Cassazione Penale, Sez. 4, 13 ottobre 2015, n. 40932

Apertura tra ponteggio e solaio: caduta mortale del lavoratore. Responsabilità di un committente e del coordinatore per la sicurezza.


 

Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data Udienza: 18/09/2015

Fatto

1. Con sentenza resa in data 17/4/2013, la corte d’appello di Roma ha integralmente confermato la decisione in data 11/11/2009 con la quale il tribunale di Latina ha condannato G.A. e M.M. alle pene di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in cooperazione tra loro e in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di M.B., in Borgo Podgora, il 14/12/2004.
Ai due imputati era stata originariamente contestata la violazione delle norme di colpa specifica analiticamente indicate nei rispettivi capi d’imputazione per effetto della quale l’G.A., in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori in corso nel cantiere edile impiantato presso la via Gemelli in Borgo Podgora, e il M.M., quale amministratore e legale rappresentante della BM Costruzioni S.r.l., società committente i lavori in esame, avevano provocato il decesso del prestatore di lavoro, M.B., il quale era precipitato da un’altezza di circa 3,50 metri attraverso l’apertura presente tra il ponteggio e il solaio sul quale stava operando.
In particolare, all’G.A. era stata contestata la mancata verificazione, attraverso opportune azioni di coordinamento e controllo, dell’avvenuta adozione e dell’idoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dalla società committente (ex art. 5, co. 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 494/1996), mentre al M.M. era stata ascritta la mancata adozione di misure idonee a eliminare i pericoli connessi all’esecuzione delle opere appaltate.
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
3. G.A. propone ricorso sulla base di sei motivi di impugnazione.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale trascurato di rilevare la nullità dell’atto di costituzione in giudizio delle parti civili a seguito della sostituzione, in sede d’appello, dell’originario difensore delle stesse; nuovo difensore al quale non era stata ritualmente conferita la relativa procura speciale, nella specie rilasciata attraverso l’apposizione, in calce all’atto di nomina, di una formula meramente generica e inconferente.
Ciò posto, avendo le parti civili in sede di appello prodotto della documentazione fotografica ritenuta rilevante ai fini del giudizio, la stessa avrebbe dovuto ritenersi del tutto inutilizzabile (siccome prodotta da soggetto processualmente non legittimato), salva, in ogni caso, l’illegittimità della condanna dell’imputato alla rifusione, in favore delle parti civili, delle spese del grado di giudizio.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte territoriale per aver omesso di rilevare la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, avendo il giudice d’appello confermato la responsabilità dell’imputato in relazione alla condotta colposa costituita dalla mancata verifica dell’irregolarità del ponteggio posto in corrispondenza al luogo dell’infortunio, in difformità dalla specifica contestazione sollevata nel capo di imputazione.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente ascritto all’imputato la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 494/96 senza tener conto che l’evento lesivo oggetto di giudizio era avvenuto in una fase di demolizione non prevista né altrimenti prevedibile nel piano dei lavori già redatto, siccome intervenuta nel corso delle attività (senza alcun espresso coinvolgimento dell’imputato) a seguito di talune proteste sollevate dai proprietari dei fondi finitimi in relazione alla possibile violazione delle distanze legali.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, nell’attestare erroneamente l’effettiva sussistenza di un riconoscibile nesso di causalità tra l’evento infortunistico oggetto di giudizio e la violazione colposa, da parte dell’imputato, delle norme cautelari ascritte alla relativa posizione di garanzia.
In particolare, la corte territoriale avrebbe proceduto alla ricostruzione del decorso causale dell’infortunio de quo sulla base di un’illogica e implausibile interpretazione delle evidenze probatorie disponibili, con particolare riguardo alla rilevata incompatibilità tra le dimensioni fisiche del lavoratore deceduto e l’esiguità dello spazio all’interno del quale lo stesso lavoratore sarebbe precipitato al suolo.
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo il giudice d’appello erroneamente ritenuto sussistenti asserite irregolarità nell’allestimento del ponteggio dal quale sarebbe caduto il lavoratore, in contrasto con quanto attestato nel verbale del Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro acquisito agli atti del giudizio, con le dichiarazioni rese in giudizio dal teste DB., oltre che con le evidenze obiettive emerse in sede dibattimentale.
Sotto altro profilo, a giudizio del ricorrente, nessuna rilevanza causale avrebbe assunto, in relazione alla verificazione dell’evento lesivo, la  mancata adozione, da parte dell’imputato, di un formale verbale di fine lavori o di sospensione degli stessi.
