Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 17 luglio 2015, n. 31230

In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino eventuali fatti lesivi a danno del terzo, è configurabile l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., sempre che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (cfr., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 2343 del 27/11/2013, Rv. 258436).
Inoltre, in relazione agli aspetti di colpa specifica contestati e accertati a carico dell’imputato, la corte territoriale ha correttamente evidenziato come il S.B. si fosse colpevolmente sottratto al rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 163 deld.lgs. n. 81/2008, là dove impone al datore di lavoro, al fine di regolare il traffico all’interno dell’impresa o dell’unità produttiva, il ricorso, se del caso, alla segnaletica prevista dalla legislazione vigente in relazione al traffico stradale (e dunque alla prevista cartellonistica indicante l’altezza massima di ingresso dei veicoli e degli autoarticolati all’interno del piazzale in esame), a nulla rilevando il richiamo dell’imputato alla sola specifica situazione richiamata in seno al testo dell’art. 118 reg. c.d.s., attesa l’ampiezza della formulazione della norma cautelare, funzionale alla copertura di tutte le possibili situazioni di rischio, non altrimenti ovviabile che attraverso l’apposizione di idonea cartellonistica, atteso che l’astratta conformità delle misure del mezzo condotto dalla persona offesa, rispetto alla luce del portale di ingresso nel piazzale aziendale, non escludeva l’eventualità di prevedibili rischi di danno, nella specie puntualmente concretizzatisi.


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data Udienza: 28/05/2015

Fatto

1. Con sentenza resa in data 14/2/2013, il tribunale di Asti ha condannato S.B. alla pena di nove mesi di reclusione in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di M.A., in Canelli il 23/8/2010.
All’imputato, in qualità di legale rappresentante della società Nuova A. s.r.l., era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica e delle norme di colpa specifica espressamente richiamate nel capo di imputazione, per non aver predisposto la prevista cartellonistica indicante l’altezza massima di ingresso dei veicoli all’interno del piazzale aziendale, avuto riguardo all’altezza della pensilina in cemento armato ubicata all’ingresso di detto piazzale.
Per effetto di tale omissione, il lavoratore indicato (dipendente della R2 s.r.l.), addetto alle mansioni di autista di veicoli industriali, recandosi presso lo stabilimento della Nuova A. s.r.l., nel transitare al di sotto della descritta pensilina alla guida di un autoarticolato di altezza superiore allo spazio esistente, aveva urtato, con l’angolo superiore destro del container posizionato sul semirimorchio, contro il lato esterno della pensilina, causandone la caduta sulla cabina di guida, così provocandosi le gravissime lesioni descritte nel capo d’accusa.
2. Su appello dell’imputato, con sentenza resa in data 10/10/2014, la corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ridotto la pena inflitta al S.B., determinandola in quattro mesi di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza del primo giudice.
3. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di quattro motivi di impugnazione.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di rilevare la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, con particolare riguardo alla circostanza relativa al rapporto di dipendenza della persona offesa con la società dell’imputato (nella specie radicalmente insussistente) e alla correlativa rilevanza della contesta qualità di datore di lavoro del S.B. sul piano dell’esatta identificazione della posizione di garanzia.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di rilevare (in contrasto con le risultanze emerse dagli elementi di prova tecnica acquisiti al giudizio) la illegittimità della circolazione del veicolo condotto dalla persona offesa in assenza di apposita autorizzazione amministrativa, trattandosi di mezzo capace di raggiungere l’altezza di ben 4,355 metri, idonea a qualificarlo come “mezzo eccezionale”.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell’applicare erroneamente il disposto di cui all’art. 118 del regolamento del c.d.s., nella parte in cui impone l’apposizione del segnale di transito vietato ai veicoli aventi altezza complessiva superiore a una certa misura nei soli casi in cui l’altezza ammissibile sulla strada sia inferiore all’altezza dei veicoli definita dall’art. 61 c.d.s., atteso che, nella specie, la luce del portale di ingresso nel piazzale aziendale non era inferiore all’altezza del veicolo condotto dalla persona offesa.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale trascurato di considerare adeguatamente la circostanza relativa all’esclusività (o, quantomeno, alla concorrenza) della responsabilità della persona offesa nella causazione del sinistro, con la conseguente adozione degli opportuni provvedimenti sul piano dell’accertamento istruttorio, con particolare riguardo alla gestione del dispositivo di regolazione dell’altezza del mezzo (cd. ralla) o alla condotta di guida tenuta immediatamente dopo l’impatto tra la sommità del cassone e la traversa del portale.

