Cassazione Penale, Sez. 4, 16 maggio 2016, n. 20129

Operazioni di travaso di preparati pericolosi e altamente infiammabili: sversamento di notevole quantità di vernice da una cisterna sospesa sulle forche di un carrello elevatore non antideflagrante.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza: 10/03/2016

Fatto

1. Il Tribunale di Alessandria affermava la responsabilità di S.G., Direttore Generale della divisione alluminio della Compagnia Italiana Alluminio s.p.a. e di F.L., Direttore Responsabile dello stabilimento di Spinetta Marengo, per l’omicidio colposo ai danni del dipendente I.A.M.M. e per le lesioni colpose subite dai dipendenti B.H., B.M. e B.C., e li condannava, in solido con il responsabile civile CO. s.p.a., al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese in favore delle parti civili – eredi dell’operaio deceduto, B.H., CGIL Camera del Lavoro di Alessandria e FIOM CGIL Provinciale di Alessandria – a ciascuna delle quali assegnava anche una provvisionale immediatamente esecutiva.
2. La Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia, riduceva le pene inflitte agli imputati, concedeva a entrambi il beneficio della non menzione della condanna (la sospensione condizionale era stata già disposta), revocava le statuizioni civili riguardanti le associazioni sindacali, e provvedeva in ordine alle ulteriori spese del grado.
3. Secondo i giudici di merito la morte dell’operaio era avvenuta durante le operazioni di travaso di preparati pericolosi e altamente infiammabili, effettuate nel reparto laccatura del citato stabilimento. Era accaduto che da una cisterna sospesa sulle forche di un carrello elevatore non antideflagrante era fuoriuscita una cospicua quantità di vernice per la rottura della valvola di scarico che andava collegata ad un tubo per il travaso; la vernice aveva investito prima l’I.A.M.M.  e poi gli altri dipendenti intervenuti in suo aiuto; a un certo punto, dopo che il B.H. si era allontanato perché completamente ricoperto di vernice, tutti gli altri avevano deciso di spostare il carrello con il suo carico per poter raccogliere l’ulteriore sversamento di vernice in altro contenitore poggiato a terra nelle vicinanze; questo movimento, data la presenza di vapori depositatisi a terra per lo spandimento della vernice, aveva innescato un incendio di grandi proporzioni dovuto alla presenza all’interno dello stabilimento anche di altre sostanze infiammabili; tutti gli operai avevano subito gravi ustioni e l’I.A.M.M., investito dalle fiamme sul 90% del corpo, non era riuscito a salvarsi.
4. Agli imputati veniva contestata una colpa generica e l’inosservanza della normativa prevenzionale, per aver consentito che tali pericolose operazioni di travaso avvenissero: senza una adeguata valutazione dei rischi conseguenti ad un eventuale sversamento dei preparati, altamente infiammabili; senza l’adozione di adeguate procedure da seguire in caso di notevoli sversamenti di prodotti, essendo stati gli operai dotati di semplici “kit di raccolta sversamenti”, costituiti da stracci e pochi chili di materiale assorbente, idonei ad arginare piccole perdite; senza il necessario impiego di carrelli elevatori antideflagranti, presenti nei diversi reparti in numero di appena due su otto; senza la predisposizione di adeguati processi lavorativi, l’adozione di idonee misure organizzative e di protezione collettiva, nonostante analoghi incidenti e incendi, sia pure di minore portata, verificatisi in passato.
5. Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
5.1. Con due distinti motivi il S.G. denuncia violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione e travisamento della prova. Deduce che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, il Piano di Emergenza Aziendale (PEA) redatto nel 2008 prevedeva esattamente il rischio derivante dallo sversamento di sostanze pericolose ed indicava puntualmente le condotte da tenere in quella circostanza, tra cui non avviare alcun motore e allontanarsi immediatamente dalla zona interessata. I giudici erroneamente avevano ritenuto inidoneo tale documento sul piano della previsione di rischio, in mancanza di adeguata descrizione della situazione in presenza della quale doveva essere adottata tale misura e di specificità di prescrizioni rispetto al rischio grande sversamento. Era invece evidente la differenza tra lo sversamento di pochi litri di sostanza, risolvibile attraverso l’utilizzo del kit in dotazione, e la copiosa fuoriuscita di sostanze pericolose che invece imponeva l’evacuazione immediata dell’area, condotta di cui i lavoratori erano stati informati e che, se attuata, avrebbe garantito la loro incolumità ed evitato ogni evento dannoso. Quanto alle lesioni subite dal B.H., il ricorrente evidenzia che non si trattò di ustioni termiche ma di ustioni di natura chimica provocate dal contatto con la vernice e dunque non erano conseguenza della violazione di norme antinfortunistiche oggetto di contestazione.
