Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2015, n. 6723

È noto che in materia prevenzionistica, il datore di lavoro, titolare degli obblighi prevenzionistici, va individuato sia in colui che risulta parte in senso formale del contratto di lavoro sia nel soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale [art. 2 lett. b) D.Lgs. n. 626 del 1994, lett. b) ed oggi D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. b); ed inoltre il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299]. Ne consegue che l’individuazione di un datore di lavoro “formale” non si pone in contrapposizione con l’eventualità dell’esistenza anche di un datore di lavoro di fatto.


Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catania ha riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Siracusa con la quale G.C. era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni personali colpose commesse in danno di L.P. il 10.12.2005 e condannato alla pena ritenuta equa.

Secondo il giudice di primo grado dalle dichiarazioni della persona offesa emergeva che egli era stato assunto “in nero” dal G. ed avviato ai lavori di raccolta degli agrumi in agro siracusano; nello svolgimento di tali compiti il L. era caduto da una scala, riportando lesioni personali che si riconducevano al G. quale datore di lavoro di fatto.

La Corte territoriale, per contro, ha mandato assolto il G. ritenendo che l’accertamento processuale non consentisse di ritenere che l’imputato fosse stato datore di lavoro del L. e quindi titolare degli obblighi prevenzionistici la cui violazione aveva determinato l’infortunio occorso alla persona offesa. Tanto in ragione della ritenuta inattendibilità della dichiarazione del L.; dichiarazione contraddetta dalla deposizione del capo squadra B. e dalla circostanza che la ditta (OMISSIS) (ovvero la madre del G., proprietaria del terreno ove si svolgeva la raccolta degli agrumi) aveva effettuato una comunicazione tardiva dell’assunzione del L. e perciò sanzionata dall’Ispettorato del lavoro, dal fatto che il CUD prodotto dalla difesa della parte civile attestava che questa aveva svolto attività lavorativa alle dipendenze della P. per dieci giorni nell’anno 2005, dall’esser stato riconosciuto dall’Inail l’infortunio occorso al L. mentre svolgeva attività lavorativa alle dipendenze della P..

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la persona offesa, costituitasi parte civile, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.

2.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale e travisamento della prova.

Rileva il ricorrente che, diversamente da quanto asserito dalla Corte di Appello, il modello CUD e la denuncia di infortunio all’Inail non sono attribuibili al lavoratore L.P. ma a P.C., che li confezionò unilateralmente. Il fatto che tali documenti siano stati prodotti in giudizio dalla parte civile non significa che questi se ne è assunto la paternità o che abbia fatto acquiscienza ad essi.

2.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello non ha tenuto conto delle dichiarazioni rese da L.V. e da P.A., prove decisive.

3. Con “memoria difensiva” depositata il 22.10.2014 nell’interesse di G.C. si chiede il rigetto del ricorso avanzato dal L. non sussistendo alcuno dei vizi motivazionali indicati dal ricorrente e per essere attribuibile non al G. ma a B. P. l’obbligo prevenzionistico la cui violazione ebbe a determinare l’infortunio del L..

Diritto

4. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata merita di essere annullata.

4.1. In tema di motivazione della sentenza di appello che riformi quella impugnata, la giurisprudenza di questa Corte è salda nel rimarcare che il secondo giudice non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che venga riesaminato, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. ex multis, tra le più recenti, Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013 – dep. 14/01/2014, Pg in proc. Ricotta, Rv. 258005, in un caso di condanna riformata in assoluzione; similmente Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012 – dep. 19/09/2012, p.c. in proc. Ingrassia, Rv. 254617; in termini generali, Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992 – dep. 04/06/1992, P.M., p.c, Musumeci ed altri, Rv. 191229; per la formulazione del principio in ipotesi di condanna seguita a pronuncia di assoluzione, invece, cfr. Sez. 4, n. 37094 del 07/07/2008 – dep. 30/09/2008, Penasa, Rv. 241024).

Orbene, nel caso che occupa il giudice di primo grado ha affermato che il G. era stato il datore di lavoro di fatto del L., a ciò pervenendo sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che aveva riferito di essere stato ingaggiato telefonicamente dal G. e di aver ricevuto da questi il salario, avendo peraltro il giudice non omesso di rammentare che anche il B. aveva menzionato un controllo saltuario sull’attività da parte del G..

A fronte di ciò la Corte di appello ha valorizzato dati meramente formali, quali il fatto che la documentazione, tutta formata dopo l’incidente, era stata sottoscritta dalla P. e indicava in questa la datrice di lavoro.

La Corte di Appello ha svolto quindi una argomentazione manifestamente illogica, avendo contrapposto ad un accertamento della situazione di fatto un’analisi della situazione “apparente”. Orbene, è noto che in materia prevenzionistica, il datore di lavoro, titolare degli obblighi prevenzionistici, va individuato sia in colui che risulta parte in senso formale del contratto di lavoro sia nel soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale [art. 2 lett. b) D.Lgs. n. 626 del 1994, lett. b) ed oggi D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. b); ed inoltre il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299]. Ne consegue che l’individuazione di un datore di lavoro “formale” non si pone in contrapposizione con l’eventualità dell’esistenza anche di un datore di lavoro di fatto; sicchè affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla scorta di quanto emerge da documenti, nella specie la P. (la cui qualità di proprietaria del fondo non è in alcun modo risolutivo ai fini che qui occupano), non può valere ad escludere che tale ruolo fosse stato in concreto assunto anche dal G.. Mentre alcun pregio ha il rilievo avanzato dalla difesa dell’imputato con la memoria depositata in vista del presente giudizio, per il quale soggetto titolare dell’obbligo prevenzionistico violato sarebbe stato il B., essendo questo un tema rimasto estraneo all’accertamento di merito.

Ma i profili di manifesta illogicità della sentenza non si esauriscono in quanto sin qui rilevato. Infatti, essa perviene al giudizio di inattendibilità del L. nonostante constati che il B. aveva riferito della presenza sul fondo del G. per “controllare” (evidentemente l’andamento dei lavori) e che la documentazione più volte richiamata era stata formata solo dopo l’incidente.

In conclusione, la sentenza impugnata non resiste alla verifica demandata a questa Corte e va annullata, con rinvio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

annulla la impugnata sentenza di proscioglimento dell’imputato e rinvia ex art. 622 cod. proc. pen. al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2015

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