Cassazione Penale, Sez. 4, 13 novembre 2015, n. 45438

Esplosione nella fabbrica di giochi pirotecnici e infortuni mortali. Responsabilità del legale rappresentante di un’azienda a conduzione familiare.


 

Presidente: Bianchi
Relatore: Massafra

Fatto

1. Con sentenza in data 6.6.2014 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella in data 1.7.2011 del G.M. del Tribunale di Noia, riduceva la pena inflitta a P.B. e P. E. ad anni due di reclusione ciascuno, concedendo la sospensione condizionale della pena e condannandoli alla pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore delle costituite parti civili.
2. I predetti erano stati riconosciuti colpevoli e condannati per: A) il reato di cui all’art. 113, 449 c.p. in relazione all’art. 434 C.D. perché, nella loro qualità di legali rappresentanti e di datori di lavoro della ditta “Ipon S.r.L” con stabilimento in Ottaviano alla via Trota, avente ad oggetto la produzione di fuochi pirotecnici “di IV e V categoria”, a seguito della devastante esplosione della fabbrica, cagionavano per colpa, consistita in negligenza, imperizia e imprudenza, nonché per colpa specifica consistita nella violazione della normativa antinfortunistica, il decesso di P.C., M.A. e A.M., nonché le lesioni di I. E. e S.A., tutti intenti alla lavorazione di materiali pirotecnici presso il suddetto opificio, la distruzione dei seguenti locali della fabbrica: laboratorio “LB” e strutture adiacenti, nonché un incendio di vaste proporzioni che interessava l’adiacente bosco in due distinti punti collocati entrambi a circa 60 metri dal luogo dell’esplosione, tenuto anche conto dell’ubicazione all’interno dei Parco Nazionale del Vesuvio, derivandone dal fatto un pericolo per la pubblica incolumità, (fatto del 6.8.2005); B) il reato di cui agli artt. 81, 113, 589 co. 1, 2 e 3 c.p. per aver per colpa generica e specifica con violazione di numerose norme poste a tutela degli infortuni sul lavoro, cagionato la morte dei lavoratori P.C., M.A. e A.M. (decessi tra il 6.8.2005 e il 9.8.2005).
3. Avverso tale sentenza ricorrono il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, le parti civili AA.VV. o e i due imputati. 4. II P.G. deduce:
4.1. la violazione di legge in relazione agli artt. 533 c.p.p. e 163 c.p. attesa l’erronea riduzione della pena di un terzo -con conseguente concessione della sospensione condizionale della stessa- per la diminuente del rito, laddove, invece, gl’imputati non avevano richiesto alcun rito alternativo;
4.2. il vizio motivazionale in relazione alla misura della pena in prossimità del minimo edittale.
5. Le parti civili sopraindicate, oltre a sottolineare l’erroneità della riduzione della pena per le ragioni rappresentate dal P.G., si dolgono dell’omesso esame delle censure mosse con l’atto di appello, circa il rigetto della loro costituzione, con richiesta di adeguata provvisionale al pari delle altre parti civili costituite. 6. Gl’imputati, tramite il comune difensore di fiducia, rappresentano in sintesi:
6.1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 40 comma 2 c.p. e 589 c.p.p. comma 1 ed atteso il contrasto della sentenza con le dichiarazioni dei testi I. e F. oltre che con la consulenza dei dott. B., richiamando la giurisprudenza di legittimità sulla causalità omissiva (sent. n. 38343/2014), l’incertezza della causa dell’evento, il contrasto della sentenza con le dichiarazioni dei teste I. e la mancata valutazione di esse, il vizio motivazionale in relazione alle dichiarazioni della teste F., la mancanza di motivazione in relazione alla ricostruzione alternativa proposta dalla difesa, la mancanza di motivazione con riferimento all’imputazione causale dell’evento e alla c.d. concretizzazione del rischio;
6.2. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla individuazione dei garante al quale ricondurre gli obblighi antinfortunistici, e ciò con particolare riguardo a P.B., assente dal laboratorio il giorno dei fatti ed ignaro degli ordini di servizio impartiti dai fratello;
6.3. il vizio motivazionale in relazione al reato sub capo A) che non sarebbe configurabile nel caso in esame.