5.2. I ricorso del F.L. é affidato a due distinti motivi in cui deduce vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità e al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Osserva in particolare che la causa dell’innesco dell’incendio era stata individuata nell’uso di un carrello elevatore non antideflagrante (ATEX) mentre non era stata considerata come possibile altra causa dovuta allo sfregamento di parti metalliche (quali le forche del carrello elevatore contro la cisterna); inoltre era stata ritenuta insufficiente la presenza di solo due carrelli ATEX senza nulla dire se al momento del fatto fossero comunque disponibili e dunque doveva ascriversi a negligenza dei lavoratori il loro mancato utilizzo. Come ulteriore profilo di doglianza osserva che, sotto il profilo soggettivo, non poteva essergli attribuita alcuna violazione di norme antinfortunistiche dal momento che entrato nello stabilimento come direttore solo due mesi prima dell’evento. Infine, avendo la Corte ritenuto più grave la condotta del coimputato S.G., avrebbe dovuto operare un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
1. I ricorsi sono infondati e vanno respinti.
2. I giudici di merito – come si è detto – hanno individuato la causa del decesso e delle lesioni dei lavoratori nell’incendio divampato nel reparto laccatura e stampa dello stabilimento di Spinetta Marengo. Hanno accertato infatti che la valvola della cisterna da 1000 litri a cui l’I.A.M.M. aveva attaccato il raccordo si era dissaldata dalla sua sede facendo fuoriuscire la vernice che per l’elevata pressione era defluita velocemente; i vapori di butanone, presente in elevata quantità nella vernice fuoriuscita dalla cisterna, non essendo volatili ma più pesanti dell’aria, si erano diffusi lungo tutto il pavimento, creando intorno alla pozza di vernice un’atmosfera esplosiva. All’accensione del motore del carrello si era quindi sprigionata una scintilla che aveva incendiato la nube esplosiva causata dalla evaporazione del solvente contenuto nella vernice. Il muletto utilizzato per le operazioni di travaso della vernice non era, infatti, antideflagrante ed aveva fatto da innesco all’incendio. Lo S.pre.s.a.l. aveva pertanto individuato due cause che avevano determinato il divampare dell’incendio: la mancanza di istruzioni operative ai lavoratori su come affrontare i rischi dovuti ad uno sversamento di grandi proporzioni, derivante a sua volta da una inadeguata valutazione dei rischi, e l’uso di un muletto non antideflagrante. Il DVR, formato nel 2005 ed integrato da successive schede di prevenzione, non era dunque adeguato perché, pur prevedendo il rischio da sversamento di vernice nulla diceva in merito ai grandi sversamenti, manifestando così una evidente carenza sotto il profilo delle misure preventive da adottare. Anche dal punto di vista concreto lo S.pre.s.a.l. non aveva individuato misure tecnico-organizzative volte a limitare il rischio, non essendo presenti in azienda neanche i kit di raccolta di cui al documento sulla protezione e controllo delle esplosioni. All’interno dell’azienda era stata infatti rilevata solo la presenza di un piccolo bidone pieno di stracci e all’esterno un kit di raccolta formato da un copri tombino e pochi chilogrammi di carta assorbente, assolutamente non proporzionato in caso di necessità di raccogliere un notevole quantitativo di vernice. In relazione alla attività di formazione ed informazione era stato poi rilevato che la CO. aveva fatto un’attività formativa sul rischio incendio, mentre non vi era traccia di una formazione specifica relativa al pericolo concretamente verificatosi anche perché lo stesso non era stato adeguatamente previsto e valutato. Di qui la conclusione che l’incendio era divampato per una serie di omissioni e violazioni alla normativa di prevenzione, consistite nella non adeguata valutazione dei rischi da grandi sversamenti con conseguente predisposizione degli strumenti o delle procedure adeguate a contenerli e nell’utilizzo di carrelli non antideflagranti in un reparto a rischio incendio. Nella valutazione relativa al nesso causale i giudici di merito, all’esito del giudizio controfattuale, hanno poi ritenuto che le indicate condotte omissive erano state condizioni necessarie degli eventi lesivi “con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”, poiché le risultanze probatorie avevano dimostrato che ove il datore di lavoro e i dirigenti avessero esattamente individuato il rischio da grandi sversamenti connessi alla movimentazione delle cisterne, codificando le procedure da adottare, ed avessero inibito l’utilizzo di muletti antideflagranti, mettendone a disposizione un numero sufficiente alla attività produttiva, l’infortunio non si sarebbe verificato.