3.6. Con il sesto e ultimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale del tutto trascurato di pronunciarsi in relazione al quarto motivo dell’atto d’appello proposto dall’imputato, nella specie dedicato alla confutazione critica delle statuizioni civili della sentenza di primo grado.
4. M.M. propone ricorso sulla base di tre motivi di impugnazione.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, avendo entrambi i giudici di merito attestato la responsabilità penale dell’imputato in relazione a condotte omissive del tutto estranee a quelle indicate nell’originario capo di imputazione; condotte rispetto alle quali la mancata presenza dell’imputato nel corso del giudizio (siccome rimasto contumace fino alla penultima udienza dibattimentale) ebbe in ogni caso ad impedirne la possibilità di difendersi concretamente in fatto.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell’omettere di verificare l’irriducibile e inammissibile genericità delle contestazioni originariamente sollevate nei relativi confronti, con la conseguente impossibilità di ricostruire, financo su un piano astratto, i termini del nesso di causalità tra l’evento lesivo oggetto di giudizio e la condotta dell’imputato.
Sotto altro profilo, l’imputato censura la sentenza impugnata per aver omesso di definire in termini concreti e oggettivi la riferibilità al M.M. di una specifica posizione di garanzia in relazione all’evento verificatosi, avendo l’imputato in ogni caso regolarmente provveduto, in qualità di committente dei lavori, alla nomina di un coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori e non essendosi lo stesso in alcun modo materialmente ingerito nell’esecuzione delle attività dell’impresa appaltatrice.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, nell’attestare erroneamente l’effettiva sussistenza di un riconoscibile nesso di causalità tra l’evento infortunistico oggetto di giudizio e la violazione colposa, da parte dell’imputato, delle norme cautelari ascritte alla relativa posizione di garanzia.
In particolare, la corte territoriale avrebbe proceduto alla ricostruzione del decorso causale dell’infortunio de quo sulla base di un’illogica e implausibile interpretazione delle evidenze probatorie disponibili, con particolare riguardo alla
rilevata incompatibilità tra le dimensioni fisiche del lavoratore deceduto e l’esiguità dello spazio all’interno del quale lo stesso lavoratore sarebbe precipitato al suolo.
Sotto altro profilo il ricorrente si duole dell’errata conclusione, raggiunta del giudici del merito, circa l’effettiva sussistenza di irregolarità nella realizzazione dei punteggi, in contrasto con quanto emerso sulla base della documentazione acquisita agli atti del giudizio.
5. Con nota pervenuta in data 12/5/2015, il difensore del M.M. ha depositato documentazione concernente la dedotta intervenuta transazione con le parti civili costituite ai fini del risarcimento del danno, deducendone l’avvenuta rinuncia all’azione civile.

Diritto

6. Dev’essere preliminarmente disatteso il primo motivo di ricorso illustrato dall’G.A. con riguardo alla pretesa nullità dell’atto di costituzione in giudizio delle parti civili, avendo la corte territoriale correttamente evidenziato come, aldilà degli aspetti formali relativi alla supposta genericità della formula comparente sull’atto di conferimento della procura speciale, la volontà delle parti civili di essere assistite dal difensore officiato e di volersi costituire per il suo tramite fosse emersa in modo inequivoco, anche in forza della presenza in udienza delle medesime parti civili, alle quali la corte territoriale ha assegnato un termine ad horas al solo fine di regolarizzare la relativa posizione processuale, come puntualmente verificatosi nella medesima udienza.
7. Parimenti prive di fondamento devono ritenersi le censure – sollevate da entrambi gli imputati in relazione alle rispettive posizioni processuali – concernenti la pretesa violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza.
Sul punto, converrà rimarcare, nel solco del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità come, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, occorra riferirsi all’operatività di criteri non formali o meccanicistici, valendo al riguardo la decisività del principio che impone (nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato) il riscontro dell’avvenuto rispetto dei diritti della difesa, nel senso che l’imputato abbia avuto, in concreto, la possibilità di difendersi da ogni profilo dell’addebito; e tanto, a prescindere dalla differente configurazione formale, in termini commissivi od omissivi, della condotta contestata (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051; Cass., Sez. 4, n. 41674/2004, Rv. 229893; Cass., Sez. 4, n. 7026/2002, Rv. 223747).
Tale evenienza, in particolare, ricorre in tutti casi in cui dell’addebito si sia concretamente trattato nelle varie fasi del processo, ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato a evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (v. Cass., Sez. 5, n. 23288/2010, Rv. 247761; Cass., Sez. 6, n. 20118/2010, Rv. 247330; Cass., Sez. 2, n. 11082/2000, Rv. 217222; Cass., Sez. 2, n. 5329/2000, Rv. 215903).
