Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2015, n. 49817

Lavoratore precipita all’interno del vano scala privo di protezione. Responsabilità in regime di subappalto.


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 24/11/2015

Fatto

1. – Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina in data 3 aprile 2013, dichiarava non doversi procedere in relazione al reato ascritto al capo B della rubrica a S.M. ed A.E. ex art. 68 D.P.R. 164/1956 (oggi art. 146 del D.Lgs. n. 81/2008), perché estinto per maturata prescrizione; confermava la condanna inflitta in prime cure agli imputati in relazione all’art. 590, commi 1, 2 e 3 c.p., rideterminando la pena secondo giustizia, rigettando l’appello incidentale della parte civile C.V., condannando gli imputati in solido alla rifusione delle spese di giudizio alla parte civile INAIL e compensando le spese processuali tra gli imputati e la parte civile C.V..
L’episodio per cui è processo, verificatosi il 22 marzo del 2007, riguarda un infortunio occorso a C.V., dipendente della Edilart di S.M., ditta individuale che operava in regime di subappalto affidato dalla A.Paolo Costruzioni S.r.l., di cui l’imputato A.E. era legale rappresentante. Il C.V., all’interno del cantiere edile ove si svolgevano i lavori appaltati, operava per realizzare un massetto in conglomerato cementizio a bordo di un vano scala privo di protezioni e precipitava all’Interno del detto vano scala, raggiungendo il piano cantinato e riportando frattura DII – D 12 – paraplegia esito da trauma vertebro-midollare, lesioni a carattere permanente. Agli imputati, nella rispettiva qualità, veniva contestato di non aver verificato le condizioni di sicurezza del cantiere, con riferimento all’assenza delle necessarie protezioni (ossia di un parapetto) presso il detto vano-scala.
2. – Avverso la sentenza di cui in epigrafe ricorrono ambedue gli imputati.
3. – A.P., a mezzo del suo difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza de qua articolando un unico motivo di ricorso, con il quale vengono lamentate la mancanza e manifesta illogicità della motivazione e la violazione di legge in relazione all’art. 590 c.p.; in specie, si duole il ricorrente che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente motivato in ordine al fatto che l’A.E., quale titolare della ditta subappaltante, non aveva assunto alcuna posizione di garanzia tale da poter integrare la responsabilità del committente in relazione all’infortunio per cui è processo, occorso a un dipendente della ditta subappaltatrice (ossia quella dello S.M.). Lamenta il ricorrente che sul cantiere, il giorno dell’incidente, vi erano solo due dipendenti di quest’ultima ditta, e che nessun tipo di apporto né di presenza era previsto per i dipendenti della ditta dell’A.E.; e che, sebbene i dipendenti di quest’ultima ditta avessero predisposto in occasione di precedenti lavorazioni le protezioni del vano-scala, le stesse sarebbero state arbitrariamente e inopinatamente rimosse dai dipendenti della Edilart, all’insaputa dell’A.E.; dunque il comportamento di costoro sarebbe stato per lui del tutto imprevedibile. Si duole inoltre l’A.E. della mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, con riferimento al fatto che la pronunzia impugnata si fonda su ragioni ulteriori dalle quali poteva desumersi una presunta assunzione della posizione di garanzia da parte del ricorrente.
4. – Il ricorso presentato da S.M. Eugenio per il tramite del suo difensore si articola invece in quattro motivi.
4.1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della legge processuale con riferimento al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento, avendo la Corte di merito ritenuto non indispensabile l’esame di LV.S. e della moglie del C.V.: ambedue avrebbero dovuto riferire che la persona offesa, il giorno prima dell’incidente, aveva battuto il capo sotto il tetto di una mansarda in cantiere e che per questo motivo aveva manifestato l’intenzione di non recarsi al lavoro, ma di questo nulla disse al datore di lavoro. Secondo il ricorrente, si sarebbe trattato di prova decisiva e perciò il rigetto di tali mezzi di prova avrebbe inficiato la decisione della Corte territoriale.
4.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata, nella parte in cui essa afferma che la condotta dello S.M. fu improntata a grave negligenza e imperizia senza tenere conto del fatto che il C.V. era stato assunto come manovale, che il giorno dell’incidente era presente LV.S., operaio con qualifica superiore, e che i compiti del C.V. erano limitati ad assistere il LV.S. nell’attività in corso di svolgimento al momento del sinistro. Inoltre il LV.S. aveva fra l’altro dichiarato, in sede di istruttoria, di avere rimosso il parapetto -ivi posizionato dalla Ditta A.- di sua iniziativa, senza ricevere in tal senso disposizioni dai superiori, e di non ricordare se in ciò lo avesse aiutato il C.V.: ciò, ad avviso del ricorrente, comprova che il vano scala era in realtà dotato delle necessarie protezioni e che era stato il comportamento assunto di propria iniziativa dal DV. a introdurre un necessario elemento causale nel prodursi dell’evento; né allo S.M. è ascrivibile la mancata verifica delle condizioni di sicurezza, essendo stato comprovato che egli aveva predisposto regolarmente il Piano di Sicurezza e Coordinamento. Perciò difettano, secondo il ricorrente, le condizioni di prevedibilità dell’evento -dovuto alla rimozione del preesistente parapetto all’insaputa dello S.M.- e il comportamento dei dipendenti nell’occorso sarebbe stato improntato ad abnormità, sconsideratezza e imprevedibilità. Di ciò però la Corte di merito, lamenta il ricorrente, non ha fornito spiegazione logicamente sufficiente, ma ha articolato una motivazione basata su mere congetture.
4.3. – Con il terzo motivo, si duole il ricorrente della carenza di motivazione della sentenza impugnata in merito alla richiesta subordinata di concorso di colpa, per il cui approfondimento sarebbe stato necessario che la Corte territoriale, accogliendo la richiesta difensiva, avesse disposto la rinnovazione del dibattimento escutendo la moglie del C.V. e il LV.S., onde esaminare il comportamento della persona offesa, la quale non è stata in grado di ricostruire in dibattimento la dinamica dei fatti.
4.4. – Con il quarto e ultimo motivo, il ricorrente chiede dichiararsi il reato sub A) estinto per maturata prescrizione, essendo stato lo stesso commesso il 22 marzo 2007 ed essendo a tal fine ininfluenti i periodi di sospensione del processo.
5. – Si è costituita in giudizio, depositando memoria, la parte civile INAIL in persona del suo rappresentante prò tempore e per il tramite del difensore e procuratore speciale avv. S., la quale ha rinunciato alla costituzione di parte civile nei confronti dell’imputato A.E., avendo questi soddisfatto le pretese risarcitone dell’INAIL, insistendo di converso nelle richieste avanzate nei confronti dell’imputato S.M.. Nella memoria depositata in atti l’INAIL contesta analiticamente i motivi articolati dal ricorrente S.M., chiedendone il rigetto e postulando la conferma della civile responsabilità dell’imputato suddetto condannandolo alla rifusione delle spese di giudizio, come da notula allegata.