Diritto

7. I ricorsi dei Procuratore Generale e delle parti civili sono fondati.
8. Invero, la misura della pena, oltre ad essere stata ridotta al minimo con motivazione che contrasta palesemente con le ragioni poste a base dei diniego delle impetrate attenuanti generiche, è fondata su un errore processuale evidente, dal momento che non essendo stato adito alcun rito alternativo, come riconosce la stessa sentenza impugnata (v. premessa), è del tutto illegittima la decurtazione di un terzo per il rito abbreviato.
Effettivamente, non risulta alcuna motivazione o decisione in ordine ai motivi di appello addotti, personalmente, dalle parti civili A. S., A. M., A. F., A. V. e A. F.: ne consegue l’omessa pronuncia sul punto.
9. Sono infondati, invece, i ricorsi degl’imputati.
Vengono in questa sede riproposte quasi tutte le doglianze già rappresentate in sede di appello e da quel giudice disattese con motivazione ampia ed assolutamente plausibile.
Come riconosciuto dalla sentenza impugnata, la ricostruzione accusatoria si fonda su un concludente impianto probatorio, che ha trovato concordi molteplici fonti di chiara scienza ed esperienza, quali il CT dei P.M., gli ispettori ASL, i vigili dei fuoco intervenuti, che nelle relazioni e nel dichiarato dibattimentale hanno offerto una ricostruzione causale degli eventi assolutamente convincente ed esaustiva.
Pertanto, la sentenza impugnata ha fornito una corretta ed esaustiva motivazione in relazione alla ricostruzione della vicenda anche con richiamoa’quella di primo grado e all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (c.d. sentenza “Franzese”).
P.B. era rappresentante legale della IPON, sicchè la sua posizione di garanzia rimane per ciò stesso acciarata, assieme a quella del fratello che rivestiva la funzione di RSPP, svolgeva funzioni direttive nell’organizzazione lavorativa e, nella specificità degli eventi, impartiva le direttive circa sullo svolgimento quotidiano dei lavori, disponendo che tutti si adoperassero alla preparazione dei fuochi di artificio per la festa di Cetara e conferendo compiti specifici alla P. gli altri operai come emergeva dal testimoniale assunto e non confutato.
In proposito va, ancora una volta, ribadito che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all’art. 2087 c.c., è il “garante” dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (art. 40 c.p., comma 2).
La riferibilità soggettiva della condotta colposa a P.B., assente quel giorno in fabbrica, non scrimina lo stesso, risultato essere il legale rappresentante della IPON e, dunque, elemento cui è riferibile l’intera gestione della fabbrica e della attività lavorativa, non avendo in atti elementi per ritenere una distribuzione di funzioni e una separazione di competenze tra i fratelli. Pertanto non è stata correttamente esclusa la responsabilità del predetto imputato, ritenendolo ignaro dell’operato del fratello P. E., che quel giorno ebbe ad impartire i compiti agli operai. Invero il carattere familiare dell’impresa determina il ragionevole convincimento, non contrastato da elementi di segno contrario, che il rappresentante legale avesse organizzato il lavoro e in particolare che anche allo stesso fossero attribuibili le scelte aziendali e la organizzazione lavorativa e dunque la colposa omissione nell’attuazione di qualsivoglia presidio a protezione degli operai nello svolgimento delle rispettive mansioni e che nessuna formazione era stata loro fornita sulla utilizzabilità degli attrezzi in sé inidonei oltre che sulla lavorazione di un prodotto già finito, modificato nella sua modalità di accensione con la integrazione degli accenditori elettronici , previa sostituzione delle micce originarie.
Consegue la riferibilità ad entrambi gl’imputati delle riscontrate macroscopiche omissioni di predisposizione di cautele per gl’infortuni, ed in particolare, oltre alla mancata adeguata formazione dei lavoratori (come da deposizione del teste I. e tanto che sul posto vennero rinvenute attrezzature incompatibili con la specifica attività in corso e che avrebbero dovuto essere presenti: come 3 forbici ed un coltello idonei a produrre scintille), l’aver consentito l’esecuzione di attività lavorative estremamente pericolose (come quella alla quale era intenta la P., cioè lo sconfezionamento dei fuochi, con asportazione delle micce da granate di fabbricazione cinese come riferito dalla figlia F. G.) l’omessa fornitura di strumenti di lavoro atti a prevenire cariche elettrostatiche e di presidi di prevenzione individuale (tute ignifughe e d altri mezzi appropriati di lavoro).
