Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 21 febbraio 2012, n. 6857

L’accezione di “interferenza” tra impresa appaltante ed impresa appaltatrice non può ridursi, ai fini della individuazione di responsabilità colpose penalmente rilevanti, al riferimento alle sole circostanze che riguardano “contatti rischiosi” tra il personale delle due imprese, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte quelle attività preventive, poste in essere da entrambe antecedenti ai “contatti rischiosi”, destinate, per l’appunto, a prevenirli.
In sostanza, ancorchè il personale della ditta appaltatrice operi autonomamente nell’ambito del luogo di lavoro della ditta appaltante, deve esser messo in condizione di conoscere, a cura della appaltante, preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro con riferimento, ovviamente, all’attività lavorativa che deve ivi svolgere. Il principio generale in materia di interferenze tra ditta appaltante ed appaltatrice, affermato con continuità da questa Corte è quello che, ove i lavori si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall’appaltante in esso inserendosi anche l’attività dell’appaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica (ivi compresa, ovviamente, anche quella di cui ci si occupa), e non venendo meno l’ingerenza dell’appaltante e la diretta riconducibilità (quanto meno) anche a lui dell’organizzazione del comune cantiere, in quanto investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria qualità, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo.
Un’esclusione della responsabilità dell’appaltante è configurabile solo qualora all’appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltante, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltante dall’organizzazione del cantiere. Nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell’appaltante, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi e l’appaltatore.

> articolo collegato: Di cosa si parla quando si parla di “interferenza”?


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giusepp – Presidente –
Dott. FOTI Giacomo – Consigliere –
Dott. D’ISA Claudio – rel. Consigliere –
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere –
Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1. B.G. n. il (Omissis);
2. M.L.T. n. il (Omissis);
Avverso la sentenza n. 1851/2011 della Corte d’Appello di Milano del 13.05.2011;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 16 dicembre 2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA;
Udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Cedrangolo Oscar che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Per i ricorrenti sono presenti gli avv.ti Arianna Giuseppe e Rivetta Paolo che concludono per l’accoglimento dei ricorsi.

