Infortunio mortale durante l’installazione di un ascensore. Appalto e interferenze.
> articolo collegato: Di cosa si parla quando si parla di “interferenza”?
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: BELLINI UGO
Data Udienza: 08/11/2016
Fatto
1. La Corte di Appello di Milano con sentenza in data 23.11.2015 confermava in punto a responsabilità penale la decisione del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto F.A., F.N., B.N. e P.D.A. colpevoli del reato di cooperazione colposa nell’omicidio di A.N. dipendente della ditta Vertical Service il quale, mentre si trovava all’interno della fossa di manutenzione, intento a eseguire interventi connessi alla installazione di un ascensore, rimaneva incastrato tra la traversa inferiore del vano cabina e la scala a pioli ove si trovava ad operare, in quanto l’ascensore era stato inavvertitamente azionato da altro dipendente che stava lavorando a monte. L’operaio era deceduto per asfissia in quanto nessuno degli altri operai, pure presenti, era in possesso o era riuscito a reperire prontamente, le chiavi di accesso al vano posto all’Interno del condominio ove si trovavano i comandi elettrici della cabina.
2. I giudici di merito, in accoglimento della prospettazione accusatoria, avevano ravvisato profili di colpa concorrente in capo a P.D.A., datore di lavoro della persona offesa, sia per carenze originarie e funzionali del POS il quale non contemplava misure prevenzionali idonee a scongiurare l’infortunio occorso, sia in ragione di una carente formazione/informazione dei dipendenti sui rischi connessi a tale ambito di lavorazione, in quanto gli stessi erano incorsi in una serie di palesi omissioni connesse alla mancata attivazione dei sistemi che avrebbero precluso l’azionamento automatico della cabina (meccanismo di stop, apertura delle porte).
2.1 Erano ritenuti responsabili dell’evento anche F.N., quale legale rappresentante della ditta F.N. s.r.l. affidataria delle opere, principale appaltatore operante nel cantiere, nonché B.L., legale rappresentante della ditta M. s.r.l., quale soggetto sub affidatario, il quale aveva a sua volta commesso alla ditta Vertical Service s.r.l. la installazione dell’ascensore, per avere omesso di verificare le misure generali di tutela di sicurezza su lavoro e per avere omesso di cooperare al coordinamento tra i vari datori di lavoro, assumendo in particolare efficienza causale la condotta omissiva contestata in relazione alla gestione del cantiere e alle modalità di accesso al vano da cui potere azionare i comandi dell’ascensore.
2.2 Era ritenuto altresì responsabile il coordinatore in fase di esecuzione F.A., in ragione della omessa verifica della idoneità del POS con particolare riferimento alle operazioni di movimentazione della cabina dell’impianto ascensore durante la fase di montaggio.
3. In relazione all’azione civile avanzata dai prossimi congiunti della persona offesa (moglie, madre e tre figli del A.N.) anche nei confronti dei responsabili civili Fratelli F.N. s.r.l., M. s.r.l. e Vertical Service Milano s.r.l. i giudici di merito, riconosciuta la responsabilità solidale anche di questi, ritenevano di dovere ripartire le responsabilità civili dell’infortunio prò quota, riconoscendo la responsabilità della P.D.A. nella misura del 40 %, di B.N. e di M. s.r.l. nella misura del 25 % ciascuna e di F.A. nella misura del 10 %, condannando pertanto ciascuno degli imputati e dei responsabili civili, ad eccezione di M. s.r.l., al risarcimento del danno, la cui liquidazione era rimessa al giudice civile, in misura proporzionale alle suddette percentuali. Venivano assegnate alle parti civili, che ne avevano fatto richiesta, somme provvisionali da imputarsi alla liquidazione definitiva, che il giudice di appello provvedeva a ridurre, in quanto gli importi riconosciuti dal primo giudice erano risultati superiori agli importi medi risultanti dalla applicazione delle tabelle risarcitorie predisposte e in uso presso il Tribunale di Milano. Veniva dichiarata la nullità della statuizione civile pronunciata in primo grado nei confronti di M. s.r.l. in quanto era risultato un difetto di citazione in giudizio in primo grado del suddetto responsabile civile.
4. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione la difesa di tutti gli imputati, la difesa delle parti civili, limitatamente alla statuizione relativa alla regolamentazione delle spese processuali, e dal responsabile civile F.N. s.r.l..
4.1 La difesa delle parti civili si doleva di una statuizione di compensazione delle spese di lite in violazione di legge, in relazione all’art.541 cod.proc.pen. con riferimento agli art.185 cod.pen. 91 e 92 cod.proc.civ. laddove le istanze risarcitorie della parte civile erano state integralmente accolte e non sussistevano ragioni, neppure di soccombenza parziale o reciproca, per procedere ad una compensazione delle spese di lite.
5. F.R., coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione e la difesa di questi proponevano quattro motivi di ricorso.
5.1 Con un primo motivo denunciava violazione di legge nella parte in cui il giudice di appello aveva tratto profili di colpa in capo al ricorrente per un carente esame del contenuto del POS della ditta datrice di lavoro, laddove tale obbligo, pure previsto dall’art.92 DL.go 81/2008 era da intendersi in collegamento con il piano di sicurezza e coordinamento al fine di assicurarne la coerenza, laddove l’infortunio si era realizzato al di fuori di ambiti di interferenzialità di lavorazioni, mentre non doveva fare carico al coordinatore di accertare la intrinseca completezza dello stesso e la idoneità rispetto alle lavorazioni programmate, trattandosi di obblighi facenti carico alla parte datoriale;
5.2 con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione a falsa applicazione dell’art.521 cod.proc.pen. in relazione all’art.516 cod.proc.pen. laddove, pur in mancanza di specifica contestazione da parte del PM, il giudice di primo grado aveva introdotto il tema del tutto nuovo della responsabilità del coordinatore per la esecuzione in relazione a profili di carenza organizzativa del cantiere, che comportava un addebito di deficit di coordinamento tra imprese simultaneamente impegnate.