3. Con il primo motivo di ricorso il S.G. contesta tali conclusioni: lo sversamento di sostanze pericolose era infatti previsto nel Piano di Emergenza Aziendale (PEA) del 2008, che disciplinava anche la condotta che i lavoratori avrebbero dovuto adottare in tale eventualità, cioè non avviare alcun motore ed allontanarsi immediatamente dalla zona interessata; i kit erano “giustamente” insufficienti perché l’utilizzo di tali strumenti era previsto solo per ragioni di tutela ambientale e certamente non dovevano essere impiegati in caso di grande sversamento; vi era stata una accurata previsione del rischio ed una cospicua formazione dei lavoratori sulla corretta condotta da assumere nel caso di incidente del tipo di quello in esame; se fossero state osservate le disposizioni impartite l’evento non si sarebbe verificato.
3.1. La doglianza è destituita di fondamento.
L’aspetto più importante degli addebiti ruota intorno al documento di valutazione dei rischi ed al comportamento da tenersi da parte dei lavoratori in caso di grande sversamento di vernice.
La Corte territoriale, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, ha escluso la concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione e, per altro verso, ogni condotta incongrua del lavoratore: quest’ultima infatti – come più volte affermato da questa Corte Suprema (ex multis, Sez.Un., 24.4.2014, n. 38343, Espenhahn e altri) – può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento solo quando si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso, mentre nel caso di specie l’evento e la condotta omissiva che vi ha dato causa sono riconducibili proprio all’area di rischio tipica della prestazione lavorativa.
Il datore di lavoro ha dunque l’obbligo giuridico di analizzare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo – concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre ad aggiornamenti periodici il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.lgs.n.81/2008, all’interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (così Sez.Un.cit.). Lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l’essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (così, Sez.4, 13.12.2010, n. 43786, Cozzini). E ciò perché in tema di  prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l’evento lesivo deve essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell’omissione all’evento che si è concretamente verificato (Sez.4, 3.3.2010, n. 8622).
Facendo applicazione di tali principi di diritto, la Corte di Torino, richiamate le argomentazioni del giudice di prime cure, ha del tutto correttamente affermato che una adeguata valutazione del rischio deve prevedere il pericolo insito nella lavorazione o nell’ambiente di lavoro, non solo in modo generico, ma in relazione alla casistica concretamente verificabile, ed ha ritenuto che il documento di valutazione dei rischi adottato dalla CO. non rispettasse, in parte qua, il principio di specificità. La generica previsione di un rischio incendio collegato a fuoriuscite di vernice, senza distinguere tra una modesta fuoriuscita o uno sversamento importante, non assolveva al richiamato obbligo di specificità perché non consentiva di adottare le misure preventive conseguenti né di formare adeguatamente i lavoratori a riconoscere le situazioni di pericolo per la loro sicurezza. Nella specie, lo S.pre.s.a.l., concordemente allo stesso consulente della difesa, aveva ritenuto che l’unica misura adeguata da adottare al fine di evitare i pericoli insiti in un grande sversamento era la previsione di una particolare procedura comportamentale articolata in più fasi: contenere il dilagare della sostanza, allontanarsi dalla zona pericolosa, evitare qualsiasi tipo di innesco ed allertare il responsabile per la sicurezza. Di tale procedura non vi era traccia alcuna e sul punto, il caposquadra B.C., aveva riferito che non era mai stato istruito su come affrontare sversamenti di proporzioni simili a quello accaduto e che non sapeva come comportarsi.
