Cassazione Penale, Sez. 4, 19 luglio 2016, n. 30561

Non idoneità dello sportello di copertura della vasca idrica. La responsabilità di un DL di fatto non può dirsi esclusa dal fatto che lo sportello era stato realizzato e fornito da una impresa terza.


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: GIANNITI PASQUALE
Data Udienza: 22/06/2016

Fatto

l. Il Tribunale di Gela ha affermato la penale responsabilità di Gr.R., quale rappresentante e procuratore speciale della ditta Co., in relazione al reato di omicidio colposo, commesso in Gela, in data 17 maggio 2007, ai danni di Gi.R., dipendente della società U. snc di P.F. e di L.P., in violazione della normativa antinfortunistica; mentre ha assolto dalla stessa imputazione P.E. e P.G., rispettivamente legale rappresentante e amministratore di fatto della società che aveva realizzato lo sportello per cui è processo.
Era accaduto che la società U. aveva ricevuto, in subappalto, l’esecuzione di lavori di montaggio di autoclavi e pompe di riciclo da parte della società Co. srl, che, in forza di contratto 5 ottobre 2004, era appaltatrice di lavori di intervento sperimentale di recupero primario e secondario di alloggi di proprietà del Comune di Gela.
Dalla deposizione del teste F., collega di lavoro del Gi.R., era risultato che quest’ultimo, avendo appena iniziato la sua attività lavorativa per il montaggio di una autoclave, era caduto all’interno di una vasca la cui copertura aveva ceduto sotto il peso dello stesso. Il commissario di Polizia P.A. aveva riferito di aver rinvenuto il Gi.R. adagiato all’interno di una vasca di raccolta di acqua potabile profonda circa due metri e mezzo mentre il coperchio della botola aveva ceduto sotto il peso del medesimo lavoratore. Il Gi.R. era risultato privo di casco protettivo e la vasca era alta circa un metro rispetto al suolo ed alla stessa si poteva accedere liberamente, dopo aver superato un primo cancello, non sussistendo alcuna recinzione che potesse impedire l’accesso della stessa.
Il profilo di colpa contestato all’imputato era stato quello di aver dotato le botole di accesso ai vani tecnici di ispezione delle vasche di accumulo dell’acqua potabile, poste al servizio del quartiere “Villaggio Aldisio” di Gela, di uno sportello non idoneo (per le sue caratteristiche costruttive) a fungere da elemento di chiusura di aperture nel suolo e a scongiurare il rischio della caduta di persone.
Il coperchio della vasca era risultato costituito da pannelli in acciaio, forniti dalla Ci. srl, di cui P.E. era amministratore unico e P.G. il legale rappresentante.
2. Occorre aggiungere che, in relazione al decesso di Gi.R., erano stati rinviati a giudizio anche l’ing. M.I. e l’arch. Gi.Ro., quali direttori dei lavori, i quali, in sede di udienza preliminare, avevano optato per il rito abbreviato, ad esito del quale erano stati assolti per non aver commesso il fatto dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Gela (con sentenza confermata dalla Corte di appello e quindi passata in giudicato).
3. La Corte di appello di Caltanisetta ha confermato la sentenza di primo grado, che era stata appellata dall’imputato Gr.R. e dalla parte civile V.L., in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio minore M.Gi. nei confronti degli assolti P.E. e P.G..
4. Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono sia l’imputato che la costituita parte civile.
5. L’imputato Gr.R., articolando tre motivi di doglianza, deduce vizio di motivazione in ordine alla erroneamente ritenuta sua posizione di garanzia; violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza ed eccepisce comunque l’intervenuta prescrizione.