Tali omissioni sono state correttamente ritenute collegate causalmente alla produzione dell’evento principale (incendio ed esplosione) e ai conseguenti decessi dei lavoratori che si trovavano intenti adoro rispettive occupazioni fuori e dentro l’opificio: la quasi totale violazione di ogni possibile norma antinfortunistica implica ex se la riconducibilità dell’evento letale alle violazioni medesime senza che tale collegamento possa definirsi meramente generico essendo piuttosto necessario individuare se e quali di tali violazioni, in una situazione di illegalità globale, possa ritenersi estranea produzione dell’evento.
Quanto alle residue doglianze rappresentate sub 6.1., a parte il rilievo che in ordine alla maggior parte di esse la Corte territoriale ha fornito congrua motivazione esente da vizi di sorta, va rilevato, per il resto, che l’esigenza di fornire una congrua motivazione del rigetto delle tesi e delle deduzioni contrarie a quelle condivise, può ritenersi adeguatamente soddisfatta dal giudice anche attraverso l’esame complessivo delle ragioni giustificative della decisione, allorché le articolazioni dello sviluppo argomentativo della sentenza appaiano tali da lasciar ritenere, come nel caso di specie, implicitamente superate le deduzioni disattese, per la logica incompatibilità delle stesse con l’obiettiva ricostruzione dei fatti operata dal giudice sulla base delle fonti probatorie richiamate e della coerente connessione delle stesse da parte del consulente del P.M. richiamato.
Per quel che concerne la censura sub 6.3., si deve sottolineare che ai fini della configurabilità del delitto di disastro colposo, previsto dall’art. 449 cod. pen. di cui al capo A), è necessario e sufficiente che si verifichi un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità di numerose persone, in un modo che non è P.samente definibile o calcolabile. (In applicazione del principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale, con motivazione esaustiva e non illogica, aveva escluso il reato di disastro colposo nel caso di una cabina della funivia che, procedendo troppo velocemente, non si era arrestata automaticamente all’arrivo alla stazione ma era andata a cozzare contro il respingente di fine corsa, così determinandosi il ferimento delle diciassette persone a bordo). (Cass. pen. Sez. IV, n. 14859 del 13.3.2015, Rv. 263146).
Inoltre, per la configurabilità del reato di disastro innominato colposo dì cui agli articoli 449 e 434 cod. pen. è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti. A tal fine, l’effettività della capacità diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere, con valutazione “ex ante”, accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l’evento dannoso non si è verificato: ciò perché si tratta pur sempre di un delitto colposo di comune pericolo, il quale richiede, per la sua sussistenza, soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno. (Cass. pen. Sez. IV, n. 19342 del 20.2.2007, Rv. 236410).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha esaustivamente spiegato come (pag. 17 sent.) le dimensioni dell’incendio e la presenza attigua di area boschiva, peraltro di interesse paesaggistico perché rientrante nel Parco nazionale del Vesuvio, abbia integrato gli estremi di tale fattispecie criminosa, laddove la caratteristica sufficiente ai fini della connotazione di pericolo ravvisabile nell’ipotesi di cui all’art. 434 c.p. richiede una diffusività ed indeterminatezza del danno diretto ad un numero indeterminato di persone ravvisabile, appunto, nella propagazione dell’incendio distruttivo verificatosi nella fabbrica.
Sicchè il riconoscimento del profilo colposo delle condotte degli imputati nella propagazione dell’incendio vale ad attribuire agli stessi, di conseguenza, la colpa nella produzione dell’evento disastroso, indipendentemente dagli effetti lesivi effettivamente raggiunti.
10. In conclusione, si deve addivenire all’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e alla posizione delle parti civili odierne ricorrenti.
Va rigettato, invece, il ricorso degli imputati che, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., devono essere condannati al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese di questo giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore delle parti civili F. G. e F. G..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e alla omessa decisione sull’appello delle parti civili A. M., F., V.
F.A. con rinvio su tali punti alla Corte di appello di Napoli. Rigetta il ricorso degli imputati che condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore delle parti civili F. G. G. che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

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