Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2016, n. 1021

I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica, nonché corretta in punto di diritto, hanno dato conto, in primis, dell’assenza di dubbi che l’amministratore unico della società, anche ove abbia conferito una valida delega a terzi in materia di sicurezza sul lavoro, resta comunque responsabile della formazione dei propri dipendenti, in questo caso del tutto omessa. Egli resta altresì titolare dell’obbligo divigilanza sul delegato al fine di verificare che questi adempia correttamente all’incarico, e -come si rileva nella sentenza impugnata- anche tale obbligo risulta inadempiuto dal R.M., atteso che egli stesso ha ammesso di non aver frequentato i cantieri e di essersi disinteressato concretamente dell’andamento della società.
Gli stessi dipendenti sentiti – si ricorda- hanno affermato concordemente di aver visto il R.M. soltanto raramente e di esser stati lasciati da soli sui cantieri, in quanto il A.F. si faceva vedere circa un giorno su dieci, fornendo soltanto indicazioni telefoniche sul lavoro da svolgere.
Appare dunque corretta la conseguenza che i giudici del gravame di merito fanno discendere da tale stato di cose. E cioè che, se anche fosse stata effettivamente rilasciata una valida delega al A.F. in materia di sicurezza, vi sarebbe stato un sistematico inadempimento da parte del medesimo che il R.M. avrebbe avuto il dovere di rilevare e cui aveva l’obbligo di ovviare.
Corretta è anche l’affermazione che è certamente responsabilità del R.M., quale amministratore unico che aveva poteri di spesa, quella di avere dotato i dipendenti di una sega circolare del tutto inidonea (come affermato dall’isp. G. nonché dai dipendenti) ad eseguire tagli di precisione e in obliquo, così com’era necessario fare per predisporre le cornici delle porte. Quella sega, infatti – come si rileva nella sentenza impugnata- era predisposta per tagli diritti, a distanza costante ed era dotata di un battipezzo conformato per tale scopo, mentre per eseguire tagli trasversali l’operatore doveva trattenere il pezzo con la mano sinistra ‘a morsa’ e spingere in avanti il medesimo con la mano destra, con l’evidente rischio – poi realizzatosi – di porre le dita della mano sinistra sotto la lama in movimento.
Con motivazione altrettanto logica la Corte fiorentina dà poi atto di come dagli elementi acquisiti in primo grado emergono forti dubbi sulla genuinità dell’atto di delega prodotto dalla difesa. Oltre ad evidenziare come questo sia inaspettatamente stato prodotto soltanto all’udienza del 14.5.2012, i giudici del gravame del merito sottolineano, infatti, come si tratti di un documento privo di data certa, che il A.F. riconosceva sì come proprio, ma di cui al tempo mostrava di non ricordarne neppure il contenuto.


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 10/12/2015

Fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, R.M., con sentenza del 16.6.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze emessa in data 4.6.2012, tenuto conto dell’intervenuta revoca della costituzione di parte civile in appello, revocava le statuizioni civili, confermando nel resto.
Il Tribunale di Firenze, all’esito di giudizio ordinario, aveva dichiarato in primo grado R.M. responsabile del reato p. e p. dall’art. 590 commi 1, 11° e 111° in rel. all’art. 583 1° co. n. 1 e 2, per aver cagionato nella sua qualità di datore di lavoro, rivestendo la carica di amministratore unico della società “T. srl” con sede in Pistoia via Omissis e cantiere in Campi Bisenzio presso stabile in Via Omissis, una lesione personale grave a D.B., operaio dipendente della predetta ditta, segnatamente una “subamputazione 2° e 3° dito ed amputazione 4° dito a livello della IFD mano sinistra” dalla quale derivava una malattia che determinava una incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni superiore ai quaranta giorni e comunque, un indebolimento permanente dell’organo della prensione, e ciò per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nella violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro previste dagli artt. 109 lett. a), b), c) e 114 1° co. del DPR 547/55, artt. 35 1° co., 38 1° co. del D.L.vo 626/94.