5.1.In particolare, quanto al primo motivo, il ricorrente si lamenta che la Corte aveva affermato la sua penale responsabilità travisando le emergenze processuali e, in particolare: a) omettendo di considerare che lui era stato procuratore speciale della società appaltatrice Co. srl (e, in tale qualità aveva sottoscritto il contratto di appalto 5 ottobre 2014, intercorso tra Comune di Gela e la società Co., ed il verbale di concordamento nuovi prezzi), ma non era mai stato l’amministratore unico ed il legale rappresentante di detta società (che all’epoca era R.F.); b) omettendo di considerare che la procura speciale, peraltro mai prodotta in giudizio, non gli attribuiva alcun potere gestorio, ma soltanto il potere di spendere il nome del mandante limitatamente ad uno o più specifici atti; c) travisando le deposizione dei testi P. e CA. (per stralcio inserite nel ricorso), che non avevano affatto descritto il suo diretto ruolo decisionale nella gestione dei lavori ed in particolare il suo intervento come diretto interlocutore, in rappresentanza della Co., nei rapporti con la direzione dei lavori; d) dimenticando le dichiarazioni del teste CA. al momento di individuare il responsabile della modifica progettuale del pannello di chiusura della botola mediante inserimento di una lastra più pesante di quella originariamente prevista.
5.2. Quanto al secondo motivo, il ricorrente si lamenta del fatto che: a) lui era stato chiamato a rispondere unicamente ed esclusivamente per una specifica e circostanziata condotta attiva (costituita nell’avere, nella dedotta qualità di procuratore speciale della Co., dotato gli sportelli di chiusura delle vasche di accumulo dell’acqua a servizio delle abitazioni del quartiere Aldisio di meccanismi di ancoraggio non sufficientemente robusti, tali da impedire il rischio di caduta delle persone), mentre era stato condannato dal primo giudice (che al punto 3, rubricato nesso di causalità, nell’occuparsi del nesso di causalità, aveva effettuato il giudizio controfattuale; mentre, al successivo punto 4, aveva esaminato la sua condotta sotto il profilo della violazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro) per violazione dell’art. 2087 c.c. e per violazione degli specifici obblighi previdenziali di cui all’art. 4 dPR n. 303/1956 e art. 4 d.P.R. n. 547/1955 (e, dunque, per non aver adottato le misure imposte dalla legge al fine di evitare l’insorgere di situazioni di rischio sul luogo di lavoro), cioè per profili di colpa mai in precedenza contestatigli; b) la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che il Giudice di primo grado, così operando, aveva a suo carico ritenuto una responsabilità per condotta commissiva colposa.
5.3. Infine, quanto al terzo motivo, il ricorrente, nel caso di mancato accoglimento dei primi due motivi, fa presente che, essendo intervenuta prescrizione, la sentenza impugnata deve comunque essere annullata per estinzione del reato.
6. La costituita parte civile V.L., nella citata qualità, si duole invece del vizio di motivazione nel quale sarebbe incorsa la impugnata sentenza nell’assolvere P.E. e P.G..
Ricorda la parte civile ricorrente che ai suddetti imputati era stato contestato un profilo di colpa specifico, costituito dall’aver fornito sportelli di chiusura delle botole di accesso ai vani tecnici di ispezione delle vasche di accumulo dell’acqua potabile, che, in quanto non dotati della necessaria robustezza contro il rischio da caduta delle persone, non erano idonei alla funzione alla quale erano destinati per le loro caratteristiche costruttive. Sottolinea che la Corte territoriale aveva omesso di considerare circostanze decisive: il fatto che, nel separato giudizio, gli imputati M.I. e Gi.Ro., quali direttori dei lavori, erano stati mandati assolti sul presupposto che gli stessi avevano specificato la pedonabilità degli infissi, nel verbale di concordamento nuovi prezzi, redatto in data 30.3.2007 (cioè in data antecedente all’infortunio); il fatto che la pedonabilità dello sportello in epoca anteriore all’infortunio era stata ammessa in udienza dallo stesso imputato P.G.. Si lamenta che la Corte, a fronte di un accertamento in fatto irrevocabile in ordine alla data di sottoscrizione del verbale, aveva ritenuto lo stesso redatto in data 24 maggio 2007 (cioè una settimana dopo l’incidente), sulla base di una copia acquisita agli atti. La Corte territoriale era infine incorsa in una clamorosa contraddizione infratestuale, laddove (p. 19) aveva ritenuto che la caratteristica della pedonabilità fosse stata richiesta ai P. soltanto nell’estate 2006 (e, quindi, dopo l’infortunio).

Diritto

l. Il ricorso di Gr.R. non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato.
