Cassazione Penale, Sez. 4, 17 novembre 2016, n. 48781

Cedimento della catenella che sorreggeva la vasistas e infortunio. Responsabilità del datore di lavoro. Questioni procedurali.


Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO
Data Udienza: 23/09/2016

Fatto

1. Con sentenza n. 120/15 del 09/02/2015, la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa in data 02/04/2012 dal Tribunale di Messina, nei confronti di A.G., C.P. e S.M., appellata da C.P. e dalla parte civile, assolveva C.P. dai reati ascritti per non aver commesso il fatto e dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.G. perché estinti per prescrizione i reati a lui ascritti, condannandolo al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede.
1.1. Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Messina aveva:
– assolto A.G. dai reati allo stesso contestati ai capi a) e b) dell’imputazione per non avere commesso il fatto;
– assolto S.M. dal reato di cui al capo a) di imputazione per non avere commesso il fatto;
– condannato C.P., concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede civile.
1.2. Gli imputati erano stati rinviati a giudizio per rispondere, per il capo a) dell’imputazione, del reato di cui all’art.113, 590, commi 2 e 3, c.p.. Il solo A.G. anche del reato -capo b) dell’imputazione- di cui artt. 32, lett. b), e 89, comma 2, lett. a), D.Lgs. 626/1994.
2. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione A.G., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.):
I) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 40, 42, 43 e 590, commi 2 e 3, c.p. in sé ed in combinato disposto con l’art. 192 c.p.p. quest’ultimo anche sotto l’aspetto dell’inosservanza ed erronea interpretazione della legge penale in relazione ai criteri ermeneutici sottesi alla valutazione della prova nonché per violazione degli artt. 125, 533, 546, lett. e), c.p.p. per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione anche sotto il profilo del travisamento del fatto e della prova. Deduce che la motivazione resa dalla Corte territoriale si risolve in una acritica affermazione di una sorta di responsabilità oggettiva in capo all’A.G. (in spregio ai principi codicistici della volontarietà e coscienza dell’omissione), in una assertiva sussistenza del nesso causale tra la condotta in contestazione e l’evento come verificatosi. Afferma che la decisione della Corte territoriale si baserebbe anche sull’apodittica affermazione secondo la quale l’A.G. era a conoscenza del rischio de quo, ovvero del possibile cedimento della catenella che sorreggeva, una volta aperta, la vasistas, che si scontra con il dato acclarato secondo il quale alcuno aveva avuto percezione del rischio, né lo stesso era stato evidenziato da parte di chi era deputato alla sicurezza sul luogo di lavoro; di tal ché, con il dovuto giudizio ex ante, alcuna ragione avrebbe avuto l’A.G. a porre in essere siffatti accorgimenti. Sostiene, ancora, che illogica, illegittima e censurabile appare la sentenza oggetto di impugnazione nella parte in cui omette del tutto di considerare che – ammessa e non concessa la qualifica tecnica di datore di lavoro della R. in capo all’A.G. – è indubbio come esistessero delle specifiche qualifiche professionali alle quali era stato contrattualmente demandata la veste di responsabile della sicurezza per l’INPDAP, ovvero il C.P., e per i lavoratori, il sig. E.F. (circostanza per nulla valutata nella contestata sentenza, ma di contro pienamente fatta propria dal Giudice di prime cure) come risulta sia dalla documentazione versata in atti, sia dalle prove orali acquisite quali la deposizione resa da teste B. all’udienza del 18/01/2012;
II) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’erronea interpretazione e consequenziale applicazione delle norme di cui agli arti. 533, comma 1, 546, comma 3, e art. 125, comma 3, c.p.p. per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del fatto e della prova. Deduce che il Giudice d’appello, immotivatamente, ha escluso qualsiasi dubbio sulla sussistenza di possibili alternative rispetto alla ricostruzione dei fatti come effettuata e, conseguentemente, escluso ogni ragionevole dubbio in ordine alla colpevolezza dell’imputato, con ciò violando la regola della valutazione della prova di cui all’art. 533, comma 1, c.p.p.. Afferma che presupposto della condanna come espressa era da intendersi il raggiungimento della prova rigorosa (che difetta) che l’A.G. fosse pienamente consapevole del rischio derivante dalle condizioni degli infissi e che colposamente (quindi, per negligenza, imprudenza ed imperizia) abbia volutamente omesso di provvedere alla relativa sostituzione; né, a supporto del convincimento espresso in sentenza, può richiamarsi il comportamento successivamente posto in essere dal prevenuto, atteso che il giudizio di colpa va sempre effettuato con valutazione ex ante\ in buona sostanza, la Corte di Appello avrebbe dovuto porsi il problema (risolvendolo in ossequio al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio) che, in data antecedente al verificarsi dell’evento, in capo al dr. A.G. vi fosse la chiara rappresentazione della situazione di rischio per i dipendenti e che egli volutamente non vi porse riparo; difettano, quindi, nella pronuncia oggetto di impugnazione la forza argomentativa e la motivazione rafforzata, così come richieste dalla giurisprudenza di legittimità, apparendo la stessa pronuncia non solo e non tanto fondata su una mera rivisitazione del medesimo materiale probatorio acquisito, ma addirittura minata da presunzioni e valutazioni apodittiche; una su tutte la consapevolezza in capo all’A.G. delle condizioni della catenella che, una volta aperta la vasistas, ne avrebbero impedito di muoversi oltre;
III) violazione dei legge e vizi motivazionali per inosservanza della norma di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in relazione all’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per la riassunzione delle testimonianze assunte nel primo grado di giudizio. Deduce che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha accertato la violazione dell’alt. 6 Cedu per il fatto che un soggetto, assolto in primo grado, sia stato poi condannato in appello a seguito della mera rivalutazione delle prove acquisite nel precedente grado e in assenza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nella fase successiva; di tal ché appare pacificamente riconosciuto che il diritto alla prova debba essere tutelato, quando è il caso, anche di ufficio, cioè a prescindere da una richiesta di parte, mentre nella specie la Corte d’Appello ha omesso la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale malgrado la stessa sia pervenuta al giudizio di responsabilità valorizzando, quasi esclusivamente (seppur parzialmente), le dichiarazioni testimoniali presenti in atti (una su tutte l’esame dell’imputato odierno ricorrente), facendo derivare dalla stessa la prova principale e decisiva contro lo stesso prevenuto e, quindi, idonea a giustificare la riforma della pronuncia assolutoria del primo giudice;
IV) violazione dei legge e vizi motivazionali per inosservanza del disposto di cui all’art. 578 c.p.p., del divieto di reformatio in peius e del principio devolutivo del gravame. Deduce che la Corte territoriale, ritenendo la sussistenza degli elementi integrativi del reato contestato, ne ha dichiarato l’estinzione per intervenuta prescrizione, senza considerare che l’esito assolutorio del giudizio di primo grado e l’impugnazione proposta dalla sola parte civile può esplicare effetti, in assenza di gravame ad opera del Pubblico Ministero, ai soli fini civili;
V) violazione dei legge e vizi motivazionali per l’omessa applicazione del disposto di cui all’articolo 131-b/s c.p. nonché, sul punto, per la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Deduce che del tutto assente è in sentenza la valutazione della possibile applicabilità del disposto di cui all’art. 131-bis c.p., norma della quale pienamente ricorrenti erano da intendersene i presupposti.