In particolare omettendo di dotare la sega circolare marca “Wuerth Master” mod. KTS 300 N art. 0701175 serie 7088 utilizzata dai propri operai per il taglio dei listelli in legno degli infissi presso il cantiere allestito in Via Omissis a Campi Bisenzio di una solida cuffia registrabile in grado di proteggere durante il funzionamento le mani dal contatto accidentale con la lama nonché di idoneo coltello di divisione in acciaio che distanziasse le parti tagliate e di schermi posizionati ai lati della lama nella parte sporgente sotto il piano di lavoro così come prescritto nel libretto d’istruzioni della macchina e ancora, non aver messo a disposizione dei lavoratori impegnati nella predetta postazione l’attrezzatura adeguata alle mansioni da svolgere non fornendo loro un portapezzi o uno spingitoio da utilizzare quando il taglio residuo era di piccole dimensioni ovvero attrezzature al taglio millimetri ed obliquo dei listelli in legno determinando in tal modo un grave rischio per l’operatore e per non essersi assicurato che D.B., addetto all’utilizzo della sega circolare avesse avuto una adeguata formazione sulle condizioni di utilizzo ed impiego, circostanze che determinavano l’infortunio alla mano sinistra del D.B., il quale, impegnato nel taglio obliquo di una cornice in legno che serrava durante la lavorazione con la mano sinistra tenendo il pollice in alto e le altre dita di sotto a modo di pinza, avvicinandosi troppo alla lama in assenza delle predette protezioni subiva il taglio di tre dita procurandosi le lesioni sopra indicate. In Campi Bisenzio (FI) il 28.05.2007.
In primo grado – con la sentenza poi confermata in appello, tranne che per le statuizioni civili, l’imputato veniva condannato, alla pena di mesi 4 di reclusione, condizionalmente sospesa, con condanna in solido con il responsabile civile T. srl, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese di difesa in favore della parte civile, con concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva di € 20.000,00.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, R.M., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. Art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. Nullità della sentenza per omessa notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio.
Il ricorrente deduce la nullità del decreto di citazione in giudizio per omessa notifica.
La citazione diretta per il dibattimento innanzi al Tribunale non si sarebbe mai perfezionata.
Il giudice all’udienza del 4.7.2011 rilevava la nullità della notifica all’imputato del decreto di citazione in giudizio, ordinando la nuova notifica, per la successiva udienza del 7.11.2011, presso lo studio del difensore e disponendo l’allegazione del verbale.
In data 20.7.2011, tuttavia, veniva notificata copia del decreto di citazione in giudizio, ma senza allegare la copia del verbale di udienza del 4.7.2011.
Veniva di fatto notificato – si spiega in ricorso- il provvedimento di fissazione dell’udienza del 4.5.2009, senza alcun atto che indicasse la nuova data; vi era semplicemente un foglio di trasmissione privo di timbro e firma del giudice in cui vi era un riferimento all’udienza del 7.11.2011.
I giudici di merito nel rigettare l’eccezione di nullità sarebbero incorsi in contraddizione.
Il tribunale infatti in data 28.3.2011, avrebbe accolto un’identica eccezione, mentre la corte di appello darebbe atto dell’avvenimento senza attribuirvi alcuna importanza.
La corte di appello avrebbe ritenuto idonea l’indicazione della data di udienza sulla copertina del fax, non osservando nulla sulla mancata indicazione dell’aula di udienza.
In tal modo sarebbe stato violato l’art. 552 lett. d) cod. proc. pen. laddove prevede a pena di nullità l’indicazione nel decreto di citazione diretta a giudizio del giudice, luogo, giorno e ora della comparizione, con conseguente violazione di garanzia in tema di “vocatio in ius”.
b. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. Art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. Nullità della sentenza per omessa notifica all’imputato dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen.
All’udienza del 16.4.2012, sarebbe stato rilevato che l’imputato non aveva mai ricevuto la notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen., eccependone la nullità.