2. Non fondato, infine, è il primo motivo di ricorso, concernente la ritenuta posizione di garanzia.
2.1. In punto di fatto, giova evidenziare che, per come precisato nella sentenza di primo grado (p. 23 e p. 42):
– il Comune di Gela con contratto 5 ottobre 2004 ha affidato in appalto alla società Co. srl i lavori di intervento sperimentale di recupero primario e secondario di alloggi popolari di proprietà comunale e interventi di urbanizzazione presso il quartiere Villaggio Aldisio;
-direttore dei lavori fu nominato l’ing. Cesare Maria Giuseppe M.I. al quale è stato affiancato il geom. Gi.Ro. con il ruolo di co- progettista;
-nel corso dei lavori si è reso necessario apportare delle modifiche al progetto esecutivo, tra le quali la realizzazione di sportelli di chiusura delle vasche di adduzione dell’acqua potabile per gli edifici condominiali, la cui voce non era stata originariamente prevista;
-per la realizzazione di detti sportelli, nell’estate del 2006, l’impresa appaltatrice Co. srl, nella persona di  Gr.R., si è rivolta alla Ci. srl, specializzata nella costruzione di finestre e sportelli;
-a tale primo incontro ha fatto seguito un secondo incontro nel settembre 2006, allorquando, alla presenza di  Gr.R. e del direttore lavori, è stato visionato un campione di coperchio realizzato dalla Ci., che veniva ritenuto non idoneo dall’ing. M.I., che chiedeva ai rappresentanti della impresa fornitrice di irrobustire il coperchio applicando alla lamiera anodizzata una lastra in acciaio dello spessore di 3 mm e di foderare l’estradosso e l’intradosso del coperchio stesso con una lamiera preverniciata;
-nel corso dei lavori, con contratto 26 aprile 2007, l’impresa appaltatrice Co. ha affidato in subappalto i lavori di installazione degli impianti di autoclave alla U. snc, alle cui dipendenze lavorava Gi.R..
2.2. Il Tribunale Gela ha dato atto che dalla acquisita visura storica risultava che l’odierno ricorrente Gr.R., al momento della verificazione dell’incidente, non rinvestiva alcuna carica direttiva formale nell’organigramma della società e, dunque, non figurava, formalmente, come soggetto responsabile della Co. srl; ma, pur in difetto di una specifica delega, ha individuato nel predetto il soggetto titolare della posizione di garanzia, sulla base delle seguenti circostanze e rilievi (pp. 42-44):
-in base al generale principio di effettività delle mansioni svolte (principio di elaborazione giurisprudenziale, ma cristallizzato nell’art. 299 del d. lgs. n. 106/2009, recante il testo unico della salute e sicurezza sul lavoro), la posizione di garanzia deve gravare su colui che – a prescindere dall’esistenza di un incarico formale e, quindi, pur sprovvisto di regolare investitura -eserciti in concreto i poteri giuridici corrispondenti al datore di lavoro o al dirigente; con la conseguenza che anche un soggetto estraneo all’organigramma aziendale può assumere una dei suddetti ruoli e divenire destinatario della normativa antinfortunistica, in presenza di comportamenti ricorrenti, costanti e specifici, dai quali possa desumersi l’effettivo esercizio di funzioni dirigenziali;
-nel caso di specie,  Gr.R., nell’ambito del cantiere del quartiere Villaggio Aldisio, aveva rivestito la qualità di responsabile effettivo della Co. srl anche nei confronti dei lavoratori dipendenti delle imprese subappaltatrici (e, quindi, anche nei confronti di Gi.R., dipendente della U. snc) in quanto: a) l’imprenditore principale, che si avvale di altra impresa per realizzare l’opera in cooperazione, ha sempre il dovere di provvedere alle misure a tutela dei lavoratori; b) i testi escussi in dibattimento (P. C., dipendente della Co. srl; ing. M.I., direttore dei lavori; geom. Gi.Ro., collaboratore del direttore lavori; arch. CA.) avevano confermato che  Gr.R. era presente quotidianamente all’Interno del cantiere per vigilare sulle operazioni lavorative, controllando che i lavori procedessero regolarmente ed adottando ogni decisione in merito all’organizzazione del cantiere ed alle attività lavorative da svolgere; in sostanza;  Gr.R. era stato descritto come colui che aveva accentrato presso di sé molti poteri ed aveva il pieno controllo della gestione e della organizzazione del cantiere dove svolse la propria attività Gi.R.; c)  Gr.R., unitamente all’ing. M.I., aveva fornito alla Ci. srl le indicazioni sulle caratteristiche che avrebbero dovuto possedere gli sportelli di chiusura delle vasche idriche; d)  Gr.R. era presente al momento in cui era stato visionato il prototipo dello sportello realizzato dalla Ci. ed aveva convenuto con l’ing. M.I. circa la necessità di irrobustire il manufatto applicando una lastra di acciaio; e)  Gr.R. aveva ordinato il montaggio degli sportelli realizzati dalla Ci. senza che essi fossero preventivamente visionati e testati come idonei alla pedonabilità;