Fatto

B.G. e M.L.T. ricorrono in cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, in data 13.05.2011, di conferma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti in ordine all’art. 590 c.p., commi 1, 2, e 3 in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 1 dal Tribunale dello stesso capoluogo l’11.03.2010.
In breve il fatto oggetto della vicenda che ci occupa: in data (Omissis), A.A.H., dipendente della Coop Work Soc. Coop, di cui la B. era Presidente del Consiglio di Amministrazione, nel mentre prestava servizio di attività di scarico di binari, presso la V. S.p.a., committente, di cui il M. era rappresentante legale, subiva un infortunio sul lavoro con frattura della falange distale del terzo dito della mano destra con conseguente amputazione.
La parte lesa riferiva che, nell’operazione di scarico di rotaie ferroviarie, egli era addetto all’imbracamento delle stesse, per fare in modo che il carico venisse poi sollevato da una gru; le operazioni venivano dirette da D.G.A., dipendente della V., il quale impartiva ordini sia alla persona offesa che al gruista anch’egli dipendente della V.. In occasione dell’infortunio era accaduto che il gruista aveva sollevato inopinatamente il carico nonostante nessuno avesse ancora dato il relativo comando, per cui le funi, ponendosi in tensione, avevano schiacciato il dito della p.o.
lasciato tra la corda e le rotaie. La parte offesa aveva altresì riferito di non aver partecipato a corsi formativi in relazione alle operazioni di scarico ma che soltanto gli era stato detto di stare attento quando la gru era in manovra tenendosi lontano dalle funi.
Nel corso del procedimento veniva sentito anche il D.G. il quale, contrariamente a quanto aveva affermato in sede di informazioni testimoniali, e, quindi, in epoca più prossima all’episodio, secondo cui era stato lui a dare il segnale al gruista di sollevare il carico, ha sostenuto che fosse stata, invece, proprio il N.A.. Il Tribunale, non dando credito al testimone, ha ritenuto la penale responsabilità dei ricorrenti evidenziando i seguenti profili di colpa: la B. per non aver coordinato gli interventi di prevenzione dei rischi cui sono esposti i lavoratori informandosi con la committente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera, per non aver assicurato il dipendente N.A. senza per altro fornirgli un adeguato addestramento circa le mansioni che doveva svolgere. Il M. per non aver cooperato con la ditta appaltatrice all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori connessi all’attività oggetto del contratto di appalto e per non aver fornito ad essa dettagliate informazioni sui rischi specifici, per non aver messo a disposizione dei lavoratori idonei accessori di sollevamento dei carichi da movimentare, nonchè per non aver adottato le misure organizzative di controllo e coordinamento, per non essersi assicurato che i lavoratori propri ed altrui avessero ricevuto il dovuto addestramento.
La Corte d’Appello nel fare proprio l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado ha ritenuto infondati i motivi di appello.
Con un primo motivo il M. censura la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito: l’errore di manovra, così come confermato dalla parte lesa, è da ricondursi al fatto di un terzo (gruista) che ha operato senza preventiva autorizzazione del responsabile e ancor meno della parte lesa. La condotta del gruista è stata del tutto imprevedibile e non governabile dal datore di lavoro. Relativamente alla specifica contestazione di non aver informato il lavoratore sulle mansioni da svolgere si obietta che la parte offesa aveva ricevuto, come luì stesso ha affermato, informazioni sul tipo e modalità operative del lavoro che doveva svolgere. Si eccepisce la mancata acquisizione di una prova decisiva data dalla testimonianza del gruista.
Si denuncia con il secondo motivo vizio di motivazione: se è vero che nessun segnale di messa in tensione venne dato, appare del tutto illogico argomentare che si siano potute verificare violazioni alla norme di sicurezza che prevedono l’allontanamento degli operatori nelle fasi di tensione e poi di sollevamento.
La B. denuncia violazione di legge e vizio di motivazione.
La motivazione dell’impugnata sentenza risulta contraddittoria ed illogica laddove, da un lato, ha riconosciuto che il D.G. era il lavoratore addetto ad impartire comandi al gruista e, dall’altro, gli stessi giudici hanno affermato che durante le operazioni di scarico era assente ogni cautela, quale, appunto, l’impartire il comando di conferma al gruista per il sollevamento dei carichi. Nel caso concreto l’infortunio non è dipeso dalla cattiva manutenzione dei macchinari, peraltro perfettamente funzionanti.