La notifica dell’atto sarebbe avvenuta presso l’indirizzo di residenza, per compiuta giacenza, allorquando l’allora indagato svolgeva attività lavorativa presso la Caserma Marini di Pistoia.
Vi sarebbe stata violazione dell’art. 157 cod. proc. pen., laddove prevede ai commi 1, 2,e 7 che nel caso in cui l’atto non possa essere notificato a mani di persona idonea, vada notificato nel luogo in cui l’imputato abbia dimora o svolga la propria attività lavorativa.
L’avvenuta notificazione per compiuta giacenza sarebbe illegittima ed integrerebbe una violazione del diritto di difesa.
Il tribunale avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione osservando che seppure il Marini era effettivamente in servizio presso la Caserma Marina detta circostanza sarebbe stata ignota. Il giudice di primo grado avrebbe omesso qualsiasi valutazione sul motivo principale dell’eccezione, la mancata ricerca dell’imputato.
La corte di appello avrebbe ritenuto che le rapide ricerche svolte dal PM fossero sufficienti alla dichiarazione di irreperibilità, in quanto la ricerca presso il luogo di lavoro sarebbe obbligatoria soltanto laddove tale luogo emerga dagli atti o dalle ricerche di P.G.
Aggiunge il ricorrente che, nel caso di specie, la circostanza che il R.M. prestasse servizio presso la caserma, sarebbe stato evidenziato allorquando nessun contatto era avvenuto, sulla base delle stesse informazioni a disposizione al momento della chiusura delle indagini, pertanto il luogo dell’attività lavorativa, sarebbe stato rintracciabile fin dal primo momento.
c. erronea applicazione della legge penale in tema di infortuni sul lavoro e mancanza di motivazione in ordine all’applicabilità della normativa precedente al D.Lgs. 81/2008. Art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce che dalle risultanze dibattimentali sarebbe emersa la natura esclusivamente formale della carica ricoperta dal R.M., mentre la ditta era gestita di fatto da A.F., titolare di una delega specifica.
Pertanto il soggetto realmente responsabile non sarebbe stato implicato per una carenza delle indagini preliminari e vi sarebbe stata una forzatura dell’interpretazione normativa a tutela della persona offesa.
La corte di appello sarebbe incorsa in un duplice errore.
Da un lato ritenendo un’indebita inversione dell’onere della prova in quanto non sarebbe stata ritenuta provata l’effettività della delega specifica a favore del A.F., mentre il ricorrente ritiene che alla base della condanna vi dovesse essere la prova che il R.M. avesse la disponibilità dei mezzi finanziari idonei a gestire la sicurezza sul lavoro.
Nel dibattimento sarebbe emersa la circostanza che tutti i rapporti con i lavoratori erano gestiti dal A.F., mentre nessuna prova vi sarebbe che il R.M. avesse la gestione dei mezzi finanziari, né avesse ami intrattenuto rapporti con i lavoratori.
Infine, nessuna motivazione sarebbe stata fornita sull’impossibilità di applicare i parametri introdotti dalla novella del 2008. L’infortunio è avvenuto nel 2007, pertanto, va fatto riferimento al quadro normativo precedente al D.Lgs. 81/2008.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenza di legge.

Diritto

1. Il ricorso è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.
2. E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693).
Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, rv. 260608).
3. La Corte territoriale ha articolatamente risposto su tutti i punti oggi riproposti tout court:
Quanto alla rituale citazione dell’imputato nel giudizio di primo grado, i giudici del gravame del merito hanno evidenziato che già all’udienza del 19.10.2009 il giudice aveva disposto la rinnovazione della citazione del R.M. (che era stata eseguita al difensore come irreperibile) previe ricerche di P.G. ed in effetti i Carabinieri di Pistoia il 5.2.2010 avevano eseguito la notifica a mani dell’imputato per l’udienza dell’8.3.2010. Dunque l’imputato, quanto meno in tale sede, ebbe effettiva conoscenza della data del processo ed infatti provvide a nominare un difensore di fiducia presso il quale elesse domicilio, con atto depositato in cancelleria il 5.2.2010.
