Cassazione Penale, Sez. 4, 21 giugno 2016, n. 25702

Operazioni di lisciatura di un pezzo al tornio e mancata informazione sui rischi connessi al farlo utilizzando la carta vetrata.


Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 17/05/2016

Fatto

1. Con sentenza 11/05/2015, La Corte d’appello di Firenze ha rideterminato la pena inflitta all’imputato M.A., condannato dal Tribunale di Prato per il reato di lesioni colpose aggravate ai sensi dell’art. 590 commi I, II e III in relazione all’art. 21 co. 1 lett. c) del d.lgs. 626/94, per avere – quale datore di lavoro, legale rappresentante della “Nuova VE.ME.” s.n.c. – cagionato lesioni gravi a V.R., operaio tornitore della società citata, con postumi invalidanti, per colpa consistita nel non aver provveduto all’adeguata informazione sui rischi specifici a cui è esposto il lavoratore in relazione all’attività svolta, alle normative di sicurezza e alle disposizioni aziendali in materia, in particolare perché il V.R., durante l’operazione di lisciatura di un pezzo al tornio, utilizzava la carta vetrata, operazione considerata pericolosa per l’incolumità dell’addetto e del cui rischio non veniva informato da parte del datore di lavoro, con ciò determinando il contatto della mano sx di V.R. con il meccanismo del tornio in rotazione, fatto accaduto il 18/01/2008.
2. L’imputato ha proposto ricorso personalmente, formulando quattro distinti motivi.
Con il primo ha rilevato l’estinzione del reato per prescrizione nelle more del giudizio di legittimità.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, essendo stato il M.A. condannato per la condotta commissiva (aver impartito un ordine di provvedere alla esecuzione della lavorazione con modalità pericolose), a fronte della contestazione di una condotta omissiva (aver omesso di informare il lavoratore dei rischi specifici).
Con il terzo ed il quarto, ha dedotto rispettivamente violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. La parte ha riproposto censure articolate con l’appello, senza tuttavia operare il necessario preventivo confronto con i motivi che sorreggono la decisione impugnata.
Con il gravame si era infatti già eccepita la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sotto il medesimo profilo richiamato nel ricorso. Il giudice d’appello l’ha disattesa richiamando correttamente la giurisprudenza di questa Corte che ha più volte chiarito che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa [cfr.  Sez. 4 n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161; n. 51516 del 21/06/2013, Rv. 257902 (in un caso in cui, per l’appunto, è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l’omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori)].
Questa Corte non intende discostarsi dal proprio consolidato orientamento, con conseguente manifesta infondatezza del relativo motivo.
Anche il terzo e quarto motivo sono manifestamente infondati, avendo la Corte di merito mitigato il trattamento sanzionatorio, motivando in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla scorta di argomentazioni del tutto logiche, congrue e non contraddittorie (non rilevante concorso di colpa del danneggiato e gravità delle lesioni cagionate). Nessuna contraddizione inficia la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giduice d’appello ha però ritenuto di contenere la pena nel minimo edittale, avuto riguardo al grado non elevato di colpa, motivo per il quale ha anche concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
3. L’inammissibilità del ricorso, precludendo l’instaurarsi di un valido rapporto processuale in questo grado di giudizio, non consente alla causa estintiva del reato (nel caso di specie, la prescrizione), verificatasi dopo la sentenza d’appello di operare e impedire il consolidarsi della pronuncia di condanna (cfr. Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266; n. 33542 del 27/06/2001, Rv. 219531; n. 23428 del 22/03/2005, Rv. 231164; sez. 6 n. 25807 del 14703/2014, Rv. 259202; sez. 1 n. 6693 del 20/01/2014, Rv. 259205).
4. Dall’inammissibilità discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e fa quenoldella somma di € 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 17 maggio 2016.

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