– Gr.R., proprio perché di fatto aveva svolto la qualità di datore di lavoro, era destinatario anche dell’obbligo di garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro dove era stato chiamato ad operare Gi.R.; e la sua responsabilità non poteva dirsi esclusa dal fatto che l’incidente mortale era derivato dalla non idoneità dello sportello di copertura della vasca idrica e che tale sportello era stato realizzato e fornito da una impresa terza, essendo obbligo del datore di lavoro, quale garante della sicurezza degli ambienti di lavoro, di accertare la regolarità degli impianti presenti nel cantiere.
2.3. Anche la Corte di appello di Caltanisetta, quale giudice di secondo grado, nella impugnata sentenza (pp. 16) ha rilevato che «dalla compiuta attività istruttoria è emerso in maniera univoca che l’imputato ha assunto un diretto ruolo decisionale nella gestione dei lavori de quibus, intervenendo in prima persona come diretto interlocutore, in rappresentanza della società Co., nei rapporti con la direzione dei lavori»; e sul punto ha ritenuto «sufficiente considerare quanto emerso attraverso le dichiarazioni rese dai testi P. e CA. in merito alle riunioni operative svolte con la direzione dei lavori e l’impresa fornitrice, e con il Gr.R. personalmente, finalizzate a stabilire le caratteristiche tecniche degli sportelli di chiusura delle vasche».
La Corte di appello di Caltanisetta ha anche rilevato che proprio l’imputato aveva personalmente sottoscritto – in merito ai lavori in contestazione, “di intervento sperimentale di recupero primario e secondario di alloggi popolari” del Quartiere Aldisio di Gela – il “verbale di concordamento nuovi prezzi” con il comune di Gela.
Sulla base di tali circostanze la Corte territoriale ha confermato l’affermazione di penale responsabilità di  Gr.R. per il decesso del lavoratore Gi.R..
2.4. Così operando, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del costante insegnamento di questa corte di legittimità, secondo la quale: a) in via generale, la posizione di garanzia può avere una fonte normativa, anche non scritta, potendo anche trarre origine da una situazione di fatto, da un atto di volontaria determinazione, da una precedente condotta illegittima che costituisca il dovere di intervento ed il corrispondente potere giuridico, o di fatto, che consente al soggetto garante, attivandosi, di impedire l’evento (cfr. Sez. 4, sent. n. 38991 del 10/06/2010; b) e, con specifico riferimento alla responsabilità per eventi causalmente riconnessi alla violazione di cautele doverose nell’ambiente di lavoro, assume la posizione di garanzia del datore di lavoro colui che comunque risulti effettivamente titolare dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda (cfr., ad es., Sez. 3, sent. n. 12370 del 09/03/2005, Bincoletto ed altri, Rv. 231076).
D’altra parte, il ricorrente deduce vizio di motivazione, ma dimentica che detto vizio è deducibile in sede di legittimità esclusivamente quando la motivazione sia manifestamente illogica o contraddittoria, nel senso che non consente l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisone in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero nel senso che impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti.
Nulla di tutto questo nel caso di specie laddove la motivazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale è completa ed immune da vizi logici o giuridici. Giova qui ribadire, per condivise ragioni, l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale: nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito ed il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Sez. 5, sent. n. 16959 del 12/04/2006, Rv. 233464).
