Cassazione Penale, Sez. 4, 17 luglio 2015, n. 31223

Infortunio mortale in galleria durante la manovra di una macchina escavatrice. Posizioni di garanzia e responsabilità.

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 17/02/2015

Fatto

1. Con l’impugnata sentenza resa in data 16 dicembre 2013 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Como, sezione di Menaggio, appellata dal PM presso il Tribunale di Como in data 30 novembre 2011, dichiarava – per quanto rileva in questa sede – gli imputati E.G., C.M., S.G., C.A., A.A. e B.D., tutti mandati assolti con formula ampia dal giudice di prime cure, che aveva escluso il nesso di causalità tra le omissioni contestate e l’evento in virtù della attribuibilità dell’incidente ad un’iniziativa imprevedibile ed imprudente della vittima, responsabili del reato loro ascritto e, concesse a tutti le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, condannava ciascuno alla pena di mesi otto di reclusione con i doppi benefici di legge.
Gli imputati erano stato tratti a giudizio per rispondere in concorso con R.P., non ricorrente in questa sede e con B.G., definitivamente assolto per non aver commesso il fatto, del delitto previsto e punito dagli artt. 113 e 589, comma 1 e comma 2 in danno di F.G., lavoratore addetto alla realizzazione di una galleria sulla S.S. n. 340 in località Pasturo di Menaggio, affidati in appalto dall’ANAS alla T. COSTRUZIONI GENERALI S.p.A. In particolare le condotte contestate, caratterizzate da negligenza, imprudenza e violazione di specifiche norme di legge consistevano:
• quanto all’E.G., procuratore speciale della T. S.p.A., espressamente investito – degli obblighi spettanti al datore di lavoro in materia (fra l’altro) di rispetto della normativa antinfortunistica e quanto al C.M., coordinatore di cantiere relativo a quei lavori per conto della stessa T., nell’omettere di verificare che l’impresa ottemperasse a quanto previsto nel Piano di sicurezza e coordinamento del cantiere in ordine all’installazione di un adeguato impianto di illuminazione nell’edificanda galleria ed all’adozione di misure organizzative necessarie per prevenire il passaggio di lavoratori nell’area di manovra delle macchine escavatrici;
• quanto al S.G., responsabile per conto dell’ANAS del procedimento relativo ai lavori in argomento, nell’omettere a sua volta di verificare il rispetto degli adempimenti suddetti da parte dei dirigenti e preposti della T. S.p.A;
• quanto al C.A. ed all’A.A., preposti dalla T. S.p.A. alla concreta organizzazione ed esecuzione dei lavori ridetti, nelle rispettive qualità di direttore di cantiere e di capo cantiere e quanto al B.D., responsabile per conto della stessa T. del Servizio di Prevenzione e Protezione del cantiere, nel trascurare di sollecitare all’impresa l’installazione di un adeguato impianto di illuminazione nell’edificanda galleria e nell’omettere di impartire ai dipendenti interessati le necessarie istruzioni per prevenire il passaggio dei lavoratori nell’area di manovra delle macchine escavatrici.
Con la conseguenza che nel corso della sessione dei lavori di scavo operata con la suddetta macchina, sia a causa della insufficiente illuminazione, sia per effetto della mancata adozione delle misure volte a prevenire l’interferenza tra le manovre della macchina stessa e le operazioni svolte dal personale appiedato, R.P., nell’impiego della macchina escavatrice New Holland E305, non si avvedeva della presenza di F.G. – incaricato di verificare il costante rispetto della prevista profondità di scavo, nonché il corretto funzionamento della pompa idraulica per il drenaggio delle acque presenti in loco- nell’area di manovra dell’escavatrice (non avendo raggiunto un’adeguata distanza dall’area di manovra della macchina) lo investiva con la torretta di rotazione del mezzo all’altezza del bacino, schiacciandolo violentemente contro la parete della galleria e provocandogli gravissime lesioni che ne determinavano l’immediato decesso.
Avverso tale decisione ricorrono a mezzo dei rispettivi difensori:
2.1 C.M. lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) per contraddittorietà della motivazione per aver la Corte territoriale, riformando la sentenza di assoluzione del giudice di primo grado, affermato la penale responsabilità degli imputati, pur riconoscendo che l’attività svolta dal lavoratore deceduto non rientrava nella successione normale dei gesti strettamente necessari per eseguire la mansione, (si deduce in particolare l’assoluta imprevedibilità del gesto operato dal F.G. che avrebbe dovuto agire solo nella parte antistante il mezzo condotto dal R.P.)