In particolare assumeva che era stato introdotto non già un diverso profilo di colpa specifica in capo al F.A., bensì un diverso fatto, assolutamente inesplorato nel corso del dibattimento, rispetto al quale rilevava la presenza in cantiere di due lavoratori autonomi e la esecuzione di interventi volti a chiudere un varco utilizzato per accedere al quadro dei comandi elettrici dell’ascensore. Tali fatti introducevano la responsabilità del F.A. per il malgoverno di un profilo di rischio, in questo caso di rilievo interferenziale, che non era contenuto in imputazione, seppure nella lata accezione di “omessa verifica delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza”;
5.3 con un terzo motivo deduceva vizio motivazionale in punto alla sussistenza di interferenzialità in relazione alla possibilità di accesso al locale tecnico ove si trovavano i comandi dell’ascensore, laddove nessun deficit di coordinamento si era realizzato sul punto, in quanto le chiavi erano legittimamente detenute dagli operai della ditta di ascensori che stavano provvedendo alla installazione del mezzo, che il vano che custodiva le chiavi doveva essere chiuso per specifica disposizione normativa, né poteva vigere l’onere di consegnarne copia al personale di guardiania, atteso che ci si trovava nella fase del montaggio e non già in quella dell’ordinario esercizio del servizio. Nessuna gestione del rischio interferenziale si poneva in capo al coordinatore in quanto non sussisteva sovrapposizione o incrocio di lavorazioni e la circostanza che il vano che consentiva l’accesso al quadro elettrico fosse stato chiuso di recente non costituiva elemento che imponeva al coordinatore un intervento in chiave prevenzionistica, sia pure di coordinamento, laddove in cantiere era presente l’unica ditta impegnata nell’attività di installazione che deteneva le chiavi del pannello elettrico;
5.4 con un quarto motivo di ricorso la difesa del F.A. denunciava difetto motivazionale in punto a/ a)’ mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, intervenuto in sede dibattimentale per fatto non ascrivibile al ricorrente; b) omessa applicazione della ipotesi attenuata di cui all’art.114 cod.pen. anche in considerazione del minimo apporto concorsuale attribuito sotto il profilo civilistico (10 %); c) omesso riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e quantificazione della pena nei minimi edittali; d) omesso riconoscimento della richiesta di pena patteggiata con il riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno; e) percentuale di concorso di colpa attribuita al ricorrente.
6. La difesa di F.N. articolava tre motivi di ricorso.
Con un primo motivo deduceva violazione di legge in punto ad applicazione della direttiva cantieri di cui al titolo IV delD.L.vo 81/2008, in relazione alla individuazione del colpevole della condotta ascritta, sul presupposto del difetto di coordinamento delle attività di impresa all’interno dal cantiere, laddove solo la società Vertical era assegnataria del compito di installazione dell’ascensore, mentre altri artigiani erano impegnati nella esecuzione di opere all’interno del condominio, assolutamente avulse dal contesto della specifica lavorazione in discussione, così da escludere la vigenza di una qualsivoglia esigenza di una attività di coordinamento;
6.2 Con un distinto motivo di ricorso era dedotta violazione di legge e difetto motivazionale in punto a delega prepositurale in relazione a responsabilità colposa, laddove nel caso in specie il F.N. aveva proceduto ad una delega di funzioni di vigilanza al G. nei limiti stabiliti dall’art.16 D.L.vo 81/2008.
6.3 Con un terzo motivo di ricorso deduceva carenza di motivazione in relazione alla riconosciuta relazione causale tra il contestato difetto di coordinamento dell’appaltatore e l’evento, valutazione che poggiava sul falso presupposto che, al momento dell’infortunio, tutte le imprese fossero ancora operative in cantiere e che fosse necessario un loro coordinamento per individuare le modalità di accesso al locale ove si trovavano i comandi dell’ascensore.
7. La difesa di B.N. Lino articolava cinque motivi di ricorso allegando atti del processo a sostegno soprattutto del vizio procedurale denunciato.
7.1 Assumeva invero con un primo motivo che non era stato rispettato il termine minimo a comparire di venti giorni e che, una volta rilevato il difetto il giudice di primo grado, piuttosto che disporre la rinnovazione della citazione, fissava nuova udienza nel rispetto dei termini. Alla successiva udienza, a fronte della eccezione della difesa del B.N., ne dichiarava la contumacia assumendo la adeguatezza del rinvio disposto; denunciava violazione di legge processuale in presenza di nullità assoluta di ordine generale e comunque, pure a volerla ritenere di rilievo intermedio, la stessa era stata tempestivamente eccepita.
7.2 Con un secondo motivo deduceva nullità della sentenza per violazione della disciplina del rapporto di causalità e della imputazione della colpa relativamente agli obblighi facenti carico al B.N. quale responsabile della ditta affidante i lavori alla Vertical Service, la quale si trovava in una posizione intermedia tra l’appaltatore committente le opere (F.N.), e la ditta affidataria delle opere (Vertical), ed era priva di obblighi di coordinamento delle attività delle diverse imprese esecutrici, essendosi limitata a subappaltare le opere e a fornire il nuovo ascensore da montare, senza essere impegnata in alcuna attività presso il cantiere con le proprie maestranze, né assumendo obblighi di coordinamento rispetto ai dipendenti di ulteriori imprese ivi impegnate, laddove la Vertical aveva operato in piena autonomia organizzativa.
