Cassazione Penale, Sez. 4, 15 dicembre 2015, n. 49361

Caduta all’interno della vasca di contenimento in cui era presente zolfo liquido. Abnormità del comportamento e assoluzione del preposto.


Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data Udienza: 04/12/2015

Fatto

1. Con sentenza resa in data 14/4/2015, la Corte d’appello di Caltanissetta ha integralmente confermato la sentenza in data 20/6/2013 con la quale il Tribunale di Gela ha assolto G.D.N. per insussistenza del fatto in relazione alle imputazioni di lesioni colpose, nonché ad altri reati contravvenzionali in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tutti indicati come commessi in Gela, il 7/7/2008.
In particolare, all’imputato, in qualità di capo squadra della ditta T. Costruzioni s.r.l., nonché di preposto alla sicurezza in cantiere nell’esecuzione dei lavori edili commissionati dalla Raffineria di Gela s.p.a., era stata contestata la causazione colposa di lesioni personali ai danni del lavoratore P.N., per aver disposto l’esecuzione di lavorazioni contrastanti con il permesso di lavoro rilasciato dal responsabile della ditta committente, e per aver omesso di informare il lavoratore infortunato della presenza di zolfo liquido all’interno di una vasca di contenimento in prossimità del quale il lavoratore si era trovato ad eseguire la propria prestazione, così propiziandone la caduta all’interno della vasca e le conseguenti gravi ustioni dallo stesso riportate.
2. Avverso la sentenza confermativa dell’assoluzione, pronunciata dal giudice d’appello, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la corte d’appello di Caltanissetta sulla base di due motivi d’impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il procuratore ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale confermato l’assoluzione dell’imputato sulla base di una travisata interpretazione degli elementi di prova acquisiti nel corso del procedimento.
In particolare, il giudice d’appello avrebbe illogicamente sottovalutato le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dal teste R., collega di lavoro del prestatore infortunato, senza indicare in modo adeguato le ragioni logico-giuridiche poste a fondamento della valutazione operata, dettando una motivazione del tutto lacunosa sui punti decisivi del percorso ricostruttivo del fatto, costituiti dal contestato deficit di vigilanza da parte dell’imputato nella direzione e nel controllo dei lavori, e dalla condotta (giudicata come asseritamente imprevedibile) del lavoratore infortunato, sprofondato, non già al centro della vasca di contenimento dello zolfo (come erroneamente ritenuto dai giudici di merito), bensì su una superficie periferica dello strato superficiale consolidato dello zolfo (poi disintegratosi), adiacente al muretto dallo stesso percorso.
2.2. Con il secondo motivo, il procuratore ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata in relazione alla ricostruzione del nesso di causalità tra le omissioni addebitate all’imputato e le lesioni subite dal lavoratore infortunato, con particolare riguardo alla ritenuta abnormità della condotta di quest’ultimo, nella specie del tutto insussistente, essendosi nella specie trattato di una condotta del tutto prevedibile e prevenibile da parte del G.D.N..
3. Con memoria pervenuta in data 1/12/2015, il difensore dell’imputato ha concluso per la dichiarazione dell’inammissibilità ovvero, in ogni caso, per il rigetto del ricorso.

Diritto

4. Tutti i motivi d’impugnazione illustrati dal procuratore ricorrente – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono infondati.
Osserva il collegio come, con riguardo a entrambi gli aspetti evidenziati nell’impugnazione del procuratore generale (concernenti l’esatta descrizione della condotta nell’occasione tenuta dalla persona offesa e l’interpretazione della stessa quale fatto abnorme idoneo a recidere il tuo legame nesso di causalità tra le omissioni contestate all’imputato e l’evento lesivo allo stesso ascritto), il ricorrente si sia limitato a prospettare un’alternativa ipotesi interpretativa, fondata su una rilettura delle evidenze probatorie acquisite, senza giungere all’effettiva dimostrazione del concreto e rilevante travisamento della prova infondatamente denunciato.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652).
Tale principio, in particolare, appare coerente con il circoscritto orizzonte riservato all’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento.
Conviene sul punto insistere nel rilevare l’estraneità, alle prerogative del giudice di legittimità, del potere di procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, ed altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente secondo il proprio soggettivo punto di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n. 1083/1998, Rv. 210019).
Nel caso di specie, varrà evidenziare come il giudice d’appello, dopo aver correttamente rinnovato l’esame dibattimentale delle persone immediatamente coinvolte dalla vicenda oggetto di giudizio, ha ritenuto, sulla base di una motivazione ineccepibilmente condotta sul piano della coerenza logica e dell’adeguatezza argomentativa, come la descrizione della vicenda da parte della persona offesa e dal relativo collega di lavoro (teste R.) fosse minata da irriducibili incongruenze, in particolare rivelatesi attraverso la progressiva modificazione o i successivi emendamenti dagli stessi forniti nelle diverse fasi del procedimento.
La stessa corte, del resto, ha evidenziato come le alternative spiegazioni della vicenda dettate dal teste B. (benché anch’esse non immuni da analoghi aspetti di contraddittorietà) si fossero poste in totale contrasto con le dichiarazioni della persona offesa e del teste R., sì da minarne inevitabilmente la già rilevata scadente attendibilità intrinseca.
Proprio sulla base di tali premesse, la corte territoriale ha quindi coerentemente concluso nel senso del mancato attingimento di una tranquillante certezza circa l’attestazione delle responsabilità contestate all’Imputato, avendo proprio la persona offesa (aldilà delle possibili diverse interpretazioni del significato della documentazione fotografica acquisita al giudizio) confermato di essersi spinto fino al centro della vasca di contenimento dello zolfo per riprendere il proprio secchio, così attestando l’inverosimiglianza della tesi originariamente accreditata (circa la necessità di recuperare un secchio accidentalmente cadutogli di mano), e, al contrario, la plausibilità della prospettata abnormità di una condotta imprevedibilmente rischiosa dallo stesso assunta, siccome del tutto estranea alla sfera di rischio ragionevolmente riconducibile al normale o regolare sviluppo delle mansioni lavorative allo stesso affidate.
Con analoga coerenza argomentativa e correttezza giuridica la corte territoriale ha dunque sottolineato l’impossibilità di radicare in capo all’imputato un obbligo di presenza costante e continua sui luoghi di lavoro de quibus, specie se riferiti a un comportamento, quale quello verosimilmente tenuto dalla persona offesa, del tutto estraneo alle quotidiani e abituali attività degli operai, avendo peraltro l’imputato in ogni caso comprovato il dato di una presenza comunque assidua sul cantiere, in coerenza a quanto confermato da altri testi escussi, oltre alla stessa persona offesa e al R. (cfr. fi. 8 della sentenza d’appello).
L’attestazione della sostanziale inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dal teste R. e, viceversa, il ricorso di indici probatori sufficientemente qualificati in ordine alla conferma della prospettata abnormità della condotta di lavoro del prestatore infortunato, sono dunque valsi a escludere l’acquisizione di una certezza, aldilà di ogni ragionevole dubbio, circa la colpevolezza dell’imputato, con la conseguente corretta conferma, da parte della corte territoriale, della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto pronunciata dal giudice di primo grado.
5. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi di doglianza illustrati dal procuratore ricorrente, segue il rigetto del relativo ricorso.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4/12/2015.

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