Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 17 luglio 2015, n. 31224

Caduta di tre lavoratori per cedimento della lamiera grecata durante la posa in opera di un getto in calcestruzzo.

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA
Data Udienza: 06/03/2015

Fatto

l. Il 21 febbraio 2003 nel cantiere edile di Teramo in cui si stava realizzando, per conto della società C. S.r.L, un edificio a destinazione commerciale di tre piani complessivi, di cui due interrati ed uno fuori terra, si verificava un gravissimo infortunio sul lavoro a seguito del quale l’operaio M.C.A. decedeva e gli operai A.E.R. e P.D.A. riportavano gravi lesioni; gli stessi, mentre erano intenti ad eseguire la posa in opera di un getto in calcestruzzo su struttura in ferro zincato (lamiera grecata), nell’ambito dei lavori di realizzazione della rampa di accesso ai parcheggi, precipitavano nel vuoto a seguito del cedimento della lamiera, da un’altezza di circa 12 m, sfondando nella fase di caduta anche la struttura in ferro del piano intermedio e finendo al piano terra.
Del fatto venivano chiamati a rispondere i responsabili delle numerose ditte che stavano collaborando alla realizzazione dell’opera e, per quanto riguarda il presente procedimento, G.F., P.S. e L.L.. Committente dei lavori era stata la C. S.r.l. in persona dell’amministratore C.S., dell’ ing. G.F. e dell’arch. P.S., questi ultimi quali progettisti dell’architettonico, progettisti delle strutture in opera, direttori dei lavori con funzioni di coordinamento generale e direttori dei lavori delle strutture in opera. In corso d’opera si era deciso una rilevante modifica progettuale nel senso che mentre in origine l’intervento edilizio prevedeva esclusivamente opere strutturali in cemento armato o strutture in cemento armato prefabbricate, e ciò anche per quanto riguardava le rampe di accesso ai parcheggi, si era invece deciso che tali rampe fossero realizzate attraverso strutture metalliche ( lamiere grecate) la cui realizzazione dalla committenza era stata affidata alla ditta I. snc e il cui progetto, ossia calcoli ed elaborati grafici delle strutture metalliche, era stato redatto dall’ingegner L.L.. Solo il giorno prima dell’infortunio era stata depositata dalla committenza all’ufficio del genio civile di Teramo domanda di denuncia lavori integrativa, riferita a nuove costruzioni a struttura intelaiata in acciaio, sottoscritta dal costruttore della struttura DC. e corredata da relazione tecnica illustrativa sottoscritta dall’ingegner L.L. come progettista, dall’ingegner G.F.  e dall’architetto P.S.  quali direttori dei lavori.
Fondandosi sui contenuti della consulenza tecnica del pubblico ministero, sulle deposizioni dei testi ritenuti di interesse, sull’esame degli imputati, sui risultati della articolata perizia disposta in sede dibattimentale e delle consulenze tecniche di parte, atti tutti di cui dava puntuale ricostruzione, il giudice di primo grado, le cui valutazioni sono state condivise dalla Corte di appello, riteneva che determinanti nella causazione dell’evento fossero stati la superficialità e la negligenza dei professionisti della committenza, principali titolari della posizione di garanzia, ed il mancato coordinamento tra le fasi di lavoro che si svolgevano nel cantiere, cui si era aggiunta la inidoneità tecnica del personale impiegato dalle ditte esecutrici direttamente intervenute nella realizzazione dell’opera oggetto di imputazione, condotte tutte singolarmente colpose e aventi efficacia causale.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione gli imputati.