Diritto

3. Il ricorso è fondato nei limiti e termini di cui appresso.
4. Quanto ai motivi sub I), II), III) e IV) -da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinti-, mette conto premettere che, nella specie, l’imputato era stato assolto in primo grado con la formula “per non aver commesso il fatto” sicché, in assenza di impugnazione del PM, la Corte di appello non poteva dichiarare l’estinzione dei reati per prescrizione.
4.1. La causa estintiva si caratterizza per un previo riconoscimento di colpevolezza (riconoscimento necessario stante l’assoluzione pronunciata dal primo giudice) e, pertanto, all’applicazione ex officio del succitato precetto ostavano, da un lato, il divieto di “reformatio in peius” e, dall’altro, il principio dell’effetto solo parzialmente devolutivo dell’appello, così come sancito dall’art. 515 c.p.p., commi 1 e 3; divieto che, pur inteso restrittivamente e pur non riferito alla motivazione, opera in relazione sia alla pena ed ai benefici che alla declaratoria principale.
4.2. Ne consegue che il giudice di appello, investito su impugnazione della sola parte civile della cognizione della sentenza di primo grado, ove l’imputato sia stato assolto, non può dichiarare estinto per prescrizione il reato, perchè si tratta di una decisione legata ad un previo giudizio di colpevolezza, che si connota come peggioramento della predetta pronuncia, peggioramento non consentito in mancanza di gravame del p.m.. La sentenza impugnata è incorsa, pertanto, in violazione di legge sotto il profilo ora richiamato. (cfr. sez. 2, n. 17108 del 22/03/2011).
4.3. Poi, se è vero che il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, essendo in tal caso consentito al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (cfr. Sez. Un. n. 25083 del 11/07/2006 – Negri; sez. 3, n. 17846 del 19/03/2009) e se appare pacifico che la condanna dell’imputato al risarcimento era, comunque, possibile sulla scorta del diritto della parte civile a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento o di assoluzione e a chiedere la condanna dell’imputato alle restituzioni e al risarcimento del danno, anche in assenza dell’impugnazione del p.m., essendo in tal modo legittimata la parte civile anche a chiedere l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato ai soli fini dell’accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento del danno, è del pari evidente che, nella specie, va considerato che:
4.3.1. Nell’ipotesi di assoluzione in primo grado e condanna in secondo grado, ai giudici del secondo grado, è imposto un obbligo di motivazione c.d. rafforzata per giustificare il differente apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo giudizio. Ciò anche in considerazione del fatto che l’imputato – che, poiché assolto, non ha presentato appello – non ha più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito dell’impugnazione della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674; sez. 6, n. 22526 del 10/03/2015).
4.3.2. Nel caso che occupa il giudice di appello, ribaltando la decisione assolutoria emessa in primo grado, in accoglimento dell’appello delle parti civili, ha ritenuto la sussistenza del reato contestato. A sostegno di detta valutazione, la Corte ha richiamato il medesimo compendio probatorio esaminato dal primo giudice. L’operazione di riesame, gravante sul giudice dell’appello, nel caso in scrutinio, è stata, invero, effettuata in maniera non completa conferendo, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una diversa struttura della motivazione che ha dato solo (troppo) parzialmente conto delle difformi conclusioni assunte (ex plurimis, sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327).
4.3.3. Nella specie la motivazione claudica, e perciò insinua il sospetto del mancato superamento del confine del “ragionevole dubbio”, poiché:
A) anche a causa della mancata rinnovazione dibattimentale, non appare delineata con la dovuta certezza l’esigibilità del comportamento alternativo corretto nei confronti dell’A.G.;
