Il datore di lavoro é responsabile delle lesioni occorse all’operaio in conseguenza dell’uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (Sez. 4, n. 22819 del 23/04/2015, Baiguini, Rv. 263498: in motivazione la Corte ha precisato che il datore di lavoro é tenuto ad accertare la compatibilità dei dispositivi di sicurezza adottati, i quali, pur se sofisticati, potrebbero rilevarsi insufficienti in ragione delle modalità con cui la macchina é in concreto utilizzata).
Orbene, nel caso di specie, il fatto stesso che fosse presente sulla cesoia una protezione mobile in corrispondenza della zona taglio, e che a fronte di ciò fosse frequente (per come emerso in dibattimento) che tale protezione venisse manomessa dagli operai per ragioni di speditezza, rende evidente che il rischio poteva essere ridotto tempestivamente osservando la dovuta diligenza.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 30/09/2016
Fatto
1. La Corte d’appello di Genova, 3 Sezione penale, con sentenza resa in data 14 ottobre 2015, confermava la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Savona il 2 luglio 2014, con la quale G.A. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di cui all’art. 590 cod.pen., con violazione degli artt. 70, comma 1, 71, comma 1 e 4 lettera a), nn. 1 e 3, 73, comma 1, e 18, comma 1 lettera f), D.Lgs. n. 81/2008, contestato all’G.A. in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso in data 5 giugno 2009 presso uno dei cantieri edili dell’impresa di cui l’G.A. era titolare.
L’infortunio si verificava ai danni di M.R., dipendente della suddetta impresa, nella quale l’G.A. rivestiva la qualità di datore di lavoro. Il M.R. era impegnato, al momento del sinistro, nel taglio di alcuni tondini di ferro, impiegando a tal fine una cesoia marca Siila S.r.l. modello S.26; durante l’operazione, il M.R. aveva utilizzato il macchinario pur essendosi avveduto del sollevamento dell’apposita protezione mobile della zona di taglio della macchina, la quale però in tal modo funzionava più speditamente grazie all’elusione del dispositivo di interblocco. A un tratto, a causa dell’assenza della suddetta protezione mobile, l’operaio infilava inavvertitamente il dito all’interno del meccanismo, così da subire l’amputazione della falange distale del primo dito della mano destra: lesioni giudicate guaribili in 55 giorni.
All’G.A. é contestato di avere agito, nella sua qualità datoriale, senza adottare le necessarie misure di sicurezza, con particolare riguardo a quelle dianzi richiamate, mettendo a disposizione del lavoratore un macchinario non conforme alle normative di sicurezza, nonché omettendo di prendere le misure necessarie all’utilizzo in sicurezza dell’apparecchiatura e di fornire al M.R. le necessarie informazioni e istruzioni.
La sentenza d’appello, a fronte dei motivi di doglianza dell’imputato, escludeva in particolare che il sinistro fosse dovuto a comportamento abnorme del dipendente, non potendosi qualificare come tale la condotta del M.R., pur imprudente e disattenta; ciò che non esime l’imputato, nella ridetta qualità, dalle sue responsabilità datoriali connesse al fatto che egli, titolare di posizione di garanzia in tema di sicurezza del lavoro, non ottemperava alle suddette prescrizioni e in tal modo non impediva il verificarsi dell’infortunio pur avendone l’obbligo giuridico.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre l’G.A.. Il ricorso, da lui personalmente sottoscritto, é articolato in un singolo motivo, teso a contestare violazione di legge e vizio di motivazione nella detta pronunzia di condanna. In particolare, lamenta l’esponente che la Corte di merito ha errato nell’escludere l’abnormità del comportamento del M.R. (che invece, secondo l’esponente, doveva considerarsi imprevedibile e tale da sollevare l’G.A. da responsabilità) e nel ritenere viceversa che un comportamento negligente e disattento come quello tenuto dall’operaio non abbia interrotto il nesso causale tra la condotta attribuita all’imputato e l’evento lesivo.