Diritto

6. – Iniziando dall’unico motivo di ricorso formulato dall’A.E., esso è infondato e immeritevole di accoglimento.
La Corte di merito ha fornito ampia motivazione della sussistenza, in capo all’A.E., quale titolare della ditta subappaltante, della posizione di garanzia concorrente con quella del titolare della ditta subappaltatrice (quella dello S.M.) da cui il C.V. dipendeva, posizione discendente dal dovere di vigilanza che nella specie si assume violato da parte dell’A.E. (trattandosi di omissione di cautele immediatamente percepibile, come quella della rimozione del parapetto presso il vano scale).
Sul punto va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore (Cass. Sez. 4, n. 1490 del 20/11/2009 – dep. 14/01/2010, Fumagalli e altri, Rv. 246302; in senso sostanzialmente conforme si veda altresì Cass. Sez. 4, n. 5977 del 15/12/2005 – dep. 16/02/2006, Chimenti, Rv. 233246, secondo cui è configurabile una esclusione di responsabilità dell’appaltatore solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore, non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere).
Nella specie, sulla base di quanto dedotto nell’impugnata sentenza, è evidente che l’A.E. non poteva dirsi esonerato dagli obblighi di garanzia in materia di prevenzione degli infortuni, atteso che egli, per il fatto stesso di avere apposto il parapetto a protezione del vano scale (circostanza emersa pacificamente, di cui la pronunzia impugnata dà conto), non poteva certo dirsi estromesso dall’organizzazione del cantiere; e che perciò stesso egli era tenuto, congiuntamente al subappaltatore, a vigilare sul mantenimento delle cautele da lui stesso apposte, e comunque dall’impartire disposizioni al riguardo, condotte che il ricorrente non risulta aver tenuto.
Il fatto che il parapetto sia stato rimosso da un dipendente della ditta subappaltatrice (ossia il teste LV.S.) all’insaputa dell’A.E. non esonera comunque quest’ultimo da responsabilità, proprio in forza dei sopra richiamati principi e, quindi, del generale dovere di vigilanza in funzione prevenzionistica gravante sul medesimo nella sua qualità di soggetto titolare della ditta subappaltante, che in tale veste aveva apposto il parapetto poi rimosso: il fatto stesso che egli avesse provveduto in tal senso depone per una sua ingerenza nei lavori subappaltati anche a fini antinfortunistici, con la conseguenza che egli, pur a seguito del subappalto dei lavori ad altra ditta, non aveva perso la sua posizione di garanzia quale soggetto che aveva il potere di ingerenza in detti lavori, quanto meno sotto il profilo della prevenzione degli infortuni e della sicurezza sul lavoro, e aveva perciò sia la possibilità in concreto, sia l’obbligo di esercitare al riguardo la dovuta vigilanza.
Alcun fondamento è poi da riconoscersi alla dedotta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sul piano delle contestazioni mosse all’A.E. quale titolare della posizione di garanzia: l’argomento, sviluppato in modo affatto generico nel ricorso, era stato già oggetto di doglianza in sede di appello, e la Corte di merito aveva precisato che non vi era stata alcuna violazione del diritto di difesa, in quanto, nell’editto imputativo, all’A.E. è specificamente attribuita la qualità di datore di lavoro nella sua posizione di subappaltante dell’Impresa da cui il C.V. dipendeva.
7. – Quanto invece al ricorso dello S.M., il primo e il terzo motivo – ambedue riferiti al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante escussione della moglie del C.V. e del teste LV.S., sebbene riferiti ai due diversi profili della mancata assunzione di una prova decisiva e della carenza di motivazione del provvedimento di rigetto della richiesta- possono essere trattati congiuntamente.
Sul piano del difetto di motivazione, la censura è infondata. Correttamente la Corte di merito ha osservato che non vi fossero gli estremi per ritenere che le prove non assunte -riferibili al fatto che il C.V. avesse il giorno prima dell’infortunio battuto la testa e manifestato l’intenzione di non recarsi a lavorare il giorno successivo, senza di ciò far parola con il datore di lavoro- fossero essenziali ai fini del nesso di causalità: indipendentemente dalla veridicità o meno della circostanza, ha condivisibilmente osservato la Corte territoriale, anche un eventuale malore del C.V. nell’occorso, tale da provocarne la caduta, non farebbe venir meno l’elemento causale costituito dalla mancanza di protezioni sul vano scale.