2.2 S.M. lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) e la mancanza ovvero manifesta illogicità della motivazione in merito alla corretta interpretazione ed applicazione della figura del Responsabile del Procedimento/Responsabile dei lavori. Deduce l’insussistenza in capo ad esso ricorrente di competenze specifiche in materia di sicurezza che avevano determinato lo stesso alla designazione del Coordinatore per la sicurezza (C.M.) vigilando circa il corretto adempimento da parte di quest’ultimo dei propri doveri
2.3 E.G., C.A., A.A. e B.D. con ricorso congiunto a mezzo dell’avvocato Omissis lamentano con un primo motivo la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge in ordine alla affermazione di penale responsabilità. Richiamano le motivazioni del giudice di prime cure che aveva mandato assolta tutti gli imputati e sostengono che la Corte territoriale avrebbe seguito un percorso argomentativo autonomo del tutto svincolato dalla sentenza impugnata, pervenendo in maniera acritica a ribaltare il giudizio del Tribunale e omettendo di prendere in considerazione le argomentazioni difensive sviluppate dagli imputati nella memoria presentata in sede di appello in ordine alla piena conformità alla normativa dell’organizzazione interna alla galleria e come sia il Piano di Sicurezza e Coordinamento che il POS prevedessero espressamente il divieto di muoversi e sostare in prossimità dei mezzi in movimento ed al comportamento abnorme della vittima che si era posto, per motivi ignoti, e comunque sicuramente estranei alle mansioni attribuitegli nel raggio di azione della macchina; il mancato avvistamento del F.G. – comunque nascosto dalla sagoma dell’escavatore- era quindi dipeso soltanto dalla sua imprevedibile condotta e non alla insufficiente illuminazione.
Con un secondo motivo deducono la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge in ordine alla affermazione di penale responsabilità con riferimento al rapporto di causalità ed alla rimproverabilità per colpa. Ribadiscono il carattere abnorme della condotta del F.G., causa da sola sufficiente a determinare l’evento e non assolutamente prevedibile da parte degli imputati. La Corte avrebbe inoltre omesso di verificare che anche qualora la condotta doverosa omessa fosse stata tenuta questa non avrebbe certo evitato il verificarsi dell’evento; da un lato il mancato avvistamento del F.G. non era riconducibile alla scarsa illuminazione , dall’altro vi era stata informazione ai lavoratori; la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge in ordine alla affermazione di penale responsabilità con riferimento alla ritenuta invalidità delle deleghe (E.G. – C.A.) per mancanza dei requisiti di efficacia ed in particolare dell’autonomia di spesa. Sostengono il travisamento della prova sul punto, essendo stata prevista espressamente ampia autonomia di spesa nella delega. Deducono ancora quanto alla posizione di garanzia del B.D., (responsabile del servizio di prevenzione e protezione) che trattavasi di mero consulente. Contestano altresì la ritenuta posizione di garanzia anche con riferimento alle posizioni del preposto dalla T. quale direttore di cantiere e dell’ A.A. capo cantiere.

Diritto

3. La dinamica dell’infortunio è indicata nel surriportato capo di imputazione.
La ricostruzione delle modalità dell’incidente e le cause dello stesso non sono peraltro state sostanzialmente contestate dagli imputati, che, nei rispettivi ricorsi denunciano vizi motivazionali e violazioni di legge sotto diversi profili, ovvero si attribuiscono l’un l’altro le responsabilità dell’accaduto
La sentenza impugnata, dopo aver escluso, come già ricordato, per tutti gli imputati la ritenuta (dal primo giudice) interruzione del nesso di causalità tra le contestate omissioni e l’evento, ha affermato la penale responsabilità dell’E.G. ritenendo non valida la delega notarile conferita al direttore di cantiere C.A. ad esonerare il delegante dalla supervisione del lavoro svolto dal delegato, per insussistenza dei requisiti prescritti, in particolare la piena autonomia di spesa.
In sede di gravame l’E.G. ha dedotto a riguardo un palese travisamento della prova in quanto nella procura conferita all’E.G. vi era un’espressa ed in equivoca attribuzione di piena autonomia di spesa.
Il motivo è fondato ed assorbente. L’E.G. ha infatti nuovamente prodotto in questa sede la procura speciale conferita al C.A. con atto notarile in forza della quale a quest’ultimo è delegata in piena autonomia decisionale e di spesa, la direzione del cantiere a tutti gli effetti legali con ogni facoltà e potere per l’adozione di tutti i provvedimenti necessari in materia di prevenzione infortuni, obblighi previdenziali ed assicurativi, prendendo ogni iniziativa e adottando ogni opportuno provvedimento per evitare il verificarsi di infortuni e danni in genere sia a persone che a cose, dovendosi ritenere il detto procuratore personalmente responsabile. Come precisato da questa Corte, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108 ), elementi tutti che ricorrono nel caso di specie.