Il giudice di prime cure, tuttavia, rilevando l’omesso rispetto dei termini a comparire, rinnovò la citazione all’imputato tramite fax presso il difensore domiciliatario per l’udienza del 17.5.2010, che fu rinviata —con provvedimenti resi in udienza- al 20.9.2010, al 4.10.2010 e al 28.3.2011 (sempre nella contumacia dell’imputato ma in presenza del suo difensore di fiducia).
Solo in quest’ultima occasione il difensore eccepiva di aver ricevuto via fax, per l’udienza del 17.5.2010. il solo frontespizio della citazione e pertanto nuovamente il giudice disponeva la rinnovazione della citazione dell’imputato, sempre a mezzo fax presso il difensore domiciliatario, per l’udienza del 28.3.2011.
In tale udienza il difensore eccepì nuovamente di aver ricevuto via fax soltanto il frontespizio dell’atto e il giudice disponeva la rinnovazione della notifica per l’udienza del 27.6.2011.
In tale udienza il Tribunale rilevava ancora una volta il mancato rispetto dei termini a difesa e disponeva nuovamente la rinnovazione della citazione per l’udienza del 7.11.2011 alla quale, in presenza del sostituto del difensore di fiducia ex art.102 c.p.p., veniva dichiarato aperto il dibattimento ed ammesse le prove, rinviando per la trattazione all’udienza del 26.3.2012.
Solo in tale occasione il difensore eccepiva di aver ricevuto – per l’udienza del 27.6.2011- soltanto copia del decreto di citazione a giudizio, e non del verbale dell’udienza dei 17.5.2011),, eccezione che riproponeva anche in appello, dopo la reiezione del Tribunale.
Ebbene, con motivazione assolutamente condivisibile e corretta in punto di diritto, la Corte territoriale avallava l’argomentazione del giudice di primo grado evidenziando come la data dell’udienza di rinvio era espressamente e del tutto chiaramente indicata nel frontespizio della richiesta di notifica redatta e sottoscritta dal Cancelliere e pervenuta tramite fax al difensore domiciliatario. Essa era altresì confermata nella relata di notifica dell’Ufficiale Giudiziario, così che alcun dubbio poteva sorgere nell’imputato, che peraltro era edotto anche del luogo di celebrazione dell’udienza indicato nel predetto atto di cancelleria nonché nel medesimo decreto di citazione a giudizio.
Del resto -laddove ce ne fosse stato bisogno- la conferma che era perfettamente chiaro dove e quando si svolgeva il processo viene dal fatto che il difensore di fiducia domiciliatario era anche presente all’udienza cui era stato disposto il rinvio.
4. La Corte fiorentina ha articolatamente risposto anche sulla questione, già dedotta anche in quella sede, della nullità dell’avviso ex art.415 bis ep.p., eccepita nel giudizio di primo grado solo all’udienza del 28.3.2011 (quando l’ennesima eccezione di nullità della citazione era stata respinta), evidenziando come la declaratoria di irreperibilità dell’imputato operata dal P.M. sia stata del tutto rituale, in quanto il R.M. è stato cercato presso le ultime residenze note in Pistoia (che è anche luogo di nascita) nonché tramite verifica presso la banca dati delle forze di polizia e presso l’Amministrazione penitenziaria, essendo emerso che aveva lasciato l’abitazione di via Modenese senza lasciare alcun recapito e non risultando in alcun modo dagli atti il luogo di lavoro e di residenza che egli assume (ma non ha neppure provato) aver avuto all’epoca, presso una caserma di Pistoia. La ricerca presso il luogo di lavoro ai sensi dell’art.157 c.p.p. – come correttamente rilevano i giudici del gravame del merito – è infatti obbligatoria solo laddove, ovviamente, in qualche modo emerga dagli atti del procedimento o dalle stesse ricerche di P.G., il che non è avvenuto nel caso in specie.