2.1 L’avvocato Omissis, nell’interesse di G.F. e P.S. deduce i seguenti motivi. Nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 125 terzo comma cod.proc.pen. per mancanza di motivazione. Sostiene che la sentenza impugnata ha fatto proprie le considerazioni di quella di primo grado in maniera assolutamente acritica, senza confutare motivi di appello proposti, senza dare risposta alle deduzioni che pure state precisamente formulate e che vengono trascritte nel ricorso. Sui punti sollevati è mancata una risposta essendosi la sentenza limitata ad un richiamo acritico, nient’affatto esaustivo a quanto affermato dal giudice di primo grado; in particolare si deduce che l’ingegner G.F. e l’architetto P.S., progettisti architettonici e delle strutture in opera, svolgevano la funzione di coordinamento generale ed erano direttori dei lavori delle strutture in opera; avendo la committenza deciso di realizzare le rampe di accesso ai parcheggi in maniera diversa dalle originarie previsioni, facendo ricorso ad una struttura in acciaio e calcestruzzo, si era resa necessaria la nomina di un tecnico specializzato in tale settore, individuato nella persona dell’ingegner L.L., al quale era stato affidato l’incarico di progettista e direttore dei lavori di tale opera; tale qualità era stata peraltro ammessa e chiarita dallo stesso coimputato L.L.. In tale chiara situazione, l’ipotesi di una responsabilità comunque dei direttori dei lavori della strutture in opera è stata affermata con il semplice richiamo alla constatazione che la soletta collaborante in acciaio calcestruzzo era pur sempre una struttura in opera. Tale affermazione integra un’assoluta mancanza di motivazione perché non tiene conto della avvenuta nomina di un altro professionista che, anche a voler ammettere che la soletta collaborante potesse essere considerata una struttura in opera, aveva assunto la progettazione e direzione dei lavori della stessa, circostanza per effetto delle quali i due ricorrenti non potevano né dovevano sovrapporsi all’opera dello specialista. All’epoca dei fatti la materia era disciplinata dai decreti legislativi 626/1994 e494/1999, e nessuna delle norme di tali testi fa riferimento ai direttori generali dei lavori, che non possono inserirsi nelle problematiche specifiche di cui trattasi a meno che non sia stato loro affidato il compito di sovrintendere ai lavori con la possibilità di impartire ordini alle maestranze. Sottolineano importanza della questione dato che ogni altro addebito era stato ritenuto insussistente o comunque non riferibile agli attuali ricorrenti. Sotto altro profilo si contesta la sentenza impugnata laddove ha considerato la struttura in acciaio cemento, la cd. soletta collaborante, come una struttura in opera, facendo da ciò derivare un obbligo di controllo da parte dei direttori generali, nonostante la presenza di un diverso direttore dei lavori proprio per tale lavorazione; si insiste che tale struttura non era una struttura in opera, ma si trattava di solai collaboranti in lamiera grecata ed acciaio, che è entità ben diversa dalle strutture in opera.
2.2 L’avvocato Omissis, nell’interesse dell’imputato L.L., deduce con un primo motivo il difetto di motivazione della sentenza impugnata che si è affidata allo stesso percorso argomentativo della sentenza di primo grado senza chiarire in relazione ai vari addebiti colposi formulati nei confronti del ricorrente – di omesso controllo della rispondenza tra le lamiere grecate fornite e quelle progettate, di omesso controllo in fase di montaggio e di erronea pianificazione della fase di getto del calcestruzzo – la rilevanza causale degli stessi. Deduce con il secondo motivo manifesta illogicità di motivazione e travisamento della prova non essendosi tenuto conto che la lamiera che è stata fornita era di qualità equivalente, se non addirittura migliore, di quella ordinata e che la differenza di larghezza non ha inciso sul cedimento che è stato causato esclusivamente da una eccessiva quantità di calcestruzzo riversata nel punto di sfondamento; il sovraccarico del calcestruzzo è stato la causa principale del crollo, crollo che si sarebbe verificato anche in assenza delle riscontrate carenze in fase di montaggio delle lamiere, essendo meramente ipotetica la affermazione che in tal caso vi sarebbero stati segnali premonitori del cedimento che avrebbero consentito agli operatori di mettersi in salvo; quanto alla pianificazione delle fasi di getto del calcestruzzo, con riferimento alla scelta di procedere al getto dall’alto anzi che dal basso, sostiene che non rientrava nei compiti del L.L. la programmazione delle fasi di getto, che era di competenza esclusiva dei coimputati G.F. e P.S.. Con il terzo motivo deduce difetto di motivazione e violazione di legge con riferimento agli artt. 42 e 43 cod.pen. ; si ricorda che il L.L. due giorni prima dell’incidente aveva riscontrato una lavorazione di montaggio non perfettamente eseguita e pertanto aveva intimato al responsabile di cantiere di non procedere al getto di calcestruzzo fino a quando lui non fosse tornato per visionare di nuovo i lavori; invece si procedeva al getto a sua insaputa e in violazione all’ordine da lui impartito.