Conseguentemente la gravata sentenza va annullata senza rinvio nei confronti di E.G. per non aver commesso il fatto, non essendo peraltro ravvisabili in ragione di quanto sopra osservato profili di approfondimento da demandare al giudice di merito.
Quanto alla posizione del B.D., la corte territoriale ne ha ritenuto la penale responsabilità in relazione al ruolo rivestito, per conto della T., di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, compito per il quale veniva remunerato e, come tale, titolare di un ruolo di garanzia che concorreva con quello degli altri responsabili.
Osserva la Corte; la figura in questione, come chiarito da questa Corte (cfr. SS.UU. n. 38343, cit; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094) svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: essa, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze.
Tale figura non è destinataria in prima persona di obblighi sanzionati penalmente; e svolge un ruolo non operativo, ma di mera consulenza. L’argomento non è tuttavia di per sé decisivo ai fini dell’esonero dalla responsabilità penale. In realtà, l’assenza di obblighi penalmente sanzionati si spiega agevolmente proprio per il fatto che il servizio è privo di un ruolo gestionale, decisionale. Tuttavia quel che importa è che il RSPP sia destinatario di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, egli assuma l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste.
D’altra parte, il ruolo svolto dal RSPP è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro e la sua attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito.
Il B.D., nella veste di RSPPP, era astretto, come si è sopra esposto, all’obbligo giuridico di fornire attenta collaborazione al datore di lavoro individuando i rischi lavorativi e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli.
La gravata sentenza non chiarisce se l’imputato abbia violato gli obblighi imposti dalla legge, omettendo la necessaria, doverosa attività di segnalazione e stimolo ai fini della rimozione del rischio connesso all’incontrollata circolazione dei mezzi all’interno della galleria ed abbia proposto soluzioni appropriate.
Si configura al riguardo mancanza di motivazione.
La pronunzia deve pertanto essere, in relazione alla posizione del B.D., annullata con rinvio. Il giudice di merito dovrà esaminare compiutamente la vicenda individuando le condotte del ricorrente e valutando se esse fossero appropriate nei termini che si sono detti: segnalazione dei pericoli, proposizione di iniziative adeguate.

Con riferimento alle altre posizioni va premesso in linea generale come non possa rilevarsi d’ufficio, in sede di legittimità, la questione relativa alla violazione dell’art.6 CEDU così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo del 5 luglio 2011 (Corte EDU, Dan c/Moldavia), questione riconducibile, con adattamenti, alla nozione del vizio di violazione di legge e, dunque, da far valere, ai sensi dell’art. 581 cod. proc. pen., mediante illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto a suo sostegno (Sez. 5, n. 51396 del 20/11/2013, Basile, Rv. 257831).
I motivi di ricorso proposti consentono, tuttavia, di richiamare l’insegnamento delle Sezioni Unite, per cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679).
Principi che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito dopo il pronunziamento del Supremo Collegio, premurandosi tra l’altro di precisare che il giudice dell’appello non può limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330), giungendo ad affermare l’illegittimità della sentenza d’appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l’imputato sulla base di una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della motivazione, tale da far cadere “ogni ragionevole dubbio” (Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, G., Rv. 253909).
In definitiva il giudice d’appello, quando, immutato il materiale probatorio acquisito al processo, afferma sussistente una responsabilità penale negata nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi espressamente con il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, non limitandosi pertanto ad una rilettura di tale materiale, quindi ad una ricostruzione alternativa, ma spiegando perché, dopo il confronto puntuale con quanto di diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio apprezzamento sia l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano caratterizzato il primo giudizio, minandone conseguentemente la permanente sostenibilità. Deve allora osservarsi come il Tribunale abbia fondato la riforma della decisione di primo grado attribuendo rilievo dirimente, ai fini del giudizio di sussistenza del nesso di causalità tra la condotta colposa degli imputati e l’infortunio occorso al lavoratore, alla condotta del lavoratore mentre, di contro, la Corte ha tratto il convincimento che la condotta degli imputati, ciascuno titolare di una posizione di garanzia, fosse causalmente collegata all’infortunio.