3. Non fondato è anche il secondo motivo del ricorso del Gr.R., concernente la pretesa violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Nella giurisprudenza di legittimità è pacifica una interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (cfr., Sez. 4, sent. n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione, ma implica la necessità che il diritto di difesa dell’imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull’addebito che attribuiscano allo stesso contenuti in ordine ai quali le parti – e in particolare l’imputato – non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia pure a mero titolo di esempio, può citarsi la massima per la quale “ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione” (Sez. 6, sent. n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278).
Dunque, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non si esaurisce nel mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie difensive, la violazione non sussiste se l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia comunque venuto a trovarsi nella concreta condizione di potersi difendere in ordine all’oggetto della imputazione (in senso conforme, fra le tante, si richiama la sentenza delle Sezioni Unite n. 36551 del 15/7/2010).
Come è stato precisato da questa Sezione (sent. n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio ed altri, Rv. 265946), l’esigenza sottesa a tale lettura del principio di correlazione fra accusa e sentenza è quella d’impedire, che, attraverso rilievi meramente formalistici, l’imputato, pur essendo posto in condizione di difendersi dall’ipotesi accusatoria, abusando delle garanzie processuali, deduca la non esatta corrispondenza letterale dell’espressione descrittiva del fatto. Se, invece, il fatto addebitato nel capo d’imputazione, inteso come perimetrazione penalmente rilevante di accadimenti esistenziali, risulti difforme da quello accertato, s’impone la trasmissione degli atti al P.M. La diversità apprezzabile, quindi, da non identificarsi in meri scostamenti formali, deve concernere il fatto tipico.
La concreta applicazione del suddetto principio – di per sè può essere agevole nei reati dolosi (in specie commissivi), nei quali la condotta tipica risulta identificabile per la sua corrispondenza alla descrizione fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di pura condotta) o per la sua valenza eziologica (reati di evento) – può essere meno agevole nei reati colposi, in quanto la condotta colposa – in specie omissiva (e, massimamente, se commissiva mediante omissione) – si identifica solo attraverso la integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere dal primo alla norma, dalla quale scaturiscono l’obbligo di facere e la regola cautelare che avrebbe dovuto essere osservata. Quest’ultima, in particolare, può rinvenirsi in leggi, ordini e discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali generalmente osservate o prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa generica). Di qui il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di legittimità alla necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto è emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini, al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perché sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco e altro, Rv. 257902). Di qui il rilievo, correttamente formulato dalla Corte territoriale (p. 17), secondo il quale «l’imputato non ha violato un comando omettendo di intervenire in un caso che richiedeva la sua attivazione, ma ha violato il divieto di operare in modo incongruo».
Le considerazioni che precedono spiegano perché si è ritenuto, in materia di reati colposi, non sussistere violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, sent. n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161).
Nel caso in esame, il fatto per il quale l’imputato è stato condannato è proprio quello addebitato al capo d’imputazione: esso non rappresenta altro che interno logico sviluppo, o, se si vuole, rappresentazione, della prospettazione accusatoria contestata in rubrica. In altri termini: nel caso in esame non ricorre alcun vulnus difensivo, in quanto l’affermazione di penale responsabilità non ha trovato fondamento nell’accertamento di condotte illecite incompatibili, o anche solo eterogenee od eccentriche con quel che la difesa poteva ragionevolmente attendersi dal materiale processuale.
Nella concreta fattispecie, l’imputazione è stata precisata (e/o integrata), in sentenza, alla luce delle risultanze acquisite nel corso dell’articolata istruzione dibattimentale, al cui svolgimento ha partecipato la difesa dell’imputato e tale precisazione (e/o integrazione) non ha affatto inciso sugli elementi costitutivi del reato formalmente contestato: l’imputato stesso, pertanto, è venuto a trovarsi nella condizione di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (al riguardo, cfr., “ex plurimis”, Sez. 4, sent. n. 16900 del 2004, Caffaz ed altri, Rv. 228042).