B) la decisione della Corte territoriale appare basata anche sull’apodittica affermazione secondo la quale l’A.G. era a conoscenza del rischio de quo, ovvero del possibile cedimento della catenella che sorreggeva, una volta aperta, la vasistas, che mal si concilia con il dato secondo il quale nessuno aveva avuto percezione del rischio, né lo stesso era stato evidenziato da parte di chi era deputato alla sicurezza sul luogo di lavoro;
C) l’iter motivazionale -per altro estremamente succinto- appare prender le mosse da valutazioni effettuate ex post e non ex ante; in particolare afferma la Corte del merito «lo stesso imputato ha ammesso di aver provveduto, successivamente al verificarsi dell’incidente, ad assumere i necessari provvedimenti urgenti per evitare che esso potesse ripetersi, sicché su sua disposizione, “solo dopo il verificarsi dell’infortunio della sig.ra R., erano stati inchiodati tutti gli infissi rimanenti”», omettendo di considerare che appare altamente verosimile che la consapevolezza di quel rischio e del grado di questo venne raggiunta dall’A.G. solo dopo l’evento in questione ma non prima. Invero tale ultima possibile ricostruzione trova sponda nelle dichiarazioni rese dal teste (escusso solo in primo grado) B. e dalla -in atti- accertata esistenza di specifiche qualifiche professionali alle quali era stato demandata la veste di responsabile della sicurezza: per l’INPDAP C.P. e per i lavoratori E.F. (circostanza questa pienamente valutata dal primo giudice);
D) le conclusioni a cui è addivenuto il giudice del merito sono, comunque, in contrasto con il più recente principio espresso dalla Sezioni Unite secondo il quale il giudice di appello, qualora ritenga di riformare nel senso dell’affermazione di responsabilità dell’imputato la sentenza di proscioglimento di primo grado, sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva dal primo giudice, deve disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso le relative dichiarazioni; e ciò in ragione di una interpretazione convenzionalmente orientata (ex art. 6, p. 3, lett. d, CEDU) dell’art. 603 c.p.p.. Le Sezioni Unite hanno altresì precisato che la sentenza del giudice di appello che, in riforma di quella di proscioglimento di primo grado, affermi la responsabilità dell’imputato sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva, senza avere proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è. affetta da vizio di motivazione deducibile dal ricorrente a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la condanna contrasta, in tal caso, con la regola di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533 c.p.p., comma 5. Va, infine, considerato che, come appena detto, l’impossibilità per il giudice di appello, investito su impugnazione della sola parte civile della cognizione della sentenza di primo grado, ove l’imputato è stato assolto, di dichiarare estinto per prescrizione il reato, travolge altresì le statuizioni civili conseguenti all’illegittimo previo giudizio di colpevolezza, presupposto della declaratoria di prescrizione. A garanzia degli interessi della parte civile deve, perciò, trovare applicazione il principio per cui il rinvio al giudice civile ex art. 622 c.p.p. opera tutte le volte che, venuta meno la legittima possibilità dell’accertamento del reato (come nel caso di specie), non sia più competente il giudice penale (cfr. anche, seppur solo incidentalmente, sez. 6, n. 7083 del 29/10/2013).
6. Da tutto quanto esposto, ritenuti in ciò assorbiti i residui motivi di doglianza, deriva l’annullamento della sentenza senza rinvio nella parte in cui dichiara non doversi procedere nei confronti di A.G. perchè estinti i reati per prescrizione, statuizione che elimina in applicazione del disposto di cui all’art. 620, comma 1, lett. L), c.p.p.. Deriva, altresì, l’annullamento della sentenza in relazione alle statuizioni civili con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui dichiara non doversi procedere nei confronti di A.G. perchè estinti i reati per prescrizione, statuizione che elimina.
Annulla la medesima sentenza ai fini civili con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 23/09/2016

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