La difesa, anche nell’atto di appello, aveva sostenuto che al difetto di specificità del DVR avevano sopperito le previsioni del PEA del settembre 2008. La Corte d’Appello, nel disattendere tale motivo di gravame, riproposto in questa sede, ha ritenuto, con motivazione convincente, generiche anche tali previsioni. Ha evidenziato infatti che il PEA prevedeva che chiunque avesse rilevato la fuoriuscita di sostanze pericolose avrebbe dovuto avvertire il responsabile ed evitare di tenere una serie di comportamenti che potessero fungere da innesco. Tale Piano però, non essendo volto ad analizzare i rischi insiti nelle lavorazioni, indicava solo a grandi linee le situazioni concrete in presenza delle quali, per tutti i lavoratori, scattava la procedura di emergenza (quali la rottura di una tubazione o l’avaria di una valvola) ma non prendeva in considerazione la situazione nella quale si verificava il rischio per il lavoratore intento a svolgere una determinata mansione, consentendogli così di riconoscere il pericolo a cui era esposto (i giudici di merito hanno anzi sul punto evidenziato il paradosso dovuto al fatto che non solo nessuna formazione specifica era stata predisposta ed attuata nei confronti dei lavoratori per i grandi sversamenti, poiché il detto rischio non era stato oggetto di specifica previsione, ma venivano addirittura applicate sanzioni disciplinari nel caso che la vernice tracimasse dai bidoni e non venisse prontamente recuperata). Anche nell’opuscolo informativo relativo al rischio incendio ed esplosione mancava la indicazione della casistica dei pericoli connessi alle diverse fasi di lavorazione e la conseguente procedura di comportamento: tutti i documenti di prevenzione erano stati predisposti ipotizzando un rischio da sversamento medio, pari a 50-100 litri di vernice, e mai era stato preso in considerazione lo sversamento dalla cisterna di 1000 litri.
Alla luce di tali risultanze probatorie la Corte territoriale ha pertanto con motivazione del tutto congrua ritenuto che il rischio da grande sversamento non fosse mai stato valutato.
4. Con il secondo motivo di gravame il ricorrente S.G. si duole dell’affermazione di responsabilità in relazione al reato di lesioni colpose subite da B.H.: l’operaio non fu raggiunto dalle fiamme ma riportò lesioni dovute al contatto con la vernice, non derivate cioè dalla condotta in violazione delle norme antinfortunistiche contestata all’imputato.
4.1. Anche questa doglianza non ha fondamento: le lesioni subite dal B.H. sono state del tutto correttamente ascritte alla condotta omissiva dell’imputato poiché tale evento lesivo si era verificato nell’ambito dell’area di rischio dei grandi sversamenti, in alcun modo prevista e governata. Nessun operaio – per quanto sin qui esposto – era stato informato e formato sul comportamento da tenere in caso di uno sversamento di notevole quantità di vernice e ciò ha fatto sì che il B.H., nell’inutile tentativo di contenere la cospicua perdita della sostanza ustionante, rimanesse sul posto continuando ad essere investito dalla vernice che fuoriusciva, fino ad esserne completamente ricoperto.
Sul punto appare adeguata la motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la causalità della colpa del S.G. rispetto ad entrambi gli eventi, mortale e lesivo, occorsi ai due lavoratori, ritenendo in particolare non distinguibili, nei termini e conseguenze scagionanti che da parte difensiva se ne vorrebbe trarre, le riportate ustioni di natura chimica da quelle termiche.