Sul piano della violazione della legge processuale, conseguentemente, la censura è parimenti infondata, proprio perché riferita dalla stessa Corte di merito a una richiesta di prove non decisive: è appena il caso di rammentare che, secondo questa Corte, ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’alt. 606 lett. d) cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass. Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014 – dep. 12/02/2014, Di Meglio, Rv. 259323).
7.1. – Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è a sua volta privo di fondamento.
La circostanza, emersa pacificamente nel giudizio di merito, in base alla quale erano presenti dei parapetti a protezione del vano scale, ivi apposti dalla ditta dell’imputato A.E., non esonerava lo S.M. dai suoi doveri di vigilanza, tanto più che il testimone che aveva riferito di avere rimosso le dette protezioni (ossia il LV.S., anch’egli dipendente della ditta dello S.M.) ha precisato -e di ciò si dà specificamente conto nella sentenza impugnata- che tale prassi costituiva una tipica modalità di lavoro, attuata anche in precedenza; e che lo S.M. non aveva mai dato indicazioni in ordine alle precauzioni da adottare nell’esecuzione del lavoro a ridosso del vano scale. Ciò, secondo la Corte di merito, fa emergere la grave negligenza e imperizia dello S.M., il quale, se avesse convenientemente esercitato i suoi doveri di vigilanza, ben poteva accorgersi della rimozione delle protezioni a ridosso del vano scale; e oltretutto proprio il fatto che fosse prassi già precedentemente adottata in più occasioni, da parte dei dipendenti dello S.M., quella di rimuovere analoghe protezioni rende la condotta del dipendente tutt’altro che imprevedibile, abnorme ed eccezionale. A ciò si aggiunga, prosegue l’impugnata sentenza, che la persona offesa C.V. era stato assunto da poco tempo, come semplice manovale, e non aveva mai ricevuto alcuna formazione o informazione in tema di sicurezza.
Sul punto, si richiama il principio in base al quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (si veda al riguardo Cass. Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004 – dep. 22/04/2004, Policarpo, Rv. 228344; in senso analogo Cass. Sez. 4, Sentenza n. 17491 del 16/11/1989; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 13858 del 24/02/2015).
7.2. – Resta da esaminare il quarto e ultimo motivo di ricorso dello S.M., riferito al decorso del termine di prescrizione.
Il motivo è, in questo caso, fondato.
Deve, invero, rilevarsi che in data 22/09/2014 e, dunque, successivamente alla deliberazione della sentenza di appello, è maturato il termine di prescrizione per il residuo reato ascritto agli imputati (termine determinato nel massimo, in relazione alla pena edittale stabilita per il reato contestato, in anni 7 e mesi 6, e dunque spirato in data 22.09.2014, senza che a tale termine vadano aggiunti ulteriori periodi, in difetto di cause sospensive rilevabili dal fascicolo processuale): poiché, qualora non tutti i motivi di ricorso per cassazione siano inammissibili, sono rilevabili di ufficio le questioni inerenti all’applicazione della declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p., comma 1, che non comportino la necessità di accertamenti in fatto o di valutazioni di merito incompatibili con i limiti del giudizio di legittimità (Sez. Un., n. 8413 del 20/12/2007 – dep. 26/02/2008, Rv. 238467), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione.
Va invece disposto il rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, con esclusivo riferimento agli effetti civili e limitatamente alla posizione di S.M., nei cui confronti la parte civile INAIL non ha rinunciato alle richieste risarcitorie; al detto giudice del rinvio va altresì rimesso il regolamento delle spese tra le parti del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione; rinvia ai soli effetti civili al giudice civile competente per valore in grado di appello, limitatamente alla posizione di S.M., cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 24.11.2015

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