In breve, il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p., finalizzato alla salvaguardia del diritto di difesa, non è violato qualora la sentenza puntualizzi l’imputazione enunciata formalmente nell’atto di esercizio dell’azione penale con le integrazioni risultanti dagli interrogatori e dagli altri atti in base ai quali è stato reso in concreto possibile all’imputato di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così da potersi difendere in ordine a un determinato fatto, inteso come episodio della vita umana (v. Cass., Sez. 6, n. 9213/1996, Rv. 206208).
Ai fini della valutazione di detta correlazione, occorrerà dunque tener conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (v. Cass., Sez. 3, n. 15655/2008, Rv. 239866).
Naturalmente, non deve trattarsi di un fatto completamente diverso ed eterogeneo con immutazione dell’imputazione nei suoi elementi essenziali (v. Cass., Sez. 1, n. 6302/1999, Rv. 213459; Cass., Sez. 6, n. 2642/1999, Rv. 212803), dovendo ritenersi sussistente la violazione de qua solamente quando nei fatti – rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non già in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità (Cass., Sez. 6, n. 81/2008, Rv. 242368).
In tal senso depone l’indirizzo fatto proprio dalle sezioni unite di questa corte di legittimità, secondo cui, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in  materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. Un., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, cit.).
Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha sottolineato come il M.M. fosse stato puntualmente informato delle accuse sollevate nei relativi confronti, atteso che le modalità di verificazione del fatto risultavano descritte in modo specifico nel capo di imputazione, mentre all’imputato era stato espressamente contestato di non aver adottato misure idonee ad eliminare i pericoli connessi all’esecuzione delle opere appaltate: omissioni propriamente consistite nella mancata verifica della completezza del piano di sicurezza (non esteso alla previsione dei lavori di demolizione nel corso dei quali ebbe a verificarsi l’infortunio oggetto d’esame) nonché nel mancato controllo circa l’adozione, da parte della ditta appaltatrice incaricata di dette demolizioni, del relativo piano operativo di sicurezza.
Allo stesso modo, con riguardo alla posizione dell’G.A., il complesso delle relative responsabilità (connesse alla mancata verifica dell’andamento dei lavori; alla relativa conoscenza circa la necessità di procedere alla demolizione delle tamponature; alla mancata emanazione di un verbale di fine lavori, nonché al mancato rilievo delle irregolarità del ponteggio dal quale ebbe a precipitare il lavoratore deceduto) è apparso nel suo insieme esaurientemente coinvolto dalla discussione dibattimentale, sì da consentire in modo effettivo e concreto la possibilità, per l’imputato, di predisporre le proprie difese.
La corretta individuazione, da parte del giudice d’appello, degli elementi essenziali dell’imputazione e il riscontro della relativa corrispondenza, tanto nell’atto d’accusa, quanto nella sentenza di condanna pronunciata a carico degli imputati, così come il riscontro dell’effettiva acquisita conoscenza in sede dibattimentale, da parte degli stessi, di tutti i fatti e gli elementi di prova utilizzati ai fini della decisione, valgono a lasciar ritenere pienamente rispettato, nel caso di specie, il principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p. (e in ogni caso l’assenza di alcuna lesione dei relativi diritti di difesa), con la definitiva attestazione della radicale infondatezza dei motivi d’impugnazione sul punto sollevati dagli odierni ricorrenti, a nulla rilevando, in senso contrario, l’eventuale contumacia dell’imputato (come in questa sede infondatamente rimarcato dal M.M.), attesa la sufficienza, ai fini del rispetto delle garanzie di difesa dell’imputato, della concreta possibilità per lo stesso di usufruirne (anche attraverso il dispiegamento della difesa tecnica), senza che la libera scelta dell’imputato di disertare la partecipazione al dibattimento possa valere a infirmare il vigore dei principi sin qui riaffermati.
8. Prive di pregio devono inoltre ritenersi tutte le censure sollevate dai due ricorrenti con riguardo all’esatta ricostruzione delle modalità di verificazione del sinistro, nonché in relazione alla determinazione del legame causale tra l’evento lesivo oggetto d’esame e le condotte omissive ascritte agli imputati a titolo di colpa.