7.3 Mediante una terza articolazione il B.N. deduceva violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art.16 D.L.vo 81/2008 sulla delega di funzioni a fronte di una ritenuta assoluta estraneità alla gestione operativa della ditta e della esistenza di un direttore tecnico con delega alle scelte esecutive con attribuzioni anche sulla individuazione delle ditte affidatane delle opere in sub appalto. In particolare evidenziava che nelle aziende organizzate sulla base di un articolato e complesso reticolato di attribuzioni, la posizione di garanzia doveva essere individuata sulla base dell’effettiva gestione del rischio piuttosto che sulla formale attribuzione di incarichi e pertanto a prescindere da una formale delega.
7.4 Con un quarto motivo di ricorso deduceva ipotesi di travisamento della prova rispetto a quanto emerso in istruttoria dibattimentale, con riferimento al fatto che la ditta M. avesse conservato per sé parte dei lavori, laddove la stessa aveva interamente subappaltato le opere e non era presente in cantiere con le proprie maestranze; né una ingerenza nei compiti della ditta esecutrice poteva essere desunta dalle dichiarazioni del MA., responsabile della ditta M. sul cantiere, il quale aveva rammentato le relazioni intercorrenti tra l’appaltatore F.N. e la esecutrice Vertical e la delimitazione delle rispettive aree di competenza in materia di sicurezza che, in relazione alla impresa M. si risolvevano nel predisporre un luogo di lavoro sicuro per la successiva lavorazione dell’installatore dell’ascensore, senza peraltro interferire in tale ultima attività.
7.5 Con un ultimo motivo deduceva nullità della sentenza per illogicità della motivazione e travisamento del fatto in punto a relazione causale tra condotte ascritte ed evento mortale, a fronte delle stesse gravissime negligenze riscontrate a carico dei due operai della Vertical, idonee a assorbire ogni ulteriore profilo causale e alla impossibilità per la ditta del B.N. di operare in sede prevenzionale, non essendo stata informata della chiusura dell’accesso al locale ove era custodito il pannello dei comandi dell’ascensore.
8. La difesa di P.D.A. quale datrice di lavoro della persona offesa proponeva due motivi di ricorso.
8.1 Con un primo motivo si doleva di violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione al rapporto di causalità, assumendo che sussisteva una causa sopravvenuta, consistente nel mancato accesso al vano di cui sopra, che avrebbe consentito di liberare il dipendente intrappolato e tale fatto era del tutto estraneo al proprio controllo del cantiere e della gestione del rischio interferenziale.
8.2 Con un secondo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale in punto a responsabilità colposa per difetto di formazione dei propri operai, alla stregua dei documenti acquisiti che pure avrebbero potuto essere sottoposti a perizia grafica e comunque alla stregua delle dichiarazioni del teste R. il quale aveva riconosciuto la partecipazione del A.N. a un corso di formazione che atteneva tra l’altro il lavoro in fossa ; né alla ricorrente poteva essere contestato un difetto di coordinamento in relazione agli interventi di sostituzione della porta di accesso al vano comandi, che era stata operata da altra impresa, senza nessuna comunicazione alla P.D.A..
Diritto
1. I ricorsi degli imputati e del responsabile civile devono essere rigettati in quanto infondati. La sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti imputati e dal responsabile civile, atteso che i giudici di merito, attraverso un articolato motivazionale del tutto integro sotto il profilo logico giuridico e coerente con gli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni della responsabilità degli imputati, nelle loro rispettive vesti di legali rappresentanti della ditta Vertical Service datrice di lavoro dell’operaio infortunato ed esecutrice delle opere di installazione dell’ascensore, della azienda F.lli F.N. s.r.l. appaltatrice dei lavori di ristrutturazione del complesso immobiliare e della società M. s.r.l. che si era assunta verso l’appaltatore l’onere della realizzazione di alcuni servizi, quale quello dell’ascensore, subappaltandone alla Vertical Service la installazione, nonché infine il F.A. nella sua veste di coordinatore nella fase di progettazione e di esecuzione delle opere.
2. Come premessa all’esame dei singoli motivi di doglianza non può che rimarcarsi la correttezza delle argomentazioni dei giudici di merito nel porre in rilievo e valorizzare la cooperazione colposa, quale elemento di saldatura delle singole posizioni di garanzia rivestite dagli imputati cui sono stati ricondotti specifici profili di responsabilità per colpa, e la sinergica rilevanza nella realizzazione di un evento unitario. Invero, in più di una articolazione è stata prospettata la assenza di rilievo causale alle condotte dei ricorrenti in ragione di fattori alternativi, coevi e successivi, riferibili a comportamenti umani, estranei alla sfera di prevedibilità di ciascun imputato, o a eventi del tutto casuali, tali da alterare e interferire sui profili causali delle singole condotte ascritte. Peraltro, si verte in ambito di infortunio realizzatosi sul luogo di lavoro ove il coinvolgimento integrato di più soggetti non solo era imposto dalla legge (art.26 e 90 ss D.Lgs. 2008/81), ma anche da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio e alla presenza in cantiere, ovvero nel legittimo affidamento da parte delle maestranze chiamate ad operare in cantiere, di una opera di cooperazione e di coordinamento della gestione del rischio interferenziale (cfr. S.U. 24.4.2014, Espenhahn, par. cooperazione colposa). Ne consegue una saldatura dei distinti profili di colpa riconosciuti a ciascun imputato, in quanto confluiti nel determinismo dell’evento, di talché non è consentito procedere, ai fini penali, ad una postuma verifica frazionata, parcellizzata e diacronica degli stessi, ma si impone una valutazione unitaria del complesso delle condotte asseritamente antidoverose, laddove la comune gestione del rischio giustifica la penale rilevanza di apporti che, sebbene atipici, incompleti o di semplice partecipazione, si coniugano tra di loro compenetrandosi laddove gli obblighi di cooperazione e di coordinamento rappresentano per i datori di lavoro di tutte le imprese “coinvolte “la cifra” della loro posizione di garanzia e delimitano l’ambito della rispettiva responsabilità (sez.IV, 7.6.2016, P.C. e altri in proc.Carfì e altri, Rv. 267687).