Conclusivamente, deve escludersi che, nel caso in esame, possa parlarsi di mutamento del fatto, inteso come una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassumeva l’ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto della imputazione tale da determinare un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Dal tenore della formulazione della doglianza in esame, si rileva che il ricorrente ha inteso richiedere a questa Corte un’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto attraverso un mero confronto letterale tra contestazione e sentenza laddove il tema è, piuttosto, quello delle garanzie difensive: e, in materia di garanzie difensive, come detto, la violazione in argomento, nel caso di specie, non sussiste, giacché l’imputato, attraverso l’iter del processo, è comunque venuto a trovarsi nella concreta condizione di potersi difendere in ordine all’oggetto della imputazione.
4. Infine, non fondato è il terzo motivo di ricorso, relativo alla pretesa intervenuta estinzione del reato a seguito di prescrizione. Al riguardo, è sufficiente osservare che, essendosi il fatto reato consumato il 17 maggio 2007, ad oggi non è affatto decorso il termine prescrizionale, che il combinato disposto di cui all’art. 157 comma 1 e comma 6 c.p. fissa in anni 12.
5. Il ricorso della parte civile V.L. è fondato, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata ai soli fini civili limitatamente alle posizioni processuali di P.E. e di P.G. con rinvio al giudice civile di appello competente per valore.
5.1. Occorre precisare che il Tribunale di Gela era pervenuto ad una assoluzione, ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen. dei suddetti due imputati (rispettivamente rappresentante legale e rappresentante di fatto della Ci. srl) per non avere commesso il fatto.
Al riguardo, il Giudice di primo grado (pp. 46-48) ha messo in evidenza:
-da un lato: a) la circostanza pacifica in atti che la Ci. era stata incaricata dalla Co. srl di realizzare gli sportelli per la copertura delle vasche di adduzione dell’acqua potabile destinata alla erogazione degli appartamenti condominiali; b) le dichiarazioni rese dall’ing. M.I., dal geom. Gi.Ro. e dall’arch. CA., secondo il narrato dei quali, in occasione dell’incontro con P.G. (soggetto incaricato dalla Ci. di effettuare i sopralluoghi e prendere le misure per la realizzazione degli sportelli), erano state indicate le caratteristiche che avrebbero dovuto possedere i manufatti ed era stato precisato che gli stessi dovevano essere calpestabili; e, in occasione della visione del prototipo, era stata richiesta la modifica dello sportello con l’aggiunta di una lastra di acciaio in modo che fosse più robusto e resistente (circostanza questa che, secondo il giudice di primo grado, comproverebbe la consapevolezza da parte del predetto che il manufatto doveva essere idoneo alla pedonabilità); c) il verbale del nuovo concordamento prezzi, dove al punto NP 63 erano state indicate le caratteristiche dello sportello, il quale doveva possedere una intelaiatura superiore in alluminio anodizzato preverniciato e intelaiatura inferiore in lamiera zincata a caldo in modo da rendere lo sportello pedonabile ed essere realizzato a perfetta regola d’arte;
-d’altro lato: a) le dichiarazioni rese dagli stessi imputati P.E. e P.G. (confermate dal teste Bi.G.), che avevano escluso che, nel momento in cui erano state loro fornite le prescrizioni da seguire nella costruzione degli sportelli, fosse stato loro richiesto in maniera specifica che dovevano essere pedonabili; avevano confermato che, nel momento della visione del primo prototipo, era stato loro richiesto di apportare delle modifiche alla lastra per irrobustirla con un altro spessore di acciaio, ma avevano escluso che tale richiesta fosse finalizzata a rendere più sicura la pedonabilità degli sportelli; b) la circostanza che l’attività tipica della Ci. era la realizzazione di manufatti in alluminio ed in particolare la costruzione di infissi e sportelli ed «evidentemente» il direttore dei lavori ed il responsabile della impresa appaltatrice miravano ad ottenere proprio la realizzazione di infissi necessari a chiudere le vasche idriche; c) il fatto che il verbale di concordamento nuovi prezzi fosse stato redatto il 24 maggio 2007, ovvero una settimana dopo la verificazione del sinistro, per cui non appariva privo di fondamento il sospetto che si fosse trattato di un tentativo del titolare della impresa appaltatrice e del direttore dei lavori di dotarsi di uno strumento idoneo a scagionarli; d) il fatto che la Co. aveva pagato per intero il corrispettivo della fornitura di tutti gli sportelli richiesti, e, così facendo, aveva dimostrato di accettare il lavoro svolto dalla Ci..