Diritto

I motivi posti a base di entrambi i ricorsi sono infondati e ciò determina il rigetto del ricorso.
La Corte d’Appello ha indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio rimpianto argomentativo della sentenza di primo grado, recependola in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, confutando la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa degli imputati, circa la valutazione delle dichiarazioni rese dal D. G.A.. E’ da rilevare, infatti, che la tesi oggetto dei motivi dei ricorsi, sotto una veste meramente fattuale, già era stata sottoposta all’esame della Corte d’Appello, la quale, puntualmente, ha considerato le giustificazioni difensive prospettate.
In sostanza, entrambi i ricorrenti, in fatto, fanno ricadere su altri la responsabilità dell’accaduto, il M., sul comportamento colposo dell’operatore della gru che avrebbe messo in tensione i cavi dell’imbracatura con cui venivano sollevate le rotaie senza la preventiva autorizzazione del responsabile D.G.; la B. sul comportamento di quest’ultimo, che avrebbe ritardato il segnale di autorizzazione al sollevamento; entrambe condotte del tutto imprevedibili da parte del datore di lavoro, B. quale responsabile legale della ditta appaltatrice, e non dipendenti dall’omessa adozione di misure organizzative di controllo e coordinamento con la ditta committente facente capo al M. o dalla mancata formazione della persona offesa circa l’attività da svolgere con la rappresentazione dei rischi inerenti ad essa.
Orbene, non c’è chi non veda come i motivi addotti dai ricorrenti ineriscono tutti, anche se diversamente modulati rispetto a quelli del gravame di merito, alla ricostruzione del sinistro sulla base di una diversa valutazione delle risultanze probatorie ed in particolare della testimonianza del D.G.A..
E’ indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e) quella che è una mera valutazione del fatto.
La Corte sul punto, correttamente, ha evidenziato che non assume alcun rilievo giustificativo la circostanza dedotta atteso che la contestazione è molto più ampia, avendo fatto riferimento al dovere, in ragione del potere di coordinamento esistente in capo ad entrambi i ricorrenti, ed, in modo specifico, all’omissione concernente le misure organizzative atte ad evitare che da quella attività, intrinsecamente pericolosa, derivassero ai lavoratori addetti situazioni pericolose in relazione alle manovre della gru.
Sul punto i giudici di merito hanno attribuito giusto valore alle dichiarazioni della persona offesa che ha riferito di non aver partecipato a corsi formativi specifici in relazione alle operazioni di scarico, ma che soltanto gli era stato detto di stare attento quando la gru era in manovra, tenendosi lontano dal canto e dalle funi, ma nulla di più in riferimento alla specifica attività di imbracatura delle rotaie. Dunque, un dato di fatto è certo;
nell’operazione di scarico che ha determinato l’infortunio de quo, sia che il gruista abbia agito autonomamente, sia che il responsabile abbia errato nel dare l’autorizzazione al sollevamento, vi è stata una mancanza di coordinamento in quanto non ben precisate ed attuate le misure idonee a prevenire l’errore in parola.
Essendo indubbia la responsabilità del datore di lavoro ( B.) della persona offesa, non meno rilevante è quella del committente ( M.). Va osservato sul punto che l’accezione di “interferenza” tra impresa appaltante ed impresa appaltatrice non può ridursi, ai fini della individuazione di responsabilità colpose penalmente rilevanti, al riferimento alle sole circostanze che riguardano “contatti rischiosi” tra il personale delle due imprese, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte quelle attività preventive, poste in essere da entrambe antecedenti ai “contatti rischiosi”, destinate, per l’appunto, a prevenirli.
In sostanza, ancorchè il personale della ditta appaltatrice operi autonomamente nell’ambito del luogo di lavoro della ditta appaltante, deve esser messo in condizione di conoscere, a cura della appaltante, preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro con riferimento, ovviamente, all’attività lavorativa che deve ivi svolgere. Il principio generale in materia di interferenze tra ditta appaltante ed appaltatrice, affermato con continuità da questa Corte è quello che, ove i lavori si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall’appaltante in esso inserendosi anche l’attività dell’appaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica (ivi compresa, ovviamente, anche quella di cui ci si occupa), e non venendo meno l’ingerenza dell’appaltante e la diretta riconducibilità (quanto meno) anche a lui dell’organizzazione del comune cantiere, in quanto investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria qualità, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo.
Un’esclusione della responsabilità dell’appaltante è configurabile solo qualora all’appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltante, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltante dall’organizzazione del cantiere. Nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell’appaltante, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi e l’appaltatore.
Dunque, corretta è la motivazione della sentenza impugnata relativamente alla questione, sollevata dai ricorrenti e riproposta in questa sede come violazione dell’art. 41 c.p., in ordine alla attribuibilità dell’evento alla positiva condotta di altri soggetti quali il gruista ed il responsabile delle operazioni di carico, D.G.A., non potendosi ritenere, alla luce di quanto argomentato in diritto, ed evidenziato in fatto dai giudici del merito, che si è trattato di condotte colpose indipendenti da ritenersi da sole sufficienti a determinare l’evento, essendo evidente che la mancata predisposizione di quelle misure richieste dalla normativa del settore, ha determinato l’errore degli operatori.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 16 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2012

Lascia un commento