3. Sulla base di tale premessa emerge la inconsistenza del ricorso proposto da P.D.A., datrice di lavoro dell’operaio infortunato, laddove il giudice di appello ha posto in luce, con ampia motivazione, assolutamente incensurabile in questa sede, stante la coerenza logico giuridica che la caratterizza, le gravissime lacune che caratterizzavano il POS nella delicata fase di opere realizzate all’interno di fossa di manutenzione e alle rilevantissime carenze di formazione e informazione che avevano preceduto l’esecuzione dell’attività lavorativa, scandita da macroscopiche negligenze e da palesi errori in sede esecutiva da parte di entrambi i dipendenti.
3.1 Orbene se le appropriate e coerenti argomentazioni dei giudici di merito rendono del tutto inammissibile il secondo motivo di doglianza, che si limita a contestare gli specifici profili di colpa ascritti al datore di lavoro, nondimeno deve ritenersi infondato anche il primo motivo di ricorso, il quale fa leva su una asserita interruzione del rapporto di causalità tra la condotta, vuoi pure colposa della ricorrente e l’evento, in quanto del tutto estranea alla gestione del rischio relativo all’accesso al quadro comandi dell’ascensore.
3.2 Appare evidente infatti, alla stregua della premessa che precede, che la condotta colposa della ricorrente si inserisce in una poliedrica e articolata congerie di omissioni e di condotte antidoverose, tra cui assume precipuo rilievo un generale e consapevole difetto di informazione, cooperazione e di coordinamento tra le varie figure tutoriali all’interno del luogo di lavoro, come meglio verrà evidenziato esaminando i motivi di ricorso degli altri imputati, costituendo peraltro essa stessa un anello causale di diretta e decisiva rilevanza.
La P.D.A. invero, come ampiamente rappresentato dal giudice di appello, aveva impiegato manodopera priva di specifiche competenze, che operava in violazioni di basilari regole di prudenza, mantenendo in funzione l’ascensore pur in presenza di lavoratore che operava a valle della cabina e con l’operaio che operava a monte privo di mezzi per azionare o disattivare l’impianto, il che rappresenta in maniera plastica la totale assenza di progettualità preventiva sulla sicurezza di parte datoriale, esaltata infine da una assenza di complessiva cooperazione di cantiere sulla sicurezza degli operai impegnati nella messa in funzione dell’ascensore.
4. A questo punto esaminati i profili di doglianza della parte datoriale, ove sono emersi, sulla base della congrua valutazione operata dai giudici di merito, più evidenti e causalmente efficienti gli aspetti antidoverosi ad essa ascritti (POS e difetto di formazione), la principale questione di carattere tecnico giuridico sollevata da tutti gli altri imputati ricorrenti, che assume rilievo per la P.D.A. esclusivamente nei limiti della cooperazione colposa, è quella dell’esistenza e della riferibilità a ciascuno di essi della gestione di un rischio interferenziale.
4.1 Tutti gli altri ricorrenti hanno invero affermato che la Vertical Service Milano era ditta specializzata che stava procedendo, al momento dell’infortunio, ad uno specifico segmento delle opere appaltate dalla ditta F.N., in assoluta autonomia e con personale tecnico specialistico, al di fuori di rischio di interferenza con altre lavorazioni che, o non erano in atto, ovvero non avevano alcuna attinenza con quelle che vedevano impegnato l’operaio infortunato.
Tale argomentazione è stata prospettata primariamente dall’imputato F.A. il quale, come coordinatore per la progettazione e per la esecuzione, ha contestato di essere tenuto a gestire, nella specie, il rischio interferenziale, nonché dai titolari delle imprese F.N. e M. i quali, da un lato hanno escluso che proprie maestranze fossero impegnate sul cantiere di lavoro al momento dell’infortunio, e dall’altra hanno contestato che la specifica e specialistica lavorazione assegnata alla Vertical Service giustificasse il permanere a loro carico di un obbligo di garanzia, quantomeno in termini cooperativistici di cui agli artt. 95 e 97 in relazione agli art.15 e 26 D.Lgs. 81/2008.
5. Le suddette argomentazioni sono infondate. Il giudice di appello, in parte rinviando alla motivazione del giudice di primo grado, ha ampiamente evidenziato le ragioni della ricorrenza di una interferenza tra lavorazioni all’intemo del medesimo luogo di lavoro, rappresentando la circostanza che, non solo vi erano al momento del fatto alcuni lavoratori autonomi che stavano operando all’interno dell’edificio condominiale, ma spostando l’attenzione sulla seconda rilevantissima criticità riscontrata nel cantiere (ulteriore rispetto alle specifiche contestazioni mosse alla parte datoriale), evidenziando che il quadro dei comandi dell’ascensore era inaccessibile agli stessi lavoratori e ai soggetti intervenuti in loro soccorso.