Le argomentazioni della sentenza impugnata sono sostenute dalla suddetta motivazione “rinforzata” che ha fatto buon governo del principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro- o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n.23292 del 28/04/2011, Millo, Rv.250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv.246695; Sez.4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421), rimarcando come non fosse emersa alcuna estraneità del comportamento del lavoratore rispetto alle mansioni di fatto commessegli. Nella specie il lavoratore stava compiendo una manovra tipica delle lavorazioni in atto, provvedendo ai controlli che gli erano demandati. Né il fatto che si fosse posto in una determinata posizione può essere considerato come un accidente estraneo al rischio che si trattava di governare, ma afferiva esattamente ad esso; essendo in questione proprio la sicurezza dei lavoratori, in concomitanza con la presenza dei mezzi meccanici.
Dunque, alla luce dei principi sopra esposti al riguardo, non è possibile parlare di interruzione del nesso causale.
Occorre poi considerare che la sentenza della Corte di merito coglie efficacemente, alla luce delle significative acquisizioni probatorie, l’esistenza all’interno del cantiere di un grave e concreto rischio afferente alla contestuale circolazione di persone e mezzi meccanici in alcune aree della edificanda galleria. Tale rischio, aggravato dalle condizioni di scarsa o comunque insufficiente illuminazione al momento del sinistro, non era adeguatamente governato; e ciò ha avuto una sicura efficienza causale rispetto all’incidente. Infatti, si è ritenuto, l’adozione di appropriate misure di sicurezza, volte ad organizzare e disciplinare la circolazione, avrebbe consentito di evitare che la vittima fosse investita dalla macchina in manovra. Tale apprezzamento in fatto è propriamente argomentato, conforme ai principi, immune da vizi logici e, dunque, non è sindacabile nel giudizio di legittimità. Ritiene quindi la Corte che, anche sotto lo specifico profilo appena menzionato, le censure mosse dagli odierni ricorrenti alla sentenza impugnata sono infondate ed ingiustificate, alla luce della congruità e coerenza logica della motivazione, frutto di scrupoloso esame degli atti. Quanto in particolare alle rispettive posizioni di garanzia degli altri ricorrenti, occorre in primo luogo rilevare che in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 ,Rv. 253850).
La normativa concernente il tema della sicurezza del lavoro individua, infatti, diverse posizioni di garanzia, la principale delle quali certamente riguarda il datore di lavoro, che organizza e gestisce l’esecuzione dell’opera, ma che coinvolgono, oltre al committente, diverse figure professionali, tra le quali vi sono il responsabile dei lavori ed il coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Quanto in particolare al responsabile dei lavori, ad esso compete di svolgere tutti i compiti propri del datore di lavoro in materia di sicurezza, tra cui quello di verificare l’adempimento, da parte del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, degli obblighi, per quanto oggi interessa, di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. a). Egli ha quindi l’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione adottate in favore dei lavoratori, e pertanto assume, nei confronti di questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all’ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare.
Per quanto riguarda il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, osserva la Corte che a tale figura professionale la legge (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5) attribuisce compiti specifici e precisi obblighi, che lo individuano quale titolare di un’autonoma posizione di garanzia, che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica. In particolare, per quanto qui interessa, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori è attribuito, tra gli altri, il compito di vigilare sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro, a garanzia dell’incolumità dei lavoratori. Allo stesso spetta, altresì, di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza e di assicurarne la coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento, di adeguare i piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS. Orbene, tanto ulteriormente premesso, osserva la Corte che nei confronti degli odierni ricorrenti, le posizioni di garanzia ed i conseguenti profili di colpa, sono stati correttamente individuati. Con riferimento alla posizione del C.A. si rinvia specularmente alle considerazioni esposte per l’E.G., discendendo quindi la sua posizione dalla ritenuta validità della delega. Quanto al C.M., osserva la Corte come al coordinatore per l’esecuzione dei lavori siano assegnati, tra gli altri compiti, anche quelli, come sopra già rilevato, di adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori, di vigilare sulla corretta osservanza dello stesso, da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi, nonché di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza e di assicurarne la coerenza rispetto al PSC, oltre che di accertare la scrupolosa applicazione, da parte delle imprese, delle corrette procedure di lavoro, a garanzia dell’incolumità dei lavoratori. Si tratta, quindi, anche di compiti definiti di “alta vigilanza” che, seppur non necessariamente implicano una continua presenza nel cantiere, devono tuttavia esercitarsi in maniera attenta e scrupolosa e riguardare tutte le lavorazioni in atto, specie quelle che pongono maggiormente a rischio l’incolumità dei lavoratori. E dunque, per quanto più direttamente interessa, proprio le difficili operazioni all’interno della galleria, ad elevato rischio, avrebbero dovuto indurre l’odierno ricorrente a svolgere con scrupolo ancora maggiore detti compiti. Il C.M. peraltro rivestiva la posizione di responsabile del procedimento. A riguardo è stato affermato che: “… sussiste a carico del responsabile unico del procedimento, D.P.R. n. 494 del 1996, ex art. 6, una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, avendo l’obbligo di sorvegliarne la corretta attuazione, controllando anche l’adeguatezza e la specificità dei piani di sicurezza rispetto alla loro finalità, preordinata all’incolumità dei lavoratori”. (Cass. n. 41993/11). Inesistenti sono, quindi, i vizi denunciati nel ricorso, che svolge considerazioni che non tengono conto alcuno del contesto argomentativo della sentenza impugnata, ovvero propone argomentazioni generiche o non pertinenti Quanto alla posizione del S.G., quale responsabile dei lavori per conto dell’ANAS, allo stesso incombeva la responsabilità dello svolgimento di tutte le funzioni proprie del datore di lavoro in materia di sicurezza.