5. Manifestamente infondato, infine, è il motivo sub c. con cui, rubricandolo alternativamente come errore di diritto o vizio motivazionale, si censura la motivazione della sentenza impugnata circa la responsabilità del R.M..
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’alt. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto (la natura esclusivamente formale della carica ricoperta), senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
6. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Firenze alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame dimerito con motivazione specifica, coerente e logica, nonché corretta in punto di diritto, hanno, infatti, dato conto, in primis, dell’assenza di dubbi che l’amministratore unico della società, anche ove abbia conferito una valida delega a terzi in materia di sicurezza sul lavoro, resta comunque responsabile della formazione dei propri dipendenti, in questo caso del tutto omessa. Egli resta altresì titolare dell’obbligo divigilanza sul delegato al fine di verificare che questi adempia correttamente all’incarico, e -come si rileva nella sentenza impugnata- anche tale obbligo risulta inadempiuto dal R.M., atteso che egli stesso ha ammesso di non aver frequentato i cantieri e di essersi disinteressato concretamente dell’andamento della società.
Gli stessi dipendenti sentiti – si ricorda- hanno affermato concordemente di aver visto il R.M. soltanto raramente e di esser stati lasciati da soli sui cantieri, in quanto il A.F. si faceva vedere circa un giorno su dieci, fornendo soltanto indicazioni telefoniche sul lavoro da svolgere.
Appare dunque corretta la conseguenza che i giudici del gravame di merito fanno discendere da tale stato di cose. E cioè che, se anche fosse stata effettivamente rilasciata una valida delega al A.F. in materia di sicurezza, vi sarebbe stato un sistematico inadempimento da parte del medesimo che il R.M. avrebbe avuto il dovere di rilevare e cui aveva l’obbligo di ovviare.
Corretta è anche l’affermazione che è certamente responsabilità del R.M., quale amministratore unico che aveva poteri di spesa, quella di avere dotato i dipendenti di una sega circolare del tutto inidonea (come affermato dall’isp. G. nonché dai dipendenti) ad eseguire tagli di precisione e in obliquo, così com’era necessario fare per predisporre le cornici delle porte. Quella sega, infatti – come si rileva nella sentenza impugnata- era predisposta per tagli diritti, a distanza costante ed era dotata di un battipezzo conformato per tale scopo, mentre per eseguire tagli trasversali l’operatore doveva trattenere il pezzo con la mano sinistra ‘a morsa’ e spingere in avanti il medesimo con la mano destra, con l’evidente rischio – poi realizzatosi – di porre le dita della mano sinistra sotto la lama in movimento.
Con motivazione altrettanto logica la Corte fiorentina dà poi atto di come dagli elementi acquisiti in primo grado emergono forti dubbi sulla genuinità dell’atto di delega prodotto dalla difesa. Oltre ad evidenziare come questo sia inaspettatamente stato prodotto soltanto all’udienza del 14.5.2012, i giudici del gravame del merito sottolineano, infatti, come si tratti di un documento privo di data certa, che il A.F. riconosceva sì come proprio, ma di cui al tempo mostrava di non ricordarne neppure il contenuto.
La Corte territoriale confuta peraltro la tesi difensiva con cui si era giustificata tale produzione tardiva (affermando che l’imputato durante le indagini non aveva potuto dedurre tale circostanza a causa della mancata conoscenza dell’avviso ex art.415 bis c.p.p.) evidenziando come tale tesi sia evidentemente smentita dal fatto che il R.M. intervenne al momento del sopralluogo ed a lui fu consegnato il verbale di accertamento con le relative prescrizioni, così che fin da allora avrebbe potuto far presente l’intervenuta delega di funzioni.
Peraltro i giudici del gravame del merito evidenziano l’estrema genericità della delega e la sua evidente non necessità nell’ambito di una impresa che aveva solo tre dipendenti.
I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
7. In ultimo, va evidenziato che non può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013, rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di € 1000,00 in favore della cassa delle ammende
Così deciso in Roma il 10 dicembre 2015

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