5.1 Sotto questo profilo il giudice di appello ha stigmatizzato il rilievo di una inadeguata attività di coordinamento e vigilanza delle opere in fase esecutiva da parte del coordinatore per la esecuzione F.A. e una assoluta carenza di cooperazione nella gestione della sicurezza delle organizzazioni esecutrici e affidatarie in fase esecutiva, a fronte di profili cogenti di interferenza determinati dal fatto che nei giorni precedenti al sinistro il vano era accessibile, che lo stesso era stato modificato ad opera di maestranze diverse da quelle impiegate dalla Vertical Service nella installazione dell’ascensore e che la interferenza di tale lavorazione era risultata palese e drammaticamente influente nella morte dell’operaio, rimasto incastrato sotto la cabina e morto soffocato in quanto non era stato possibile riattivare la cabina.
Prevede invero l’art.90 III comma D.Lgs. 9 Aprile 2008 n.81 che nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’Incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.
Il successivo comma prevede che nel caso previsto nel comma precedente, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per la esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’art.98 successivo. Nel caso in specie F.A..
5.3 Del tutto correttamente ha motivato il giudice di appello che poco rileva la circostanza che, in relazione allo specifico segmento di lavorazione nel corso del quale si realizzò il sinistro, solo la impresa in cui lavorava la persona infortunata si doveva occupare della esecuzione dell’intervento e che t pertanto j difettava la esigenza di gestire un rischio interferenziale, laddove, come è emerso nel corso della istruttoria dibattimentale, altri soggetti erano intervenuti nel cantiere, operando sia all’interno che all’esterno dell’edificio condominiale e apportando, nella consapevolezza dell’appaltatore delle opere, impresa F.N., modifiche dello stato dei luoghi di decisivo rilievo per le lavorazioni in cui erano impegnati gli installatori del servizio ascensore.
5.4 Invero se la posizione riconosciuta al coordinatore per la progettazione e la esecuzione è quella della alta vigilanza delle lavorazioni, sottesa a gestire il rischio interferenziale e non già a sovraintendere momento per momento alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche risultanti dal POS,come integrate dal datore di lavoro e filtrate nel PCS (da ultimo sez.IV, 24.5.2016, Battisti, n.27165; 12.11.2015, Porterà e altri, Rv.265661), nondimeno la figura del coordinatore rileva nel caso in cui i lavori contemplino l’opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra di loro e non necessariamente in concomitanza (sez.IV, 12.3.2015, Marzano, Rv.253150), laddove i piani organizzativi e lavorativi siano comunque in grado di interferire (sez.IV, 7.6.2016, Carfì ed altri, Rv. 267687).
5.5 Non pare dubbio pertanto che, anche nella ipotesi che ci occuparla posizione del F.A. non può ritenersi estranea alla area di garanzia presidiata dalla figura del coordinatore, soprattutto in ragione del concreto atteggiarsi delle lavorazioni, che di fatto consentiva l’accesso al cantiere a figure professionali organizzate e autonome, distinte dall’unica ditta impegnata nella specifica lavorazione dell’ascensore, ma in grado di incidere su quest’ultima lavorazione, precludendo l’accesso al quadro generale dei comandi.
5.4 Sotto questo profilo appare logicamente espresso il convincimento del primo giudice, ripreso nella decisione del giudice territoriale di appello laddove ha ravvisato la sussistenza della posizione di garanzia in capo al F.A., sia in ragione della gestione per contratto dei rischi interferenziali, sia per carenze di verifica e di coordinamento del lacunoso POS della ditta esecutrice della installazione dell’ascensore, rispetto al concreto dispiegarsi delle simultanee lavorazioni e del loro interferire con tale specifica attività.
5.5 In chiave processuale, poi, il giudice territoriale ha del tutto coerentemente escluso che la contestazione in sentenza, relativa alla non adeguata gestione da parte del coordinatore per la esecuzione del rischio interferenziale connesso alle modifiche dell’accesso al vano che custodiva i comandi dell’ascensore, contenesse una modifica sostanziale della originaria imputazione, laddove in essa veniva comunque posta in rilievo, in termini di antidoverosità per omessa vigilanza, la veste di garanzia del prevenuto quale tutore del rispetto dei presidi di sicurezza sul luogo di lavoro. Sotto diverso profilo va evidenziato come la difesa del F.A. fosse stata posta in grado di interloquire sullo specifico profilo di colpa suddetto fin dal dibattimento di primo grado, nel corso del quale era stata ampiamente sviluppata la questione dell’accesso al vano tecnico dei comandi e al soggetto cui fosse riferibile una tale interclusione, venendo in rilievo addebiti di inosservanza di obblighi di cooperazione e coordinamento tra imprese operanti nel cantiere, al cui rispetto il F.A. costituiva ineludibile figura di vigilanza e di garanzia.
5.6 Ne consegue pertanto che l’esplorazione della causalità rispetto alle prerogative di monitoraggio e di intervento da parte del F.A. in relazione a lavorazioni interferenti oltre ad essere del tutto compatibile con la contestazione contenuta in imputazione, non rappresenta una argomentazione introdotta dal giudice di appello, ma costituiva tema di confronto fin dal giudizio di primo grado, con tutti i conseguenti limiti di deduzione della questione per la prima volta con ricorso per cassazione (sez.V, 8.1.2009 Parente Rv.243161).
5.7 Sul punto va poi evidenziato come risulti pacifico approdo della giurisprudenza di legittimità che la garanzia del diritto di difesa risulta assicurata in ordine alla eventuale diversa qualificazione giuridica del fatto, che peraltro nel caso in specie si ritiene non ricorra, quando l’imputato abbia avuto modo di interloquire sul tema in una delle fasi del procedimento, qualunque sia la modalità con cui il contraddittorio è stato preservato (sez.II, 12.7.2013 n. 44615, Paladini rv.257750; sez.VI, 1311.2013, Di Guglielmi e altri, Rv 257278).