Diritto

4. Dev’essere preliminarmente disatteso il primo motivo d’impugnazione relativo alla pretesa violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza.
Sul punto, converrà rimarcare, nel solco del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità come, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, occorra riferirsi all’operatività di criteri non formali o meccanicistici, valendo al riguardo la decisività del principio che impone (nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato) il riscontro dell’avvenuto rispetto dei diritti della difesa, nel senso che l’imputato abbia avuto, in concreto, la possibilità di difendersi da ogni profilo dell’addebito; e tanto, a prescindere dalla differente configurazione formale, in termini commissivi od omissivi, della condotta contestata (cfr. Cass., Sez. 4, n. 41674/2004, Rv. 229893; Cass., Sez. 4, n. 7026/2002, Rv. 223747).
Tale evenienza, in particolare, ricorre in tutti casi in cui dell’addebito si sia concretamente trattato nelle varie fasi del processo, ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato a evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (v. Cass., Sez. 5, n. 23288/2010, Rv. 247761; Cass., Sez. 6, n. 20118/2010, Rv. 247330; Cass., Sez. 2, n. 11082/2000, Rv. 217222; Cass., Sez. 2, n. 5329/2000, Rv. 215903).
In breve, il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p., finalizzato alla salvaguardia del diritto di difesa, non è violato qualora la sentenza puntualizzi l’imputazione enunciata formalmente nell’atto di esercizio dell’azione penale con le integrazioni risultanti dagli interrogatori e dagli altri atti in base ai quali è stato reso in concreto possibile all’imputato di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così da potersi difendere in ordine a un determinato fatto, inteso come episodio della vita umana (v. Cass., Sez. 6, n. 9213/1996, Rv. 206208).
Ai fini della valutazione di detta correlazione, occorrerà dunque tener conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (v. Cass., Sez. 3, n. 15655/2008, Rv. 239866).
Naturalmente, non deve trattarsi di un fatto completamente diverso ed eterogeneo con immutazione dell’imputazione nei suoi elementi essenziali (v. Cass., Sez. 1, n. 6302/1999, Rv. 213459; Cass., Sez. 6, n. 2642/1999, Rv. 212803), dovendo ritenersi sussistente la violazione de qua solamente quando nei fatti – rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità (Cass., Sez. 6, n. 81/2008, Rv. 242368).
Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha rilevato la mancata violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza, avendo osservato come il riferimento alla qualità di datore di lavoro dell’imputato fosse chiaramente riferita alla posizione di garanzia in relazione alla sicurezza dei luoghi e degli ambienti di lavoro rivestita dal S.B., tanto più che nello stesso sviluppo descrittivo del capo di imputazione era chiaramente indicato come lavoratore infortunato fosse dipendente della società R2 s.r.l. per conto della quale si era recato presso la sede della Nuova A. al fine di caricare della merce.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (correttamente richiamato dal giudice a quo), ai sensi del quale, in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino eventuali fatti lesivi a danno del terzo, è configurabile l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., sempre che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (cfr., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n.2343 del 27/11/2013, Rv. 258436).
La corretta individuazione, da parte del giudice d’appello, degli elementi essenziali dell’imputazione e il riscontro della relativa corrispondenza, tanto nell’atto d’accusa, quanto nella sentenza di condanna pronunciata a carico dell’imputato, valgono pertanto a lasciar ritenere pienamente rispettato, nel caso di specie, il principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p. (e in ogni caso l’assenza di alcuna lesione dei relativi diritti di difesa), con la definitiva attestazione della radicale infondatezza del motivo d’impugnazione sul punto sollevato dall’odierno ricorrente.
5. Con riguardo alle restanti doglianze avanzate dal ricorrente (congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni di tutti), osserva il collegio come, in relazione al punto concernente l’altezza del mezzo condotto dalla persona offesa, la corte territoriale, richiamandosi agli accertamenti tecnici eseguiti nel corso del giudizio, abbia correttamente escluso – sulla base di una motivazione del tutto congruente sul piano argomentativo e immune da vizi d’indole logica o giuridica – che detto mezzo presentasse caratteristiche tali da giustificarne la qualificazione alla stregua di un “mezzo eccezionale”, atteso che l’altezza complessiva del punto più alto del cassone montato sul semirimorchio, rispetto al suolo, era di 4,30 metri (uguale, cioè, alla luce netta di passaggio sotto il portale di ingresso all’area dell’azienda dell’imputato), con la conseguente esclusione che il veicolo in questione dovesse essere dotato di autorizzazione amministrativa alla circolazione.
Sul punto, i rilievi critici illustrati del ricorrente appaiono limitati all’articolazione di inammissibili censure di merito, non proponibili, né rilevanti, in questa sede di legittimità.
Sotto altro profilo, la corte territoriale ha correttamente evidenziato, in relazione agli aspetti di colpa specifica contestati e accertati a carico dell’imputato, come il S.B. si fosse colpevolmente sottratto al rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 163 del d.lgs. n. 81/2008, la dove impone al datore di lavoro, al fine di regolare il traffico all’interno dell’impresa o dell’unità produttiva, il ricorso, se del caso, alla segnaletica prevista dalla legislazione vigente in relazione al traffico stradale (e dunque alla prevista cartellonistica indicante l’altezza massima di ingresso dei veicoli e degli autoarticolati all’interno del piazzale in esame), a nulla rilevando il richiamo dell’imputato alla sola specifica situazione richiamata in seno al testo dell’art. 118 reg. c.d.s., attesa l’ampiezza della formulazione della norma cautelare, funzionale alla copertura di tutte le possibili situazioni di rischio, non altrimenti ovviabile che attraverso l’apposizione di idonea cartellonistica, atteso che l’astratta conformità delle misure del mezzo condotto dalla persona offesa, rispetto alla luce del portale di ingresso nel piazzale aziendale, non escludeva l’eventualità di prevedibili rischi di danno, nella specie puntualmente concretizzatisi.
Ciò posto, del tutto correttamente (sul piano della coerenza argomentativa) la corte territoriale ha escluso il ricorso della concorrente responsabilità della persona offesa nella causazione del sinistro, essendo quest’ultimo transitato a bassissima velocità in corrispondenza del portale d’ingresso all’area aziendale, non potendosi rendere conto (in assenza di segnalazione di pericolo attraverso apposito cartello) dell’insidia rappresentata dall’altezza della pensilina (perfettamente uguale a quella del container), tanto più che il transito doveva avvenire attraverso il passo carraio di una ditta, dove, per sua conoscenza diretta, venivano usualmente movimentati mezzi pesanti e container.
6. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi d’impugnazione segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/5/2015.

Lascia un commento