Sul punto, la corte territoriale – con motivazione coerentemente elaborata, immune da vizi d’indole logica o giuridica -, dopo aver enumerato l’insieme delle fonti di prova complessivamente acquisite (cfr. pagg. 10-12 della sentenza d’appello), ha sottolineato come la precipitazione al suolo del lavoratore deceduto, per caduta dal primo piano dell’edificio in costruzione, discendesse con coerenza dalle valutazioni espresse dai tecnici dell’Asl, a loro volta confermate dalle ulteriori risultanze istruttorie costituite: 1) dalle dichiarazioni del teste C. (che aveva visto il M.B. intento al lavoro al primo piano poco prima dell’evento); 2) dalla situazione dei luoghi (con particolare riguardo alla presenza dei materiali dimostrativi del distacco di una parte consistente del muro oggetto di demolizione che aveva investito il M.B. facendolo cadere dall’alto); 3) dalle fratture diffuse riscontrate al cranio della vittima, dal politraumatismo e dalle ecchimosi accertati (rilievi tutti compatibili con l’impatto con ostacoli da individuarsi nelle struttura del ponteggio durante la precipitazione dall’alto).
La stessa corte, di seguito, ha coerentemente evidenziato le ragioni della sostanziale inattendibilità del decorso causale alternativo sostenuto dalle difese (asseritamente legato a un capogiro derivante dalla patologia diabetica da cui il M.B. era affetto), siccome smentito, oltre che dalle dichiarazioni della moglie del lavoratore (che ha attestato la lontananza nel tempo degli ultimi capogiri e svenimenti subiti dalla vittima), dalle stesse valutazioni operate dal consulente tecnico, dott. M., che ha evidenziato come in sede di autopsia non fossero emersi danni organici riconducibili al diabete, laddove i valori lievemente alterati della glicemia e del colesterolo trovavano spiegazione in un’alterazione prodotta dal trauma.
Lo stesso consulente tecnico ha, altresì, escluso l’ulteriore ipotesi ricostruttiva legata a un preteso trauma cranico prodotto dalla caduta di alcuni mattoni forati dall’alto, avuto riguardo alle caratteristiche delle lesioni al capo e, in particolare, alla caratteristica di frattura irradiata con ecchimosi, compatibile con l’impatto con una superficie dura non irregolare, tipica di un impatto al suolo.
È appena il caso di evidenziare – contrastando sul punto le corrispondenti doglianze avanzate da entrambi gli imputati – come l’irregolarità del ponteggio oggetto di esame sia stata adeguatamente ritenuta da entrambi i giudici di merito attraverso il richiamo alle significative circostanze della mancata saldatura della tavola metallica posta a protezione dell’apertura nel vuoto del ponteggio, a sua volta inammissibilmente trascurata a dispetto delle relative dimensioni idonee a consentire il passaggio di un corpo umano in caduta.
Le stesse perplessità ancora in questa sede sollevate dai ricorrenti, con particolare riguardo alla possibilità che la vittima fosse caduta attraverso l’apertura triangolare tra il ponteggio e l’edificio, appaiono adeguatamente fugate dalla lineare motivazione sul punto dettata dalla corte territoriale, che ha evidenziato la compatibilità di detta ricostruzione con le caratteristiche e le dimensioni dell’apertura e con la specifica conformazione fisica della vittima.
Vale evidenziare, peraltro, come l’evento lesivo de quo sarebbe stato comunque eziologicamente ricollegabile alle omissioni contestate ai due imputati, atteso che la caduta del M.B. sarebbe stata in ogni caso determinata dalla irregolarità del ponteggio e, segnatamente, dalla mancanza del sottoponte e dalla presenza di pedane non stabilmente fissate alla struttura.
Quanto alla posizione della macchia di sangue rinvenuta al suolo in prossimità del ponteggio, rileva il collegio come il giudice d’appello abbia plausibilmente sottolineato come l’eventuale mancata perfetta corrispondenza della stessa rispetto all’apertura del ponteggio (ipotesi peraltro contrastata dalle risultanze delle planimetrie allegate alla relazione della Asl) non rivestisse in ogni caso alcun carattere di decisività, tenuto conto delle prevedibili evoluzioni del corpo durante la caduta.
Con riguardo a ciascuno dei punti sin qui evidenziati, osserva il collegio come, attraverso le doglianze avanzate con l’odierna impugnazione, i ricorrenti si siano limitati a circoscrivere il proprio discorso critico sulla sentenza impugnata a una discordante lettura delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio, in difformità rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici di merito, fermandosi a dedurre i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione dell’intera vicenda sottoposta a giudizio, sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, la corte d’appello (sulla scia del discorso giustificativo dettato dal primo giudice) ha ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 1685/1998, Rv. 210560; Cass., Sez. 6, n. 11984/1997, Rv. 209490), sempre che non emergano elementi obiettivi idonei a giustificare il ricorso di un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato.
Tale principio, in particolare, appare coerente con il circoscritto orizzonte riservato all’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento.