5.2. I suddetti elementi avevano formato oggetto di appello della parte civile, secondo la quale: a) il ragionamento secondo il quale la impresa appaltatrice, ove avesse avuto bisogno di botole, non avrebbe commissionato il manufatto ad una ditta di infissi, sarebbe fragile da un punto di vista logico e sarebbe un escamotage utilizzabile da qualunque imputato; b) tra gli elementi in fatto che avevano condotto al proscioglimento dei due direttori lavori vi era stata la circostanza che gli stessi avevano specificato la pedonabilità degli infissi nel verbale di concordamento nuovi prezzi, che era stato redatto in data antecedente all’Infortunio (sentenza Gup, p. 29, sentenza Corte di appello di Caltanisetta, p. 13); c) l’imputato P.G., in sede di esame dibattimentale (svoltosi all’udienza 30 maggio 2012), aveva sostanzialmente ammesso che il tema della pedonabilità del manufatto si era presentato prima dell’infortunio (e, precisamente, in occasione del secondo incontro, in occasione della visione del prototipo, allorquando lui si era messo personalmente sopra la botola per far vedere che lo sportello reggeva il suo peso).
5.3. La Corte di appello non si è confrontata con le suddette doglianze difensive nel confermare l’assoluzione dei due imputati (p. 21); e, così operando, è incorsa nel denunciato vizio motivazionale.
Invero – premesso che risulta agli atti del fascicolo processuale la sentenza emessa in data 30 giugno 2010, ad esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Gela nei confronti dei direttori lavori (M.I. e di Gi.Ro.) e che la stessa è nelle more passata in giudicato – non può non essere rilevato che in detta sentenza viene espressamente riferito (p. 29, ultimi righi): «Sempre a tale proposito, deve porsi in risalto che sono riscontrate dall’arch. CA. oltre che dalla documentazione acquisita, le affermazioni degli odierni imputati secondo cui la voce NP 63 era stata predisposta allorquando non era stata completata la procedura per installare vasche di raccolta prefabbricate e, dunque, ben prima che si dovesse provvedere alla collocazione delle coperture dei vani tecnici (con sommità in piano) del genere di quella dove si è verificato l’incidente».
A fronte di tale rilievo documentale, la Corte territoriale, nella impugnata sentenza (p.21), ha escluso apoditticamente che il verbale di concordamento nuovi prezzi (intercorso tra il Comune di Gela e l’impresa Co. srl) sia stato stipulato in data 30 marzo 2007 (e, quindi, prima del verificarsi dell’infortunio per cui è processo, come invece affermato nel processo a carico dei direttori lavori) e ha apoditticamente affermato che era stato sottoscritto in data 24 maggio 2007 (cioè una settimana dopo l’infortunio), omettendo la necessaria motivazione proprio su un punto decisivo della controversia, quale per l’appunto era se la pedonabilità era o meno una caratteristica espressamente richiesta prima del verificarsi dell’infortunio.
Inoltre, la Corte territoriale, nella impugnata disamina, non ha sottoposto alla necessaria disamina le dichiarazioni rese dall’imputato P.G. in sede di esame dibattimentale; ed è incorsa in contraddizione interna laddove (p.19), dopo aver ritenuto che la caratteristica della pedonabilità era stata richiesta ai P. soltanto dopo l’infortunio del 17 maggio 2007, ha affermato che la fornitura degli sportelli era stata preceduta da due incontri e che nel primo di essi (svoltosi nell’estate del 2006) l’ing. M.I. aveva dato indicazioni sul tipo di sportello da realizzare, compresa la sua pedonabilità.
6. Per le ragioni che precedono, il ricorso di  Gr.R. deve essere rigettato e la sentenza impugnata deve essere confermata nei di lui confronti. Inoltre, la stessa sentenza deve essere annullata, ai soli fini civili in difetto di impugnazione del PM, limitatamente alle posizioni processuali di P.E. e di P.G. con rinvio al giudice civile di appello competente per valore, cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di Gr.R. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata ai soli fini civili limitatamente alle posizioni processuali di P.E. e di P.G. con rinvio al giudice civile di appello competente per valore, cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio.
Così deciso il 22/06/2016

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