5.8 Infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso del F.A. atteso che, una volta riconosciuta la ricorrenza di un rischio interferenziale in ragione della pluralità delle ditte chiamate ad operare nel cantiere e del tutto vigente e attuale la sua posizione di garanzia quale coordinatore della sicurezza in presenza di lavorazioni interferenti, il giudice di appello ha rappresentato in maniera del tutto logica che la gestione dell’accesso al vano comandi elettrici non costituiva ambito gestionale riservato alla impresa chiamata alla installazione dell’ascensore, ma essenziale tema di confronto e di collegamento tra le ditte interessate, che non sfuggiva agli obblighi di coordinamento sullo stesso gravanti. Il giudice di appello inoltre, con motivazione del tutto adeguata e coerente sotto il profilo logico giuridico, ha rappresentato come la gestione di un siffatto preliminare e rilevante profilo organizzativo da parte dei soggetti responsabili della sicurezza nel cantiere risultasse compatibile con la stessa normativa richiamata dal F.A., che imponeva la preventiva individuazione, in accordo alle professionalità operanti in cantiere, e soprattutto in assenza di qualsiasi previsione del POS del datore di lavoro, di soggetto terzo che detenesse le chiavi di accesso al vano, per garantire interventi di emergenza e di sicurezza, nella più ampia partecipazione e informazione delle ditte interessate.
5.9 Infine infondato risulta anche il quarto motivo di ricorso del F.A. che investe il trattamento sanzionatorio, nella parte in cui chiede il riconoscimento, anche ai fini del recupero della richiesta di patteggiamento avanzata in limine litis, della circostanza attenuante di cui all’art.62 n.4 cod.pen., atteso che ai fini della configurabilità della suddetta circostanza attenuante il risarcimento del danno deve essere volontario, integrale, comprensivo sia del danno patrimoniale che morale ed effettivo (da ultimo sez.VI, 12.11.2015, Minzolini, Rv. 265831). Il giudice di appello ha poi del tutto adeguatamente rappresentato, in termini di gravità della condotta e della rilevanza del ruolo di garanzia rivestito dal prevenuto, le ragioni per cui ha escluso a favore del ricorrente F.A. la ipotesi di minore gravità di cui all’art.114 cod.pen., distinguendo il profilo della responsabilità penale rispetto a quello civile ove ha graduato le percentuali di concorso di colpa, questione sulla quale si tornerà in seguito esaminando il ricorso avanzato dal responsabile civile società Fratelli F.N. s.r.l., anche se trattato anche dal ricorrente F.A..
6. Il primo motivo di ricorso di F.N. risulta infondato per ragioni del tutto analoghe a quelle indicate nel paragrafo 5 per evidenziare la ricorrenza del rischio interferenziale nel cantiere in oggetto, ove la ditta F.N., di cui il ricorrente era legale rappresentante, era l’appaltatrice del complesso delle opere che risultavano in parte sub appaltate ad altre ditte e costituiva pertanto il principale centro di riferimento delle diverse organizzazioni che si succedevano o confluivano nella ristrutturazione del complesso immobiliare e, quale ditta affidatala, doveva assolvere ad una funzione di coordinamento dei vari interventi (art.97 lett.a D.Lgs.vo 81/2008), ed era tenuta alla vigilanza sulla sicurezza dei lavori affidati e sull’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento ed era altresì gravato degli obblighi, anche cooperativisti, nascenti dall’art.26 stesso testo.
6.1 Il giudice di appello poi, anche mediante il richiamo alla motivazione del primo giudice, ha escluso con ragionamento congruo e privo di vizi logico giuridici, alcun rilievo alla delega in materia di sicurezza sul cantiere richiamata dal F.N. a favore di preposto (G.), sia facendo perno sul rilievo che la funzione di garanzia riconosciuta dall’art.97 D.Lgs.vo 81/2008 al soggetto affidatario delle opere era intimamente connessa al titolare di tale posizione e che pertanto non si era in presenza di una attività delegabile al preposto, sia in ragione di una carenza formale della delega stessa.
6.2 La questione sollevata dal terzo motivo di ricorso, che attiene alla esclusione della relazione causale tra la inosservanza degli obblighi a carico del titolare della ditta affidataria delle opere e la morte dell’operaio che operava nella fossa del vano ascensore, oltre a trovare ampio risalto motivazionale nella sentenza impugnata, è stata già affrontata, in relazione agli obblighi facenti capo al coordinatore della sicurezza, ma – per quanto qui rileva – anche al titolare della ditta affidataria delle opere, in ragione dei richiami operati dall’art.97 D.Lgs.vo nelle disposizioni sopra riportate, al paragrafo 5.8 cui si fa espresso riferimento. In tale ambito si è valorizzata la congrua disamina operata dal giudice di appello sul mancato coordinamento e sul difetto di cooperazione nella gestione dell’accesso al vano comandi dell’impianto dell’ascensore, argomento che è certamente riferibile alla posizione del F.N., titolare della impresa affidataria del coacervo delle opere di ristrutturazione che, come sopra rappresentato, oltre ad avere il proprio personale preposto alla gestione del cantiere, costituiva referente e catalizzatore delle diverse istanze provenienti dagli altri imprenditori impegnati nel cantiere, ed essa stessa era onerata della attività di coordinamento degli interventi.