Diritto

1. I ricorsi, che possono essere congiuntamente esaminati pur con le opportune specificazioni del caso, non meritano accoglimento. Occorre preliminarmente osservare, essendosi ripetutamente invocato il cd. travisamento del fatto, che il controllo di legittimità devoluto a questa Corte anche a seguito delle modifiche introdotte all’ 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006 , non è volto a verificare la rispondenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali, ma è consentito solo dedurre il vizio di travisamento della prova che si realizza allorché si introduca nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; ipotesi questa del travisamento della prova che nella specie non è neppure invocata . Il sindacato della Corte di Cassazione resta quello di sola legittimità, sì che continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, dovendosi la medesima limitare a verificare la esistenza di eventuali manifeste carenze o illogicità della motivazione, rese immediatamente palesi dalla lettura della sentenza impugnata.
Tanto premesso, deve darsi per accertato, che il solaio su cui si è verificato l’incidente sia da considerare opera in cemento armato, avendo esaurientemente motivato al riguardo i giudici di merito sulla base delle considerazioni del consulente tecnico del Pubblico Ministero che aveva evidenziato che “la rampa da realizzare con solaio collaborante lamiera grecata calcestruzzo altro non è che una normale struttura in cemento armato gettata in opera, in cui i tradizionali ferri di armatura sono sostituiti (almeno in parte) dalla lamiera grecata, con la differenza che nella fase iniziale di getto del calcestruzzo la lamiera grecata funge anche da cassaforma” aggiungendo, quindi, che “con il loro ruolo, l’ing. G.F. e l’arch. P.S., come sono tenuti a controllare la corretta disposizione dei ferri d’armatura (accertandone numero, dimensioni, caratteristiche) in una normale struttura in cemento armato, cosi lo erano nei confronti della lamiera grecata, vista, appunto, come armatura”.
Quanto alla posizione di garanzia degli imputati, va evidenziato che, come già messo in rilievo dalla impugnata sentenza, l’art. 2, comma 2, legge 5.11.1971, n. 1086, norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, prescrive che “l’esecuzione delle opere deve aver luogo sotto la direzione di un ingegnere o architetto o geometra o perito industriale edile iscritto nel relativo albo, nei limiti delle rispettive competenze” e che in base alla circolare del Ministero per i Lavori Pubblici n. 1191/1974 il direttore dei lavori, soggetto designato dal committente per controllare la corretta esecuzione dei lavori e che ne “assume la rappresentanza in un ambito strettamente tecnico”, è responsabile, per la parte di competenza, “della rispondenza del progetto, della inosservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto, della qualità dei materiali, nonché, per quanto riguarda gli elementi prefabbricati, della posa in opera”.
Peraltro della concorrente posizione di garanzia degli attuali ricorrenti non può dubitarsi se solo si ricorda che la denuncia integrativa avente ad oggetto il solaio, presentata il giorno prima dell’infortunio, era corredata da relazione tecnica illustrativa sottoscritta dall’ingegner L.L. come progettista, dall’ingegner G.F.  e dall’architetto P.S.  quali direttori dei lavori; e che le risultanze processuali hanno confermato l’esercizio in concreto della funzione di direzione e controllo, essendosi accertato (testimonianza Omissis) che in particolare l’ing. G.F. era presente per sovrintendere al getto del calcestruzzo e che (come si vedrà meglio