5. Il primo motivo di ricorso del F.L. prospetta il vizio motivazionale sotto tre profili.
5.1. Innanzi tutto la ricostruzione dei fatti in ordine alla causa dell’innesco dell’incendio. Il ricorrente censura l’argomentazione del giudice di primo grado, secondo il quale non era stato adottato un numero sufficiente di carrelli antideflagranti (ATEX) in un ambiente di lavoro in cui vi era un pericolo elevato di incendio ed esplosione in conseguenza dell’utilizzo di vernici e solventi, materiali altamente infiammabili: per tale ragione, secondo il Tribunale, la causa dell’evento risiedeva senza dubbio nell’utilizzo di un carrello non antideflagrante, sia che si fosse sprigionata una scintilla dal motore, sia che vi fosse stato uno sfregamento delle forche non protette dalla plastica (caratteristica invece dei carrelli ATEX). La Corte d’Appello, investita di specifico motivo di impugnazione sul punto, aveva omesso di valutare la possibilità di una ipotesi alternativa, indicata anche dai tecnici dello S.pre.s.a.l., dovuta allo sfregamento delle varie parti metalliche (delle forche del carrello, delle punte del carrello elevatore, della cisterna di sopra, delle cisterna di sotto), che potevano aver prodotto una scintilla che aveva innescato l’incendio.
La censura è infondata.
Va ribadito, come da costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, che in tema di motivi di ricorso per cassazione non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono “inammissibili” tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (così Sez.6, 31.3.2015, n.13809).
Si osserva ancora che sulla connotazione del vizio di cui all’art. 606 comma 1, lett.e) c.p.p. si è più volte soffermata questa Suprema Corte a Sezioni Unite, con pronunce che sono state successivamente confermate in maniera univoca. Può pertanto dirsi costante la interpretazione della norma nel senso che “la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica” (Sez. Un., 22.10.1996, n.16); ed ancora “il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.e) legittima il ricorso per cassazione, deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, il che vuol dire, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare, in tale sede, che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità” (Sez.Un., 14.12.1995, n. 30).
Contrariamente all’assunto del ricorrente, i giudici di merito hanno, con motivazione del tutto congrua e logica, individuato la causa dell’Incendio nell’uso di un carrello non ATEX. In primo luogo hanno correttamente rilevato che la misura preventiva prevista in CO. per evitare il rischio incendio era proprio quella di utilizzare dei muletti antideflagranti per tutte le lavorazioni in cui era presente un pericolo di sversamento o di evaporazione del solvente della vernice. I muletti di tale tipo erano
infatti costruiti con caratteristiche tecniche tali da non consentire lo sprigionarsi di scintille, sia dal motore, sia dalla frizione delle forche, tutte rivestite in modo tale da impedire l’innesco di un eventuale incendio in presenza di materiale esplosivo. Il DVR indicava poi in numero di tre i settori in cui dovevano essere obbligatoriamente usati i muletti antideflagranti, tra cui il reparto stampa, ove appunto si è verificato l’incendio per cui è processo. Ciò posto, la Corte di Torino ha dato puntuale risposta al motivo di gravame in cui era stata prospettata una “causa alternativa” dell’innesco, indipendente dall’uso di un carrello non ATEX, affermando – in base alle conclusioni dello S.pre.s.a.l. e delle deposizioni dei testi oculari assunti in dibattimento – che si trattava di un particolare ininfluente rispetto alla dinamica del sinistro, essendo pacifico che l’innesco era comunque partito dal carrello e che nella specie l’utilizzo di un carrello ATEX non avrebbe prodotto scintille né dal motore né dalle forche, in quanto completamente rivestiti di materiale isolante.
5.2. Nell’ambito dello stesso motivo di ricorso, l’imputato contesta ancora l’accertamento della mancata disponibilità di carrelli elevatori ATEX al momento del fatto; sostiene che di tale circostanza non era stata offerta alcuna prova e che invece il carrello antideflagrante era disponibile e solo per negligenza dei lavoratori non era stato utilizzato.