7. Il primo motivo della difesa del B.N., titolare della ditta M. s.r.l. che aveva commesso alla Vertical Service Milano le opere di installazione dell’ascensore, ove si deduce la nullità della citazione a giudizio del prevenuto e la nullità assoluta degli atti del giudizio successivi è infondata, avendo il giudice di appello fornito ampia contezza delle ragioni del rigetto del relativo motivo di gravame, facendo distinzione tra la ipotesi di omessa notifica e di notifica perfezionata ritualmente ma con assegnazione all’imputato di un termine inferiore a quello previsto dalla legge (sez.II, 4.12.2014, Chines, Rv.261630; 15.4.2016, Sbarro, Rv. 268125), specificando comunque che la eventuale invalidità si atteggia a nullità di ordine intermedio suscettibile di sanatoria in ipotesi di omessa tempestiva deduzione, laddove la stessa risulta essere stata eccepita esclusivamente con i motivi di appello.
7.1 Il giudice di appello ha dato adeguata contezza delle ragioni per le quali gli obblighi di garanzia e di coordinamento dei presidi di sicurezza all’interno del cantiere fossero riferibili anche alla impresa del B.N., quale sub appaltatore affidatario delle opere relative all’ascensore la quale, a sua volta, aveva affidato alla Vertical Service gli interventi di installazione. Invero ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all’esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall’art. 26 D.Lgs.vo 9.4.2008 n.81, occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o dì somministrazione, ma all’effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (sez.IV, 7.6.2016, P.C. in proc. Carfì e altri, Rv. 267687; 17.6.2015, Mancini, Rv. 264957). Invece con riferimento alla posizione del subappaltatore il S.C. ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro il sub committente è sollevato dai relativi obblighi solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore (sez.IV, 5.6.2008, Riva e altro, Rv. 240314; sez.IV 20.11.2009, Fumagalli e altri, Rv.246302). Con particolare riferimento alla installazione di un ascensore è stato ritenuto da questa Corte che il rischio derivante dalla generica necessità di evitare che l’ascensore sul quale si stanno eseguendo lavori di manutenzione venga utilizzato con la disattivazione dei sistemi di sicurezza non costituisce rischio specifico dell’attività dell’appaltatore ma rientra anche nell’ambito della posizione di garanzia dell’appaltante, in virtù dell’obbligo di cooperazione previsto dalla legge (sez.IV, 5.3.2009, P.C., Ferrara e altri) in pieno accordo alle argomentazione svolte dai giudici in relazione alla posizione di garanzia assolta dal soggetto che le opere di installazione aveva affidato alla Vertical Service Milano s.r.l..
7.2 La Corte di Appello ha rappresentato con adeguato apparato motivazionale gli spunti in base ai quali ha ritenuto che la ditta B.N. e per essa il suo titolare, non poteva ritenersi estranea alle lavorazioni della Vertical Service in ragione del campo di rischio cui si riferiva la pretesa di una cooperazione tra imprese nel governo di una contingenza che non atteneva allo specifico delle lavorazioni di installazione, bensì alla necessità di consentire al personale dei dipendenti della ditta esecutrice di accedere prontamente ai comandi elettrici dell’apparato, sia in relazione al concreto atteggiarsi dei rapporti tra appaltatore (F.N.), ditta affidataria subappaltante (B.N.), e ditta sub affidataria (Vertical Service Milano s.r.l.), come rappresentati dal teste MA., il quale (preposto del B.N.) ha riconosciuto che le imprese si erano interfacciate per concordare e seguire tutte le modalità di installazione dell’ascensore, riconoscendo pertanto l’attualità e la concreta vigenza degli obblighi di cooperazione e coordinamento tra organizzazioni lavorative previsti dagli art.95 e 97 D.Lgs.vo 81/2008. Sotto questo profilo deva affermarsi la infondatezza anche del quarto motivo di ricorso, che denuncia ipotesi di travisamento della prova in ordine a una circostanza fattuale (se il contratto di subappalto avesse riguardato tutte le opere sull’ascensore o solo una parte) che risulta del tutto irrilevante nella soluzione della questione logico giuridica dell’ambito di responsabilità del B.N..
Questi invero risultava titolare di una posizione di garanzia del tutto autonoma nella sua veste di originario affidatario degli interventi relativamente al campo di rischio sopra indicato (accesso ai comandi dell’ascensore) e al concreto atteggiarsi dei rapporti di collaborazione e di gestione dei rischi di interferenza unitamente alla impresa appaltatrice.
7.3 Infondato è altresì il terzo motivo di ricorso del B.N. in relazione alla ricorrenza di una delega prepositurale, non solo per le ragioni sopra rappresentate in relazione alla posizione del F.N. (par.5.8) ma anche perché nel caso in specie difetta una specifica delega per come prevista dall’art.16 D.Lgs.vo 81/2008. Invero, il giudice di legittimità, pur distinguendo la posizione del preposto di fatto sul luogo di lavoro dalla delega di funzioni, ha ampiamente esplicitato che, pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia all’interno del luogo di lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza una ipotesi di esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia, ma semmai si costituisce una figura alternativa di garanzia, che potrebbe essere chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato dall’art.299 D Lsvo 81/2008 (sez.IV, 28.2.2014 Consol rv 259224, 18.12.2012 Marigioli rv 226339, 9.2.2012 Pezzo rv 253850).
7.4 Ugualmente infondato è il quinto motivo di ricorso che prospetta ipotesi di esclusione del rapporto di causalità tra le condotte colpose ascritte al B.N. e l’evento dannoso a fronte del comportamento abnorme e pericoloso degli operai della ditta esecutrice delle opere e della impossibilità da parte del B.N. di tenere un comportamento che avrebbe consentito di evitare lo scorrere della serie causale da altri attivata: come rappresentato del tutto logicamente dal giudice di appello e come già ampiamente evidenziato da questa Corte nel paragrafo dedicato ai profili di cooperazione colposa ascritti a ciascun imputato (par.2) e alle successive articolazioni del paragrafo 3), la inosservanza degli obblighi riconosciuti a carico del titolare della ditta M. s.r.l. vanno esaminati nel complesso delle plurime e variegate violazioni di regole cautelari riconosciute agli imputati e alla violazione di regole di collaborazione e di coordinamento tra imprese che avrebbero giustificato l’adozione di accorgimenti sulla tenuta delle chiavi di accesso ai comandi dell’ascensore, condotta omissiva questa di pacifico rilievo causale rispetto all’exitus da soffocamento che occorse all’operaio.