A tale proposito, sembra opportuno, anzitutto, richiamare il disposto di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, come modificato dal d.lgs. n. 528 del 1999, il quale prevede che “La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lett. a)”. Con tali precisi riferimenti, il legislatore ha, non solo delineato in termini specifici gli obblighi dei committenti e dei responsabili dei lavori, ma ne ha anche ampliato i contenuti, disponendo che essi sono chiamati a svolgere una funzione di super-controllo, di verifica che i coordinatori adempiano agli obblighi su loro incombenti, quale quello consistente, non solo nell’assicurare, ma anche nel verificare il rispetto, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Le modifiche apportate all’originario testo legislativo hanno quindi rafforzato la tutela dei lavoratori rispetto ai rischi connessi con l’esecuzione dei lavori, avendo delineato per i committenti e per i responsabili dei lavori posizioni di garanzia specifiche e notevolmente ampie, dovendo essi, sia pure in termini diversi da quelli previsti per i datori di lavoro e per i dirigenti e preposti, prendersi cura della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, accertarsi del costante e completo rispetto, da parte di costoro, dei presidi antinfortunistici e garantire, in caso di inadempienze, l’osservanza delle norme di sicurezza previste dalla legge. In proposito, è stato da questa Corte affermato che “…il committente ed il responsabile dei lavori devono verificare l’adempimento da parte dei coordinatori degli obblighi di assicurare e di verificare il rispetto, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Ne consegue che al committente ed al responsabile dei lavori non è attribuito dalla legge il compito di verifiche meramente formali, ma una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l’esecuzione di controlli sostanziali ed incisivi su tutto quel che concerne i temi della prevenzione, della sicurezza del luogo di lavoro e della tutela della salute del lavoratore, accertando, inoltre, che i coordinatori adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia” (Cass. n. 14407/11).
Quanto all’A.A., allo stesso, in qualità di preposto in materia antinfortunistica, alla luce delle previsioni del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 1 e 4 nel testo, successivamente modificato ed integrato, in vigore all’epoca del fatto, incombeva l’obbligo di controllo dei lavoratori in vista dell’attuazione delle misure di prevenzione e sicurezza. È pacifico che il preposto è onerato, ai sensi di legge, della verifica e del controllo dell’osservanza delle misure antinfortunistica da parte dei lavoratori e che sulle diverse figure di soggetti titolari degli obblighi di prevenzione degli infortuni, questi gravano “a cascata” secondo una struttura quasi piramidale, come normativamente definita. La Corte d’appello ha adempiuto all’obbligo di rendere una motivazione convincente ed immune da vizi in punto all’ascrivibilita anche al preposto delle riscontrate mancanze.
5. Conclusivamente il complessivo contesto motivazionale sui temi concernenti le modalità dell’incidente e le cause dello stesso, gli avvenimenti del giorno dell’infortunio, le singole responsabilità, le condotte colpose attribuite agli imputati, il nesso di causa, è esente dai denunciati vizi di legittimità.
6. I ricorsi di C.M., S.G., C.A. e A.A. vanno pertanto rigettati. Ne consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di E.G. per non aver commesso il fatto.
Annulla la medesima sentenza, nei confronti di B.D., con rinvio alla Corte d’Appello di Milano per nuovo esame.
Rigetta i ricorsi di C.M., S.G., C.A. e A.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 17 febbraio 2015

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