Anche in relazione a tale deduzione difensiva il ragionamento della Corte d’Appello è rigoroso e puntuale. Nella impugnata sentenza infatti si da atto che nonostante il rischio esplosione nel reparto stampa e laccatura, lo S.pre.s.a.l. aveva accertato che venivano utilizzati indifferentemente muletti antideflagranti e non, tra l’altro non agevolmente identificabili perché del medesimo colore, e che al momento del sinistro in CO. vi erano solo due carrelli ATEX, di cui uno in carica e l’altro usato in cucina colori ove pure si era verificato uno sversamento. Le fotografie che mostravano un muletto ATEX vicino alla linea A21 dove era scoppiato l’incendio rappresentavano una situazione diversa rispetto allo scenario antecedente l’infortunio, poiché dalle univoche dichiarazioni dei testi presenti – di cui la Corte riferisce con espresso richiamo alla sentenza di primo grado – era emerso che tale carrello era stato portato dopo lo scoppio dell’incendio. La oggettiva mancata disponibilità di un carrello di tal genere rendeva quindi destituita di ogni fondamento l’ipotesi di un’eventuale negligenza dell’I.A.M.M. nell’aver utilizzato un carrello non antideflagrante pur avendone a disposizione uno conforme alla normativa di sicurezza. Inoltre, la previsione di soli due muletti nonostante tre individuate zone ed
attività critiche (cucina colori, reparto stampa e trasporto delle cisterne) rendeva intuitivo che necessariamente, a rotazione, uno dei reparti ne rimanesse privo, come avvenuto proprio nel caso di specie.
5.3. Un terzo profilo di doglianza attiene alla attribuibilità della condotta sotto l’aspetto soggettivo: i giudici di merito non avevano considerato che il F.L. aveva fatto ingresso nello stabilimento come direttore solo nell’aprile 2009, due mesi prima dell’evento, e dunque nessuna condotta diversa da quella tenuta era da lui esigibile.
Anche sotto questo aspetto la censura è infondata.
Il F.L. era stato nominato direttore dello stabilimento di Spinetta Marengo in data 1.1.2009; in data 16 gennaio gli era stata conferita dal S.G. la delega in materia di sicurezza e, in particolare, il potere di assumere tutte le misure necessarie per il rispetto della normativa sulla sicurezza (così la delega notarile richiamata dal Tribunale). Non era poi emerso alcun problema di effettività della delega, disponendo il F.L. di un budget che poteva utilizzare autonomamente. Del tutto corretto pertanto il rilievo dei giudici di merito che rientrasse tra i suoi poteri quello di mettere a disposizione dei lavoratori muletti antideflagranti in misura sufficiente per la tutela della loro salute, con la conseguenza che era a lui addebitabile la relativa violazione della normativa antinfortunistica, per l’errore di valutazione circa la sufficienza di soli due carrelli antideflagranti per sopperire alla esigenza dei tre reparti di cui si è già detto. Egli inoltre, come pure ben sottolineato nella pronuncia di condanna, era pienamente consapevole dei pericoli insiti nelle lavorazioni, per essere stato preavvertito dai rappresentanti sindacali dei lavoratori che sovente si verificavano incidenti fonte di pericolo per gli operai, in particolare precedenti incendi, tanto che era stato più volte sollecitato a prestare attenzione alle tematiche della sicurezza sul lavoro.
6. In relazione al secondo motivo di ricorso, con cui il F.L. si duole di un mero giudizio di equivalenza e non di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante, si osserva che il giudizio di equivalenza è stato adeguatamente motivato dalla Corte d’Appello in considerazione della descritta gravità del fatto e degli addebiti di colpa, con ragionamento niente affatto apodittico, come sostenuto dal ricorrente, ma frutto di analisi della situazione concreta.
7. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché in solido tra loro e con il responsabile civile CO. S.p.a. alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento delle spese processuali, per questo giudizio di legittimità, in solido
anche con il responsabile civile CO. S.p.a., nei confronti delle parti civili, che liquida come segue:
– 2.500,00 euro, oltre accessori come per legge, in favore di B.H.;
– complessivi 4.000,00 euro in favore di I.A.M. nato il …, I.A.M. nato il …, N.F. anche quale esercente la potestà sulla figlia I.A.H.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 marzo 2016

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