8. Il primo motivo di ricorso del responsabile civile impresa Fili F.N. s.r.l. propone doglianze del tutto analoghe a quelle proposte dall’imputato F.N. nel primo e nel terzo motivo di ricorso, che sono stati esaminati e disattesi ai paragrafi 6 e 6.2 ai quali si fa integrale riferimento e richiamo anche a sostegno del rigetto dell’istanza che si esamina.
8.1 Quanto poi alla violazione di legge in relazione ai criteri adottati dai giudici di merito per la ripartizione delle percentuali di responsabilità va subito evidenziato come il giudice di secondo grado abbia fornito motivata, logica e puntuale motivazione ai criteri in base ai quali determinare nella misura del 25 % la percentuale indicativa del concorso in capo al F.N. nella determinazione del tragico sinistro, sia mediante il richiamo alla sentenza di primo grado sia ponendo in evidenza il rilievo della omissione di verifica delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dell’applicazione delle disposizioni delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, unitamente alla omissione nella cooperazione e nel coordinamento tra i vari datori di lavoro delle imprese esecutrici, sono stati importante concausa efficiente dell’infortunio mortale. D’altro canto i giudici di merito hanno efficacemente rappresentato come due fossero stati i filoni causali determinativi dell’infortunio, i quali si erano saldati intersecandosi fra di loro, il primo riconducibile alle gravissime omissioni e carenze del POS della impresa esecutrice e a un non adeguato controllo da parte del CSE F.A., e l’altro al difetto di coordinamento e di cooperazione nella gestione del rischio derivante dalla presenza di altre lavorazioni all’interno del cantiere che avevano condotto alla impossibilità di salvare il povero operaio intrappolato sotto la cabina dell’ascensore. I giudici di merito hanno pertanto adeguatamente motivato il proprio convincimento in punto a ripartizione del grado e della percentuale delle responsabilità tra gli imputati e tale motivazione, che non presenta vizi di manifesta illogicità, non è suscettibile di ulteriore censura, anche in relazione alla posizione del F.A., la cui percentuale di responsabilità risulta limitata alla misura del 10 % anche in ragione del maggiore rilievo riferibile alle violazioni ascritte e riconosciute a carico della parte datoriale.
8.2 Quanto infine al connesso motivo relativo alla ripartizione delle somme provvisionali è principio assolutamente pacifico del giudice di legittimità che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa, non suscettibile di passare in giudicato e non necessariamente motivata (sez.III, 27.1.2015, D.G., Rv.263486; sez.VI, 14.10.2014, P.C. e G. 261535).
9. Fondato risulta invece il ricorso proposto dalla difesa delle parti civili relativamente a violazione di legge e a carenza motivazionale sui criteri seguiti per la compensazione delle spese di lite relativamente alla azione civile innestata nell’ambito del procedimento penale.
A fronte di domanda risarcitoria proposta all’interno di processo penale il pagamento delle spese processuali, disciplinato dall’art.541 cod.proc.pen. trova regolamentazione alla stregua dei criteri indicati dall’art.91 e 92 cod.proc.civ. e pertanto sulla base del principio della soccombenza rispetto alle domande avanzate nella sede giudiziale. Tra le regole proprie che informano il giudizio sulla liquidazione assume rilievo l’art.92 II comma cod.proc.civ. che recita “se vi è soccombenza reciproca …il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.
Afferma il S.C. che la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorché quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (sez.III, 22.2.2016,n. 3438, Rv. 638888 – 01; 21.10.2009 n.22381, Rv.610563 – 01).
9.1 Orbene la domanda risarcitoria avanzata dalla parte civile risulta integralmente accolta nei confronti di tutti gli imputati e dei responsabili civili, essendo rimessa al giudice civile solo la liquidazione del danno; quanto poi alle statuizioni sulle somme provvisionali assegnate, le stesse come sopra evidenziato, per il loro carattere delibativo, non suscettibili di passare in giudicato, non rappresentano capo della pronuncia sul quale potersi valutare profili di soccombenza reciproca, anche in ragione del fatto che il diritto alla loro percezione non è stato negato o escluso, seppure parzialmente, ma ne è stata soltanto ridimensionata, in sede di giudizio appello, la portata quantitativa.
9.2 Del tutto assente è la motivazione del giudice di appello delle ragioni della sua opzione di pronunciare la integrale compensazione delle spese di lite e pertanto non è neppure possibile accertare in quali termini il giudice di appello si sia discostato dalla regola di giudizio sopra indicata. Si impone pertanto l’annullamento della impugnata sentenza limitatamente alla statuizione concernente la compensazione delle spese tra le parti e rinvia sul punto per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano cui va rimessa anche la regolamentazione delle spese del giudizio tra le parti.
10. I ricorsi di tutti gli imputati e del responsabile civile F.lli F.N. s.r.l. devono essere disattesi e gli stessi vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la impugnata sentenza limitatamente alla statuizione concernente la compensazione delle spese tra le parti e rinvia sul punto per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano cui rimette anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio tra le parti.
Rigetta i ricorsi degli imputati e del responsabile civile che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8.11.2016