado, essendo peraltro pacifico (cfr. Sez. IV, n. 18826 del 09/02/2012 , Rv. 253850 ) che in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto).
Con riferimento poi alla richiesta di rinnovazione dibattimentale questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, l’esame dell’ imputato non assunto in primo grado può essere ammesso soltanto ove ritenuto necessario sulla base di specifiche esigenze, che è onere della parte instante indicare e documentare. Deve pertanto ritenersi che la richiesta, priva delle suddette indicazioni, sia stata comunque implicitamente disattesa alla luce del complessivo quadro probatorio che non presentava margini di incertezza,
Quanto, infine, all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis, la relativa richiesta risulta manifestamente infondata atteso che la relativa previsione presuppone (nel concorso del requisito ulteriore della non abitualità del comportamento) che “per la esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, l’offesa (sia) di particolare tenuità”, il che è certamente da escludersi avuto riguardo all’entità delle lesioni riportate dalla vittima dell’infortunio.
6. Il ricorso va pertanto rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 giugno 2015.