Conviene sul punto insistere nel rilevare l’estraneità, alle prerogative del giudice di legittimità, del potere di procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, ed altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente secondo il proprio soggettivo punto di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n. 1083/1998, Rv. 210019).
Ciò posto, occorre evidenziare come, nel caso di specie, tanto la motivazione dettata dal primo giudice quanto quella redatta dalla corte d’appello (che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo: cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv. 216906 e segg. conformi), abbiano ricostruito i profili della causalità dell’evento in esame sulla base di un discorso giustificativo completo ed esauriente, logicamente argomentato, immune da vizi d’indole logica o giuridica e, come tale, idoneo a sottrarsi integralmente alle censure in questa sede sollevate dai ricorrenti.
9. Devono essere, infine, disattesi tutti i motivi di impugnazione illustrati dai ricorrenti con riguardo alla ricostruzione delle relative posizioni di garanzia e della violazione delle norme cautelari loro contestate.
Con particolare riguardo alla M.M., osserva il collegio come entrambi i giudici del merito si siano correttamente allineati all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità che, in caso di lavori affidati in appalto, impone al committente il dovere di verificare il rispetto, da parte dell’impresa appaltatrice e del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, dei relativi obblighi concernenti la sicurezza dei lavoratori impiegati.
In particolare, al committente è attribuita dalla legge una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l’esecuzione di controlli non formali ma sostanziali e incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicché ai medesimi spetta accertare che i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dell’opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14012 del 12/02/2015, Rv. 263014). La nomina del coordinatore per la progettazione o per l’esecuzione dei lavori, infatti, non esonera il committente da responsabilità per la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi, nonché dalla vigilanza sul coordinatore medesimo in ordine all’effettivo svolgimento dell’attività di coordinamento e controllo sull’osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento (Sez. 4, Sentenza n. 37738 del 28/05/2013, Rv. 256636).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno evidenziato come il M.M. abbia ingiustificatamente e colpevolmente omesso di richiedere al coordinatore di rivedere il piano di sicurezza e coordinamento, a seguito della necessità di procedere ai lavori di demolizione durante i quali ebbe a verificarsi l’evento infortunistico in esame, e di controllare l’effettiva adozione, da parte dell’appaltatore, del piano operativo di sicurezza indispensabile ai fini della corretta gestione dei rischi connessi alle opere di demolizione.
Allo stesso modo, con riguardo all’G.A., la corte territoriale, richiamando sul punto le considerazioni già svolte nella sentenza di primo grado, ha sottolineato come allo stesso fosse fondatamente rimproverabile la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 494/1996, dovendo ritenersi inverosimile che lo stesso non fosse a conoscenza dell’inizio dei lavori di demolizione (tenuto conto che lo stesso era consapevole della problematica delle distanze sì da non aver mai redatto un verbale di fine lavori), e che, in ogni caso, in ragione della qualità rivestita, lo stesso avesse trascurato di verificare il regolare andamento dei lavori tenendosi in contatto con il committente al fine di assicurarsi dell’osservanza delle norme di sicurezza: norme nella specie palesemente violate, atteso che l’unico lavoratore addetto alla demolizione operava in assenza di ogni necessario dispositivo di protezione individuale, su ponteggi non regolari e in assenza del necessario piano operativo di sicurezza (cfr. pag 9 della sentenza di primo grado).
Anche su tali punti osserva il collegio come la corte territoriale – con motivazione coerentemente elaborata e fondatamente argomentata – si sia correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di “alta vigilanza”, consistenti: 1) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; 2) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; 3) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani di sicurezza (Sez. 4, Sentenza n.44977 del 12/06/2013, Rv. 257167).
10. Dev’essere, da ultimo, disattesa la censura sollevata dall’G.A. con riguardo all’omessa motivazione, da parte del giudice d’appello, sul punto relativo alla liquidazione di una provvisionale in favore delle parti civili, valendo al riguardo il principio, risalente alle statuizioni delle sezioni unite di questa corte, ai sensi del quale il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per Cassazione in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. Un., Sentenza n. 2246 del 19/12/1990, Rv. 186722), trattandosi in ogni caso di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (in tal senso v. Sez. 3, Sentenza n. 18663 del 27/01/2015, Rv. 263486).
11. All’accertamento dell’infondatezza delle censure in questa sede sollevate dagli imputati segue la pronuncia del rigetto dei ricorsi, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La mancata produzione di documentazione idonea ad attestare l’effettività della dedotta rinuncia all’azione ad opera delle parti civili, impedisce l’adozione di alcuna pronunzia demolitoria sui capi civili della sentenza impugnata.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/9/2015.

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