avanti) l’ing. L.L. si era preoccupato di controllare il montaggio del solaio. L’incidente di cui è causa, avvenuto durante la fase di getto del calcestruzzo, si è verificato per il concorso di diversi fattori da considerarsi dati definitivamente acquisiti al processo, perché accertati in sede di merito con riferimento alla situazione esistente e alla dinamica dell’evento, quali ricostruite dal giudice di primo grado con dettagliata e puntualissima disamina di tutte le risultanze istruttorie e con un percorso argomentativo condiviso dai giudici di seconda istanza; allo stesso hanno concorso la diversa qualità e dimensione della lamiera utilizzata rispetto a quella pattuita (la lamiera utilizzata, anche a volerla ritenere equivalente quanto resistenza, a quella pattuita, era però di larghezza ben inferiore: 570cm., anzi che 761cm.), la assenza di dispositivi di fissaggio e chiodatura delle lamiere alle travi di appoggio (adempimento che competeva al L.L.), la inesperienza e inidoneità della ditta esecutrice che impiegava operai inesperti, l’assenza di dispositivi antinfortunistici, quali impalcati di protezione, a presidio di eventuali cadute dall’alto; la scelta di procedere alla lavorazione dall’alto verso il basso, senza la necessaria stabilità derivante dalla previa realizzazione delle opere sottostanti, fattori evidentemente non tutti riconducibili agli odierni ricorrenti, ma che tutti hanno contribuito a cagionare l’infortunio verificatosi per il cedimento della lamiera grecata; anche se non è stato possibile accertare con esattezza quale sia stato il carico di calcestruzzo riversato sulla struttura, è stato opportunamente messa in luce la sicura rilevanza delle modalità di posa in opera del calcestruzzo e i difetti di ancoraggio, osservandosi dai giudici di entrambi i gradi che anche a voler ammettere che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato nel caso che le lamiere fossero state tutte ancorate secondo le previsioni progettuali, tuttavia lo stesso, in tal caso , si sarebbe verificato con esiti diversi in ragione della progressività della cessione e del rumore che avrebbe potuto allarmare gli addetti.
Correttamente dunque è stata affermata la responsabilità degli imputati G.F. e P.S. per aver omesso di controllare la idoneità delle lamiere grecate e di sorvegliare la fase di getto del calcestruzzo; e del L.L. per l’analoga violazione del’obbligo di controllo della lamiera e per l’omesso controllo della correttezza della procedura di montaggio. Altrettanto correttamente è stata disattesa la tesi difensiva sostenuta dal L.L. secondo cui egli, avendo riscontrato le manchevolezze della procedura di montaggio, aveva ordinato di sospendere i lavori che sarebbero proseguiti a sua insaputa e contro la sua volontà. Giova al riguardo richiamare quanto risulta accertato in fatto dalle impugnate sentenze e cioè che il L.L. ha segnalato la cosa al capo cantiere dicendogli di provvedere e di chiamarlo prima di provvedere al getto del calcestruzzo, ma di non aver più saputo niente; una tale comportamento di “segnalazione”, come già hanno rilevato i giudici di merito, non vale ad esonerare l’imputato dalle sue responsabilità; il medesimo avrebbe dovuto informare il coordinatore per la sicurezza, formalizzare l’ordine di sospensione dei lavori e controllarne il rispetto; si è trattato invece solo di una segnalazione, non di un vero e proprio ordine di sospensione dei lavori (la cui esistenza è stata invocata specie in sede di discussione) ma del quale non vi è prova alcuna nel processo.
2. Al rigetto dei ricorsi segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 6.3.2015.

Lascia un commento