Nell’articolare il motivo in esame, il ricorrente ripropone sostanzialmente le doglianze illustrate in sede d’appello, volte alla dimostrazione dell’imprevedibilità dell’accaduto da parte sua: ciò a fronte dell’accertamento dell’assoluta episodicità della condotta negligente da parte del M.R., il quale in dibattimento ha dichiarato di avere sempre, in precedenza, operato in sicurezza, sostenendo che quel giorno egli aveva deciso di lavorare ugualmente con il dispositivo di sicurezza manomesso, del quale pure egli si era avveduto; né, prosegue l’esponente, é in alcun modo emerso che in precedenza il macchinario in questione risultasse già manomesso.
Diritto
1. Il ricorso é infondato.
Quanto alle disposizioni cautelari violate, si ricorda in particolare che l’art. 71 D.Lgs. 81/2008 fa obbligo al datore di lavoro di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013); nella specie, come correttamente rilevato dalla Corte genovese, il rischio era conosciuto o quanto meno conoscibile da parte del datore di lavoro, ma non adeguatamente fronteggiato, atteso che, secondo quanto riferito dall’ispettore del lavoro C., i lavoratori procedevano comunemente a protezione aperta per questione di ritmi, sebbene la manomissione della chiavetta di protezione fosse manovra che richiedeva di agire sulle viti e sui bulloni di fissaggio; da ciò si desume che l’G.A., pur mettendo a disposizione degli operatori un’apparecchiatura provvista di un dispositivo di sicurezza e pur risultando che tale dispositivo venisse in alcuni casi rimosso dai dipendenti, non agiva in modo da scongiurare il rischio che costoro potessero rimuovere detto dispositivo e, anche solo accidentalmente, posizionassero le dita in corrispondenza della zona di taglio. Né il funzionamento in sicurezza dell’apparecchiatura poteva essere condizionato esclusivamente da uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore. Oltre a ciò, va osservato che il rischio nella specie concretizzatosi aveva comunque formato oggetto di previsione, atteso che le caratteristiche stesse del macchinario comprendevano il dispositivo di protezione che nella specie era stato manomesso.
2. In proposito, va ricordato che il datore di lavoro é responsabile delle lesioni occorse all’operaio in conseguenza dell’uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (Sez. 4, n. 22819del 23/04/2015, Baiguini, Rv. 263498: in motivazione la Corte ha precisato che il datore di lavoro é tenuto ad accertare la compatibilità dei dispositivi di sicurezza adottati, i quali, pur se sofisticati, potrebbero rilevarsi insufficienti in ragione delle modalità con cui la macchina é in concreto utilizzata).
Orbene, nel caso di specie, il fatto stesso che fosse presente sulla cesoia una protezione mobile in corrispondenza della zona taglio, e che a fronte di ciò fosse frequente (per come emerso in dibattimento) che tale protezione venisse manomessa dagli operai per ragioni di speditezza, rende evidente che il rischio poteva essere ridotto tempestivamente osservando la dovuta diligenza.
3. In tale quadro, la Corte territoriale ha correttamente escluso che il comportamento del M.R. potesse considerarsi abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata all’G.A. e l’evento lesivo: invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, sicché la condotta imprudente dell’infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore ed all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che é interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento é “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri).
Nella specie, é di tutta evidenza che la condotta del M.R. si inseriva invece pienamente, e in modo tutt’altro che imprevedibile o eccentrico, nell’area di rischio affidata alla gestione dell’G.A., nella sua qualità datoriale: da un lato perché questi, sul piano generale, era affidatario in base al già richiamato art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 della posizione di garanzia connessa al dovere di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina; dall’altro perché proprio il rischio di un utilizzo inidoneo del macchinario era a sua volta prevedibile ed evitabile, sia per l’esistenza del dispositivo di sicurezza più volte descritto, sia per il fatto che la prassi di rimuovere detto dispositivo risultava non sporadica.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 30 settembre 2016.